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Autore: LarcheeX    16/05/2019    2 recensioni
Storie di momenti brevi e forse imprevedibili di variopinti affari sicuramente immaginabili. Satura lanx.
Tales of
1. Ending pages
2. Broken cages
3. Wind of changes
4. Moving pictures
5. Other hues
6. Rotten cakes
7. Fatal crazes
8. Lost purposes
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Allora.
Mi ero ripromessa che mi sarei presa il tempo per rileggere e ponderare a dovere, che avrei utilizzato ogni singolo attimo per sviluppare il tutto, ma poi mi è arrivata una notifica dal mio cervello che minacciava di srotolarsi in caso avessi letto un'altra volta le stesse 500 parole.
E poi mi sono ripromessa di scrivere su tutti i personaggi nel modo più vario possibile, ma sono arrivata alla fine di questa flash e mi sono accorta che era per l'ennesima volta una RinxSesshomaru. Eh oh, m'è uscita così, che potete farci.
Quindi niente, come al solito si ringrazia il gruppo Takahashi Fanfiction Italia per il contest e l'ispirazione e per avermi costretto a scrivere delle flash in cui altrimenti non mi sarei mai cimentata. E ringrazio colei che mi ha dato il prompt :3
Comunque sì, daje.

Schedina:


Titolo: Wind of changes
Personaggi: Rin, Sesshomaru
Genere: Malinconico, angst
Coppia: Rin/Sesshomaru
Note: AU, What If?
Rating: verde




EDIT: spazi. tra. le. caporali.





Wind of changes
   Prompt:
  

 
Tornava sempre sulla scena del delitto.
Si inerpicava sul sentiero, si addentrava nel bosco, saliva sulla collina.
La luce solare era asettica e cruda, toccava la realtà e gliela sbatteva addosso anche quando non c’era più niente da guardare, a parte una panchina di legno e qualche giovane albero secco e infreddolito.
Il passato lo pungeva, in quel luogo, e i ricordi, soppressi nella città frenetica, annegavano raziocinio e controllo: ombre pallide come il terreno ghiacciato si accomodavano sulla panchina e si baciavano in segreto, ma non abbastanza; si discostavano bruscamente nell’individuare lui, l’intruso, giunto a rompere quell’unione disgustosa, veloce, ma non abbastanza, perché il ventre della donna era già fecondo.
Sbatté le palpebre, e i vaghi simulacri di suo padre e della femmina umana si dissolsero nella brina.
Non si sedette, gli occhi persi nelle scanalature del legno.
In lontananza, studenti cantavano una di quelle canzoni inglesi che rimbalzavano di radio in radio, novità occidentali biascicate fuori da qualche umano tossicodipendente, l’ennesima beffa di chi aveva vinto anche l’integrità del demone più potente di sempre.
Non aveva altro che quel vuoto, quelle parole che non capiva, quel passato irraggiungibile.
Ogni stagione, si inerpicava, si addentrava e saliva, senza scopo, se non la rabbia.
Poi tornava alla città che fioriva, dentro il tramestio.
 
The fool on the hill sees the sun going down
And the eyes in his head see the world spinning around.
 
Il sentiero, il bosco, la collina.
La giacca gravava sulle sue spalle, calda, ma il suo passo era stabile e sicuro.
Il legno olezzava di resina, ne sentiva la scia prima di scorgerla. Gli alberi avevano vinto l’inverno e celebravano con i loro festoni fioriti, rosei, profumati, intensi, pieni di sole.
La panchina era occupata da una ragazza.
Per la prima volta in un periodo di tempo mai misurato, qualcuno si era arrampicato fin lì.
Nel vederlo arrivare, lei sollevò il viso dal proprio libro, accoccolata contro lo schienale. Aveva i capelli sciolti, tranne una ciocca fermata da un nastro a pois verdi e bianchi.
« Scusa, ho preso il tuo posto? »
« Non è il mio posto » replicò, freddo.
« Oh, okay » e tornò a leggere.
« Dovresti alzarti » ricominciò, irritato.
« Ma hai detto- »
« So quello che ho detto. »
Lei strinse le ginocchia al petto, eloquente.
Oltraggiato, camminò in avanti, per poi fermarsi. Quella sciocca umana non comprendeva, come avrebbe potuto?
Un’energica folata di vento fece rumoreggiare le foglie, la ragazza si mantenne i capelli, e il segnalibro le volò lontano dalle dita, sull’erba, ai suoi piedi.
Meccanicamente, lo raccolse. “Rin, congratulazioni per il diploma! Maggio 1968”, dichiarava il cartoncino.
Glielo porse. Le loro dita si sfiorarono. Lei sorrise.
Era cosciente del fatto che avrebbe dovuto sentirsi infastidito, ma quella brezza sembrava aver spazzato via anche la stizza, e il tepore della sua espressione pareva aver sciolto il risentimento. La luce di quel mondo in fiore aveva cacciato le ombre.
Si allontanò, turbato, ma la sua voce lo raggiunse: « Puoi sederti… se vuoi. »
Altro vento lo smosse.
Si sedette.
  
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