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Autore: _Turs_    15/05/2019    1 recensioni
"Esistevano delle persone nel mondo, sconosciute ai più, dotate di strani talenti, da chi leggeva i pensieri a chi poteva trasformarsi in esseri completamente differenti da sè con uno schiocco di dita. Erano una comunità chiusa, di cui poco si era a conoscenza tra i civili, ma si sapeva della loro esistenza. Solo, si preferiva evitare di parlarne in luoghi poco discreti.
Il Dottor John Watson aveva sempre pensato fosse un'ingiustizia che il suo amico Sherlock Holmes, dotato di per sè di una buona prestanza fisica ma sopratutto di un acuto ingegno a cui nessuno riusciva a paragonarsi, fosse dotato di questa particolarità."
-tratto dal testo
“Storia partecipante al contest "Un mare di AU", indetto da Maiko_chan sul forum di Efp”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: _Turs_
Titolo: Le Violon Blanc
AU: Magic!AU
Fandom: Sherlock Holmes
Personaggi e Pairing: Sherlock Holmes, John Watson, Sherlock/John
Genere: Sentimentale, Romantico
Rating: Giallo
Avvertimenti: //

Le Violon Blanc


Esistevano delle persone nel mondo, sconosciute ai più, dotate di strani talenti, da chi leggeva i pensieri a chi poteva trasformarsi in esseri completamente differenti da sè con uno schiocco di dita. Erano una comunità chiusa, di cui poco si era a conoscenza tra i civili, ma si sapeva della loro esistenza. Solo, si preferiva evitare di parlarne in luoghi poco discreti.
Il Dottor John Watson aveva sempre pensato fosse un'ingiustizia che il suo amico Sherlock Holmes, dotato di per sè di una buona prestanza fisica ma sopratutto di un acuto ingegno a cui nessuno riusciva a paragonarsi, fosse dotato di questa particolarità. Lui, con il suo violino sulla spalla, che faceva volteggiare per l'appartamento che condividevano gli oggetti più disparati, finendo per allontanare dalla mano del medico la tazza di tè ancora bollente con un ghigno sul viso, divertito dall'evidente fastidio presente sul volto del coinquilino. Tale tazza solitamente non tornava mai dal proprietario, finendo sul tappeto per via della distrazione dello stesso investigatore.
Almeno la mattina dopo il dottore trovava sempre una tazza nuova sul tavolino, ricolma di caffè in segno di scuse, ma neanche di questo si parlava.
Sì, donare a Sherlock Holmes la magia era stato il più grande errore che il creato potesse fare, specialmente perchè lui si divertiva a infastidire l'amico in tutti i modi possibili, quasi le marachelle di un bambino fatte per ripicca. Fargli crescere la barba nei momenti meno opportuni, trasformare il vino rosso che si stava portando alle labbra in acqua e cambiare colore a tutte le sue giacche durante la notte erano solo alcuni esempi della lista che Watson aveva stilato una sera, prontamente aggiornata nemmeno qualche minuto dopo.
C'erano delle volte in cui davvero era difficile stargli dietro, specialmente durante un caso irrisolto, quando il violino prendeva un ritmo veloce e stridente e l'unico risultato era l'esplosione di qualunque oggetto si trovasse nei paraggi. Quante teiere avevano dovuto ricomprare alla povera governante. E poi c'erano quegli episodi di tranquillità, la domenica mattina solitamente, con il Dottore che, seduto sulla sua fidata poltrona, sfogliava il Times con le gambe incrociate e la melodia del violino si faceva tanto dolce da sembrare soffice all'ascolto, quasi una carezza. Appena abbassava le enormi pagine del giornale, sapeva di ritrovarsi all'altezza del viso una tazzina, il più delle volte sbeccata in qualche punto, ad aspettarlo, ricolma di tè fumante.
Quelli erano i suoi momenti preferiti. Il suo coinquilino, quello che tutti denominavano di ghiaccio, sembrava schiudersi in sua presenza solo in quei frangenti. Non si faceva mai vedere in viso, voltandosi durante l'esibizione verso le finestre e dandogli una visione delle spalle racchiuse nella camicia scomposta, ma l'amico immaginava di poter scorgere un sorriso sul suo volto. E magari aveva intravisto un leggero rossore sulle guance, ma come sempre, quegli eventi rimanevano solo silenzi tra loro. Nè loro, nè il mondo in cui vivevano pareva pronto ad affrontare tale sentimento.
John Watson, da romantico quale era, si divertiva a pensare che anche quello fosse per loro magia. 
Ma mai l'avrebbe detto ad alta voce, sicuro di venire contraddetto, come sempre accadeva quando pronunciava quella parola davanti al suo amico. Neanche quei suoi talenti venivano definiti dall'investigatore con quel nome, additando il tutto ad un controllo di molecole del suono che riuscivano in tutto quello di cui lui era capace. Teorie scientifiche fin troppo precise per un medico per quanto brillante, che preferiva smettere di ascoltare il discorso appena iniziato per guardarlo parlare e parlare a riguardo, le guance che diventavano rosse dal furore di quella superstizione (idiozia la chiamava Holmes) e le pupille dilatate. Mai come allora Holmes sembrava perdere la sua freddezza di chimico e allora riprendeva il violino sottobraccio per intonare una melodia, seduto sulla poltrona, mentre mostrava all'amico gli effetti del pizzico delle corde.
Di certo lo scettico Sherlock Holmes non poteva permettere che il suo dono fosse paragonato a quello che faceva muovere una slitta fantastica guidata da un uomo barbuto che magicamente passava attraverso i comignoli di tutte le case abitate da bambini in tutto il mondo conosciuto, che insulto! 
Fu durante una di quelle discussioni che accadde, per puro caso.
Holmes, inginocchiato sulle punte dei piedi per stare all'altezza del tavolino da tè che divideva le due poltrone, teneva il violino in bilico sullo spigolo di esso, muovendo l'archetto lentamente per poter suonare una corda alla volta, fermandosi solo per indicare le figure che il fuoco del camino acceso formava, frutto della sua immaginazione. Watson si godeva lo spettacolo con occhi incantati, sorseggiando il tè ormai freddo (e troppo dolce per lui, che lo beveva senza il minimo granello di zucchero) e ridacchiando alle immagini infuocate degli ispettori di Scotland Yard che cadevano su se stessi, trasformandosi in draghi che volavano sulle braci per poi divenire cenere. Fiori sbucavano da esse, intrecciandosi quando il violino emise il proprio La, seguito immediatamente dal Mi. L'investigatore fece scorrere gli occhi dallo spettacolo pirotecnico fino al suo coinquilino che, ignaro, continuava a bearsi di quell'attimo di pace ciondolando leggermente le gambe, un sorriso rilassato sul volto accaldato. 
Neanche si sarebbe accorto di quello che accadde pochi istanti dopo, incantato com'era, se non fosse stato per la reazione di Watson, che sgranò gli occhi, rischiando di far cadere la tazza, da cui saltarono poche gocce del liquido scuro, macchiando il bracciolo, prima di voltarsi di scatto verso di lui, lo sguardo che ora cercava il suo, che però si era spostato ad osservare quel disastro.
Plasmati di fiamme e fumo, sulle braci ardenti si intravedevano le figure dei loro visi, le fronti che si fondevano mentre si toccavano, prima di avvicinarsi ancora di più lambendosi le labbra in un bacio appassionato, innegabile alla vista. Per quanto fosse solo un'immagine, la realisticità dei volti rendeva impossibile sbagliare la loro identità. Tirò la corda che aveva fatto tutto ciò con così tanta forza da romperla tra le dita, un crack si espanse nell'appartamento ora ammuttolito mentre il fuoco si spegneva in una folata di vento freddo. 
I secondi di silenzio si susseguirono lentamente, segnati dal ticchettio dell'orologio che volle porre loro fretta, ma nessuno riuscì a cedere a tale pressione. Iniziava a mancare l'ossigeno in quel soggiorno, diminuiva ad ogni battito che palpitava nei loro petti, ma nessuno aveva il coraggio di affrontarlo, perchè era così sbagliato.
Così sbagliato da essere giusto.
E fu con quel pensiero nella mente, marchiato con il fuoco, che il Dottore si abbassò sulle proprie ginocchia, mettendosi accanto all'amico (poteva ancora definirlo così?) e poggiandogli una mano sul retro del collo, sentendolo sussultare a quel contatto nel frattempo che gli occhi, fissi ancora sul braciere, si sgranavano e il respiro si affaticava. L'altro fece per alzarsi, ma venne fermato dalla mano del medico sulla spalla che lo spinse a terra, ferma. 
"Lei non sa quello che fa, mio caro Watson." Lo rimproverò con una risata amara Holmes, mettendosi una mano sul viso e nascondendolo così alla vista. 
"Solo perchè non lo so non vuol dire che non debba farlo." Gli rispose, allontanando lentamente la mano.
"Ciò che lei dice non ha il minimo senso, sicuro di non essere impazzito? Oh, ma tanto finiremo entrambi in manicomio di questo passo, quindi perchè preoccuparmi." La voce di Holmes era tremante mentre serrava la mascella, rifiutandosi ancora di guardarlo, ma Watson non si arrese poggiandogli una mano sulla guancia leggermente ispida e costringendolo a ricambiare il suo sguardo.
"Holmes, la prego." Gli si mozzò il respiro in gola mentre glielo diceva, il viso a pochi centimetri dal suo, umettandosi le labbra secche. "Pochi centimetri e quell'immagine diverrebbe reale, tangibile, e lei vorrebbe rinunciarci così?" Sembrava quasi un ringhio quella domanda, mentre poggiava l'altra mano sul suo gomito, stringendolo attraverso la stoffa e imprimendoci le unghie. "Io...non ce la faccio più." Confessò mirando gli occhi verso le labbra socchiuse dell'altro, che di riflesso le bagnò di saliva. Tremando cercò allora di allontarsi, tentando di distogliere lo sguardo con le gambe che, mollicce, gli impedivano di muoversi prontamente. Ma ciò non gli venne permesso dallo stesso Holmes che, imprecando, gli trattenne la testa posizionandogli una mano sulla nuca e lo riportò giù facendo collidere le loro bocche. 
I denti si scontrarono e loro rilasciarono un gemito di dolore all'unisono, ma senza staccarsi, le mani che si muovevano frenetiche sul corpo dell'altro alla ricerca di appigli a cui tenersi, nemmeno stesse per aprirsi una voragine sotto di loro. Ben presto si trasformò il tutto in una battaglia tra morsi, sorrisi e lingue che si ricercavano fino alla perdita totale del respiro. Si staccarono a malincuore, tenendosi fronte contro fronte, prima che l'investigatore si buttasse a terra, rilasciando il retro della mano sugli occhi, un sorriso ferino sulle labbra martoriate.
"Oh Watson, lei mi farà impazzire, a meno che non l'abbia già fatto." Ammise mentre il Dottore riprendeva fiato.
"Beh, il manicomio-"
"Al diavolo il manicomio!" 
Entrambi scoppiarono in una risatina mal trattenuta a seguito dell'ennesima imprecazione, scossi nel petto da un calore sconosciuto. 
"Ci siamo cacciati in un bel guaio, Holmes." Mormorò allora Watson con un sospiro. I suoi occhi vennero attratti dal camino, dove era tornato a bruciare un fuocherello ben più grande di quello precedente. 
"Quello penso sia colpa mia." Interruppe il suo filo di pensieri l'amico (amante?) adesso seduto al suo fianco indicando con un cenno della testa il camino, una luce di divertimento negli occhi marroni. 
"Ma lei non poteva usare la magia solo con il violino?" Chiese allora confuso il medico.
"Talento, Watson, non magia. Smetta di usare quella parola. Comunque no, solo che con il violino viene più semplice tenere il tutto sotto controllo." Spiegò semplicemente, guardandolo con la coda dell'occhio, le mani che si allungavano dietro di sè per tenerlo in equilibrio, il solito sorriso tranquillo a incorniciargli la bocca arrossata. 
"Se questo succede solo per un bacio, mi devo preoccupare che andando oltre lei incendi l'intero edificio o...?" Lasciò volutamente la frase in sospeso, sogghignando maliziosamente, la testa appoggiata al palmo della mano. L'altro sollevò gli occhi al cielo, prima di rispondere con la stessa espressione.
"Non ne ho idea, io direi di fare un tentativo."
   
 
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