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Autore: Nadine_Rose    14/05/2019    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Capitolo 9

 

Più forte di una catena

 

“Fui tuo, fosti mia. Tu sarai di colui che ti amerà,

di colui che raccoglierà nel tuo orto ciò che io ho seminato.”

Pablo Neruda, Farewell

 


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Immagine dal film “Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey”

 

Sarah decise di non darla vinta alla tristezza, di non cedere alla nostalgia di Hermann e, quasi con avida rabbia, afferrò dal comodino i suoi due giorni di paga e uscì di nuovo, con l’intento di fare qualcosa per se stessa per liberarsi dalla malinconia. La sua prima tappa fu in un piccolo negozio di abbigliamento, dove la sua attenzione era già stata attratta da un vestito nero con tanti piccoli fiorellini rossi, esposto in vetrina. Provò l’abito e lo specchio le rimandò l’immagine di un viso un po’ scurito dal sole e spento dallo sconforto, di un corpo più tondito dall’aria buona del sud e piegato dai ricordi del dolore e dell’amore. Fu come vedere sulle proprie spalle tutto il peso che portava dentro di sé della sofferenza per ciò che aveva vissuto durante la guerra, il disprezzo della gente, la separazione dalla famiglia, e per ciò che avrebbe voluto continuare a vivere nel campo di Fossoli con il tenente Hermann. Ma il vestito le stava bene e Sarah tentò ancora di aggrapparsi a quel sottile filo di entusiasmo per la festa a sorpresa che l’attendeva di lì a poco tempo e così sfuggire alla tristezza del suo passato. E si obbligò a riuscirci.

Fece una giravolta davanti allo specchio e, sorridendo compiaciuta alla propria immagine riflessa, si rivolse alla seriosa e compassata negoziante. “Lo prendo… E prendo anche quei sandali con la zeppa in sughero”, disse, indicando uno scaffale vicino alla porta.

Uscì dal negozio con indosso il vestito e i sandali nuovi e, fermatasi davanti a un salone di parrucchiere, decise che era arrivato il momento di cambiare qualcosa di sé, per iniziare a scucirsi di dosso quel pezzo di vita, fradicio di infinite lacrime e logoro di folli rimpianti. Sarah guardava dallo specchio i suoi capelli fluttuare sul pavimento e le mani di Hermann, che amavano tanto affondarvici dentro, diventare un ricordo un po’ più lontano. Sentì di essere libera e si forzò a sorriderne, mentre il loquace parrucchiere le portò i capelli a una lunghezza media, sistemandoglieli in un’acconciatura con onde e riga laterale e persuadendola a farsi applicare in viso un velo di trucco e colorare di rosso le labbra e le unghie. Uscì dal salone e, prima d’incamminarsi verso casa, alzò le spalle in un profondo respiro: si sentiva più bella, più forte, pronta a ricercare la felicità nella propria vita, pur senza un uomo al suo fianco, pur senza Hermann.

“Ma guardati, Sarah, sembri un’attrice di Hollywood!” esclamò piena di entusiasmo Hannah, che la stava aspettando sull’uscio di casa, prendendola per mano e facendole fare una mezza giravolta.

“Esagerata!” rispose Sarah con una risatina ironica e, varcata la porta d’ingresso, il cuore le sobbalzò e le sue labbra si aprirono in un sorriso a trentadue denti al rimbombante e gioioso urlo di “sorpresa”.

Se l’aspettava, ma vederli tutti lì, il signor Gennaro con la moglie e tutta la sua famiglia, i suoi colleghi e i clienti più affezionati del Gran Cafè, che le si avvicinavano sorridenti per farle gli auguri e porgerle un regalo, fu comunque una grande e incontenibile emozione. Quelle braccia protese verso di lei per abbracciarla, quegli sguardi che riflettevano un affetto sincero, quei baci sulla guancia che sigillavano tenere e incoraggianti parole di auguri la facevano sentire a casa e le restituivano il calore di una famiglia. Era proprio vero: tante persone le volevano bene e non poteva più dirsi sola.

Dopo la cena, costituita da un’allegra spaghettata, in tutta la casa si sparse un profumo di caffè e di dolci e, da lontano, iniziarono a giungere le note di “’O surdato ’nnammurato”, una canzone dal ritmo vivace e dal significato struggente, tanto famosa che anche Sarah aveva ormai imparato.

E, mentre il suono di quella voce tonante e avvolgente, accompagnata da chitarra e mandolino, si faceva sempre più vicino fino a risuonare nella casa, Sarah, pensando che fosse un’altra sorpresa del signor Gennaro e dei suoi colleghi, allargò il sorriso e disse alla sua amica: “No, pure la serenata? Non ci posso credere!”

All’ultima nota, tutti applaudirono mentre Hannah si alzò di scatto per andare ad accogliere il giovane e corpulento cantante e, da dietro le sue grosse spalle, apparve Matteo, ben pettinato e vestito e con in mano un mazzo di fiori. Il cuore di Sarah accelerò di un battito per lo stupore di rivederlo e nel ricordare i loro giri in barca, le loro corse in spiaggia, il suo bacio a fior di labbra, ma il suo sorriso si spense, palesando il risentimento per la sua inspiegabile fuga e la sua assenza protratta per ben una settimana. Davanti allo sguardo di Matteo, che la fissava con l’espressione di chi sembrava aver avuto una visione celestiale, Sarah abbassò gli occhi e, intanto, la musica riprese, più lenta, più triste. Il cantante iniziò a dare voce e gestualità al tormento di una passione descritta come più forte di una catena e i pensieri di Sarah non poterono che andare a Hermann. Sulle note di quella struggente canzone, gli occhi di Sarah e di Matteo cominciarono a muoversi, abbassandosi e rialzandosi, nascondendosi e ricercandosi, in una danza di sguardi lucidi, per lei di malinconia e tristezza, per lui di sospirante attesa. D’un tratto, la moglie del signor Gennaro le si avvicinò e, sedendosi accanto, la prese per mano.

“Vai, Sarah. Non aver paura, è un bravo ragazzo. Mio marito ha preso informazioni su di lui, vai”, le sussurrò all’orecchio, strattonandole lievemente il polso, nel tentativo di farla alzare.

Ma Sarah svincolò la mano, incrociò le braccia con un broncio quasi da bambina e non si mosse dalla sedia. Alzarsi da quella sedia, avvicinarsi a Matteo, accettare i suoi fiori significava rassegnarsi all’idea che Hermann fosse morto, lasciar morire il ricordo dei suoi occhi verdi di smeraldo per due occhi color terra, delle sue mani morbide e bianche per due mani scure e callose, della sua pelle dal profumo orientale che evocava luoghi sconosciuti per una pelle dal perenne odore di alghe e salsedine, dimenticare il suono della sua voce, il sapore delle sue labbra, le loro notti di passione a Fossoli e lei non era poi così sicura di volerlo fare realmente, di volersi realmente liberare da quelle catene. Fu colta da un improvviso senso di vuoto nel petto e il cuore iniziò a batterle più in fretta, agitato dalla prospettiva di un futuro di solitudine e si sentì di nuovo fragile. Fu la paura a spingerla ad alzarsi e ad andare verso Matteo, con l’andatura e l’espressione di chi sembrava andare incontro a una condanna. Prese i fiori, senza nemmeno un sorriso e, mentre le sue labbra disegnavano un debole “grazie”, due grosse lacrime le caddero dagli occhi. Sarah guardava Matteo, i suoi occhi scuri spalancati di interrogativi e le sue labbra asimmetriche socchiuse di ammirazione, e pensava a Hermann, all’ultima immagine che aveva di lui, inginocchiato con espressione persa e impaurita davanti ai fucili partigiani. E, intanto, il cantante interpretò gli ultimi versi:

 

“Te voglio bene,

te voglio bene assaje.

Si’ tu chesta catena

ca nun se spezza maje.

Suonno gentile,

suspiro mio carnale,

te cerco comm’a ll’aria,

te voglio pe’ campà!”

 

(Dicitencello vuje, Rodolfo Falvo & Enzo Fusco)

   
 
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