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Autore: viola_capuleti    14/05/2019    0 recensioni
Raven ha sempre avuto la certezza di essere una ragazza normale, nonostante la famiglia ristretta alla madre Elen e l'amico di famiglia Andrea che non la lasciano mai sola, i numerosi traslochi e la vistosa cicatrice che ha sul petto.
Ma tutto cambierà quando un misterioso uomo comparirà davanti a casa sua, insieme ad un particolare trio di ragazzi, proprio quando sua mamma dovrà andarsene di casa per lavoro e un misterioso coniglio albino le farà compagnia nei suoi sogni per avvertirla di un pericolo.
Scoprirà ben presto di far parte di una relatà ben più grande di quanto avrebbe mai potuto immaginare...
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO 1
L'uomo con la sigaretta


Normale.
In fondo chi non si sente normale? Però, ognuno ha i suoi comportamenti o pensieri personali che se qualcuno venisse a sapere lo farebbero sentire anormale, diverso dagli altri.
Ma Raven non aveva hobby venuti a galla dal segreto che la facevano sentire anormale (magari una collezione di gomme da masticare trovate in metropolitana) o aveva detto in pubblico cose intime particolari, ma ben altro.
Innanzitutto era molto atletica e forte.
Non se ne sarebbe neanche accorta se non avesse iniziato a cronometrare le sue corse. Aveva preso l’abitudine molto presto di andare a fare jogging insieme alla madre.
Era un modo per trascorrere del tempo assieme a causa del suo lavoro, che le portava via una considerevole quantità di ore che invece potevano sfruttare per fare qualcosa di decisamente più divertente: si cambiavano mettendosi qualcosa di comodo, decidevano un percorso, si mettevano una cuffia ciascuna in un orecchio e partivano. Solitamente sceglievano percorsi poco trafficati, magari passando per un parco o in qualche passeggiata che costeggiasse un corso d’acqua, dato che a lei piaceva il rumore dell’acqua mischiato a qualche canzone a basso volume. Per pura curiosità aveva cercato su internet le medie di uomini e donne e aveva calcolato le sue e quelle di sua madre: entrambe erano molto più veloci del normale.
Aveva già notato gli sguardi incuriositi di altri corridori o passanti e lei stessa aveva notato che le sembrava che il loro passo fosse troppo affrettato per essere una semplice corsetta per tenersi in forma. Oppure quando si metteva a correre per la fretta di arrivare in un negozio o tornare a casa dopo essersi accorta di essere in ritardo.
La sua agilità non era da meno quando si cimentava in qualche coraggiosa arrampicata su un albero o con quegli attrezzi che si potevano trovare facilmente nei parchi per chi avesse voluto allenarsi all’aria aperta con una sbarra.
La sua resistenza alla fatica e agli sforzi era anche provata dal fatto che lei e sua madre non avevano avuto mai bisogno di aiuto nello spostare mobili per i loro numerosi traslochi in giro per il paese. A nessuna delle due sembrava costare fatica spostare librerie e armadi per una giornata intera.
Ma questa era una stranezza che condivideva con sua madre.
Un’altra cosa che la faceva sentire un po’ fuori dal normale era di non frequentare una scuola: da quando era piccola sua madre le aveva imposto di non frequentare né una scuola pubblica né una privata. Sostanzialmente il motivo per questa scelta era stata che con i loro trasferimenti così assidui sarebbe stata una gran seccatura dover continuamente fare iscrizioni in così tanti istituti (anche a metà anno) e perché lei non avrebbe trovato poi il tempo per fare nuove amicizie. Più che altro mantenerle.
Per lei incontrare ragazzi che uscivano dalla scuola era motivo di agitazione: chissà cosa pensavano della strana ragazza che non si vedeva mai a scuola e non si fermava mai a parlare? Aveva provato ad inserirsi in una festa d quartiere ma non era riuscita a sentirsi a suo agio. Quello che le era stato offerto in bicchierini di carta non l’aveva aiutata ad avere una parlantina sciolta né a provare a muoversi sulla pista da ballo senza preoccuparsi degli sguardi altrui.
La compagnia non le mancava, certo, grazie a sua madre e Andrea.
Lui non era un suo parente, ma un collega di lavoro della mamma. Che si ricordasse, aveva fatto parte della loro vita fin dai suoi primi ricordi: il maglioncino rosa con i ricami che le aveva portato per il Natale dei suoi quattro anni era ancora in un cassetto di camera sua. Le piaceva ancora.
L’amicizia che sua madre aveva con quest’uomo la faceva sorridere molto spesso, soprattutto per il loro apparente contrasto. Chiunque li avesse visti avrebbe insistito che quei due non avevano assolutamente niente in comune: lei con i capelli corti, lui con i capelli lunghi, lei vestita alla bell’è meglio con abiti economici, lui rassomigliante ad un modello di una qualche casa di moda sempre griffato, lei scurrile e incline alla rabbia, lui calmo e riflessivo… eppure ogni fine settimana lui era a casa loro, ad aiutare sua madre a cucinare e chiacchierare su cosa si era persa sul lavoro o ascoltare le sue preoccupazioni per rassicurarla e viceversa.
Raven lo adorava almeno quasi quanto sua madre, lo considerava al cento percento uno zio. Dopotutto, quando sua madre doveva stare via per lavoro anche per giorni, era lui quello che si occupava di lei, anche quando era ormai abbastanza grande da cavarsela da sola. E non solo: l’accompagnava a fare shopping, a divertirsi e aveva aiutato sua madre ad insegnarle a casa, concentrandosi soprattutto sul francese, la sua lingua natia.
Un’altra cosa che la faceva sentire strana era la grande diversità che c’era fra lei e i suoi genitori. La cosa la turbava da relativamente poco tempo, da quando aveva frugato nei cassetti del comodino di sua madre. Era alla ricerca di una pastiglia per il mal di testa, che immaginava lei avesse a portata di mano vicino al letto, dato che in bagno la scatola era vuota e non ce n’erano di nuove. Prima di quel momento non aveva mai messo il naso negli affari di sua madre e quindi non aveva potuto vedere prima quella fotografia che teneva nascosta lì, invece che in una cornice. Non riconosceva il posto dove era stata scattata (si vedeva solo un albero, senza un paesaggio preciso o altri punti di riferimento), ma riconosceva sua madre e lei, ancora neonata tra le sue braccia. Ma la figura stranamente sfocata dietro di loro… suo padre? Sul retro della foto c’erano i loro nomi, per cui aveva avuto la certezza di non sbagliarsi.
Era la prima volta che vedeva effettivamente suo padre, dato che le era stato raccontato che era morto quando lei era troppo piccola per ricordarsi dell’accaduto o della sua faccia. Tanto per cambiare sua madre non ne parlava mai e, dato che si vedeva che soffriva parecchio a parlare dell’argomento, non aveva più fatto domande. Solo grazie a quella foto aveva potuto vedere quanta differenza ci fosse tra lei e i sui genitori: i colori dei capelli e degli occhi erano completamente differenti, i loro visi non avevano nessuna rassomiglianza e lei aveva lentiggini che i suoi genitori non avevano. Questo aveva insinuato in lei un dubbio di cui non aveva ancora parlato con la madre.
Ma quello che più la faceva sentire differente era la grossa cicatrice che aveva sul petto, lunga quasi una spanna, larga due dita, seghettata come il bordo del coltello che usavano per tagliare il pane. Nonostante l’avesse avuta sotto il naso da sempre faceva fatica a guardarla.
Le faceva senso. La faceva sentire rotta.
Le spiegazioni di Andrea e sua madre, ovvero che era il semplice rimasuglio di un’operazione che aveva dovuto subire appena nata, non le avrebbero mai fatto cambiare idea sul fatto che quell’orribile cicatrice le sembrava orribilmente fuori posto.
Quella non era assolutamente una conseguenza di una normale operazione. Aveva cercato immagini di cicatrici post-intervento e nessuna corrispondeva minimamente alla sua.
Odiava quello sfregio, ogniqualvolta che usciva di casa le sembrava che chiunque le passasse accanto la guardasse per cercare di vederla, anche se indossava maglie accollate o delle sciarpe che andassero a coprire eventuali scollature.
Andrea e sua madre scherzavano che era per altri motivi che la gente allungava lo sguardo su di lei, ma non l’avevano mai incoraggiata a fregarsene e cercare di conviverci senza nasconderla.
***
Raven picchiettò la penna sul tavolo, cercando di ricordarsi cosa doveva appuntare sul foglietto che le serviva per fare la spesa. Le sfuggiva una parola.
Infastidita dal fatto che non riuscisse a farsi venire in mente cosa mancava in casa decise di mettere da parte la penna e chiedere a sua madre.
Si sbilanciò indietro dalla sedia sulla quale era seduta e urlò verso le scale: -Mamma! Cos’è che devo comprare? -.
Attese qualche secondo ma la voce di sua madre non si fece sentire.
-Mamma?! – riprovò alzando un po’ il tono, sperando che questa volta sentisse.
Neanche stavolta lei rispose e con uno sbuffo lasciò che le gambe della sedia sbattessero a terra, prima di farla strisciare sul pavimento ed alzarsi per andare a chiederle direttamente.
Non che da un piano all’altro della casa non si sentisse, tutt’altro.
Aveva notato che da qualche giorno sua madre, Elen, sembrava persa nei suoi pensieri e tendeva a disconnettersi completamente da questo mondo, borbottando tra sé e sé o vagando per casa senza fare attenzione a non sbattere nelle pareti o negli spigoli dei mobili.
Probabilmente non l’aveva sentita perché in un altro momento mistico del quale non voleva spiegarle l’origine.
Stava per abbandonare la cucina per cercare la madre al piano di sopra, quando qualcosa colse la sua attenzione alla finestra.
Si avvicinò di soppiatto e sbirciò attraverso le tendine semitrasparenti, attenta a non farsi vedere da fuori. Davanti alla recinzione di ferro della loro casa, sul marciapiede, c’era un uomo vestito di scuro che fumava una sigaretta. Sembrava intento ad osservare proprio casa loro.
-Che ha da guardare? – pensò infastidita arricciando il naso. Poi scosse la testa, allontanandosi: -Se quando torno sotto è ancora lì lo dirò a mamma. Se se ne va spero che non decida di buttare la cicca proprio davanti a casa nostra. C’è un bidone più avanti. -.
Saltando gli scalini a due a due raggiunse il piano di sopra e si diresse subito verso la camera da letto di sua madre.
La porta era socchiusa e ci bussò sopra prima di aprirla, senza attendere il permesso di entrare.
Lei era seduta a gambe incrociate sul letto, con il telefono stretto tra spalla e orecchio, mentre guardava delle carte che teneva in mano.
Alzò subito gli occhi per vedere chi era entrato e contemporaneamente posò i fogli con la parte scritta sul copriletto, dicendo: -Sì Andrea, ti richiamo dopo. Mh, sì, non mi devo preoccupare. Ciao. -.
Spense la chiamata e sbuffò sonoramente, spostandosi un ciuffo di capelli biondi dalla fronte.
-Ti ho chiamata due volte e non mi hai sentita. – la informò Raven.
-Ah davvero? Non ti ho sentita davvero. – commentò la madre –Ti serve qualcosa? -.
-Vado a fare la spesa adesso, ma non mi ricordo che devo comprare. -.
-Hai segnato l’anticalcare? Ah, lo shampoo e il filo interdentale. -.
-Mi mancava il filo. – ammise la ragazza –Ti viene in mente qualcosa da mangiare? -.
-Nah. – fece Elen alzando le spalle.
-Ok, allora segno quello e vado. -.
Raven fece per andarsene ma si fermò.
Osservò i capelli scompigliati della madre e le ombre scure sotto gli occhi, leggere ma visibili. Di solito si degnava ancora di pettinarsi e coprire i segni di notti insonni con un po’ di trucco, ma da quando aveva iniziato ad essere sovrappensiero per la maggior parte del tempo che passava in casa non si sforzava minimamente di farlo.
Probabilmente notando il suo sguardo e il fatto che non se ne fosse già andata di sotto, assunse uno sguardo interrogativo, a cui lei rispose con un frettoloso: -Ci metterò un attimo. – per poi chiudere la porta e prendere di volata le scale.
Appuntò il filo interdentale e per curiosità guardò di nuovo dalla finestra, per vedere se quel tipo era sparito oppure no.
Era ancora lì, ma stavolta sembrava cercasse di guardare anche lui attraverso la finestra, cosa che la spinse a togliersi dalla visuale immediatamente.
-Maniaco… - pensò Raven facendo schioccare la lingua. Indietreggiò verso le scale e chiamò sua madre di nuovo, aggiungendo: -Scendi, è urgente! -.
Sentì subito i suoi passi che attraversavano il corridoio e scendevano gli scalini mentre tornava a spiare con discrezione alla finestra.
-Cosa c’è? – chiese sua madre avvicinandosi a lei, cosa a cui rispose limitandosi ad indicare la finestra e sussurrare: -Guarda: è da prima che se ne sta lì. -.
Invece di fare come lei e cercare di non farsi vedere, la donna si piazzò di fronte alla finestra, puntando una mano sul davanzale ed alzando una delle due tende con l’altra, socchiudendo gli occhi a causa del sole pomeridiano.
Raven vide l’espressione di sua madre passare da incuriosita a stupita ad arrabbiata, con tanto di morso al labbro inferiore nel giro di un attimo. Che ricordasse sua madre non aveva mai avuto nessun cambio così repentino di umore. L’aveva già vista arrabbiata, certo, ma per uno sconosciuto davanti a casa sua che stava fumando? Non ci vedeva niente di così grave da arrabbiarsi subito. Se non se ne fosse andato dopo averglielo chiesto, beh, ok, era il caso di iniziare ad innervosirsi.
Guardò l’uomo là fuori, che aveva visto sicuramente sua madre alla finestra. Ne fu sicura quando le fece un cenno con la mano.
Sua madre gli mostrò il dito medio, facendo un verso irritato a denti stretti. Per tutta risposta l’uomo si girò e si appoggiò al cancello, togliendosi la sigaretta di bocca per espirare una nuvola di fumo scuro, come a dire che da lì non si sarebbe mosso.
La donna sbuffò, allontanandosi di un passo dalla finestra, incrociando le braccia per poi pizzicarsi la radice del naso con le dita e fare un altro verso irritato.
-Raven, vai a fare la spesa per piacere. – borbottò –Passa dal retro. E non farmi domande. – aggiunse quando la sentì provare a parlare.
-Quando torno sarai viva? – chiese lei sarcastica, prendendo il biglietto dal tavolo.
-Non ti assicuro per quello là fuori. -.
-Certo. -.
La ragazza uscì dalla porta che dava sul retro, obbedendo, anche se aveva voglia di passare davanti a quel tipo strambo e guardarlo bene in faccia.
Quella situazione era la cosa più strana che le fosse mai capitata. Sua mamma conosceva quel tipo? Forse sì o forse no. Certo era strano che fosse partita immediatamente con il piede di guerra.
Riuscì a distrarsi da quei pensieri facendo la spesa, ma si affrettò a comprare scatole e bottiglie per tornare a casa e vedere se sua madre era riuscita a liberarsi di quello là.
Per il ritorno decise di prendere una scorciatoia da cui adorava passare. Il motivo era che passava davanti ad un bel villino di cui aveva seguito la costruzione passo passo: era stato commissionato da delle persone benestanti, che però non si erano voluti trasferire all’ultimo momento e quindi l’avevano lasciato in affitto.
Per mesi era passata davanti al cartello in tinte bianche e rosse in cui spiccava la scritta “AFFITTASI”, che certo non giovava all’aspetto della casa con giardino come avrebbero potuto fare tendine e una bella tinta di vernice alle pareti.
Già da lontano notò che vi era una differenza: le pareti bianche adesso erano tinte di grigio e i rampicanti che si avviluppavano sulla cancellata erano spariti. Avvicinandosi, non vide il cartello che prima era in bella vista sul prato, ma due macchine erano parcheggiate nell’ampio vialetto. A giudicare da come erano tirate a lucido e dalle marche, chiunque avesse preso la casa doveva essere benestante almeno quanto chi aveva commissionato l’abitazione, se non di più.
-Caspita. – pensò riprendendo a camminare, dopo essersi fermata ad osservare dei vasi di fiori lasciati in un angolo, probabilmente destinati ad essere trapiantati al fianco della bella scalinata d’ingresso –Chi vorrebbe trasferirsi qui? Niente da dire sul vicinato, ma pensavo che i ricconi preferissero città con vista sul mare… -.
La sua attenzione fu catturata da un gruppetto a qualche metro da lei che procedeva nella sua direzione. Anche loro avevano dei sacchetti della spesa in mano, ma probabilmente erano andati ad un supermarket diverso da quello in cui andava lei.
Uno era un uomo latino-americano, con i capelli scuri che brillavano di gel al sole, esattamente come il brillantino che aveva sul lato destro del naso. Sfoggiava un paio di occhialoni da sole dalle lenti a specchio che la abbagliarono per un attimo.
Parlava ad una ragazzina che dall’aspetto poteva essere una liceale, dai lunghi capelli biondi e il fisico magrolino, che sembrava camminare sulla punta dei piedi. Fece una giravolta tenendo stretta l’unica borsa che aveva in mano davanti a sé, ridendo.
Questo infastidì l’ultimo componente di quella combriccola, un ragazzo forse della sua età, che fece un salto indietro per non essere preso nelle gambe dalla borsa. Si sistemò il cappello di cotone sulla testa con un gesto stizzito, borbottando.
-Oggi è la giornata degli sconosciuti. – pensò tra sé e sé Raven, non riconoscendo nessuno di quei tre –Magari sono loro quelli venuti ad abitare qui, chissà? -.
Mentre si spostava di lato in previsione del fatto che non sarebbero riuscita a passare contemporaneamente sul marciapiede, sentì una delle sue borse della spesa alleggerirsi di colpo e rumore di colpi attutiti per terra.
Si fermò guardandosi indietro, vedendo metà delle sue compere sparse sul cemento. Una rapida occhiata al fondo della borsa le fece capire che una delle scatole aveva lacerato la plastica del sacchetto.
-Stupendo, che figuraccia. – pensò arrossendo, consapevole che il gruppetto aveva visto la scena, chinandosi per raccogliere quello che era caduto e controllare che niente di fosse danneggiato.
Mentre teneva la testa bassa per evitare di incrociare lo sguardo con quei tre, imprecò mentalmente, soprattutto quando infilò un cartone del latte nella borsa ancora integra e quello rotolò fuori, dato che non c’era spazio.
Fece per riprenderla, ma invece che sul cartone mise la mano sopra un’altra. La ritrasse e il suo sguardo incontrò quello azzurro e luminoso della ragazza bionda che piroettava poco prima davanti a lei.
-Ti serve una mano vero? – fece lei, dispiegando una borsa per la spesa riutilizzabile con un rapido movimento di polso, in cui infilò subito il cartone del latte ribelle.
-Uhh… -.
-Mi sembra evidente Mati. – replicò l’uomo con gli occhiali da sole, mentre raccoglieva un pacchetto di caffè, sorridendo.
-Eh-uhm, non ce n’è bisogno. – balbettò Raven, sentendosi avvampare ancora di più in viso.
-Figurati. – replicò l’altro ragazzo facendo spallucce, sistemandosi meglio le borse della spesa che aveva in mano, evidentemente quelle che i suoi amici gli avevano affidato per aiutarla, dato che prima non ne aveva nessuna.
Rapidamente il marciapiede fu sgomberato dalla sua spesa e messo al sicuro dentro alla borsa molto più robusta.
Raven la sollevò e, ancora in imbarazzo, borbottò: -Grazie dell’aiuto. Oh, e della borsa. Ve la restituirò. -.
La ragazza riprese la sua borsa della spesa e scosse la testa, facendo ondeggiare la lunga coda di cavallo che aveva sulla nuca da una spalla all’altra, dicendo: -Non c’è il caso, ne abbiamo un sacco. E poi potrebbe ritornarti utile per i tuoi prossimi acquisti. -.
-Se proprio ci tieni abitiamo lì. – la informò con noncuranza il ragazzo, indicandole con il pollice il villino che aveva appena superato.
L’uomo con gli occhiali gli diede una gomitata, dicendo: -Ehi, la borsa se la può tenere, taccagno. -.
-Allora siete voi ad esservi trasferiti. -.
-Oh, sì, giusto stamattina. – confermò la ragazzina, annuendo.
-Mh… - fece Raven, poi azzardò: -Per caso insieme a voi si è trasferito anche…? -.
Dato che aveva indovinato che fossero loro i nuovi inquilini del villino, perché non avrebbe potuto esserlo anche quello sconosciuto che si era piazzato davanti a casa sua?
Ma non finì la domanda, perché il ragazzo con il cappello si girò come se avesse sentito un rumore e alzò un braccio come a salutare qualcuno, esclamando con un tono più allegro di quello usato prima: -Ehi, eccoti qua! Sei già di ritorno? – e la distrasse.
Questa volta nella loro direzione camminava proprio quello sconosciuto, ancora con una sigaretta tra le labbra. O era la stessa che fumava davanti a casa sua? Non sembrava aver cambiato lunghezza.
Lui non rispose alla sua domanda, limitandosi a dirgli di farsi gli affari suoi. Si soffermò un attimo per togliersi il mozzicone dalle labbra con un gesto elegante ed osservarla con un paio di occhi grigi come l’acciaio che lei credeva che nessuno potesse possedere.
Raven deglutì, sentendosi minacciata da quello sguardo freddo come quello di un rettile e dalla sua statura alta. Sentì il bisogno urgente di fare o dire qualcosa, ma nell’aria le sembrava di sentire una strana tensione che non le fece muovere un muscolo.
La cicatrice sul petto pizzicò, come succedeva spesso quando era nervosa.
-Tua madre ha detto di sbrigarsi a tornare. – le disse l’uomo con gli occhi grigi. Poi si rimise la sigaretta tra le labbra e disse: -Ragazzi, andiamo. -, facendo un cenno con la testa.
Loro lo seguirono senza aprire bocca e guardandola di sottecchi, in un modo che non le piacque affatto. Solo la ragazzina le rivolse un timido cenno di saluto con la mano, prima di voltarsi e correre dietro all’uomo, che con i suoi passi lunghi aveva già quasi raggiunto il cancello della villetta.
Raven indietreggiò finché loro non furono scomparsi alla sua vista dietro alla cancellata, poi si voltò e prese a correre verso casa come se avesse avuto il fuoco alle calcagna. Voleva mettere più distanza possibile tra lei e quel tipo inquietante!
Quello era entrato in casa sua e aveva parlato con sua madre! Ma chi diavolo si credeva di essere per entrare in casa sua e parlarle con quel tono?
Quando raggiunse casa sua quasi scaraventò le borse da una parte all’altra dell’ingresso, per la fretta di controllare che sua mamma fosse ancora in casa e che stesse bene.
La chiamò e lei rispose da camera sua.
-Mamma ho incontrato quel tipo per strada e mi ha detto che dovevo sbrigarmi a tornare a casa, parole tue. – ansimò Raven salendo gli scalini che portavano al piano di sopra a due a due –È entrato in casa, vero? C’è odore di sigaretta in corridoio e in sala. Di che cosa avete parlato? Chi è? Non lasci mai entrare nessuno in casa a parte Andrea, lavora con te? -.
-Raven rilassati, non è nessuno di cui tu ti debba preoccupare. -.
-Perché non… oh. -.
Sul letto erano disposte alcune maglie piegate, in attesa di raggiungere i pantaloni nella valigia spalancata. Sua madre stava passando in rassegna la biancheria intima, con la fronte corrugata e un labbro stretto tra i denti.
Non sembrò neanche accorgersi che la figlia era sulla porta, che la guardava, confusa. Dopotutto non era poi inusuale trovarla intenta a preparare una valigia per un viaggio, anzi, ogni tanto le chiedeva anche di aiutarla a preparare i bagagli. Ma di solito aveva qualche giorno di preavviso prima di vederla intenta nei preparativi, con tanto di spiegazione e raccomandazioni.
-Andiamo da qualche parte? -.
La donna la guardò con la coda nell’occhio, per poi correggerla dicendo: -Vado. – prendendo una manciata di mutande come se fosse un pugno di sabbia e tornare ad occuparsi della valigia.
-C’entra con quel tipo? -.
-Che ti ho appena detto? Di lui non devi preoccuparti, ho sistemato tutto. Devo andare per lavoro. -.
-Bastava dirlo. – disse Raven andandosi a sedere sul letto –Quando parti? -.
-Domani. -.
-Ah. Quando torni? -.
-Tra un mese. -.
-Potresti ripetere? -.
-Un mese. -.
-Stai scherzando. -.
Riconoscendo nel tono di voce della figlia che si stava arrabbiando, Elen si fermò per fronteggiarla. Si fissarono negli occhi, cercando l’una di far cedere l’altra, facendo distogliere lo sguardo a chi fosse stata nel torto per il tono accusatorio o distaccato.
 Incrociò le braccia e chiese: -Perché dovrei scherzare? -.
-Al massimo stai via una settimana, mai un mese. – rispose Raven –Hai sempre gestito tutto perfettamente da casa, cosa c’è di diverso stavolta? -.
-Ti telefonerò, tranquilla. E Andrea starà con te, tra un paio di giorni ti raggiungerà. -.
-Non è questo il punto! – ribatté la ragazza alzandosi in piedi –Sei strana ultimamente, poi appare questo tizio e io mi allontano per neanche mezz’ora che te ne stai andando praticamente di nascosto! Quando me lo avresti detto che andavi via, stasera a cena o domattina? Cosa mi stai nascondendo? -.
-È una cosa che non posso spiegarti. – rispose Elen prendendo le maglie e mettendole in valigia con un gesto stizzito –Perché è troppo complessa e non capiresti. Ma non devi preoccuparti per me. -.
-Sono quasi un’adulta mamma, anzi lo sono. -.
-Beh, le cose a lavoro si sono complicate e richiedono la mia presenza. L’ho saputo oggi, quando mi hai visto scartabellare tutti quei papiri. Te lo avrei detto quando saresti tornata da fare la spesa comunque. Come mai sei così nervosa? -.
Lei non rispose, tacendo cocciutamente. Non era poi un gran problema l’assenza di sua madre per un mese, ormai era abituata a dover convivere per qualche giorno con Andrea e a volte non vedeva l’ora di trascorre del tempo con lui senza sua madre, dato che poteva definirlo come l’unico amico che aveva.
Ma quello sconosciuto le aveva messo il nervoso addosso. La inquietava. Difficilmente aveva provato questa sensazione nei riguardi delle persone, o in generale. Ma aveva sentito chiaramente su tutto il corpo la pelle d’oca nel momento in cui quel tipo si era tolto la sigaretta di bocca per dirle di filare a casa.
Senza contare quegli sguardi dei suoi amici, sguardi che le avevano fatto pizzicare la cicatrice ancora una volta.
Il fatto che abitasse ad appena una decina di isolati di distanza non la tranquillizzava affatto.
-Ho incontrato quel tipo per strada, vicino a casa sua. – confessò quando la madre le appoggiò una mano sulla spalla –Mi fa venire la pelle d’oca. -.
-Già, fa quest’effetto. – ammise Elen con un sospiro, accarezzandole la testa –Ma non devi preoccuparti di lui: ci sono cose ben peggiori a questo mondo. -.
 
 
   
 
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