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Autore: Kimando714    15/05/2019    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 30 - LET DOWN 



 
-Mancano solo poche settimane agli esami, sapete che dovete … -.
Alessio sbuffò debolmente, smettendo di prestare attenzione alla professoressa di economia aziendale. Buttò svogliatamente la penna sul quaderno aperto, passandosi una mano sugli occhi: si sentiva le palpebre così pesanti da non riuscire più a tenerli aperti senza sentirli bruciare.
Si fece forza, qualche secondo dopo, quando la professoressa riprese a scrivere velocemente alcune nozioni alla lavagna. Nella 5°A regnava un silenzio surreale: capitava raramente che ci fosse una calma simile in quella classe. Alessio si stravaccò sul banco, cercando di tener dietro alla prof e ricopiando velocemente quel che stava scrivendo. Rimase ad osservare con sguardo vacuo la sua scrittura minuta e disordinata per qualche secondo, prima di sbuffare di nuovo.
Sussultò appena, quando sentì il telefono vibrare nella tasca dei jeans, per più di qualche secondo. Si riprese dal suo torpore, aggrottando la fronte: stava chiaramente ricevendo una telefonata, non certo un semplice messaggio.
Si sentì la bocca dello stomaco chiudersi, mentre lanciava un’occhiata veloce al suo compagno di banco e alla professoressa: il primo stava osservando la lavagna con sguardo critico, la seconda continuava a dare le spalle alla classe per continuare a scrivere. Alessio approfittò di quella situazione per recuperare il proprio cellulare dalla tasca; aveva appena smesso di vibrare, segno che il mittente doveva essersi stancato di aspettare una sua risposta.
Fissò lo schermo del cellulare con occhi sgranati, quando controllò chi gli aveva appena telefonato: sua madre sapeva per certo che a quell’ora era in classe, a lezione come qualsiasi sabato mattina.
Per un attimo si sentì attorcigliare lo stomaco per la tensione: c’era qualcosa che gli diceva che, se non fosse stato urgente, sua madre non l’avrebbe mai chiamato a quell’ora, non quando sapeva che era ancora a scuola. Mancava troppo tempo all’intervallo per riuscire a rimandare il tentativo di richiamarla: era conscio che non sarebbe mai resistito fino a quell’ora.
-Mi scusi … -.
Alessio alzò la mano, lievemente tremante, mentre la professoressa si girava finalmente indietro, notandolo quasi subito. Alzò un sopracciglio, lievemente infastidita:
-Se devi uscire, Bagliore, fallo. E sbrigati-.
-Grazie- bofonchiò lui, alzandosi di tutta fretta ed evitando lo sguardo del suo compagno di banco e del resto della classe.
Camminò talmente veloce fino alla porta chiusa della 5°A che gli bastarono pochissimi secondi per ritrovarsi già fuori nel corridoio, la porta già richiusa dietro di sé. Continuò a mantenere lo stesso passo anche mentre si dirigeva verso il bagno più vicino, a qualche metro dalla classe.
Vi entrò in tutta fretta, guardandosi intorno: sembrava essere da solo lì dentro, e non poté fare a meno di sentirsene sollevato. Richiuse la porta dell’antibagno, prima di andare verso la parete di fondo, accanto alla finestra che dava sul cortile interno della scuola.
Si prese qualche attimo per respirare a fondo, il cuore che cominciava a battergli velocemente, prima di inoltrare la chiamata a sua madre.
Accostò il telefono all’orecchio, ascoltandone gli squilli a vuoto e pregando, tra sé e sé, che non ci fosse davvero nessuna motivazione grave dietro a quella telefonata.
Pensò, in quel lasso di tempo, a qualsiasi cosa potesse essere accaduta: poteva essere successo qualcosa ad Irene a scuola, o a qualche altro parente, o qualcos’altro che in quel momento non riusciva neppure a sospettare. Per un attimo ebbe la tentazione di interrompere quella chiamata per la troppa ansia.
-Alessio, per fortuna … -.
Dovette interrompere il flusso di supposizioni nel momento in cui la voce di Eva, dall’altra parte della linea, aveva finalmente risposto.
La percepì affannata, incrinata; si sentì raggelare nello stesso attimo in cui se ne rese conto.
-Mamma, ero ancora in classe- Alessio si prese qualche altro secondo, prima di continuare – Che succede?-.
Eva sospirò a fondo, lasciandosi sfuggire un singhiozzo che Alessio reputò come uno sforzo per non fargli capire che fosse in lacrime.
-Tesoro … -.
Si interruppe subito, stavolta non riuscendo a nascondere il secondo singhiozzo umido che la scosse. Alessio si aggrappò al cornicione della finestra come se le forze stessero venendo a meno, il cuore in gola e la paura che cominciava a crescere:
-Mamma? Mi vuoi parlare?- insistette, alzando appena la voce – Così mi fai spaventare-.
Sua madre non sembrava ancora in grado di rispondere, e quasi gli venne voglia di urlare per quanto si stesse sentendo impotente in quel momento.
-È successo qualcosa a te o ad Irene?-.
Sperò con tutto il cuore che non fosse così: sentiva sua madre piangere all’altro capo del telefono, e non riusciva nemmeno a pensare a quale sarebbe potuta essere una sua ipotetica reazione nello scoprire cosa stesse accadendo, qualunque cosa fosse. Si domandò sul serio se non fosse successo nulla a sua sorella, e la cosa lo fece sentire quasi soffocare.
-È tuo padre-.
Eva tirò su col naso, in un frammento di tempo in cui Alessio si sentì più spiazzato e più spaventato che mai.
-Che ha fatto stavolta?-.
Non aveva parlato di nuovo concitatamente come prima, né alzato ancora il tono: la sua voce gli era suonata così distante e spenta da fargli pensare di non essere nemmeno stato lui a parlare.
Ci furono diversi attimi di silenzio che non fecero altro che farlo sentire ancora più vuoto, il respiro rapido e il cuore che batteva forte contro il petto.
-Lui … - Eva cercò di calmarsi, sospirando a fondo ancora una volta ma con la voce che continuava a tremare ancora – È uscito un’ora fa. Aveva una valigia con sé -.
Alessio tacque, le labbra secce e il cuore che cominciava persino a fargli male.
-Se ne è andato, Alessio. Credo che se ne sia andato sul serio, stavolta-.
Lasciò che il braccio con cui si era aggrappato alla finestra fino a quel momento scivolasse giù, lungo il fianco, inerte.
-Ci ha lasciati-.
Chiuse la chiamata senza aggiungere nulla, lo sguardo vacuo che guardava solamente la parete del bagno dipinta di un azzurro freddo, inquietante.
Era come se il tempo si fosse azzerato, si fosse dilatato fino a smettere di esistere, mentre con la schiena scivolava addosso al muro, le gambe che gli cedevano.
Si chiese, per un attimo, se era così che ci si sentiva, dopo aver appena saputo di essere stati abbandonati.
 
*
 
Il corridoio del primo piano era insolitamente deserto, silenzioso come poche altre volte. Giulia si accomodò accanto alle scalinate, appoggiandosi al parapetto e lanciando un’occhiata verso il basso, sperando di veder comparire qualcuno della 4°A in ritorno dalla palestra, dopo le consuete due ore di ginnastica del sabato mattina. Sbuffò delusa: era appena suonato l’intervallo, e probabilmente avrebbe dovuto aspettare qualche altro minuto per vedere Filippo.
-Beh?-.
Giulia quasi sussultò, voltandosi all’indirizzo della voce di Caterina. Non si era accorta del suo arrivo: si era trattenuta un po’ di più in classe per parlare con Valerio, e le era arrivata alle spalle così silenziosamente da non farle minimamente intuire quanto in realtà le fosse arrivata vicina di soppiatto.
Prima che Giulia potesse chiederle di che stesse parlando, Caterina proseguì con lo stesso torno urgente:
-Ancora non mi dici niente?-.
-Su cosa?- domandò Giulia, fintamente confusa. Il sorriso malizioso che cominciava a nascere sulle labbra dell’altra riusciva a farle intuire piuttosto bene a cosa si stesse riferendo.
-Non fare l’ingenua- Caterina le si accostò maggiormente, mordendosi un labbro per trattenersi dal riderle in faccia – Com’è andata ieri?-.
Giulia si sentì arrossire violentemente nel giro di mezzo secondo.
Quella mattina era arrivata così tardi a scuola da essere entrata in classe con il professore di filosofia già arrivato: non era riuscita a parlare con Caterina nemmeno provandoci, non quando alla prima ora si erano ritrovati con un compito in classe, e alla seconda ora con una lezione fin troppo impegnativa di matematica.
Che le facesse quella domanda non la sorprendeva affatto, e forse parlarne non le dispiaceva nemmeno tanto: non si era aspettata, però, di ritrovarsi così in imbarazzo.
-Bene- farfugliò, schiarendosi la voce – Abbiamo cenato in casa, e siamo rimasti lì anche dopo. E … -.
Ripercorse mentalmente gli eventi della sera precedente, i ricordi che le affollavano la mente e che le fecero scemare la voce fino al silenzio. Si sentì sorridere istintivamente, come se fosse più forte di lei trattenersi dal farlo. Non le servì aggiungere altro: Caterina sgranò gli occhi entusiasta, guardandola incredula:
-Oh mio Dio, non me lo dire: lo avete fatto sul serio!- disse, con voce stridula, facendo sprofondare ancor di più Giulia nel rossore delle sue guance.
Annuì debolmente, sforzandosi di non distogliere lo sguardo. Aveva pensato di scrivere a Caterina – per rassicurarla, per ringraziarla del regalo, per dirle qualcosa che nemmeno lei sapeva- già la sera prima, quando lei e Filippo si erano risistemati e messi a letto per dormire, ma poi ci aveva rinunciato: il sonno era arrivato ben prima che riuscisse anche solo a decidere di ritrovare il telefono perso in un qualche angolo della camera.
-E com’è stato?- Caterina non le dette tregua, forse ancor più curiosa dopo quella conferma – Cioè, voglio dire, tu come sei stata?-.
Bene sarebbe stata la prima risposta che Giulia avrebbe voluto darle, perché era quella che più rappresentava il ricordo della sera precedente: era stato imbarazzante, emozionante ed intenso tutto insieme, qualcosa di cui non si sarebbe pentita mai, un ricordo così prezioso da non voler davvero condividere con racconti dettagliati.
Rimase in silenzio perché, in fin dei conti, sarebbe stata solo una risposta parziale: per quanto le sarebbe piaciuto, non poteva cancellare i primi dolori che aveva accusato e il breve panico alla vista del sangue che aveva perso.
-Qualche dolore, un po’ di sanguinamento … - mormorò, ritrovandosi però a sorridere per davvero, per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata – Però nulla di troppo tragico. O almeno, a ricordarlo ora non lo è stato-.
Era la verità: si era ripresa piuttosto velocemente, perché quella mattina appena sveglia si era sentita già molto meglio. Niente crampi, niente perdite, la tensione sparita: in fin dei conti, si era detta, sarebbe potuta andarle peggio.
-E dopo vi siete addormentati?- chiese ancora Caterina, appoggiandosi al parapetto.
Giulia cercò di non andare troppo in dettaglio:
-Non subito-.
Caterina la guardò qualche secondo, forse indecisa sulla prossima domanda, prima di riprendere a parlare ancora con euforia:
-E Filippo … -
-Che ha Filippo?-.
Giulia sussultò per la seconda volta in pochi minuti, maledicendo Pietro e il suo tempismo tutt’altro che perfetto. Si girò verso le scalinate, notandolo dietro di lei e fermo sugli ultimi gradini, un ghigno divertito sulle labbra. Sperò con tutto il cuore che non avesse ascoltato gran parte della conversazione.
-Oh no, aspetta: non dirmi che tu e Pippo avete davvero usato il nostro regalo- continuò, percorrendo gli ultimi gradini, e arrivando di fronte a lei e Caterina.
Giulia lo guardò malamente, incrociando le braccia contro il petto e ignorando del tutto il viso in fiamme:
-Devo seriamente risponderti?-.
Filippo non doveva aver ancora detto nulla a lui – e forse nemmeno a Nicola-, visto la sua domanda, e gliene fu grata. Per tutta risposta, Pietro allargò ancor di più il sorriso malizioso:
-Risponde già da sé la tua faccia- le disse, facendo ridere Caterina – Allora, com’è Filippo a letto?-.
Per i primi secondi Giulia rimase attonita, indecisa se sentirsi più in imbarazzo, oltraggiata o divertita dalla domanda impertinente. Qualche attimo dopo si lasciò sfuggire un sorriso divertito, notando subito la conseguente leggera confusione sul volto di Pietro:
-Pensavo fossi interessato a saperlo di un’altra persona-.
Prima che Pietro potesse risponderle – boccheggiante e sorpreso per essere stato colto in contropiede- Giulia gli lanciò un cenno di saluto. Lei e Caterina si allontanarono ridendo fin troppo rumorosamente.
 
*
 
And the tears fall like rain down my face again
Oh, the words you wouldn't say
And the games you played with my unfoolish heart

Oh, I should have known this from the start
 
Piano Veneto non era particolarmente popolata quel giorno, Alessio se ne era reso conto appena varcata la soglia del cancello del Galilei, poco dopo che la campanella della penultima ora era suonata. C’erano poche auto che sfrecciavano lungo la strada, affiancandolo mentre camminava lentamente lungo il marciapiede, senza una meta precisa in mente.
Continuò a camminare a caso, guardandosi appena intorno nella speranza di essersi lasciato alle spalle i suoi compagni di classe, determinato ad evitare chiunque. L’unica cosa di cui aveva bisogno, in quel preciso momento, era un posto isolato che gli potesse garantire il silenzio che gli serviva, la calma alla quale aggrapparsi per cercare di rimettere in ordine i pensieri.
Continuò a camminare lungo la strada principale di Piano, costeggiando il canale e approfittando dell’ombra degli alberi lungo il marciapiede; arrivò ad una fermata dismessa di una qualche linea di autobus, abbastanza ignorata per potervisi fermare per un po’ di tempo.
Quando si sedette sulla panchina malridotta, da solo, non gli importò nemmeno del sole che gli colpiva la faccia e gli occhi rendendolo quasi cieco: gli bastava riuscire a riprendere fiato sedendovisi per un po’ di tempo. Bastavano pochi minuti, pochi minuti di silenzio.
Si passò una mano sul viso, scostandosi i capelli dalla fronte, le dita che gli tremavano ancora; si accorse solo in quel momento di aver il viso bagnato di lacrime, gli occhi ancora umidi così come le labbra.
Si sentiva terribilmente patetico, seduto su quella panchina con due assi rotte e ricoperta di scritte sconce fatte con bombolette, a piangere da solo per qualcosa che non sapeva bene nemmeno lui come razionalizzare.
 
How the thought of you cuts deep within the vein
This brand new skin stretched across scarred terrain
 
Era stato difficile anche rialzarsi dal pavimento del bagno, scosso e sentendosi le gambe pronte a cedere al primo passo. Aveva solo un vago ricordo di quando era tornato in classe, talmente silenzioso e cereo che la professoressa sembrava averlo graziato di una qualche nota per il troppo tempo passato fuori dall’aula.
Non ricordava nemmeno che era successo nelle ore successive, prima che finissero anche il resto delle lezioni: non aveva ascoltato una parola, non si era nemmeno alzato dal suo banco durante l’intervallo.
Era stato una statua di marmo per tutto quel tempo, sollevato solamente dal pensiero che al sabato c’era un’ora in meno di lezione, e che quello significava un’ora in meno di quel supplizio.
Era uscito dalla 5°A appena era suonata la campanella, imboccando il corridoio per l’uscita; non si era fermato a salutare nessuno, troppo concentrato a lasciarsi tutti indietro ed andarsene il più velocemente possibile.
Non aveva nemmeno pensato di prendere una corriera per tornare subito a casa. Non era quello che avrebbe voluto davvero fare: rimandare il più a lungo quel momento era l’unica cosa che voleva, perché sapeva che, una volta rientrato tra quelle mura, nulla sarebbe più riuscito a fermare la rabbia e il dolore che sentiva montarsi dentro, ogni secondo di più.
“Forse nel frattempo ha cambiato idea”.
Nel momento stesso in cui si ritrovò a pensarlo, tra le lacrime che non riusciva a fermare, dovette ammettere che la sua era solo una falsa speranza: suo padre non sarebbe tornato indietro. Non si sarebbe ricreduto: non l’aveva mai fatto.
Non avrebbe cominciato a farlo quel giorno.
Strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, il dolore fisico che attutiva solo temporaneamente quello dell’anima.
 
What I gave to you, and now the end must start
Oh, I should’ve listened to my heart
 
Non si era immaginato un epilogo simile, quando il giorno prima c’era stato l’ennesimo litigio. Le urla di Eva gli rimbombavano ancora nelle orecchie, così diverse e contrastanti davanti ai lunghi silenzi di suo padre: era stato insolito non vederlo reagire, continuare a litigare in quella maniera arrendevole che Alessio non gli aveva mai visto fare.
Cominciava a capire solo in quel momento a cosa fosse dovuto: doveva aver già pensato di farlo, di andarsene. Non lo sorprendeva pensare fosse esattamente così: era così da lui, essere calcolatore anche in un frangente simile. 
“È sempre stato così”.
Forse c’era stato un tempo in cui Riccardo era stato diverso, più umano; doveva essere un tempo così remoto che Alessio non riusciva nemmeno a farlo riaffiorare tra i ricordi. Nelle sue memorie non c’era spazio per un padre meno crudele di quel che aveva sempre conosciuto.
Si passò nuovamente le mani sul viso, cercando di respirare a fondo per calmarsi. Doveva farlo: Riccardo non gli aveva mai dato motivo per dispiacersi della sua mancanza, non glielo aveva dato nemmeno il giorno prima. Non glielo stava dando nemmeno in quel momento.  
Era così difficile non riuscire a capire il perché di quel vuoto all’altezza del petto.
Era un dolore sordo talmente forte che rendeva persino la rabbia e il rancore meno forti, sovrastandoli e facendolo sentire spezzato.
Sentiva quasi di essere più in collera con se stesso che con lui, per non riuscire ad odiarlo nemmeno in quel momento.
Forse non lo stava facendo perché, in fin dei conti, non si sentiva così sorpreso di sapere che, una volta rientrato a casa quel giorno, Riccardo non ci sarebbe stato.
“Le persone se ne vanno sempre”.
 
'Cause I don't wanna be let down
I don't want to live my life again
Don't want to be let down the same old road

Said I don't want to be let down
I don't want to live my lies again
Don't want to be let down the same old road
 
*
 
La spalla di Filippo era un comodo appoggio: chiuse gli occhi, inspirando appena il suo profumo, sentendosi così in pace da sperare quasi che il viaggio di ritorno sulla Galliera potesse durare in eterno.
Giulia si sentiva carica per il secondo giorno che avrebbe passato da lui a Torre San Donato: accantonata l’agitazione che l’aveva accompagnata tutto il giorno prima, ora non rimaneva altro che l’entusiasmo di passare ancora del tempo con lui.
-Abbiamo programmi per oggi?- gli chiese, riaprendo gli occhi e sorridendogli, mentre la Galliera frenava e riapriva le porte una volta arrivata alla volta della stazione di Piano.
-Non ancora- Filippo abbassò lo sguardo su di lei, prima di spostarsi per riuscire a voltarsi verso il sedile posteriore, dove se ne stavano seduti Caterina e Nicola:
-Voi avete da fare oggi pomeriggio?-.
Nicola fu il primo a rispondere, sbuffando debolmente:
-Partita di calcio-.
Caterina gli lanciò una breve occhiata, prima di alzare le spalle:
-E io gli ho già promesso di venire a vederlo-.
-Non sei contenta di venire a fare il tifo per me?- Nicola glielo chiese fintamente offeso, prima che Caterina potesse tirargli uno schiaffetto sulla spalla e farlo ridere.
Ad osservarli Giulia rise a sua volta, mentre si rimetteva comoda sul suo sedile, pensierosa: Pietro non era in corriera quel giorno, così come Alessio, ma in ogni caso le sarebbe sembrato strano – fin troppo- organizzare un’uscita a quattro solo con loro due.
-Sembra che oggi pomeriggio ce ne andremo in giro da soli- commentò, rivolgendo un sorriso malizioso a Filippo – O che resteremo a casa-.
Lui le si avvicinò lentamente, lo stesso sorriso astuto che gli distendeva le labbra:
-Non mi sembra una cattiva idea rimanere a casa-.
La risata di Giulia venne soffocata dal bacio che le scoccò subito dopo, fulmineo e a stampo.
-Ehi- la voce di Nicola li distrasse per qualche secondo – Non saltatevi addosso anche qui in corriera-.
-Da quando sei diventato così moralista?- Filippo si sporse ancora verso il sedile dietro, ridendo ancor prima di sentire la risposta indignata dell’altro. Anche Giulia soffocò a stento una risata; si lasciò scivolare lungo il sedile, un sorriso ancora stampato in viso mentre ascoltava distrattamente il battibecco in corso tra Nicola e Filippo.
Si distrasse osservando gli ultimi studenti che correvano il più velocemente possibile per non perdere le loro corriere, quando ormai dovevano mancare pochi minuti alla ripartenza. Quando i suoi occhi si soffermarono per un secondo su una figura che le parve fin troppo conosciuta, si ritrovò a socchiudere gli occhi per acuire la vista e chiedersi, per un attimo, se fosse solo una sua allucinazione dovuta alla stanchezza. Ricordava con sufficiente sicurezza il fatto che Alessio, il sabato, tornasse a casa sempre con la corriera dell’ora prima: era piuttosto meravigliata di vederlo ancora lì, in stazione, ancora dall’altra parte della strada rispetto alla Galliera.
Giulia si appiccò al finestrino, cercando di aguzzare lo sguardo: stava camminando parecchio lentamente, come se non gli importasse molto rischiare di rimanere a piedi. Le parve di notarlo piuttosto pallido in viso, e la sensazione che si sentì addosso dopo aver colto quel dettaglio non fu affatto positiva.
Si girò ancora una volta verso il sedile posteriore, sotto gli occhi di Filippo e Nicola, rivolgendosi velocemente a Caterina:
-Ma Alessio non esce prima il sabato?-.
-Infatti- Caterina la guardò confusa per un attimo – Come mai me lo chiedi?-.
Giulia si morse il labbro inferiore, disorientata:
-Mi è sembrato di vederlo arrivare. Credo che tra poco salirà-.
Lo sguardo corrucciato che le lanciò lei acuì ancor di più la confusione:
-Non mi ha scritto che avrebbe preso questa corriera. Strano-.
Giulia annuì, rimanendo in silenzio e tornando a sedersi sufficientemente composta, puntando gli occhi verso il corridoio per ora deserto della corriera. Come aveva previsto non passò troppo tempo prima che Alessio facesse il suo ingresso a bordo della Galliera.
-Alessio, siamo qui!-.
Voltandosi appena indietro, Giulia notò Caterina sventolare un braccio in aria per rendersi più visibile, ma fu del tutto inutile: quando tornò a girarsi, notò Alessio essersi seduto già nella terza fila, ben distante da loro.
Con così poca gente presente in corriera quel giorno, e con ben poco brusio, Giulia trovò piuttosto inverosimile che non avesse sentito il richiamo di Caterina.
-Ma che ha?- sentì mormorare Nicola, altrettanto confuso.
La voce sconsolata e in apprensione di Caterina non migliorò la situazione:
-Non ne ho idea-.
-Non mi sembrava avesse una gran bella cera- aggiunse Filippo, a mezza voce. Giulia concordò tra sé e sé con lui: non era stata solo una sua impressione il pallore del viso di Alessio, ma qualcosa di palpabile. Era cereo come poche altre volte l’aveva visto.
Rimanendo in silenzio, per un attimo, le tornò in mente la sua assenza improvvisa del giorno prima, senza troppe spiegazioni. Nell’istante in cui se ne ricordò, si girò ancora una volta verso Caterina:
-A proposito, poi hai scoperto qualcosa su cosa gli era successo ieri?-.
Lei alzò le spalle, scuotendo il capo:
-No, non mi ha più scritto nulla-.
-Non è molto incoraggiante- sospirò Filippo, lanciando una veloce occhiata verso le prime file, dove Alessio si era seduto in totale isolamento.
-Forse dovrei provare ad andare da lui- azzardò Caterina, ma prima che potesse aggiungere altro Nicola le pose una mano su una spalla:
-Se avesse voluto parlarci sarebbe venuto qui- obiettò, non senza una nota di preoccupazione – Lasciamolo solo. Probabilmente preferisce così-.
Caterina sospirò a fondo, rumorosamente, forse ancora indecisa sul da farsi nonostante l’obiezione di Nicola. Giulia riusciva a comprenderne il dissidio: non era facile nemmeno per lei accettare l’idea di lasciarlo solo, nonostante l’evidenza che qualcosa non stesse andando nel verso giusto.
-Proverò a telefonargli nel pomeriggio- Caterina si arrese dopo qualche secondo di tormentata indecisione, sospirando ancora, e lasciandosi cadere indietro contro il sedile. Non sembrava affatto convinta di quel che aveva appena detto, ma non si mosse.
-Buona idea- si ritrovò ad annuire Giulia, prima di rimettersi a sedere a sua volta, in apprensione e sentendosi completamente impotente.
 
*
 
-Ti rendi conto che tra poco finirà di nuovo la scuola?-.
La voce stupita di Filippo arrivò distrattamente alle orecchie di Giulia. Stava tenendo gli occhi chiusi da qualche minuto, ma a quanto pareva non era riuscita ad ingannarlo facendogli credere di essersi addormentata. Era piacevole rimanere stesa a letta di fianco a lui, cullata dalla leggera brezza che entrava dalla finestra aperta della camera.
-Non sembri molto felice della cosa- commentò, brevemente. Una parte della sua mente stava ancora rimuginando su cosa potesse essere successo ad Alessio, anche se dall’altra cercava di dare la giusta attenzione anche a Filippo: d’altro canto, pur con dispiacere, aveva l’impressione che per Alessio avrebbe potuto fare ben poco in quel momento.
-Tu lo sei?- Filippo rispose di nuovo sorpreso – L’anno scorso eri disperata per l’inizio delle vacanze-.
Giulia riaprì gli occhi lentamente per riabituare la vista alla luce del sole pomeridiano; rammentava perfettamente quanto erano state un inferno le ultime settimane di scuola dell’anno prima, sotto quel punto di vista.
-Lo so, ma l’anno scorso ci eravamo appena messi insieme, dopo mille casini. Ora va tutto bene. - obiettò, allungando una mano verso i capelli di Filippo per arruffarglieli – Certo, non ci potremo vedere tutti i giorni, ma stringeremo un po’ i denti-.
Filippo rimase in silenzio per alcuni secondi, il viso contratto in una smorfia e l’aria pensierosa:
-Però ora ho la patente- riprese a parlare, più tra sé e sé che rivolto a lei – Nulla mi vieta di venirti a prendere di sorpresa e portarti in qualche posto-.
Giulia rise sommessamente, mentre gli rispondeva con una pacca sulla spalla. Filippo non si scompose minimamente, alzando un dito e puntandoglielo contro:
-Anzi … -.
Si mise su un fianco, in modo da poterla guardare frontalmente, lo sguardo acceso da una qualche idea che sembrava essergli appena affiorata in mente:
-Perché non ce ne andiamo qualche giorno al mare, da qualche parte?- disse, concitatamente – Magari con Caterina e Nicola-.
Per i primi secondi Giulia non seppe che dire, interdetta e presa alla sprovvista da quella proposta. Non avevano mai parlato prima di farsi qualche giorno di vacanza insieme da qualche parte, e forse aveva dato troppo per scontato che, alla fine, non sarebbe accaduto quell’estate.
-Pensi si possa fare?- gli chiese, incerta.
-Perché no?- Filippo alzò le spalle – Non ti piacerebbe?-.
Giulia gli sorrise subito, per tranquillizzarlo:
-Certo che mi piacerebbe. Solo non mi aspettavo una proposta del genere-.
Evitò di aggiungere che, effettivamente, nemmeno i suoi genitori dovevano aver preso in considerazione quell’eventualità. Era piuttosto sicura che loro sarebbero stati il suo primo ostacolo nel realizzare quel progetto che, nonostante tutto, stava già prendendo forma nella sua testa.
-Ci organizzeremo- Filippo le lasciò una carezza sul viso, sorridendole rassicurante – Vediamo cosa si può fare-.
Giulia gli si avvicinò repentinamente, scoccandogli un bacio all’angolo della bocca e stringendosi un po’ di più contro il suo corpo.
Per un attimo l’espressione di Filippo cambiò: si fece più seria, le gote appena arrossite come se ci fosse qualcosa che lo metteva in imbarazzo.
-A proposito … - iniziò, a mezza voce – Tu come stai adesso?-.
Anche Giulia si sentì arrossire un po’, ma non si lasciò prendere troppo dall’imbarazzo: era consapevole che, almeno in quelle prime volte, entrambi si sarebbero ritrovati in quello stato nel parlarne. Era altrettanto sicura che l’intimità tra di loro sarebbe arrivata ad un punto tale che non ci sarebbe più stato disagio in quei momenti.
-Sto bene- lo rassicurò, portandogli una mano su una spalla, muovendola con gesti circolari – In ogni senso-.
Filippo tirò un sospiro sollevato:
-Ottimo. Ero un po’ in pensiero ieri sera-.
Giulia rise appena, ma non poteva dargli torto: forse era colpa della loro inesperienza e dei loro movimenti maldestri, ma quando Filippo era entrato dentro di lei il dolore l’aveva sentito eccome. Era diventato sopportabile in poco tempo, ma era anche piuttosto convinta che se lo sarebbe ricordato ancora per un po’.
-E tu?- gli chiese di rimando, alzando gli occhi sul viso di lui – Tu come ti senti?-.
-Sollevato- Filippo rise debolmente – Per il fatto che sia andato tutto bene. È stato bello, nonostante gli intoppi iniziali-.
Sì, lo era stato. Giulia non riuscì a non sorridere ripensandoci, mentre ascoltava Filippo e sapendo che, per lui, era stato emozionante allo stesso modo in cui lo era stato per lei.
-Sì, è stato bello-.
Gli passò i polpastrelli sulle labbra, prima di avvicinarsi al suo orecchio e mormorargli piano:
-Così tanto che replicare la serata ci starebbe molto-.
L’unica risposta che ricevette fu una risata gutturale di Filippo, e le sue mani che le cingevano i fianchi per avvicinarla ancora un po’ a lui:
-Come darti torto-.
Giulia non riuscì a trattenere una lieve risata, mentre Filippo le si avvicinava di nuovo, baciandola ancora una volta.
 
*
 
Cinquantatré ore e quarantun minuti.
Era difficile tenere la mente distratta quando non poteva fare altro che aspettare che smettesse di piovere, senza riuscire a muovere un piede fuori dalla sua stanza da più di due giorni.
C’era un silenzio inquieto che aleggiava negli ambienti della casa, Alessio riusciva a palparlo: era una calma talmente falsa, superficiale e fragile, che ne poteva percepire la temporaneità.
Aveva iniziato a piovere la sera precedente, senza più smettere. Cominciava a pensare che, prima o poi, tutta Villaborghese si sarebbe ritrovata sott’acqua, immersa nelle acque sporche del canale straripato per la troppa pioggia caduta.
“Forse non sarebbe male come prospettiva”.
Continuò a fissare il cielo plumbeo che si intravedeva dalla finestra della sua camera, ignorando deliberatamente il suo cellulare che, ogni tanto, continuava a squillare da sabato pomeriggio. Era sicuro che Caterina non avrebbe demorso, nemmeno di fronte al suo silenzio: aveva continuato a scrivergli tutto il weekend, senza arrendersi. Un po’ le invidiava quella forza di volontà che doveva averla spinta a non ignorarlo.
Era la stessa forza di volontà che a lui era mancata da quando aveva saputo di Riccardo.
Cinquantatré ore e quarantré minuti.
Non c’erano più dubbi sul fatto che non sarebbe tornato. Forse era un bene: quello era stato il periodo più lungo in cui non c’era stato alcun litigio in casa. Un vero record, quello lo doveva riconoscere.
“Perché mi sento così?”.
A quella domanda aveva preferito non rispondere.
Contrasse il viso in una smorfia, quando il cellulare prese a squillare all’improvviso; si costrinse a spostare almeno gli occhi, lanciando un’occhiata indifferente al display acceso del suo telefono, lasciato mollemente sul materasso accanto a lui.
Caterina non demordeva affatto, e forse non l’avrebbe fatto fino a quando non avrebbe ricevuto un segno, anche il più piccolo.
Alessio sbuffò nervosamente, mentre allungava una mano verso il telefono, si metteva a sedere ed accettava quella chiamata che sperava di concludere il più in fretta possibile.
-Prima che tu dica qualsiasi cosa- Caterina non lo salutò nemmeno, non fece nulla di quello che Alessio si era aspettato – Sappi che sono in corriera e sto venendo da te-.
Per un attimo temette di non aver capito bene.
-Cosa?- mormorò, laconico, passandosi una mano sugli occhi e chiedendosi se fosse solamente un incubo in cui era rimasto intrappolato troppo a lungo.
-Spero che tu non finga di non essere in casa per non aprirmi- proseguì Caterina, duramente – Ti scrivo quando sono quasi arrivata-.
Richiuse la chiamata senza lasciare ad Alessio nemmeno il tempo di replicare. Rimase immobile per qualche secondo, il telefono ancora accostato all’orecchio ma la linea che dava segnale a vuoto.
Gli ci vollero altri secondi per metabolizzare che Caterina stava venendo lì, per vedere lui, per parlargli; per un attimo ebbe la tentazione di uscire davvero di casa per non farsi trovare, ma non si mosse nemmeno di un millimetro.
“Che sarà mai perdere un altro po’ di dignità?”.
Attese il suo messaggio rimettendosi sdraiato sul suo letto, gli occhi ancora rivolti alla finestra e alla pioggia incessante che continuava a cadere.
 



Caterina fece il suo ingresso con il fiatone, l’ombrello appena richiuso e completamente zuppo, ed un’espressione stampata in viso che Alessio non riuscì a decifrare. Era un misto di preoccupazione e rabbia, ma si rese conto che, in fin dei conti, forse era solo lui che rischiava di specchiarsi in chiunque altro si ritrovasse davanti.
Quando gli arrivò di fronte, non appena richiusa la porta d’ingresso dietro di sé, Caterina rimase a guardarlo per qualche secondo, studiandolo e facendolo sentire sotto esame.
-Ciao- mormorò infine, mentre lasciava l’ombrello sul tappeto dell’ingresso.
Alessio, le braccia incrociate contro il petto e gli occhi ancora gonfi che gli bruciavano, si schiarì la voce:
-Ciao a te-.
Non aveva parlato per tutta la mattina, e la sua voce gli parve roca e afona come se, invece, avesse passato ore ed ore ad urlare.
Caterina avanzò di qualche passo, tenendogli sempre gli occhi addosso:
-Sono arrivata in un momento sbagliato?-.
Alessio si trattenne a stento dal dirle che, se proprio voleva saperlo, avrebbe fatto meglio a non venire proprio, e che se proprio dovevano parlare di momento sbagliato, forse uno giusto non sarebbe arrivato prima di un bel po’ di tempo. Si limitò a sbuffare, sciogliendo quella postura rigida e dandole le spalle per condurla nel salotto.
-No, non c’è nessuno in casa- le rispose invece, indifferente. Sua madre sarebbe rientrata dal lavoro solo alla sera, e sua sorella Irene aveva preferito fermarsi da un’amica dopo la scuola, piuttosto che tornare subito lì. Alessio non riusciva a darle torto per quella scelta.
-Se devi dirmi qualcosa puoi farlo- proseguì, tornando a voltarsi verso Caterina. La vide sedersi esitante sul bordo del divano, a disagio: sembrava costantemente sull’attenti, forse sorpresa per la piega che quella conversazione aveva preso sin dagli albori. Alessio non ricordava un altro momento in cui si erano parlati con così tanto distacco come in quel momento.
-Non sei venuto a scuola stamattina, vero?- gli chiese, le mani giunte in grembo e stringendosi nelle spalle. Alessio scosse il capo, decidendo di rimanere in piedi di fronte a lei:
-No- rispose laconicamente, abbassando per un attimo lo sguardo – Non stavo molto bene-.
Era una bugia solo a metà: non aveva avuto la forza di alzarsi dal letto, quel lunedì mattina, né sua madre aveva provato ad insistere. Era semplicemente rimasto lì, ingabbiato in pensieri che lo facevano sentire incapace di fare qualsiasi cosa.
Caterina annuì gravemente, torturandosi le mani:
-Anche nei giorni passati non sei stato bene?-.
Quella era una domanda che sottintendeva ben altro, e stavolta Alessio non riuscì a reprimere una smorfia infastidita. La guardò a lungo, in silenzio, prima di non riuscire più a trattenersi:
-Che sei venuta a fare qui?-.
Non cercò nemmeno di nascondere il nervosismo nella voce. Non gli importò nemmeno di rendere così palese la sua rabbia nell’averla lì:
-Perché sei venuta qui senza neanche avvertirmi?-.
Caterina esitò, forse presa alla sprovvista da quel cambio repentino d’atteggiamento:
-Perché mi avresti detto di stare a casa- mormorò, più risolutamente di quel che Alessio si sarebbe aspettato – Anzi, non credevo nemmeno mi avresti risposto quando ti ho chiamato dieci minuti fa-.
-Sei venuta qui a dirmi questo?- Alessio la interruppe, la voce venata di sarcasmo amaro – A lamentarti perché non ti ho risposto?-.
Sapeva che la stava ferendo in quel modo, glielo leggeva negli occhi: c’era rabbia e sorpresa nello sguardo di Caterina, e quella sorta di dolore tipico di chi si vede rifiutato.
Forse era proprio quello che stava cercando di fare, quello che voleva: ferirla per vederla andarsene e rimanere finalmente di nuovo solo, senza doversi preoccupare di chi potesse vederlo in quello stato.
-Ero preoccupata- Caterina lo guardò dritto negli occhi, alzandosi lentamente dal divano – Lo siamo tutti-.
Sapere che qualcuno avesse notato il suo malessere lo fece innervosire ancor di più:
-Esattamente di che cazzo siete preoccupati?-.
Si avvicinò pericolosamente a Caterina, guardandola nel modo più truce che gli era possibile. Non aveva urlato, non aveva nemmeno accennato ad alzare la voce, ma sapeva comunque di averla ferita più che se l’avesse fatto: la vide sbiancare in volto, interdetta come non mai. C’era un silenzio che aleggiava nella stanza che si stava facendo troppo pesante, che toglieva quasi il respiro.
Alessio dovette lottare contro la voglia di percorrere a lunghi passi il corridoio ed uscirsene fuori in giardino, sotto la pioggia, e gridare a pieni polmoni tutta la frustrazione.
-Ti abbiamo visto in corriera sabato- azzardò Caterina dopo almeno in minuto in cui non aveva accennato a dire nulla – Ci hai ignorati, e ci sembrava che tu non stessi bene-.
Alessio si ritrovò quasi ad odiarli, quelli che ormai considerava a tutti gli effetti suoi amici. Razionalmente sapeva che avrebbe dovuto almeno dimostrarsi riconoscente, ma era più forte di lui: sembrava così difficile riuscire a far capire a chiunque che voleva essere lasciato stare.
-E poi nemmeno venerdì ti sei fatto vedere- proseguì Caterina, con più risolutezza.
Alessio la guardò freddamente ancora una volta:
-Non sono cazzi vostri-.
Si sentì sporco, nell’usare contro di lei quella calma aggressiva nell’attaccarla. Gli sembrava di stare a sentire suo padre, e il senso di rigetto che provò a quel pensiero gli fece venir voglia di vomitare.
-Alessio … -.
Caterina provò ad allungare una mano verso di lui, ma si sottrasse in fretta, facendo qualche passo indietro e stavolta fuggendo davvero a passi veloci lontano dal salotto.
Quando si rese conto che Caterina non demordeva, seguendolo, si girò ancora una volta verso di lei, la voce alterata dalla rabbia e dal dolore:
-Non ti ho chiesto io di venire qui, e non ho chiesto io di parlare con qualcuno!- le urlò, sentendo gli occhi che cominciavano a bruciare pericolosamente – Non ho chiesto niente a nessuno-.
Non attese altre risposte. Sperò, mentre risaliva le scale per arrivare alla sua stanza, che Caterina capisse l’antifona da sola e se ne andasse.
Non gli parve di sentire la porta d’ingresso aprirsi, ma non vi badò più di tanto: l’unica cosa che fece fu sbattere la porta della sua camera e andare a sedersi sul bordo del letto, prendendo lunghi respiri per cercare di reprimere le lacrime già accumulatesi agli angoli degli occhi.
Gli girava pericolosamente la testa, e per qualche secondo pensò di essere sul punto di svenire.
Inspirò ancora una volta, lentamente, chiudendo gli occhi e cercando di recuperare almeno in parte la calma persa.
Sentiva il cuore battergli velocissimo contro il petto, i respiri che faticavano a regolarizzarsi e la vista ancora appannata.
Fu in quel momento di silenzio disordinato e confuso che sentì, distintamente, Caterina bussare piano alla sua porta.
-Ho capito che non mi vuoi parlare, ma non c’è bisogno che mi tratti così-.
Parlò in un misto di sofferenza ed ira tale che ad Alessio parve davvero di rivedersi in lei.
-Volevo solo sapere che ti stava succedendo, se stavi bene- la sentì proseguire, al di là della porta chiusa, la voce incrinata – Forse non sarei dovuta venire qui, è vero, ma l’ho fatto solo per te-.
Non aggiunse altro, il silenzio che era tornato a regnare come qualche attimo prima.
Alessio riaprì gli occhi a fatica, voltandosi verso la porta chiusa al di là della quale Caterina forse doveva ancora essere lì, in attesa. Si ritrovò a sperare, per la prima volta da quando era giunta lì, che non fosse davvero già andata via.
“Non posso essere anche io come lui”.
Si alzò talmente velocemente dal suo letto da rischiare di perdere quasi l’equilibrio; imprecò sottovoce, mentre riapriva la porta di scatto.
Caterina se ne stava davvero andando: aveva quasi imboccato la tromba delle scale, ma si bloccò non appena avvertì la porta venire aperta. Non si voltò, nemmeno quando Alessio le si avvicinò.
Non aveva mai trovato fastidioso il contatto fisico con gli altri, ma in quel momento anche solo allungare una mano verso di lei gli sembrò un gesto enorme, faticoso: le posò piano una mano sulla spalla, sentendola tremare impercettibilmente.
-Scusa-.
Lo sussurrò appena, ma era sicuro che Caterina lo avesse udito: allungò a sua volta una mano per coprire la sua, appoggiandola sul suo dorso.
-Non dovevo reagire così- Alessio si morse il labbro inferiore, la voce che rischiava di incrinarsi ad ogni parola.
Quando Caterina si voltò indietro, verso di lui, vide gli occhi lucidi e le sue guance umide: si sentì così tanto in colpa da non riuscire nemmeno a mantenere quel contatto visivo.
-Non sono tua nemica-.
No, non lo era, Alessio lo dovette ammettere.
-Lo so- le rispose, a mezza voce.
Caterina lo guardò gravemente per alcuni secondi, prima di prendere un sospiro profondo:
-E sai anche che se vuoi parlare io ci sono-.
Gli si avvicinò di qualche passo, continuando a parlare a bassa voce:
-Non devi sempre tenerti tutto dentro-.
Alessio rimase in silenzio, lo sguardo ancora abbassato e le parole incastrate in gola, incapace di darvi voce.
Avrebbe voluto che potesse essere così facile come diceva Caterina, senza arrivare a pensare che la difficoltà di mostrarsi debole e fragile come si sentiva in quel momento fosse un motivo sufficientemente valido per non voler parlare con qualcuno.
Si allontanò di qualche passo, oltrepassando ancora una volta la soglia della sua camera. Stavolta non richiuse la porta dietro di sé, e percepì i passi di Caterina che lo seguiva lentamente.
Quando arrivò accanto alla finestra, lo sguardo perso ad osservare la pioggia che ancora cadeva all’esterno e l’aria grigia ed umida che ammantava Villaborghese, sospirò pesantemente:
-È che … - la voce gli morì ancora una volta in gola, per qualche secondo – È una cosa che penso non potresti capire fino in fondo-.
Era un peso enorme quello che sentiva schiacciargli il petto. Era sicuro che lei non l’avesse mai provato, e forse si augurava che non dovesse nemmeno mai accadere.
-Forse no, ma non cambierebbe il fatto che ti ascolterei comunque, qualunque cosa sia-.
Si voltò verso di lei: Caterina se ne stava in piedi a qualche metro di distanza, di fianco al letto, continuando a guardarlo con apprensione e speranza. Era uno sguardo strano, ed Alessio si sentì ancor più vulnerabile.
-È successo qualcosa con tuo padre?- tentò ancora Caterina.
Alessio non rispose subito, forse troppo stupito per la facilità con cui persino lei aveva intuito almeno in parte quel che doveva esser accaduto.
Negare non avrebbe facilitato le cose, né l’avrebbe fatto sentire meglio; per la prima volta da quando Caterina aveva messo piede in casa si ritrovò a pensare che, in fondo, almeno a lei poteva dirlo. Strinse i denti, reprimendo un lungo attimo di repulsione all’idea di dire ad alta voce ciò che era successo.
-Se ne è andato-.
Per i primi secondi pensò che doveva aver sussurrato troppo piano, così tanto che Caterina non doveva nemmeno aver capito quel che aveva detto. Poi, a poco a poco, la vide sgranare gli occhi, la fronte corrugata:
-Quando?- mormorò, piuttosto sconvolta. Fece qualche passo verso di lui, avvicinandoglisi e continuando a guardarlo disorientata.
-Sabato mattina- mormorò, i ricordi che riaffioravano alla mente – Ha fatto le valigie, è uscito, e non s’è più visto-.
Era la prima volta, da quando era successo, che lo constatava ad alta voce, di fronte a qualcuno.
Nemmeno con sua madre o sua sorella ne aveva fatto parola, non così esplicitamente; dirlo ad alta voce non faceva altro che rendere i contorni di quel che era successo più vividi, più precisi e più taglienti.
Caterina si passò una mano sul viso:
-Magari vuole solo prendersi del tempo- provò, esitante. Aveva parlato con così tanta incertezza che Alessio capì che nemmeno lei credeva davvero a quell’ipotesi.
-No- scosse la testa, prendendo un altro respiro profondo – Non tornerà. Non è il tipo di persona che ci ripensa dopo che ha scelto di fare qualcosa-.
Caterina gli si avvicinò ancora un po’, fino ad arrivargli di fronte. Alessio non si mosse quando, tenendo gli occhi chiusi, percepì una mano di lei posarglisi sulla spalla.
-Mi dispiace-.
Quando riaprì le palpebre, dopo alcuni secondi, vide il viso di Caterina velato di malinconia, gli occhi appena un po’ più lucidi.
-Non so che dire- disse ancora, a mezza voce – Però se c’è una cosa che ho capito, è che non era proprio la persona migliore da avere accanto. Forse non è tutto così negativo come può sembrare-.
Alessio sbuffò debolmente, un sorriso amaro e privo d’allegria che gli distendeva le labbra:
-Vero, ma mi sento uno schifo comunque-.
Andò a sedersi lentamente sul bordo del letto, attendendo che Caterina facesse lo stesso: quando gli si sedette di fianco, in attesa, Alessio si schiarì la voce, la vista che si faceva offuscata e gli occhi già arrossati che ricominciavano a bruciargli.
-Non so bene perché l’ha fatto- mormorò, lo sguardo puntato dritto davanti a sé, vacuo – Forse si è solo rotto il cazzo di rimanere e basta-.
Si rese conto di aver parlato più aspramente di quel che si era immaginato, ma non fece nulla per correggere il tiro.
-È normale essere arrabbiati ora- replicò Caterina – Penso che lo sarei anche io al posto tuo-.
-Non sono arrabbiato- tentò di dire Alessio, schiarendosi la voce – Cioè, lo sono … Ma non è solo quello-.
“Sarebbe molto più facile se lo odiassi e basta”.
Non aggiunse altro, mentre si torturava le mani rinchiuso nel silenzio al quale si era votato. Nemmeno Caterina disse qualcosa per qualche minuto: si limitò a lanciargli qualche occhiata furtiva – anche se non la vedeva, Alessio ne percepiva il peso addosso-, le loro spalle che si toccavano per la vicinanza mentre rimanevano seduti fianco a fianco.
-E ora che farete?-.
A quella domanda di Caterina una risposta Alessio non l’aveva ancora trovata.
-Non ne ho idea- ammise, dopo alcuni secondi – Credo che l’unica certezza sia che sparendo non ci farà avere nulla, nessun aiuto, neanche economico … Quindi anche niente università per me. Non subito, almeno-.
Gli si strinse il cuore, mentre pronunciava a fatica quelle parole. Aveva cercato di accantonare il più possibile quella consapevolezza, ma era altrettanto cosciente di non poter fare finta di nulla in eterno: la verità era che, insieme alla sua presenza, suo padre si era portato via con sé anche ben altro.
Ad andarsene c’erano i sogni su cui aveva fantasticato per anni, i progetti a cui aveva pensato in ogni minimo particolare, la fatica per trovarsi pronto a quel passo che aveva atteso così tanto.
Stavano svanendo sempre di più, sempre più lontani dalla sua portata.
-Puoi lavorare e metterti da parte qualcosa- cercò di incoraggiarlo Caterina, sforzandosi di apparire ottimista – Sono sicura che esiste un modo-.
Alessio si girò verso di lei a malapena, la voglia di piangere ancora che stava tornando prepotentemente:
-Può darsi- borbottò, il groppo in gola che gli impediva quasi di parlare – Ma niente sarà più come prima-.
Caterina annuì debolmente:
-Sì, probabilmente non lo sarà-.
Allungò ancora una volta un braccio verso di lui, passandoglielo attorno alle spalle in una sorta di abbraccio un po’ impacciato.
-Non sei solo, questo te lo devi ricordare-.
Mentre faceva cadere il capo sulla spalla di Caterina, chiudendo gli occhi e facendo crollare le ultime difese che gli rimanevano prima di trattenersi al pianto, Alessio si ritrovò a pensare inesorabilmente che, a dispetto di tutto, invece era proprio così che si sentiva: così solo al mondo da sentirsi soffocare dalla sua stessa solitudine.
 
*
 
You can leave a hole like a nail in my head
You can leave me turned into nothing instead
You can leave me close to the edge
You won't ever hear me hit the ground

 
Si sistemò meglio tra le coperte, sospirando a fondo e cercando di non far caso alla totale mancanza di sonno quando ormai mezzanotte era già passata da un po’.
Alessio rimandò ancora di qualche minuto il momento di spegnere la lampada sul suo comodino. Fuori dalla finestra la pioggia continuava a cadere, come del resto era stato per tutto il resto del giorno: anche quando Caterina se ne era andata, lasciandolo di nuovo solo, il temporale primaverile non aveva accennato a calmarsi.
Si dimenò nervosamente ancora una volta tra le coperte, cercando una posizione comoda che potesse conciliargli il sonno. Stava andando avanti così da circa un’ora: aveva la mente annebbiata dalla stanchezza, le membra che quasi gli dolevano, ma non riusciva a chiudere gli occhi e lasciarsi andare.
Per un attimo soppesò l’idea di mettersi a leggere qualcosa: erano anni che non leggeva prima di andare a dormire, ma in quel momento, forse, era una delle poche opzioni utili che gli si presentavano davanti. Fece per alzarsi, ma si bloccò subito, non appena resosi conto che qualcuno aveva appena bussato alla porta chiusa della sua stanza.
Prima che potesse rispondere qualsiasi cosa, la porta venne aperta di scatto, e prima ancora di riuscire a riconoscere la persona che stava entrando, Alessio sapeva già con certezza che non poteva che essere Irene: solo sua sorella si azzardava ad entrare senza aspettare il suo permesso, dandogli un unico preavviso bussando brevemente.
Se ne rimase seduto a letto, osservando la testa bionda di sua sorella fare capolino sulla soglia della porta; con il corpo minuto fasciato dal pigiama rosa e verde, e i lunghi capelli chiari che le ricadevano lungo la vita, dimostrava molti meno anni dei suoi quasi quattordici.
Incrociò le braccia contro il petto, la sua solita aria di sfida che non era venuta meno nemmeno in quel momento:
-Sei diventato sonnambulo?-.
-Potrei farti la stessa domanda- replicò Alessio, alzando un sopracciglio – Non devi andare a scuola domani mattina?-.
Sperò che gli rispondesse di sì: non voleva che lo prendesse ad esempio e saltasse giorni di scuola, non quando erano gli ultimi dei suoi anni alle medie e che precedevano di poco gli esami.
-Sì, e in teoria dovresti andarci anche tu- obiettò lei, tutt’altro che intimorita.
Alessio alzò le spalle, con nonchalance:
-Sono maggiorenne, posso decidere da me se andare o no-.
Sua sorella gli lanciò un’occhiata fulminante che lo fece perlomeno sorridere; non lo avrebbe mai ammesso davanti a lei, ma era stata l’artefice dell’unico sorriso degli ultimi tre giorni.
Rimasero in silenzio per qualche istante: Irene non accennava a muoversi, ed Alessio cominciava a chiedersi per quale motivo fosse venuta da lui a quell’ora. Da che aveva memoria non ricordava altre volte in cui sua sorella era venuta in camera sua di notte, prima di andare a dormire.
-Stavi per spegnere la luce?- gli chiese, più esitante di quel che Alessio si sarebbe aspettato.
Sospirò, ben conscio che non sarebbe stato molto credibile nel dirle di sì:
-Non esattamente- ammise, a mezza voce.                     
Sua sorella gli lanciò un’occhiata indecifrabile, rimanendo silenziosa ancora per un po’. Quando infine sciolse la posizione in cui era rimasta, si avvicinò di qualche passo, dopo aver richiuso la porta dietro di sé; nella penombra della stanza Alessio non riuscì ad osservarla bene in viso, non a sufficienza per riuscire a dire con certezza che fosse arrossita.
-Allora potremmo fare i sonnambuli insieme- gli disse infine, muovendo altri passi verso il letto di Alessio, la voce che sotto la sicurezza apparente lasciava intendere la sua esitazione.
La guardò per un attimo meravigliato, come se non fosse del tutto sicuro di aver capito bene: sua sorella che decideva di rimanere lì con lui era una cosa così insolita che si ritrovò a non sapere come reagire.
-In pratica ti sei autoinvitata qui- commentò, sbigottito. Si rese conto di essere stato involontariamente troppo duro, ma Irene sembrò non badarvi: da spaccona quale era non si fece frenare da quell’osservazione.
-Stai zitto- lo rimbrottò, mentre scostava le coperte dal lato lasciato libero da Alessio per infilarcisi sotto, con movimenti veloci – Solo cinque minuti-.
Alessio si fece un po’ più da parte, lasciandole maggiormente spazio. In quel letto da una piazza e mezza stavano stretti, e si ritrovò a pensare che avrebbero potuto tranquillamente rischiare di cadere a terra con un solo movimento sbagliato; si rintanò in un angolo del materasso, lasciando ad Irene più spazio possibile.
I capelli biondi e lucidi di sua sorella si sparsero sulla parte del cuscino che Alessio le cedette; si era stesa di fianco, il viso rivolto verso di lui, l’aria di sfida che aveva lasciato posto ad uno sguardo perso, stanco.
Sentì il cuore stringersi, nel vederla così: era più testarda di lui, e sapeva perfettamente che non avrebbe mai ammesso a voce alta quanto fosse difficile anche per lei, ma non gli serviva sentirglielo dire per leggerglielo in faccia.
-Puoi anche restare- mormorò Alessio, allungando una mano per accarezzarle i capelli. Erano lisci e morbidi, piacevoli da toccare; in qualsiasi altra situazione Irene gli avrebbe urlato di smetterla per non spettinarglieli, ma in quel momento non lo fece. Lo lasciò fare, sospirando pesantemente contro il tessuto del cuscino.
-Credo che nemmeno la mamma stia dormendo molto negli ultimi giorni- si lasciò sfuggire con un filo di voce, alzando appena gli occhi verdi verso di lui.
Alessio sbuffò appena, sconsolato:
-Un po’ come tutti in questa casa-.
L’unica cosa che, il giorno prima, Eva gli aveva detto era che non aveva alcuna idea di dove potesse essere andato Riccardo. Non si era lasciato sfuggire dettagli del genere, né probabilmente l’avrebbe fatto in futuro; era uscito dalle loro vite da appena tre giorni, e ad Alessio cominciava già a sembrare un’eternità lunga una vita intera.
Ripensò, per un attimo, a quel che aveva detto a Caterina quel pomeriggio stesso, quando aveva realizzato quanto tutto sarebbe cambiato da quel momento in avanti. Il solo riportare quel pensiero a galla gli fece venire la nausea.
Abbassò lo sguardo su Irene, scoprendola girata verso di lui con sguardo vacuo.
Sperò con tutto il cuore che almeno lei riuscisse a superare quella situazione con il meno dolore possibile; almeno lei non doveva rimanere appigliata a quello schifo in cui si trovavano a nuotare dentro fino al collo.
-Cerca di stare tranquilla-.
Continuò ad accarezzarle il capo e i capelli fino a quando non la vide abbassare le palpebre, stringendosi nelle coperte come se fossero l’unico appiglio per la salvezza.
-Andrà tutto bene- le sussurrò ancora, contento che, nel tenere gli occhi chiusi, non potesse scorgere il velo della menzogna che sentiva di averle appena detto.
Si chiese, mentre chiudeva gli occhi a sua volta, se prima o poi avrebbe trovato sul serio una via di fuga da tutto quello. Forse nemmeno ne esisteva una.
 
‘Cause I'm floored but not broken
And I'm scarred but I'll heal
I'm blissfully tortured, naked and real




 
*il copyright delle canzoni (Dead by Sunrise - "Let Down", Mark Owen - "Close to the edge") appartiene escluviamente ai rispettivi artisti ed autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Ebbene sì, siamo giunti al capitolo 30, e stavolta pubblicato per intero!
Se da un lato, in questo capitolo, abbiamo una Giulia felice e serena nonostante le mille domande di Caterina e Pietro, dall'altro c'è Alessio che, ormai come anticipato, è arrivato alla svolta peggiore che potesse immaginare (e così, finalmente stiamo scoprendo meglio quel che gli sta succedendo).
Se in un primo momento ha ignorato volutamente i suoi amici, evitandoli del tutto, Caterina ha provato comunque in tutti i modi a comunicare con lui, trovando più volte un muro di fronte a sé e, alla fine, riuscendo un po’ a farlo aprire. Ora che Alessio si è lasciato andare e si è finalmente confidato con qualcuno, le cose potranno migliorare pian piano, oppure ci saranno altri problemi che si accaniranno su di lui?
Ci rivediamo mercoledì 29 maggio con il capitolo 31!

Kiara & Greyjoy



 
 
 
 
   
 
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