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Autore: Lost In Donbass    17/05/2019    1 recensioni
Questa è la storia di Oliver. Oliver, che è depresso, che si taglia, che non sa come fare a salvarsi da sè stesso, che piange ma che prova a non arrendersi.
E' la storia di Denis, troppo bello per il suo stesso bene, che ama con tutta la forza del suo passionale cuore ucraino.
E' la storia di due ragazzi che si incontrano nella triste Liverpool, due anime perse che hanno smesso di credere e di sperare. E' la storia del loro amore tormentato, forse patetico, forse ridicolo, forse volgare.
Ma è anche la storia di Jenna, di Kellin, di James e di tutti i loro strani amici.
E' la storia di come Denis tenterà di salvare Oliver da sè stesso e di come Oliver darà del filo da torcere a tutti.
E' la storia dell'estate prima del college.
E' la storia di un gruppo di ragazzi disperati che non credono nel lieto fine.
E' una storia banale, è una storia d'amore.
E' la storia di Denis e Oliver, che si amano come solo due adolescenti possono amarsi.
E' la storia di questo amore che sarà la loro fine.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO SECONDO: PROBLEMS LOVE ME

Cause I’m feeling nervous,
Trying to be so perfect
Cause I know you’re worth it, you’re worth it
[Avril Lavigne – Things I’ll Never Say]
 
-Stai mangiando un po’ di più, vedo.
James gli sorrise, posandogli affettuosamente una mano sulla spalla. Oliver scrollò la testa e lasciò che un pallido sorriso gli illuminasse il viso. Non che stesse davvero guarendo, ma c’erano dei giorni in cui stava meglio, si arrischiava a mangiare qualcosina e riusciva a ridere un po’ di più del normale. Quel giorno, era uno di quelli. Certo, il terrore che i suoi amici vedessero i tagli era ingombrante e fastidioso, ma almeno quella corsa sembrava avergli fatto bene. E in quel momento, seduto nel vecchia sala da the insieme ai compagni di una vita, era riuscito persino a tirare fuori una delle sue battutine caustiche che facevano ridere solo Jenna.
-Forse sto un po’ meglio.- mentì, giocando distrattamente col lampone che decorava il tortino al cioccolato di Kellin.
Sto meglio – la più grande bugia che Oliver continuava a raccontare imperterrito a chiunque gli chiedesse come stava. Ormai non lo faceva nemmeno più apposta, era un riflesso incondizionato. Lui, per gli altri, doveva stare bene, non c’era altro modo per dirlo. Non voleva farli entrare nel suo inferno personale, non voleva che si preoccupassero per lui: che di problemi ne avevano in abbondanza anche loro.
-Cosa facciamo quest’estate?- chiese Kellin, attaccando il dolcetto – Se ci prendessimo una settimana di vacanza?
Jenna sorrise, e si passò una mano tra i capelli biondi con le ciocche verdi.
-Non sarebbe male. Potremmo andare in Irlanda del Nord. Oppure a Dublino. O anche a Londra.
-Ma non ti stancherai troppo, Jen?
La ragazza si scostò il ciuffo mal tagliato dalla fronte e si strinse nelle spalle. Tasto dolente, per Jenna O’Connell. Lei, obbiettivamente, era sempre stanca. Contro la sua volontà, certo, ma sicuramente sempre stanca. Ma non della stanchezza mentale e depressa di Oliver, no: la sua era quella che derivava dalla leucemia che si trascinava dietro da anni. Da che aveva memoria, era sempre stata minata del fisico ma non per questo si era lasciata abbattere. Perché lei era forte, più forte di quanto volesse ammettere e rideva, suonava, giocava, ballava contro una vita che si consumava con la rapidità di un tiro di sigaretta. Tutti i ricoveri in ospedale non avevano rovinato quel sorriso storto con quel dente scheggiato, tutte le medicine non avevano spento la luce sbarazzina in quegli occhi scuri, tutta la consapevolezza che sarebbe morta giovane non le aveva vietato di essere una fonte di energia e divertimento inesauribile. Quanto Oliver piangeva, quanto lei rideva, lottava, combatteva, urlava per vivere a tutto volume quel poco che le rimaneva. Jenna non sperava in una sua guarigione, ma credeva ciecamente nella sua adolescenza. Voleva vivere, e nessuno l’avrebbe mai fermata. Voleva viaggiare, suonare, andare a vedere i Green Day in concerto e non sarebbe stata una stupida leucemia a metterle il veto.
-Non lo so, Jimmy. Forse. Però se facessimo un weekend a Londra sono sicura di poterlo reggere.- disse, con ottimismo.
-Se andiamo a Londra, allora cerchiamo della ketamina.- intervenne Oliver – Non esiste che muoia senza averla provata.
-Dio, questo dolce è troppo buono. Se ne ordino un altro lo mangiate con me?
-Kells, fai schifo! Ma quanti ne hai già mangiati? Hai il ciclo, per caso?
Kellin spalancò i grandi occhi di un verde così chiaro da sembrare liquido, sfarfallò le ciglia scure e sorrise, agitando la mano alla ricerca di un cameriere che venisse a soddisfare la sua voglia di dolci. Ovviamente, non aveva il ciclo, ma il suo bisogno di roba dolce era tutto consequenziale al fatto che fosse innamorato. Farfalle nello stomaco, occhiate rubate, una storia clandestina, erano tutti gli elementi che stavano costellando l’estate di Kellin Hills, che, all’insaputa dei suoi amici, si stava coltivando una relazione troppo pericolosa per non eccitarlo oltre misura. Aveva scelto di non dirlo a nessuno non tanto per paura quanto per il gusto del pericolo – gli era sempre piaciuto giocare col fuoco e adesso che si era presentata l’occasione non se la sarebbe lasciata scappare. Si passò una mano tra i capelli corvini e fece uno dei suoi sorrisetti saputi. Perché forse lui, quell’anno, avrebbe potuto avere la storia perfetta che sognava da anni. Forse lui, il macilento, un filo isterico, artistoide Kellin sarebbe potuto scappare negli Stati Uniti con l’uomo che gli avrebbe aperto le porte a una vita felice. Ci credeva? Oh sì, con tutto sé stesso. Il ragazzo perso con gli occhi troppo chiari e la voce troppo acuta avrebbe avuto la sua rivincita americana.
-Volete qualcos’altro?
Quando Oliver percepì l’arrivo del cameriere, non avrebbe sicuramente alzato lo sguardo, timidamente nascosto sotto il vistoso ciuffone scuro, troppo interessato a fissare i lacci slacciati delle Vans. Ma poi sentì quella voce. Melodiosa, fresca, appesantita da un buffo accento russo, una voce allegra e frizzante, e alzò la testa. Non seppe nemmeno perché lo fece, ma quel movimento fu meccanico. Voleva vedere il padrone di quella voce così angelica e ben modulata, come se ne andasse della sua stessa vita. Quindi prese tutto il coraggio che aveva e si scostò il ciuffo dagli occhi, osservando il ragazzo che era venuto a servirli. E il cuore perse un battito.
-Una torta di pistacchio.- stava cinguettando Kellin – Con della panna, se è possibile. Voi volete qualcosa?
Ma Oliver non lo sentiva già più, troppo impegnato a fissare con la bocca semiaperta il giovanissimo cameriere, che con quel sorriso luminoso avrebbe illuminato l’inferno. I calcati tratti slavi, il naso largo e schiacciato, la massa scompigliata di capelli scuri, i tatuaggi che spuntavano dalla divisa, tutto di quel ragazzo urlava bellezza assassina, fascino mortale, sensualità esagerata. E poi c’erano quegli occhi. Grandi, di taglio femminile, ombreggiati da lunghe ciglia ricurve, del colore dell’ambra più pura. Occhi sinceri, limpidi, occhi meravigliosi di un ragazzo bello come le stelle. Occhi che calamitarono immediatamente Oliver e gli scaldarono, per un secondo, il cuore. Non aveva mai visto un ragazzo del genere. Non aveva mai provato un’attrazione così disperata per uno sguardo così conturbante.
-Hai bisogno di qualcosa?- ripeté il ragazzo slavo, sorridendogli.
Oliver si rese conto di starlo fissando con gli occhi da pesce e un sorriso ebete stampato sul volto. Sperò almeno di non aver cominciato a sbavare.
Si riscosse, e scosse freneticamente la testa, tornando a nascondersi dietro al ciuffo.
-Magari portagli un bicchiere d’acqua.- rise James, dandogli un’altra pacca sulla spalla gracile, e Oliver arrossì selvaggiamente balbettando
-Eh … sì … no … un the … sì, un the alla menta.
Si rese solamente conto dopo di aver ordinato il tipo di the che più odiava in assoluto. Il ragazzo sorrise, scribacchiò tutto su un taccuino, e scivolò con via con movenze degne di una pantera. Oliver si ritrovò a fissare quel corpo alto e slanciato ancheggiare verso le cucine e sbatté appena le ciglia. Era … stupendo. Bellissimo. Meraviglioso.
-Ho capito che ti piace, Oli, ma non fare quella faccia da morto di sesso.- lo rimbeccò Jenna, dandogli un pizzicotto.
-Ma è tipo … wow.- si limitò a brontolare il ragazzo.
Kellin fece qualche commento ma Oliver non lo ascoltava già più, troppo impegnato ad osservare il ragazzo, che avrà avuto suppergiù la loro età, correre in giro per il pub con pinte di birra e panini. Voleva fotografarlo. Un bisogno quasi impellente di metterlo in posa e scattargli milioni di fotografie, di vederlo contemporaneamente nelle pose più oscene e più pudiche. Rose tra i capelli e margherite tra le dita, collane sul petto nudo e gambe spalancate, camicia bianca e cravatta attorno al collo, al ragazzo stavano venendo in mente mille idee diverse da sottoporre al giovane cameriere slavo ma nessuna gli sembrava abbastanza bella per idealizzare quel fascino quasi tossico. Se non avesse avuto l’ansia sociale, se avesse avuto solo un quarto della faccia tosta di Kellin gli avrebbe immediatamente chiesto di posare per lui – quanto ci voleva a proporgli un servizio in amicizia? Niente, in realtà, ma per Oliver sarebbe stato un ostacolo insuperabile. Per lui qualunque cosa era insormontabile, fosse colpa della sua misantropia, dei suoi problemi di ansia e di autostima. “Ti blocchi da solo, tesoro”, gli ricordava sempre sua madre e lui sbuffava. Non voleva certo essere così, ma cosa ci poteva fare se per lui rapportarsi con un altro coetaneo, per di più bello come il cameriere, rappresentava una missione suicida? Si mordicchiò nervosamente le unghie, guardandolo correre per i tavoli
-Vuoi fotografarlo, dimmi la verità.- disse James, spettinandogli i capelli.
Oliver si voltò e incontrò i piccoli occhi celesti dell’amico di sempre. A volte pensava che anche James era perfetto per una foto, con i suoi corti capelli biondissimi, il viso sincero e pulito, le braccia muscolose, il sorriso buono eppure appesantito da una malinconia di fondo che solo in pochi potevano cogliere.
-Sì.- ammise, grattandosi l’incavo del braccio – E’ un soggetto interessante.
Perché Oliver poteva avere dei problemi a socializzare, ma aveva l’occhio speciale per trovare le persone giuste. Gli occhi, il sorriso, il modo di arrossire o di porsi, tutto questo attirava il ragazzo emo come una calamita. Lui non voleva fotografare le persone per spogliarle di loro stesse, per confrontarcisi meglio, per mettere a nudo i loro demoni e loro segreti più intimi. Lo faceva anche con sé stesso: aveva album interi di suoi autoscatti, tutti tristi, tutti solitari, tutti che rappresentavano l’oscurità che covava dentro al cuore.
-Ecco la vostra ordinazione.
Il ragazzo era tornato con the, dolcetto e sorriso smagliante, e di nuovo Oliver si dovette trattenere dal mettersi a fissarlo con la bava alla bocca.
-Grazie, caro, grazie.- trillò Kellin, attaccando con cupidigia la sua torta al pistacchio e panna – Ma sei nuovo? Non ti abbiamo mai visto da queste parti.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli e arrossì appena.
-Sono appena arrivato dall’Ucraina. Ma mi piace l’Inghilterra. È … diversa. Ma bella.
Ucraino, registrò Oliver. Una pura principessa del Mar Nero sbarcata in quel triste quartiere residenziale di Liverpool. Lo guardò e pensò che forse avrebbe dovuto sorridergli. Magari dirgli qualcosa di intelligente. Un commento lascivo. Una strizzata d’occhio. Un cenno di interessamento. Ma non lo fece, perché la sua ansia sociale glielo stava fieramente impedendo. Non sia mai che il giovane Griffiths riesca a fare qualcosa che implichi un contatto umano. Si passò nervosamente una mano tra i capelli mentre Kellin continuava a sproloquiare, mettendo palesemente in imbarazzo il ragazzo. Forse doveva salvarlo dalle chiacchiere di Kellin. Forse invitarlo a sedersi accanto a lui. Forse chiedergli se voleva un sorso di the. Forse … non si rese veramente conto di come successe, ma l’attimo dopo sentì lo strillo del cameriere ucraino e vide tutto il suo the bollente rovesciato addosso al ragazzo. Sbiancò. Era veramente successo?
Rimase per un attimo instupidito a fissare la camicia bianca fradicia cominciare ad aderire alla pelle del giovane, cominciando a processare il fatto che il colpevole di quel disastro era stato lui e solo lui. Come volevasi dimostrare, aveva combinato un pasticcio di somme dimensioni. Ovviamente, con l’elemento più affascinante e fotogenico che poteva trovare in tutta la città. Sbatté per un attimo gli occhi e poi si alzò, rosso dall’imbarazzo, barcollando sulle lunghe gambe magre e si precipitò fuori dalla sala da the, cercando di non guardare l’ucraino appena sbigottito. Corse fuori come una freccia, senza chiedere scusa, senza voltarsi, senza salutare, semplicemente con gli occhi fuori dalla testa e la macchina fotografica che gli sbattacchiava al collo. Bravo Oli, come al solito ti sei distinto per la tua idiozia congenita, si disse, inciampando nei lacci delle Vans. Come aveva potuto essere così imbranato da rovesciargli addosso il the. Anzi, no, lo sapeva come aveva potuto: era un disastro umano. Vittima delle sue paure, delle sue insicurezze, della sua naturale goffaggine, Oliver non era mai stato in grado di rapportarsi col prossimo. Avrebbe potuto chiedere scusa e tutto sarebbe finito lì, invece no, era scappato, quasi in lacrime perché di nuovo non era riuscito ad affrontare una normalissima situazione sociale. Tutto quello che avrebbe voluto fare, chiacchierare con quel ragazzo, proporgli qualche foto, sapere qualcosa di più sul suo Paese d’origine, tutto gli era stato vietato da nient’altro che sé stesso. Doveva darsi una regolata. Magari tornare dentro al pub e scusarsi. Magari non mettersi a piangere. Magari non scappare di nuovo. Magari …
-Oliver! Ma si può sapere che combini?
Jenna gli era arrivata alle spalle e gli aveva appena mollato un sonoro coppino.
-Ragazzo, ma ci sei?- James gli schioccò le dita davanti al naso lungo – Ti senti bene?
Oliver scosse la testa, balbettando qualche parola scordinata
-Io … il the … lui … e io …
-Succede a tutti di rovesciare il the, giraffa scoordinata.- lo rimbeccò Jenna, dandogli un pizzocotto – La gente comune però si scusa, non scappa piangendo.
Oliver avrebbe voluto dirle che non era un ragazzo comune, era un povero depresso anoressico con grossi problemi a relazionarsi, ma stette zitto.
-Sei patetico, Oli.- James scosse la testa – Il ragazzo è dispiaciutissimo che tu sia scappato, pensa che sia colpa sua. Muovi il culo e vatti a scusare.
-Mi vergogno.- piagnucolò Oliver, aggrappandosi disperatamente alla macchina fotografica.
-Vuoi davvero farti scappare la possibilità di scambiare qualche parola con quella bambola che sembra un modello? Dai, che c’è Kellin dentro che gli sta facendo il lavaggio del cervello, fai l’eroe e vallo a salvare.- Jenna gli diede una spinta amichevole dentro alla sala da the e Oliver capitombolò dentro, indeciso se tentare di nuovo la fuga o provare a fare la persona civile.
Il ragazzo era là, subissato dalle chiacchiere incessanti di Kellin, dotato di quella bellezza violenta e verace che sono certi ucraini possono avere, e Oliver arrossì ancora più disperatamente. Non era difficile. Doveva solo chiedere scusa, possibilmente senza balbettare.
Si avvicinò impacciato, con Jenna da una parte e James dall’altra e si scostò il ciuffo dagli occhi
-Ahem … io … scusami. Per il the. Per averlo rovesciato. Per essermene andato. Per … scusami.
Arrossì selvaggiamente, sotto lo sguardo perfettamente ambrato del ragazzo ucraino. Ma lui non sembrava offeso, o divertito. Era semplicemente tranquillo, con quel sorriso meraviglioso. Oliver pensò di non aver mai visto un sorriso così bello, così puro, così splendidamente innocente. Non aveva niente a che fare con la devastazione, la malinconica, la tossicità, il dolore che Oliver conosceva. Era qualcosa di selvaggio, di libero, un sorriso che alzava il medio al cielo, che ballava nudo sotto le stelle, che baciava altri uomini in  chiesa, era un sorriso che sapeva di Mar Nero, di estero, di avventure impossibili da vivere, di lingue sconosciute e corse in bici negli infinti campi di grano ucraini. Era il sorriso perfetto che Oliver avrebbe tanto volentieri fotografato e messo nei suoi album, per guardarlo nei momenti bui.
-Tranquillo, non è nulla, succede a tutti.- il ragazzo gli sorrise e chinò il capo su una spalla. Lo studiò per qualche secondo e poi gli porse la mano – Mi chiamo Denis, piacere.
-O … Oliver. Ma tutti mi chiamano Oli.
Si strinsero la mano, una lunga e tatuata e l’altra con le unghie mangiucchiate.
-E’ un piacere, Oliver.
Dio, aveva un modo di pronunciare il suo nome che era quasi tossico, con quel pesante accento russo, e quella voce morbida, e quel modo che aveva di abbassare le ciglia quando parlava. Era tutto troppo per il fotografo che era in Oliver.
-Per scusarci di avergli sporcato la camicia, l’ho invitato stasera al pub con noi!- si intromise Kellin.
Mentre Jenna e James si professarono entusiasti, Oliver sentì il terreno cedergli sotto i piedi. Non ce l’avrebbe mai potuta fare. Kellin non poteva pensare che lui riuscisse ad imbastire qualcosa con Denis, non potevano concepire quanto potesse essere complicato per lui rapportarsi con uno sconosciuto, affascinante, per di più, non potevano …
-Verrò molto volentieri, non mi sono ancora ambientato qui a Liverpool.- disse Denis.
Poi si voltò e fece per tornare in cucina a lavorare, salutandoli con uno di quei sorrisi incredibili. Giusto prima di scomparire però rivolse un sorriso speciale a Oliver
-Ci vediamo stasera allora, Oli.
A Oliver parve di svenire. Sì, i problemi erano decisamente innamorati di lui.
  
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