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Autore: Amy W Gildeary    15/05/2019    1 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 18 - La Ruota della Fortuna

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta della Ruota della Fortuna ha molti significati: l’inizio dell’individualità, energia creativa, ma anche spirito creativo. Indica inoltre la riuscita attraverso opportunità e occasioni. Naturalmente, il successo è aiutato dalla fortuna che, a volte, dona senza richiedere meriti individuali. Può indicare situazioni remunerative, ma non continuative.
Al negativo, però, indica instabilità, positività incostante.

 

 

 

            «Quanto tempo credete che servirà alle guardie per notare la mia scomparsa?», domandò Gemma, scostando il pesante tessuto che copriva la porta. Suo malgrado, Leonardo dovette spostare la presa dalla vita alla spalla, per permetterle di compiere il movimento.

            «Abbastanza perché voi mi facciate fare un giro completo degli Archivi».

            «Continuate tranquillamente a crederlo», rispose lei con tono asciutto, girando il crocifisso che fungeva da leva per aprire il passaggio.

            «Chi sospetterebbe mai di una vostra scomparsa involontaria o del fatto che siate tenuta contro la vostra volontà negli Archivi? I vostri uomini vi temono e vi considerano troppo in gamba perché un’eventualità del genere possa accadere», spiegò da Vinci, seguendola attraverso il passaggio ed avendo cura di restarle ben vicino.

Senza accorgersene, Gemma si ritrovò con un accenno di sorriso dipinto sulle labbra.

            «Un velato complimento, artista?»

Leonardo dovette mordersi la lingua per non lasciarsi sfuggire qualcosa di decisamente troppo esplicito, con ogni probabilità riguardante quali fossero le lodi e le lusinghe che avrebbe tanto voluto tessere in suo onore.

            «Potrebbe essere il primo di una lunga serie», rispose l’artista, la mano che prima era poggiata sulla spalla che lentamente iniziava a vagare verso la clavicola e il colletto della giacca.

            «Potreste aver finalmente destato la mia attenzione», ribatté la contessa Riario, sperando di dare alla frase un tono provocatorio, a celare la genuina curiosità che sentiva nel petto.

            «Dopo aver finito qui sono certo che potrei proseguire», rispose Leonardo, con un sorrisetto soddisfatto che lei però non poteva vedere. «Vi assicuro, Gemma, che è una lista molto lunga», aggiunse in un sussurro, sfiorandole l’orecchio con le labbra.

Quando voltarono l’angolo, la giovane donna si chiese se ricordava ancora la strada da percorrere, tanto si sentiva stordita dalle ultime parole pronunciate. E non andava bene. Non andava bene per niente.

Non doveva reagire in quel modo, il massimo che poteva concedersi di provare era una sana soddisfazione nel vedere gli effetti delle sue provocazioni. Non il desiderio di sentirlo proseguire, di scoprire cosa avesse da dirle, di sentirlo di nuovo parlarle ad un soffio dalla pelle.

            «Eccovi giunto negli Archivi Segreti del Vaticano», affermò lei bruscamente, prima che i suoi pensieri sfuggissero al suo stesso controllo, e si fermò al centro del corridoio.

Leonardo si allontanò di qualche passo ed iniziò a guardarsi intorno, sempre mantenendo la balestra puntata verso la contessa. Dopo qualche momento di silenzio, però, scoppiò in una fragorosa risata.

            «Dovrei sentirmi offeso?», chiese lui, tornando di nuovo di fronte a Gemma.

            «Offendere implica sminuire delle qualità. Ma non si può sminuire qualcosa che non esiste», rispose la giovane donna, con un sorriso di finta cortesia.

            «Davvero mi credete così stupido da cascarci?»

            «Oh, lo credo. Eccome».

Stava prendendo tempo, e lo sapevano entrambi, ma assaporare di nuovo quelle loro tipiche conversazioni, quei loro tipici toni di sfida e provocazione, era così piacevole da non riuscire a smettere, e le settimane passate l’uno lontano dall’altra erano solo un incentivo in più.

            «Non apprezzate una sana sfida, artista? Non si riceve mai niente per niente», lo punzecchiò la contessa, incrociando le braccia al petto e inclinando la testa di lato.

            «Io adoro le sfide», mormorò da Vinci, iniziando ad avvicinarsi, e il suo sguardo fu immediatamente catturato dalle labbra della giovane donna davanti a lui. «E voi, Gemma, siete una sfida a cui è impossibile resistere», proseguì in un bisbiglio, arrivando ad un soffio da lei.

            «Eppure…», iniziò la giovane Riario, spostando anche lei lo sguardo dagli occhi alla bocca dell’artista. «…per qualche ragione, state opponendo resistenza», ed entrambi si chiesero se fosse solo un’osservazione, o un invito a smettere di resistere.

            «Portatemi negli Archivi Segreti e smetterò di farlo», proseguì l’uomo, con la voce roca.

            «E se non lo facessi?»

Le parole di Gemma, il suo tono di voce, la sua vicinanza… Leonardo stava per cedere, lo sentiva. Sapeva che starle vicino comportava sempre un rischio del genere, così come sapeva che, da parte della contessa Riario, non c’era alcuna emozione di fondo, alcun sentimento, solo un’accondiscendenza mirata a raggiungere uno scopo. Fu quel pensiero l’unica arma in grado di risvegliarlo, quando ormai la distanza tra lui e la giovane donna stava per essere colmata definitivamente.

Si allontanò di qualche passo e si premurò di distendere di nuovo il braccio destro, sottolineando il suo vantaggio: la balestra. Nonostante tutto, volle comunque provare a studiare la sua espressione, per cercare di cogliere qualche indizio su cosa lei stesse provando in quel momento.

Forse era vittima di allucinazioni, forse la prolungata mancanza d’aria che lo aveva quasi soffocato nella sua tuta per le immersioni gli stava giocando brutti scherzi, ma avrebbe giurato di aver visto una punta di amarezza nei suoi occhi, una nota di delusione. Ebbe appena un paio di secondi per osservarla, prima di vederla voltarsi e ricominciare a camminare verso l’altra parte della stanza.

            «Vista la vostra ossessione per i tesori della Chiesa, forse potrebbe interessarvi un’altra offerta», disse Gemma, continuando a dare le spalle all’artista.

Da Vinci ebbe subito il brutto presentimento che un altro subdolo trucchetto stesse per colpirlo, e si sbrigò a raggiungere la giovane donna, ma solo per premere di nuovo la balestra contro la sua schiena.

            «Camminate, contessa. Io vi ascolto molto attentamente», rispose lui, sinceramente curioso di conoscere tale proposta, nonostante il suo obiettivo fosse e rimanesse la seconda chiave.

Nel mentre, Gemma raggiunse il maestoso tavolo al centro della sala, e si voltò verso Leonardo indossando la sua imperscrutabile maschera di indifferenza.

            «Se siete negli Archivi Segreti del Vaticano, è perché cercate un tesoro. E sono certa che ci sia qualcosa di prezioso che potreste volere», disse, accompagnando la parola prezioso con un che di malizioso, e Leonardo non poté fare a meno di squadrarla da capo a piedi, al solo pensare ai possibili sottintesi.

            «Invero, c'è più di un tesoro negli Archivi che ha destato il mio interesse», mormorò l’artista, soffermando lo sguardo negli occhi di Gemma

            «Potremmo dunque giungere ad un accordo», rispose lei, soddisfatta, prima di abbassare il tono della voce. «Un accordo… estremamente vantaggioso, per entrambi», aggiunse, e sul suo volto ricomparve la tipica espressione maliziosa che tanto la caratterizzava.

            «Vi ascolto», accettò Leonardo, più attratto da quello sguardo che dall’offerta in sé.

            «Posso fare in modo che voi diventiate il nuovo curatore degli Archivi Segreti. Tutti i suoi tesori…», e di nuovo da Vinci si chiese se la sua particolare scelta di parole, con tutti i loro possibili significati, fosse intenzionale. «…a vostra completa disposizione. La possibilità di avere quanto più bramate al mondo».

 

            «Non è la conoscenza il bene che più agognate?»

            «Non sono più sicuro nemmeno di questo».

            «Dunque cosa desiderate, per davvero?»

 

Per un attimo la rivide, davanti a lui, vestita di bianco e ricoperta da piccoli e brillanti cristalli, il suo sguardo che implorava di avere una risposta. E un attimo dopo ricomparve l’altro suo volto, la cupa divisa del Vaticano e la sola intenzione di ingannarlo a guidare le sue azioni.

Dovette sbattere le palpebre più e più volte per recuperare la lucidità, ma lo sforzo non fu nemmeno paragonabile a quello necessario per ricordare qual era stata l’ultima frase detta.

            «Proposta allettante», mormorò, deglutendo a fatica. «Molto… allettante», gli sfuggì dalle labbra. «Tuttavia, ho la tendenza a non accettare prima di aver visto con i miei occhi questi… tesori», proseguì, riacquistando un minimo di contegno.

In tutta risposta, Gemma gli fece cenno di raggiungerla e di salire sull’imponente tavolo di metallo, invito che l’artista accettò senza però mai abbassare l’arma.

            «Posso fare molto più di questo», sussurrò lei, con uno sguardo che mise a dura prova l’autocontrollo dell’artista. «Se vedere con i vostri occhi non è sufficiente...», continuò, mentre si avvicinava alla leva. «...forse vi convincerà la possibilità di... toccare con mano».

Con un gesto secco, azionò il meccanismo segreto del tavolo il quale, dopo qualche scossa di assestamento, cominciò a scendere in uno spazio buio e angusto. Diversi secondi dopo, la piattaforma si fermò, e la vista degli scaffali colmi di libri fu sostituita da quella di un’imponente porta di legno massiccio.

Gemma la raggiunse e con una lieve spinta la aprì: oltre la soglia, apparve una cupa galleria sotterranea, fredda e umida, illuminata solo da un paio di fiaccole appese alle pareti ad intervalli regolari l’una dall’altra.

            «E se io, futuro curatore degli Archivi Segreti del Vaticano…», iniziò Leonardo, cercando di restare serio, ma non riuscì a trattenere una risatina divertita a quell’ipotesi. «…volessi cercare qualcosa legato al Libro delle Lamine?»

Sicuro di averla messa in difficoltà, rimase molto sorpreso nel vederla voltarsi verso di lui con aria tranquilla e sicura di sé.

            «Una delle sue pagine potrebbe essere di vostro gradimento?», domandò Gemma, con noncuranza.

            «Per incominciare… sì, potrebbe», rispose lui, mascherando al meglio il suo stupore.

            «Dunque, seguitemi», disse la contessa, prima di incamminarsi lungo la galleria.

Più tempo passava, più aumentavano le probabilità che le sue guardie notassero l’improvvisa assenza del braccio destro del papa. Gemma stava prendendo tempo come meglio poteva, ma privata di spada e stiletto era davvero con le spalle al muro. A suo favore, però, si presentava la sua profonda conoscenza degli Archivi e, soprattutto, delle armi disseminate al loro interno.  

Doveva solo muovere qualche altro passo in avanti, e avrebbe trovato una delle preziose lance lì custodite, pronta per essere afferrata ed usata.

Nei suoi calcoli, sfortunatamente, non erano compresi i crescenti dubbi di Leonardo riguardanti il suo strano comportamento, più incoerente ed irrazionale del solito. Un attimo prima la vedeva maliziosa e sicura di sé come in tanti altri precedenti scontri, quello dopo invece era nervosa, tesa e turbata. Leonardo aveva notato tutti quei piccoli segnali, ed era pronto a vedere un altro improvviso cambiamento da un momento all’altro.

Ragion per cui, quando la vide scattare verso una delle sporgenze della parete, con ogni probabilità per afferrare un qualsiasi oggetto per difendersi, fu pronto a fermarla. La afferrò per un braccio e la spinse contro il muro di pietra della galleria, bloccata tra di esso e il corpo dell’artista.

Dopo un primo istante di smarrimento, il respiro di Gemma si fece conciso e irregolare, sconcertata dall’essere stata fermata ancor prima di riuscire a mettere mano ad un’arma. In un qualsiasi altro momento, avrebbe di certo trovato qualcosa di velenoso e tagliente da dire, ma in quel momento, con la sensazione sempre più forte che i vestiti iniziassero ad essere di troppo, non riuscì nemmeno a pensare, figurarsi a parlare.

Perfino da Vinci si ritrovò costretto a prendersi qualche istante di silenzio, resosi conto della totale mancanza di spazio tra i loro corpi. Fu ancora più sorpreso, però, di non udire nemmeno una parola da parte della sua avversaria, e capirlo lo spronò a cogliere l’occasione al volo.

            «Posizione interessante, Gemma», mormorò Leonardo ad un soffio dalle sue labbra, prima di chinarsi su quanto del suo collo era lasciato scoperto dalla divisa. «Non trovate anche voi?», aggiunse, sfiorandole la pelle con la punta d­­­el naso.

            «Niente…», iniziò la contessa, costretta purtroppo ad interrompersi per assicurarsi di avere ferma la voce. «…che non ci sia mai successo».

            «Avete ragione, ma ogni volta è piacevole come la prima», rispose l’artista, con un sorriso malizioso. «Specialmente a ruoli invertiti».

            «Non avete perso il vizio di sopravvalutarvi».

            «E voi quello di provocarmi», e per non darle modo di ribattere, le sfiorò il lobo dell’orecchio con le labbra, prima di mordicchiarlo lentamente, e sorrise compiaciuto sentendola tentare di soffocare un sussulto di sorpresa.

Lentamente, Leonardo ripristinò un minimo di distanza e puntò di nuovo il suo sguardo negli occhi di lei, incapace di celare il sorrisetto di s­­­­­­­oddisfazione che si era dipinto sulle sue labbra.

            «Mi avevate promesso una pagina del Libro, se la memoria non mi inganna», mormorò lui con finta perplessità.

Raramente Gemma aveva provato sulla propria pelle l’amaro sapore dell’orgoglio ferito, ma in quel momento si sentì bruciare dall’indignazione e dalla frustrazione, scoprendo di non volere altro che la possibilità di restituire il favore all’arrogante artista che aveva di fronte.

            «Non siete interessato agli altri tesori che la precedono?», gli chiese, e il suo sguardo era una chiara conferma del velato sottinteso.

            «Assolutamente no», ribatté però Leonardo, facendo spallucce.

Gemma sospirò pesantemente, alla ricerca di un autocontrollo che però, in quel momento, non sarebbe mai giunto in suo aiuto, e si staccò dalla parete alle sue spalle, ritrovandosi di conseguenza ancora più vicina al viso dell’artista. Fece per incamminarsi verso il resto della galleria e continuare, suo malgrado, il percorso, ma Leonardo spinse il proprio corpo contro il suo, imprigionandola di nuovo tra lui e il muro.

Se solo gli sguardi avessero avuto il potere di uccidere, da Vinci avrebbe visto la sua fine in quella cupa e umida galleria segreta.

Al contrario, lo sguardo di Leonardo la stava osservando con molta attenzione, venato di malizia, e soffermatosi sugli occhi iniziò a percorrerle il viso, indugiando sulle labbra, fino a giungere alla costrizione della divisa del Vaticano. Quando poi vide la, ormai familiare, sciarpa di seta scura, un’idea gli balenò in testa.

Gemma era una spia perfettamente addestrata, pericolosa, difficile da tenere sotto controllo, e avrebbe potuto tentare di attaccarlo di nuovo in qualsiasi momento, forse riuscendoci. Da Vinci si aggrappò a quel pensiero per giustificare quanto stava facendo: stringere i polsi della contessa tra le mani, trattenerli entrambi con una mentre l’altra lentamente scioglieva il nodo della sciarpa.

Una scena già vista, che lo aveva tormentato giorno e notte senza accennare ad una tregua, ma che riusciva a strozzargli il respiro in gola ogni singola volta. E a giudicare dalla postura tesa della giovane donna, anche la sua capacità di inspirare ed espirare era messa a dura prova.

            «Non vi state opponendo», mormorò l’uomo, così come aveva fatto quella notte nel vicolo.

A differenza di quell’incontro, però, la contessa Riario non fiatò, nemmeno un flebile sussurro, e per le labbra di Leonardo piegarsi in un ghigno soddisfatto fu una tentazione irresistibile.

Gemma non avrebbe mai pensato, nemmeno nelle sue ipotesi più irrazionali, di ritrovarsi un giorno con la sensazione di essere un topolino in gabbia, metaforicamente e letteralmente con le spalle al muro per colpa di Leonardo, di essere oppressa dal turbamento. Eppure, quando il suo sguardo seguì le mani dell’artista e le vide usare la sua sciarpa per legarle i polsi, la tentazione di scappare via divenne insopportabile. E pregò con tutte le sue forze che il suo sguardo non facesse trapelare quelle emozioni.

            «Non lo trovate anche voi… tremendamente eccitante?», mormorò da Vinci, prima di serrare definitivamente il nodo.

            «Oh sì, sono divorata dal desiderio...», rispose Gemma, la voce impregnata di sarcasmo come sua unica arma di difesa. «…di tagliarvi la gola», aggiunse poi, sollevando lo sguardo negli occhi di Leonardo e fulminandolo.

            «Sarei curioso di sapere come fareste», sussurrò lui, così vicino alle sue labbra da sfiorarle.

            «Ho dimostrato più e più volte di sapervi sorprendere».

            «Sorprendetemi, dunque».

Gemma ebbe la netta sensazione che quella distanza stesse per essere colmata, una volta per tutte, e la ormai crescente convinzione che quel gesto sarebbe stato il punto di non ritorno fu la sua voce della ragione, l’arma che la convinse a voltare il capo verso la galleria, lo sguardo puntato verso quella che, con ogni probabilità, era l’ubicazione della pagina. I suoi occhi non accennarono a muoversi, né il suo corpo tentò una qualsiasi mossa, e Leonardo capì che così sarebbe rimasta, se lui non avesse mosso almeno un passo indietro.

A passi piccoli e lenti, un po’ per prendere altro tempo e un po’ per non dargli motivo di imprigionarla di nuovo, Gemma percorse la galleria in silenzio, seguita dall’artista alle sue spalle, fino a raggiungere un blocco di marmo grezzo nel mezzo del corridoio.

            «Eccola», disse la giovane donna, molto più bruscamente di quanto volesse.

Perplesso, Leonardo iniziò a guardarsi intorno, pensando a un qualche tipo di trucco o manipolazione messo in atto dalla contessa, ma non trovò niente che lo aiutasse a capire.

            «Oh oh, il vostro piano ha una falla», mormorò Gemma, con una punta di soddisfazione.

            «Mi piacerebbe sapere qual è», rispose da Vinci, raggiungendola alle sue spalle.

            «Mi servono le mani libere», spiegò la contessa, sollevando i polsi a sottolineare il concetto.

            «E che cosa vorreste farne?», le sussurrò Leonardo all’orecchio, e un istante dopo le sue mani si poggiarono sul corpo di Gemma, all’altezza dei fianchi.

Con una lentezza straziante, incominciarono a risalirle la vita, la schiena e poi le spalle, prima di scendere di nuovo lungo le braccia e terminare quel percorso sui polsi ancora fasciati dalla seta. E suo malgrado, la contessa sentì ogni cosa, ogni istante di quel tocco, ogni parte del suo corpo bruciare in risposta, e gli occhi chiudersi e assecondare quel piacere.

Solo quando lo sentì sospirare pesantemente sulla sua pelle, parve ritrovare un briciolo di lucidità, il minimo per ribattere senza tradirsi.

            «A parte uccidervi, s’intende?», chiese lei, con un filo di voce.

            «A parte uccidermi», ripeté Leonardo, soffocando una risata divertita contro il suo collo, rendendole molto difficile trattenere un sospiro di piacere.

            «Esaudire quanto avete chiesto», fu la risposta della giovane donna, con tutti i suoi possibili significati.

            «Io vi ho chiesto una pagina del Libro delle Lamine, niente che implichi l’uso di queste splendide mani».

            «Come tutte le cose preziose, anche la pagina è ben custodita».

            «Oh… capisco», mormorò l’artista, con scarsa convinzione e, soprattutto, poca intenzione di allontanarsi. «Ditemi dov’è, dunque».

            «Proprio davanti a voi, ma è tipico di voi uomini non riuscire a vedere nemmeno quello che si trova ad un palmo dal vostro naso», ribatté Gemma, prima di agitare nuovamente i polsi in un gesto eloquente.

Leonardo però ebbe bisogno di qualche altro secondo per pensarci, chiedendosi se fosse l’ennesimo trucco oppure, per una volta, la verità. Lentamente, ed indugiando ben oltre i limiti del consono, raggiunse con le proprie mani quelle della contessa, ed iniziò a sciogliere il nodo di seta.

            «Spero di avere di nuovo l'onore di poter utilizzare questa sciarpa», le sussurrò all’orecchio, mentre lasciava cadere a terra il lembo di stoffa. «Magari, in un luogo più consono», aggiunse, con voce roca.

            «Chi può dirlo, artista», mormorò Gemma, e la sua mente non fece in tempo a fermare quel pensiero prima che si trasformasse in parole.

Travolta dal terrore che potesse accadere di nuovo, si sbrigò a trovare altro su cui concentrare la propria attenzione. Con le mani finalmente libere, afferrò il bordo della teca che sporgeva appena appena dal blocco di marmo, e sollevò il quadro di vetro contenente la pagina.

Tutta la spavalderia che ormai costituiva la firma di Leonardo evaporò nel momento in cui i suoi occhi si posarono sul quel tesoro. La pagina non era sicuramente nelle sue migliori condizioni: i bordi sgualciti, delle pieghe troppo marcate perché la teca di vetro potesse distenderle, il materiale ingiallito. Nonostante tutto, però, sembrava brillare di luce propria.

Incassata nel blocco di marmo si trovava una fiaccola accesa e, dopo alcuni istanti di smarrimento, l’artista la afferrò e la avvicinò all’involucro di vetro, per osservare meglio i tratti d’inchiostro che tempestavano la superficie del manufatto.

­­­­Si accorse che Gemma aveva, a sua volta, allungato una mano e stretto il manico di legno solo nel momento in cui la fiamma venne fatta da lei ondeggiare davanti alla pagina, da parte a parte. Ogni volta che la luce le passava davanti, i simboli scritti mutavano.

            «Le parole cambiano ad ogni sguardo, e non hanno mai lo stesso contenuto», spiegò Gemma, dando voce agli stessi pensieri che ronzavano in testa all’artista. «E in ogni caso le informazioni sono scritte in lingue completamente sconosciute».

            «Incredibile», mormorò da Vinci, con un filo di voce.

Il giovane fiorentino afferrò nuovamente la torcia e riprovò a compiere lo stesso movimento, più e più volte, e puntualmente la pagina assumeva un aspetto sempre nuovo.

            «È stata recuperata a Firenze anni fa, ma in tutto questo tempo nessuno è mai riuscito a leggerla o a tradurla», continuò Gemma, senza mai distogliere lo sguardo da quel foglio, così piccolo e insignificante all’apparenza, eppure tanto potente e pericoloso.

            «È un enigma», sussurrò lui sospirando, ancora alle spalle della contessa Riario.

            «Esattamente», concordò lei, con un fil di voce.

            «Se solo riuscissi a risolverlo…»

E a quelle parole, la giovane donna ricordò improvvisamente ogni cosa: il suo ruolo, la sua missione, il suo posto… e il sapore amaro della delusione le strozzò per un attimo il respiro in gola. Se da Vinci non avesse accettato di collaborare con la Chiesa, si sarebbe ridotto tutto ad una sola scelta: la vita dell’artista o quella della contessa, e Gemma non era più tanto sicura di meritare di conservare la propria.

Forse, ponendolo davanti all’idea che un solo non era nulla al confronto di quello che avrebbe potuto avere trovando il libro, sarebbe riuscita a trovare il suo punto debole.

            «Il Vaticano può offrirvi tutte le risorse di cui avete bisogno, non dovete fare altro che chiedere», disse la contessa, grata di dare ancora le spalle all’artista e di non permettergli di vedere l’amara espressione dipinta sul suo volto.

Lo sentì chiaramente, a un soffio dal suo viso, sospirare sconsolato per l’ennesimo tentativo di convincerlo a sottomettersi a Roma, e un attimo dopo muovere un passo indietro, allontanandosi dalla pagina.

            «Mettermi al servizio della Chiesa? Di papa Sisto? Mai», rispose Leonardo, asciutto.

            «Non si fermerà davanti a nulla, finché non vi avrà», mormorò Gemma, e si voltò in modo da poterlo guardare negli occhi, per fargli capire con il suo sguardo, e non solo con le parole, che stava rischiando molto più di quanto il Libro potesse valere.

            «Non mi avrà, se è questo a preoccuparvi», rispose da Vinci con un velo di diffidenza, nonostante crederle e fidarsi di lei fosse quanto di più bello potesse sperare di fare.

            «Non è preoccupazione, è una certezza», precisò la giovane donna. «Ho visto più e più volte di che cosa è capace il Santo Padre».

Non erano i soliti toni con cui la contessa faceva capire, senza possibilità di equivoci, quanto serie fossero le sue intenzioni, e a Leonardo sfuggì un lieve sorrisino di compiacimento.

            «Vi state forse dando pena per me? Avverto dell’apprensione nella vostra voce».

            «Come ho già detto, non brillate certo per perspicacia. Non è niente di diverso dalle molte altre minacce che vi ho rivolto in passato», e Gemma avrebbe pagato oro per essere libera di dirgli che non era una questione di non voler provare dei sentimenti, ma di non poterlo fare.

            «Ne siete davvero certa?», indagò Leonardo, avvicinandosi di nuovo al suo orecchio fino a sfiorarlo con le labbra, ormai piuttosto sicuro che la contessa ne fosse tutt’altro che indifferente.

            «…sì», mormorò Gemma con un filo di voce, dopo una esitazione che era durata troppo a lungo per non destare sospetti.

            «Non ci credete nemmeno voi», rispose da Vinci, senza il minimo accenno di volersi allontanare, e questo diede alla giovane donna un istante per chiudere gli occhi e tentare, con tutte le sue forze, di recuperare la sua razionalità, di negarsi quei sentimenti che tanto premevano per raggiungerla.

            «Ne sono certa», disse lei, e la sicurezza riemersa nella sua voce fu dolorosa. Per entrambi.

            «Anche io sono certo delle mie condizioni».

            «Rifiutarvi vi condurrà alla morte».

            «Morirei comunque, se dovessi lavorare per Roma», disse Leonardo, ripristinando un minimo di distanza tra i loro volti. «Magari non fisicamente, ma mentalmente sì. Roma non sarebbe altro che una gabbia: una splendida gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia».

            «C’è sempre un’altra scelta», riprovò Gemma, arrabbiata ed angosciata per la poca importanza che l’artista stava dimostrando per la sua stessa vita. «C’è sempre la possibilità di raggiungere un compromesso. Che cosa potrebbe convincervi?»

            «Non lascerei mai Firenze», rispose lui prontamente, e la contessa iniziò ad essere davvero esasperata.

            «Una collaborazione a distanza, dunque», tentò lei di nuovo, ma ricevette solo l’ennesimo cenno di rifiuto.

E fu in quell’istante, nel brevissimo momento in cui l’artista distolse lo sguardo dai suoi occhi, che Gemma vide la balestra, incustodita, in una delle tasche della cintura. E capendo che quella era la sua unica scelta, sentì il suo cuore spezzarsi.

            «Non voglio avere niente a che fare con Roma», mormorò da Vinci, rialzando lo sguardo in quello della giovane donna.

            «Ne siete certo, artista?», mormorò la contessa, con quel poco di voce rimasta, e per un attimo Leonardo avrebbe giurato di aver visto i suoi occhi colmi di dolore.

            «Mai stato così certo», rispose lui, ma più attento a lei che alle sue stesse parole.

La vide chiaramente combattuta, esitante, priva della risolutezza e della sicurezza che erano le sue firme, e in quel momento capì che c’era qualcosa che non andava.

Lo sguardo di lei indugiò un’ultima volta nei suoi occhi, prima che la sua mano scattasse verso la balestra e l’afferrasse.

Gemma fece appena in tempo a stringerla tra le dita e a tirarla fuori dalla tasca, che Leonardo le afferrò il polso e lo strattonò, affinché la sua presa attorno all’arma cedesse. Con l’altra mano colpì la balestra, facendola cadere a terra, e usò la presa attorno al polso di lei per far ruotare la giovane su sé stessa, attirandola di schiena contro il proprio petto. La sentì sussultare, nel momento in cui la distanza tra i loro corpi fu annullata, e in quel frangente da Vinci le afferrò anche l’altro braccio, bloccandole i movimenti.

Gemma però non si lasciò fermare, nonostante il notevole svantaggio: sollevò un piede e colpì il blocco di marmo che custodiva la teca, spingendo entrambi indietro verso la parete della galleria.

Leonardo sentì l’aria lasciargli i polmoni nell’impatto della sua schiena contro il muro, e suo malgrado la presa attorno al corpo della contessa si affievolì per un istante, ma abbastanza per permetterle di liberarsi. Lo sguardo dell’uomo vagò ovunque, e si fermò su una teca socchiusa proprio accanto a lui, contenente una spada.

Non si fermò nemmeno un istante a riflettere: se lo avesse fatto avrebbe esitato, sarebbe stato assalito dai dubbi, e non ne sarebbe uscito vivo. Gemma ebbe appena il tempo di liberarsi e correre verso la teca per recuperare la balestra, che Leonardo afferrò la lancia e la raggiunse. Le afferrò un braccio e la fece voltare di nuovo su sé stessa, bloccandola tra il marmo e il suo corpo, e un momento dopo la lancia premeva sul collo della contessa, proprio alla gola.

Gemma sentì il respiro bloccarsi per un momento, prima di forzarsi a calmarlo ed immobilizzarsi sotto la minaccia della lama. Si aspettava il taglio da un momento all’altro, sarebbe bastato davvero il benché minimo movimento per provocarle una ferita mortale. Eppure, da Vinci esitò, e invece di applicare pressione sull’arma, la applicò sul braccio che premeva contro il petto della contessa.

Ed in quel momento, la sentirono entrambi: la chiave, proprio sotto al tocco dell’artista, la camicia e la giacca che non potevano celarla.

La giovane donna vide lo sguardo incredulo di Leonardo abbassarsi su quel punto. Non c’era alcuna speranza che si fosse sbagliato, e Gemma capì che era giunta la sua fine.

Aveva fallito, per l’ennesima volta, e Sisto non avrebbe sicuramente sorvolato.

Aveva tirato troppo la corda, per l’ennesima volta, e Leonardo non l’avrebbe perdonata.

E non aveva nient’altro nella sua vita, niente che fosse dipeso dalle sue scelte, invece che da quelle di qualcun altro. Per l’ennesima volta.

Quando sentì i bottoni della camicia saltare e il tessuto strapparsi, scoprendo la seconda chiave, la contessa smise di respirare e serrò gli occhi, aspettando il colpo decisivo.

Era la fine, e lo sapeva.

I pochi secondi successivi le sembrarono i più lunghi e strazianti della sua vita, mentre temeva il dolore lancinante della sua ultima ferita da un momento all’altro.

Invece, un istante dopo, sentì una breve ma intensa pressione dietro il collo e subito dopo la catena della collana spezzarsi con un tintinnio, e non poté nulla contro il sussulto che lasciò le sue labbra.

Leonardo si allontanò di scatto e Gemma si accasciò a terra, il capo chino e il respiro affannoso mentre tentava di recuperare fiato, pochi secondi che però per lui furono preziosi per scappare via.

La contessa fece appena in tempo a vederlo chiudersi la porta alle spalle, prima che le guardie svizzere facessero irruzione nella galleria.

 

 

 

Angolo dell’autrice

Buonsalve a tutt*!

Spero di avervi suscitato abbastanza curiosità con lo scorso capitolo da farvi arrivare a questo con un po’ di trepidazione.

Capitolo lunghissimo, con il quale tutte le carte sono in tavola e ormai pochi segreti sono rimasti al sicuro. Attenzione: pochi, non nessuno.

Diciamoci pure che tra Gemma e Leonardo è difficile dire quale dei due fosse il più confuso e provato dalla situazione, diviso tra ‘Quello che devo fare’ e ‘Quello che voglio fare’. Ma tutto getta le basi per il gran finale, tra due settimane.

Ultimi saluti, ringraziamenti, ed eventuali cosine da comunicare, alla prossima volta.

Un bacione

Amy W. Gildeary

   
 
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