Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Querdenker    16/05/2019    3 recensioni
{ JosuYasu | Romantico }
A lui bastava una vita semplice, con pochi ma fondamentali punti fermi: il carattere risoluto di sua madre, Koichi che si lamentava della leggera ossessione per lui che colpiva la sua ragazza Yukako ed Okuyasu, con il suo essere semplicemente Okuyasu.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Josuke Higashikata, Okuyasu Nijimura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Niente canzoni d'amore.



Afa. Fin troppa afa.
Josuke iniziava ad avere le allucinazioni, mentre osservava ipnotizzato il ventilatore attaccato a fianco a lui.
"Sbaglio, o sta facendo ancora più caldo?" pensò. L'elica dell'oggetto metallico non sembrava svolgere a dovere il suo ruolo.
Il ragazzo si diresse arrancando verso di esso, i capelli spettinati a coprirgli il viso e con solo i boxer addosso.
Se avesse potuto, si sarebbe denudato completamente e si sarebbe rasato a zero.
«No, i mei capelli non li sacrificherei mai» borbottò poi, girando la manopola per aumentare la velocità.
Osservò distrattamente il calendario, pur di non riprendere la tediosa attività dei compiti estivi.
15 luglio 2000. Trecentosessantasei giorni dopo.
Se ripensava a ciò che era successo in poco più di un anno gli veniva una sincope: aveva conosciuto i suoi amici, suo padre, suo nipote e aveva scoperto di far parte di una strana famiglia perseguitata dalla sfortuna fin dai tempi del nonno di suo padre. Ovvero suo bisnonno.
Come se non bastasse, qualche settimana prima aveva conosciuto quella che era la sua sorellastra, Holly Kujo.
Lei era la mamma di Jotaro e la figlia del signor Joestar – suo padre – che aveva avuto dalla moglie Suzi.
Era tutto troppo incasinato per lui, abituato alle cose semplici. Holly era stata estremamente gentile con lui, forse un po' troppo espansiva – non sembrava neanche la madre di Jotaro, così freddo e impassibile – e si era scusata per il pessimo comportamento di suo padre. Di loro padre, anzi.
Josuke non ce l'aveva con il signor Joestar, non sapeva proprio cosa pensare di quell'uomo, era pur sempre suo padre.
Gli sembrava un vecchio rimbambito tutto sommato gentile e buono – anche se con tendenze da casinista – eppure a volte non poteva fare a meno di pensare che fosse stato un grande screanzato a tradire sua moglie.
Quanto all'inconveniente avuto con sua madre Tomoko – cioè lui medesimo – Josuke aveva capito che il padre l'avrebbe cresciuto con gioia, se solo avesse saputo.
E gliel'aveva detto pure Holly, mentre con un gesto affettuoso, forse fin troppo, gli aveva scompigliato i capelli e l'aveva abbracciato, mentre Jotaro alzava gli occhi al cielo.
Prima di andarsene, la donna gli aveva sussurrato all'orecchio che in realtà, gli ricordava molto Joseph Joestar quando era giovane.
«Non riesco ancora a capire come, ma gli somigli molto» aveva detto lei sovrappensiero.
Josuke era rimasto stordito da quella frase, era arrossito senza dire una parola.
Pensare alla famiglia Joestar gli faceva venire solo un gran mal di testa: sua sorella poteva praticamente essere sua nonna, e suo nipote era molto più grande di lui, mentre suo padre era un vecchiaccio decrepito. No, era troppo. Decisamente troppo.
A lui bastava una vita semplice, con pochi ma fondamentali punti fermi: il carattere risoluto di sua madre, Koichi che si lamentava della leggera ossessione per lui che colpiva la sua ragazza Yukako ed Okuyasu, con il suo essere semplicemente Okuyasu.
Ecco, per Josuke era sufficiente quello. Discutere con Tomoko, prendere in giro Hirose e stare sdraiato con il suo migliore amico sul tetto di qualche edificio a raccontare cazzate.
Arrossì, pensando a quanto fosse fraintendibile quello strano rapporto con Nijimura: lui era il suo più caro amico, il suo fratello non di sangue ma per scelta.
Però, a volte si ritrovava a fare incubi orribili sulla morte di Okuyasu, che lui aveva quasi vissuto sulla sua pelle. Ogni volta sentiva la terra sotto i piedi mancargli, un'orribile voglia di urlare e un dolore allo stomaco talmente forte da farlo vomitare.
Non era... normale. Lui era il suo migliore amico, eppure a volte non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe stato baciarlo, o abbracciarlo forte in quel senso. Si passò distrattamente la mano sui capelli.
«Al diavolo i compiti» borbottò. Si vestì velocemente con dei bermuda e una canottiera. Cercò a tastoni un elastico per capelli, legando questi in maniera svogliata. Era troppo spossato e accaldato per avere la pazienza di
pettinarsi alla solita maniera. Sarebbe andato al mare per cercare un po' di fresco in acqua.

Uscì di casa trascinando con sé uno zaino in jeans. In effetti, era stata una pessima idea mettere il becco fuori alle 4 del pomeriggio in quella calda giornata di luglio, ma non aveva alcuna intenzione di tornare indietro e vedere il sorriso trionfante di sua madre, seguito da un “te l'avevo detto.”
«Bro'?» una voce familiare lo stava chiamando. Josuke si girò, notando Okuyasu che lo stava osservando stupito.
«Oh, Okuyasu.» mormorò lui con voce affannata. Doveva urgentemente andare in spiaggia o sarebbe morto disidratato.
«Ma sei tu? - Nijimura lo squadrò preoccupato – Sembri diverso!»
Josuke alzò gli occhi al cielo, irritato. Forse il caldo lo stava rendendo ancora più permaloso.
«Non ho la solita capigliatura» gli fece notare lui, piccato. Okuyasu annuì convinto.
«Stai bene però! - osservò poi – Sembri più carino!»
Carino. Okuyasu aveva detto che lui, Josuke Higashikata, era carino.
Non solo aveva un caldo infernale, ma ora anche la sua temperatura corporea pareva essere aumentata. Si toccò le guance, constatando di essere arrossito.
«I-il tuo cervello si sta squagliando?» tentò di ribattere poi, con tono scherzoso.
Anche Okuyasu parve accorgersi di aver fatto un complimento strano, e cominciò a ridacchiare nervosamente.
«Dude, ma che ci fai in giro a quest'ora?» osservò poi Higashikata.
L'altro fece spallucce: «Mi andava. Però sono felice che ci siamo beccati, non ci vediamo da un po'!»
Aveva ragione. Era da qualche tempo che loro due non uscivano più insieme, non da soli almeno. Troppi impegni, troppo caldo.
Troppi dubbi” osservò una vocina simile a quella di Koichi nella sua testa. Josuke la scacciò irritato.
«Dai, andiamo al mare» disse poi all'amico, dandogli una sonora pacca sulla spalla.
«Al mare?» chiese Okuyasu titubante.
Non pareva molto entusiasta dell'idea, ma Josuke insistè lo stesso: «C'è troppo caldo qui!»
«Non ho il costume» sussurrò l'amico a disagio. Higashikata alzò un sopracciglio perplesso, ma non se la sentì di premere nei confronti dell'altro.
«Se non vuoi venire non fa nulla» ribattè. Lo superò, trascinandosi nei sandali ormai bollenti.
Si sentiva ferito, nonostante Okuyasu sembrasse evidentemente a disagio e non avesse avuto alcuna intenzione di offenderlo.
«Ci vediamo» mormorò poi. Perché si sentiva soffocare? Non era normale.
Quello era Okuyasu, il suo scemo migliore amico, il suo partner in crime: perché si era formata un'innaturale tensione tra loro?
«Bro'? Bro! - la voce di Nijimura investì nuovamente le sue orecchie – V-vengo!»
Josuke potè sentire i suoi muscoli facciali distendersi in un'espressione decisamente più rilassata.
«Davvero? Anche se non hai il costume?» gli chiese poi divertito. Okuyasu scosse la testa, ma non rispose.
Il tragitto verso quella che era la spiaggia non era molto lungo, sarebbero solamente dovuto uscire poco fuori da Morio.
In realtà, non era un vero e proprio lido, era più un piccolo lembo di terra che separava il mare dalla scogliera. Niente a che vedere con le spiaggie dell'America, dove viveva Jotaro.

Nessuno dei due parlò durante il tragitto, se non di argomenti futili e che si esaurivano nel giro di due battute.
Perché? Perché non stiamo discutendo come al solito?” pensò Josuke irritato. Era da settimane che non si parlavano, che non si erano visti.
Avrebbero dovuto quasi urlare per essersi incontrati dopo così tanto tempo, raccontarsi di tutte le volte che Tomoko l'aveva sgridato o di come Stray Cat incasinasse ancora la casa di Nijimura.
La verità era che qualcosa si era rotto dall'ultima volta che erano usciti insieme.
O meglio, qualcosa era cambiato, aveva fatto irrigidire i loro atteggiamenti e aveva creato imbarazzo, che tra loro due non era mai stato presente.
Il fatto è che addormentarsi abbracciato con il proprio migliore amico mentre si guardano le stelle non è una cosa molto etero.
Soprattutto se poi ci si sveglia a qualche centimetro – anzi, millimetro – dalla sua bocca.
Quando Josuke aveva aperto gli occhi aveva sentito l'insana voglia di premere le sue labbra contro quelle schiuse di Okuyasu.
Anche se questi aveva appena sbavato. Anche se sicuramente aveva un alito orribile, esattamente come lui.
Si era tirato a sedere a fatica, schiaffeggiandosi mentalmente e svegliando l'amico. Egli aveva certamente notato la strana situazione che si era creata.
Però nessuno dei due aveva detto nulla. Se nessuno ne avrebbe parlato, se ne sarebbero dimenticati entrambi, aveva pensato Higashikata.
Il problema era che insieme alla morte di Okuyasu, Josuke da qualche settimana a questa parte sognava pure di baciarlo.
Aveva pensato più volte alla via del suicidio, o al ritiro spirituale nella Cordigliera delle Ande, lasciando tutti i suoi beni – cioè i videogames e gli album di Prince – rispettivamente a Koichi e a sua madre.
Doveva al più presto trovare una soluzione a questo inconveniente.
«Arrivati!» strepitò Okuyasu, sdraiandosi sulla poca sabbia presente. Josuke quasi non se n'era accorto del tragitto che avevano fatto, troppo immerso nei suoi pensieri.
Si tolse la maglietta e i sandali, rimanendo solo con il costume, mentre si dirigeva verso l'acqua.
In realtà questa non aveva un colorito propriamente cristallino, ma c'era troppo caldo per chiedersi quali schifezze ci fossero dentro.
Forse tra qualche anno gli sarebbero spuntate altre due braccia; non sarebbe comunque stata la cosa più strana capitata in vita sua.
Ridacchiò, girandosi verso l'amico: «Bro', vieni dai! Penso che l'acqua sia calda!»
Okuyasu, rosso come un peperone, lo stava fissando incantato.
«N-no – disse poi – io non vengo. Prendo il sole»
Josuke alzò un sopracciglio perplesso, poi si diresse verso di lui. Si piegò sulle sue ginocchia, ponendosi al fianco dell'amico.
«Non hai caldo? - chiese poi – Hai anche una maglia con le maniche lunghe, io suderei come un cavallo»
Okuyasu annuì: «In realtà sì, m-ma non la voglio togliere»
Josuke socchiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli, che con l'umidità, nonostante fossero legati, stavano cominciando ad arricciarsi.
«Dude, mi stai nascondendo qualcosa?» domandò poi sospettoso.
Okuyasu chiuse gli occhi, coprendoseli addirittura con le mani. Josuke non l'aveva mai visto così... indifeso. Poi l'amico gli diede le spalle.
«Promettimi di non ridere.» mormorò. Higashikata non capì appieno il senso della frase finché Okuyasu non si sfilò la maglietta di dosso. Riprese a respirare regolarmente, segno che almeno non aveva più così tanto caldo.

Non c'era nulla da ridere.
La schiena e le braccia di Nijimura erano piene di segni, alcuni enormi che percorrevano quasi tutta la lunghezza della colonna vertebrale, altri piccoli, quasi invisibili a occhio umano.
Ma c'erano. Josuke ringhiò e Okuyasu quasi sussultò.
«Chi te li ha fatti?» chiese poi secco.
«Immagina» rispose sarcastico l'amico. Okuyasu non era mai sarcastico, l'umorismo fine non era decisamente per lui.
A dimostrazione di quanto lo rendesse vulnerabile parlare della sua famiglia e di tutte le angherie che aveva subito da piccino.
«Perché non me l'hai detto?» domandò poi Josuke, stupito. Pensava forse che l'avrebbe preso in giro? O che si sarebbe sentito disgustato?
In realtà aveva solo una voglia di spaccare la prima cosa nel suo raggio d'azione che non fosse il suo migliore amico.
«Posso chiedere a Crazy Diamond di far sparire le cicatrici, lo sai vero?» osservò Josuke.
Okuyasu scosse la testa e latrò una risata: «Bro', e che differenza farebbe? Tanto mi ricordo lo stesso delle botte.»
Josuke abbassò il capo, afflitto.
«Però mi vergogno di questi segni, lo sai? - mormorò poi Nijimura – Tu... tu sei bellissimo e invece queste cose... io sono orribile. Mi vergogno.»
Josuke non disse nulla, poi afferrò la vita dell'amico tirandolo verso di sé e poggiò la fronte contro la sua schiena.
«Che cazzo dici bro', sei bellissimo. - borbottò imbarazzato, ma estremamente sincero. Sentiva le guance andargli a fuoco – Non ti devi vergognare per le cattiverie che hai subito. Soprattutto non con me, che sono il suo migliore amico.»
«Bro'?» chiese intontito Okuyasu. Josuke sentiva il suo respiro velocizzarsi.
«Zitto. Non dire nulla» ringhiò Higashikata, premendo ancora di più la sua fronte contro la schiena dell'amico.
Per qualche ragione non voleva che si voltasse, sarebbe stato tremendamente imbarazzante.
Se Okuyasu non si fosse girato, lui non si sarebbe mai vergognato di ciò che provava, della voglia che aveva di stringerlo e baciarlo.
«I wanna be your lover, I wanna be the only one that makes you come running...» canticchiò, convinto di non essere sentito.
«Questa è di Prince. – disse invece Okuyasu, stupendolo – Solo che non so cosa significhi, sono una schiappa in inglese dude, lo sai!»
Si voltò, non dando più le spalle a Josuke, mentre questi si allontanava leggermente, timoroso di guardarlo negli occhi.
«Voglio essere il tuo amante» mormorò poi, in procinto di spiegare. Ma Okuyasu sgranò gli occhi e si gettò verso di lui con le braccia al collo. Lo baciò, facendolo cadere di schiena.
Josuke aveva baciato una ragazza per gioco, quando aveva sette anni; ma non aveva niente a che vedere con ciò che stava accadendo ora, con un Okuyasu famelico ed inesperto che quasi sembrava volesse staccargli le labbra a morsi, mentre lui cercava di riprendere il controllo della situazione. Le loro lingue lottavano per la supremazia, esattamente come i loro corpi. Josuke ora aveva ribaltato la situazione, ponendosi sopra Okuyasu e facendo pressione sul suo petto.
Nijimura fu il primo a staccarsi, probabilmente a causa della mancanza d'aria.
Aveva un'espressione stralunata: gli occhi gli brillavano, i corti capelli parevano elettrizzati e aveva il volto decisamente arrossato.
Avventato.
Faceva ancora più caldo del solito.
«Ti si sono sciolti i capelli» disse poi. In effetti, Josuke sentiva le punte solletticargli le spalle, molto probabilmente aveva perso l'elastico.
Si toccò la cute, percependo dei granelli di sabbia sul capo.
«Già.» rispose atono. Nessuno dei due mosse un muscolo, Josuke seduto a cavalcioni sul bacino di Okuyasu, mentre questi si reggeva sui gomiti. Deglutì a disagio.
«Comunque quella frase era il titolo della canzone di Prince. Non sono tipo da dedicare canzoni d'amore.» sbottò imbarazzato.
Okuyasu aggrottò le sopracciglia confuso, salvo poi rendersi conto dell'enorme equivoco che si era creato. Arrossì di botto. Josuke poteva leggere nei suoi occhi il pentimento, la voglia di fuggire il più lontano possibile e la frustrazione per essere stato così impulsivo. Era un libro aperto per lui.
«P-però – aggiuse Josuke, la voce stranamente acuta, mentre distoglieva lo sguardo dall'amico – è vero anche che voglio essere il tuo amante. Voglio stare con te, anche se sei un deficiente che non capisce nulla e sei fin troppo impulsivo ed infantile. Sei il mio migliore amico, e ti amo.»
«Per me è lo stesso.»
Josuke incrociò di nuovo gli occhi con quelli di Nijimura, mentre questi lo scostava da sopra di lui. Capitolò al suolo, ma non smise di osservare l'amico.
«Io non sono né bello, né intelligente come te, – cominciò Okuyasu, guardandolo dritto negli occhi – però so che mi piaci da matti. E sei il migliore amico. È normale? Essere innamorati del proprio migliore amico?»
Josuke posò lo sguardo verso la sabbia e fece spallucce: «Non ne ho idea»
«Si può essere entrambi forse» convenne Okuyasu.
«Forse»
«Possiamo provarci. – sussurrò incerto Nijimura - Tentare non costa nulla, no?»
Josuke alzò lo sguardo e vide Okuyasu che stava sorridendo malandrino.
Ecco perché si era innamorato di lui: perché nonostante fosse terribilmente infantile lo capiva come nessuno al mondo, perché lo faceva sbellicare dalle risate e perché poteva dirgli tutto. Era il suo migliore amico e anche la persona di cui era innamorato. Non sarebbe cambiato nulla, il loro rapporto si sarebbe semplicemente evoluto.
«No, non costa nulla.»


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Note dell'autrice:

I wanna be your lover è una canzone di Prince, vi lascio qui il link in caso non la conosciate: https://www.youtube.com/watch?v=FwWBJ3U3THs
Ebbene, con il terrore dell'OOC (vi prego, in caso fatemelo notare e provvederò a cancellare questa fic dalla faccia della terra), pubblico questa OS JosuYasu senza pretese.
Tralasciando quanto è stato difficile scegliere un titolo in grazia (e ho ancora dei dubbi a riguardo, ma dettagli), spero vi sia piaciuta. <3


 


 

  
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