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Autore: Imperfectworld01    15/05/2019    0 recensioni
Dicono che la vita di una persona possa cambiare in un attimo. In meglio, in peggio, non ha importanza. Perché nessuno ci crede veramente, finché non succede.
Ed è allora che gli amici diventano nemici, le brave persone diventano cattive, quelle di cui ci fidiamo ci tradiscono, e altre muoiono.
Megan Sinclair è la brava ragazza del quartiere, quella persona affidabile su cui si può sempre contare, con ottimi voti a scuola e con un brillante futuro che la attende.
E poi, all'improvviso, una sera cambia tutto. Una notte, un omicidio e un segreto. Un segreto che Megan, con l'aiuto di un improbabile alleato, cercherà di mantenere sepolto a tutti i costi.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io ti ho difesa


Mi svegliai di colpo, spaventata e sudata. Era la terza volta, in quelle settimane, che sognavo di essere inseguita da uno sciame di api, pronto a pungermi. Secondo quanto letto su Internet, un sogno del genere poteva significare che mi sentivo in pericolo, minacciata da qualcosa, o qualcuno.

Insomma, i miei sogni riflettevano alla perfezione la realtà. Peccato che mi impedissero di passare delle nottate tranquille. Per fortuna, l'indomani la dottoressa Blackburn mi avrebbe procurato i farmaci per la cura dell'insonnia. Così forse uno dei miei tanti, troppi problemi sarebbe scomparso.

Rimaneva ancora il più importante di tutti: l'udienza preliminare, fra esattamente tre giorni. Fino ad allora, sarei dovuta andare a casa dell'avvocato Finnston ogni pomeriggio per prepararmi al meglio. 
Ora che sapevo che non avrei dovuto dire a tutti i costi la verità essendo l'imputata, ero certamente più tranquilla, ma ciò non significava che mi avrebbero creduto. E poi non sapevo quali prove avevano a mio carico, quali domande mi avrebbero fatto, quali testimoni avrebbero chiamato a deporre e cosa gli avrebbero chiesto.

L'avvocato Finnston non faceva che rassicurarmi, dirmi che sarebbe andato tutto bene, che la mia situazione non era così grave, ma io non riuscivo a fidarmi ciecamente delle sue parole. Tentare di alleggerire i miei problemi faceva parte del suo lavoro, ma comunque non significava che ci sarebbe riuscito. Dovevo solo aspettare per scoprirlo.

•••

Una volta giunta a scuola, mi resi conto di non avere idea di come avrei affrontato Dylan. Il giorno precedente avevo ignorato tutti i suoi messaggi e le sue chiamate, ma a scuola era chiaro che non avrei potuto evitarlo.

Infatti, non appena misi piede dentro scuola, lo vidi appoggiato al mio armadietto. Mi stava aspettando.

Sospirai, stanca. Non avevo neanche più le forze per sostenere l'ennesima discussione. Ma dovevo. Era ciò che avrebbe fatto una persona adulta, matura. Non sarei mai più scappata davanti ai problemi.

E comunque morivo dalla voglia di sapere. Così, mi feci coraggio e, una volta preso un respiro abbastanza profondo da infondermi la forza necessaria, mi avvicinai a lui.

«Meg, mi spieghi che ti è preso ieri? Non mi hai risposto per tutto il giorno e mi sono preoccupato, pensavo che... cos'è quella?».

Lanciò un'occhiata confusa alla chiavetta USB che tenevo in mano. La sua. Il giorno prima avevo chiesto a Herm di lasciarmela, così da poterla usare per ottenere delle risposte.

Eppure... la sua espressione era confusa. Solo confusa. Non intimorita. Né tantomeno agitata. Doveva saper fingere veramente bene, se l'aveva fatto per tutto quel tempo.

«Come, non la riconosci?» chiesi.

«Sembrerebbe la mia chiavetta, ma...»

«No, non sembra, lo è» lo interruppi. «E sai che cosa ci ho trovato dentro?» domandai e lui scosse la testa. Quell'espressione apparentemente ignara di tutto mi mandò fuori di me e, il mio piano di mantenere la calma, di fare la persona matura, razionale, andò completamente in fumo. «Ti diverti così tanto a prendermi per il culo? Da quanto va avanti questa storia? Eh, da quanto?»

«Meg, mi spieghi cosa...»

«Non chiamarmi così!» lo interruppi. «Devi esserti divertito davvero tanto a vedermi piangere e stare male per giorni, sapendo di essere tu il responsabile del mio malessere! Per tutto questo tempo ho sempre sospettato di Olivia, ma avrei dovuto sapere che la strada più facile non è mai quella giusta, e che sono le persone di cui non dubiteresti mai a tradirti. Perché l'hai fatto?»

Lo vidi allargare le narici e stringere i pugni. Ce ne voleva di coraggio da parte sua ad arrabbiarsi, dopo quello che mi aveva fatto. Dopo ciò che avevo passato a causa sua. «Vuoi dirmi quale cazzo è il problema, Megan? Parla chiaro.»

«Sei stato tu. A diffondere quei volantini in giro per la scuola, quelli con la mia foto, con la scritta "assassina". E qui dentro, nella tua chiavetta, ce n'è la prova. Il file originale è qui dentro» risposi, con un nodo in gola. Guardarlo negli occhi mentre gli dicevo quelle cose faceva male. Dirlo a voce alta lo rendeva vero, reale.

«Meg, ti sbagli, guarda che io...»

«Smettila!» lo interruppi ancora una volta. «Non so per... che cosa ti abbia spinto a comportarti così, che cosa ti abbia fatto di male affinché tu abbia voluto farmi una cosa del genere, ma so che non voglio mai più avere a che fare con te.» Feci per allontanarmi e dirigermi altrove, ma Dylan mi bloccò afferrandomi per il braccio. «Che cazzo stai facendo? Tu ora non te ne vai finché non ascolti ciò che ho da dire io! È troppo semplice accusarmi e convincerti che io sia il cattivo basandoti su delle tue congetture, senza prima sentire delle spiegazioni!» urlò, attirando l'attenzione di molti dei presenti.

Sospirai. Per quanto mi costasse ammetterlo, aveva ragione. Però quello non mi sembrava il luogo né il momento più adatto per discutere di certe cose. Avremmo soltanto rischiato di dare spettacolo e, francamente, ero stufa di sentire il nome Megan Sinclair sulle bocche di tutti a scuola.

«Ok. Ma non... non qui» dissi, guardandomi intorno e notando molti occhi posati su di noi.

«Cioè, tu prima vieni qui a fare il gradasso e accusarmi davanti a tutti, e poi ti rimangi tutto non appena ti accorgi che la conversazione prende la piega che non avevi previsto? Molto maturo.»

Roteai gli occhi. «Non voglio rendere i nostri problemi di dominio pubblico. Vediamoci fuori da scuola dopo le lezioni. Tieni» gli tesi la chiavetta USB e lui la afferrò. «Almeno avrai qualche ora in più per inventarti qualche altre stronzata da rifilarmi» aggiunsi con tono tagliente, prima di allontanarmi senza dargli il tempo di ribattere.

•••

Per tutto il resto della giornata non parlai molto, perlopiù tacqui. Restai schiva tutto il tempo, persino con Tracey e Herm. Dire che mi sentivo di pessimo umore era del tutto superfluo. Ciò che mi innervosiva maggiormente, era il fatto che fosse stato Dylan a condizionare il mio umore. Avevo passato delle settimane di inferno, e il tutto si era verificato anche per causa sua. Ciò che mi risultava più difficile da capire, oltre al motivo per cui avesse diffuso quei volantini in giro per la scuola, era come era riuscito, ogni volta, a far finta di nulla, a starmi vicino, a consolarmi. Lui si trovava con me entrambe le volte e, entrambe le volte, non aveva fatto che abbracciarmi, cercare di risollevarmi lo spirito, ripetermi quanto non mi meritassi niente di tutto ciò. Doveva essere proprio un attore professionista. O io incredibilmente stupida.

Attesi con impazienza il suono dell'ultima campana, così da poter mettere un punto a quella situazione. Quando finalmente quel momento arrivò, salutai Tracey e le dissi di non aspettarmi per il ritorno, prima di catapultarmi fuori da scuola. Stavo per raggiungere Dylan, appoggiato al muretto vicino al parcheggio, un bel po' di metri più in là, ma la strada mi venne sbarrata da Lucy. Istintivamente, alzai gli occhi al cielo. «Vattene» ordinai fredda.

«No, è da due giorni che aspetto di parlarti! Non ho alcuna intenzione di...»

«E io non ho alcuna intenzione di sentirti!» la interruppi. «Sei spregevole, Lucy» dissi, guardandola con disprezzo.

«Megan, io non c'entro niente, devi credermi! Perché mai avrei dovuto rischiare così tanto, secondo te? Sono stata in ballo due settimane per ricevere le autorizzazioni necessarie dalla preside, per convincerti a farmelo fare, per coinvolgere metà scuola nell'organizzazione di tutto... E a che scopo, mandare tutto a monte con una bravata di quel tipo?». I grandi occhi castani le si fecero lucidi, sembrava sul punto di piangere. «A scuola... tutti mi evitano. Pensano di me che sia una bulla, che abbia davvero esagerato e che mi sia comportata da... da stronza» disse, con la voce tremolante.

Non so come, ma riuscì quasi a farmi pena. Forse perché anch'io ero stata in quella stessa situazione. L'unica cosa positiva che era risultata dalla "sorpresa" che mi aveva riservato venerdì sera alla partita, era che le persone avevano iniziato a cambiare idea sul mio conto. Non che i pettegolezzi su di me si fossero esauriti ma, se non altro, i miei compagni di scuola sembravano avermi compatita alla partita, e avevano preferito avventarsi sull'artefice di tutto, ossia Lucy, invece che su di me.
E ora che ne ero finalmente uscita, non avevo alcuna intenzione di ricascarci: «Be', mi dispiace, Lucy, ma sembra che la ruota stia finalmente cominciando a girare» le dissi con un sorriso beffardo stampato in volto.

Mi voltai, facendo per raggiungere Dylan, ma venni bloccata ancora una volta dalle parole della ragazza bassa e minuta alle mie spalle: «Io ti ho difesa, Megan Sinclair! Anche se non ci conoscevamo, mi sono schierata dalla tua parte, a differenza di tutti gli altri. Tu più di chiunque altro dovresti sapere cosa significa sentirsi con le spalle al muro, soli, con una schiera di nemici attorno e senza nessuno di cui fidarsi».

Deglutii, rimanendo tuttavia immobile. Se voleva farmi sentire in colpa, ci stava riuscendo alla grande. Ma io non potevo. Non potevo fidarmi.

«Ogni volta che mi veniva fatto il tuo nome, pensavo sempre: "Megan Sinclair è una brava ragazza, lo dicono tutti". Avrei dovuto sapere fin da subito che le voci dicono sempre un sacco di stronzate ed evitare di dargli ascolto, a quest'ora non mi sarei trovata in questa situazione!» esclamò.

Quelle parole mi colpirono ancora più di quelle precedenti. Ciononostante, tentai di mostrarmi impassibile e, senza nemmeno voltarmi a guardarla, proseguii dritto fino a giungere da Dylan.

Incrociai le braccia al petto e presi a camminare, con lui al mio fianco, mantenendomi tuttavia a debita distanza.

«Io ti... ti ho preso questi» disse, tirando fuori dallo zaino un pacchetto di caramelle. Erano i vermicelli gommosi zuccherati, i miei preferiti. Girai la testa dall'altra parte: «Non li voglio» dissi fredda, aumentando il passo.

In quel momento mi parve di scorgere in lontananza David, in compagnia di Olivia. Aguzzai la vista: erano proprio loro. Lei era seduta su uno dei panettoni gialli vicino al parcheggio della scuola, mentre lui era in piedi davanti a lei.

Che ci facevano insieme? Di nuovo, tra l'altro. Una volta poteva essere un caso, ma due... Che quanto temeva Dylan non fosse poi così assurdo da credere? Si stavano realmente... frequentando?

Distolsi lo sguardo anche da loro e lo puntai a terra.

«Be', quindi? Non dici nulla?» chiesi a Dylan. «Se credevi che le caramelle bastassero per farmi dimenticare tutto, allora sei soltanto un illuso.»

«Megan, almeno guardami» disse Dylan, appoggiando una mano sulla mia spalla e facendomi voltare. Non avevo la forza di sostenere il suo sguardo, così lo abbassai. Fu a quel punto che Dylan mi sollevò il mento con le dita e si avvicinò talmente tanto da far sì che fossi costretta a guardarlo. «Io non ho fatto niente, te lo giuro.»

Puttanate.

«Come posso crederti se la prova è in quella dannata chiavetta?» chiesi, arretrando di qualche passo.

«Qualcuno deve avermi incastrato! Innanzitutto, com'è che ce l'avevi tu la chiavetta? Io l'avevo prestata a...»

«Sì, è stato proprio Herman a dirmelo» lo interruppi. «Che c'è? Ora vuoi farmi credere che è stata sua la colpa? Lo conosco dal primo anno ed è mio amico.»

«E io sono il tuo ragazzo, Cristo santo!» esclamò in preda alla collera. «Perché pensi che avrei mai dovuto fare una cosa del genere? Pensi davvero che cercherei di farti soffrire?» domandò.

«Non sarebbe la prima volta. Devo ricordarti cosa mi hai detto due sabati fa al Masquerade? Oppure le parole che hai usato il martedì dopo la deposizione al dipartimento di polizia? E poi...»

Non terminai la frase, poiché mi venne in mente un dettaglio a cui prima non avevo pensato: «Ho trovato il primo volantino il giorno dopo che avevamo discusso. Io ero venuta da te a scusarmi e poi abbiamo chiarito tutto, ma chissà che cosa avevi appena fatto prima, quando ancora ce l'avevi a morte con me. Chissà, magari avevi appena stampato quel foglio e l'avevi infilato nel mio armadietto.»

«Pensi davvero che solo perché ero arrabbiato con te sarei caduto così in basso?» domandò guardandomi incredulo, come se lo avessi accusato di aver rubato i soldi delle offerte in chiesa.

«Sì, Dylan, lo penso! Sai perché? Perché sei fatto così: ti arrabbi, perdi il controllo e ferisci le persone.»

Interruppe il contatto visivo fra noi puntando lo sguardo a terra. Strinse i pugni così tanto che le nocche delle sue mani divennero bianche. Il suo petto si alzava e si abbassava sempre più frequentemente. Non sapere cos'avrebbe fatto o detto di lì a poco, mi procurava una sensazione di angoscia e inquietudine. Il cuore prese a martellarmi nel petto e gli occhi a farsi lucidi, mentre trattenevo il fiato.

Poi, tutto a un tratto, rilassò le mani e stabilizzò il suo respiro. Tornò a guardarmi, e l'occhiata che mi rivolse era così infuocata che vacillai un po'. «Ok. Va bene. Credi pure quello che vuoi. Credi al fatto che ti detestavo così tanto dopo l'ennesimo rifiuto, al punto da decidere di renderti la vita un inferno. Credi al fatto che sia un pazzo sadico e malato di mente che si divertiva a consolarti mentre soffrivi per un dolore che in realtà ti avevo causato io. Che ci posso fare, insomma? Sono un povero disgraziato che l'unico modo che trova per gestire la rabbia che ha dentro è ferire i sentimenti delle persone. 
«E che mi dici della partita? Magari ora pensi che anche quello sia stato opera mia. Oppure sei così ovvia e scontata da credere davvero che sia stata Lucy? No, in realtà è stato un lavoro di gruppo, l'abbiamo fatto insieme. Ma l'idea è partita da me, chiaramente. Ero così annoiato dopo che tutti avevano smesso di prenderti per il culo, che iniziai a provare un desiderio irrefrenabile di distruggere quel poco di felicità che ti era rimasta.» Si passò una mano sul cuore. «Scusami, Megan, davvero, ma sono un ragazzo problematico, non riesco a controllarlo. Sono fatto così.»

Rimanemmo entrambi in silenzio, per una manciata considerevole di secondi. A un certo punto, Dylan si avvicinò il più possibile al mio viso, fino a che potei sentire il suo respiro sulla mia pelle. «Che c'è? Non mi credi neanche adesso? Se nego, non mi credi; se confermo tutto, nemmeno. Mi sembra che ci sia qualcosa che non vada. Scegli da che cazzo di parte stare, Megan.»

Mi diede un ultimo sguardo, partendo dai miei occhi, dopodiché il naso, e infine si soffermò in modo particolare sulle mie labbra. Poi lo vidi contrarre le mandibola e voltarsi di scatto, allontanandosi e lasciandomi da sola sul marciapiede.

E ora? Che cosa avrei dovuto credere?

   
 
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