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Autore: AThousandSuns    17/05/2019    6 recensioni
Il Capitano Rogers è alla guida di una banda di detective indisciplinati e contro ogni previsione, sta davvero migliorando il Distretto.
Ma un nuovo arrivo potrebbe alterare quell'equilibrio e a sentire Stark c'è una tempesta all'orizzonte che rischia di travolgere il Dodicesimo.
Steve odia quando Stark ha ragione.
Una minilong detective!AU sul team Cap + Tony.
Genere: Azione, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Sam Wilson/Falcon, Sharon Carter, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Natasha sbuffa e lascia cadere la borsa sulla sedia quando raggiunge la sua scrivania.

Il turno è appena iniziato eppure la centrale pullula di persone, persone troppo rumorose per i suoi gusti.

«Buongiorno, detective Romanoff» la canzona Clint dalla sua postazione e la donna si limita a scroccargli un’occhiata gelida.

Il suo partner la ignora e beve un sorso di caffè. «Puoi anche non sederti: la nuova recluta è arrivata e ti sta aspettando nell’ufficio di Rogers.»

Le sfugge un grugnito dalle labbra e si volta verso l’ufficio del Capitano come a controllare che Clint non si stia inventando una balla, ma la porta è chiusa e dalle finestre oscurate non s’intravede un bel niente.

Torna ad abbassare lo sguardo sulla scrivania del collega e non riesce a trattenersi: lavora con Clint da anni, eppure quella vista continua a inorridirla ogni singolo giorno. I fogli, fogli importanti, sono impilati alla rinfusa e sparsi su ogni centimetro della scrivania che non è occupato dal computer e dai bicchieri di caffè mezzi vuoti. Quel che è peggio, sulle scartoffie spiccano varie briciole da snack non meglio identificati e un paio di incarti di plastica vuoti dato che Barton è troppo pigro per chinarsi e gettarli nel cesto della spazzatura proprio accanto a lui.

Lucky, accucciato ai piedi di Clint, la guarda con quegli occhi annoiati e inclina la testa già pronto alla ramanzina che sta per arrivare.

«Ti dispiacerebbe dare una pulita? Non ho bisogno di altri protocolli macchiati di caffè.» Un odore stantio le arriva alle narici e individua subito il colpevole. «E quella ciambella mangiucchiata? Dimmi che non è la stessa di due settimane fa.»

Clint guarda la ciambella e poi la detective. «Non è la stessa ciambella di due settimane fa?» azzarda poco convinto.

Natasha allarga le braccia. «Perché non l’hai mangiata tutta?»

«Non mi piacciono le ciambelle all’arancia» mugugna come si trattasse di un fatto ovvio.

«Stai forse aspettando che il sapore migliori?»

«Potrei darla a Lucky» le dice mentre afferra ciò che rimane del dolce.

«No!» Natasha gli schiaffeggia la mano e la ciambella cade a terra. «Vuoi avvelenarlo?»

Lucky annusa lo spuntino prima di mangiarlo in un sol boccone.

Natasha grugnisce spazientita. «Andiamo Clint! Come puoi lavorare in questa spazzatura?»

«C’è ordine nel mio disordine» puntualizza l’uomo alzando l’indice. «A te sembra spazzatura, ma io so perfettamente dov’è ogni cosa.»

«Ma davvero?» ghigna Natasha mentre osserva Clint deglutire. «Perciò non avrai problemi a farmi avere la copia del rapporto che avresti dovuto firmare ieri, l’ho lasciata proprio in quell’angolo.»

«L’avrai una volta firmata» balbetta nel tentativo di guadagnare tempo.

«Dovresti firmarla ora, sai quanto Rogers tiene alle scadenze.» Natasha addolcisce il suo tono e Clint sbuffa quando realizza che ce l’ha in pugno.

«Potrei aver perso il documento.»

Il sorriso di Natasha si allarga. «Ho un’idea: perché non fai fare il giro alla nuova arrivata al posto mio? E in cambio non andrò da Rogers a spifferare del tuo disordine.»

«Potresti farlo: Rogers sa già tutto riguardo al modo in cui lavoro.»

«Non è una cosa di cui puoi vantarti, Barton.»

Clint si stiracchia sulla sedia. «Sei in punizione, Nat: la novellina è tutta tua.»

Natasha lo guarda dall’alto in basso e incrocia le braccia. «Tu perdi documenti importanti e io vengo ripresa? Perché sarei in punizione? Sentiamo.»

Clint si porta il bicchiere di caffè alle labbra per berne un sorso e non stacca gli occhi dal suo portatile mentre risponde: «Non sono io quello che ha aggirato il protocollo per arrestare un ladruncolo.»

Natasha si massaggia le tempie: è appena arrivata e già vorrebbe darsela a gambe.

«L’ho arrestato, che differenza fa come?»

La voce del Capitano alle sue spalle la sorprende. «Farà differenza quando il suo avvocato lo scoprirà e tenterà d’invalidare l’arresto, cosa che probabilmente accadrà.»

Natasha osserva torva Clint per non averla avvertita ma lui fa spallucce, così la detective sfoggia il suo miglior sorriso e si volta ad affrontare Rogers.

È pronta a ribattere ma le parole le muoiono in gola. Appena dietro il Capitano c’è una donna dai capelli biondi che cadono sulle sue spalle in onde ordinate; la camicia azzurra che indossa è stirata alla perfezione e i pantaloni scuri la fasciano morbidi. La sua postura dritta mostra sicurezza e un sorriso che non riesce a nascondere le tende le labbra: Nat pensa che non sembra affatto una novellina. E poi pensa che è una bella donna. E poi si morde la lingua per scacciare quei pensieri.

«Nessuna risposta sarcastica, Romanoff? Sicura di star bene?» Rogers tiene le braccia conserte e aggrotta la fronte mentre la studia.

«Mi sento benissimo, Capitano.»

«Bene, allora non ti dispiacerà accompagnare la detective Carter per mostrarle la centrale.»

La donna bionda le sorride affabile mentre le tende la mano. «Sharon Carter.»

Ha una presa salda e la guarda dritta negli occhi. «Natasha Romanoff.»

«Se volete scusarmi.» Steve l’ammonisce con un ultimo sguardo e si ritira nel suo ufficio.

«Non voglio rubarti troppo tempo» si affretta ad aggiungere Sharon.

La donna scuote la testa e le rivolge un sorriso sincero. «Non preoccuparti: avrai bisogno di una guida in questa gabbia di matti.»

Clint nasconde un ghigno dietro la tazza. «Sei più affabile del solito oggi, Romanoff, e non hai ancora preso il caffè. Che ti succede?»

Natasha lo ignora. «Questo è il mio partner, Clint Barton.»

«Ho sentito parlare molto bene di te e del tuo lavoro all’Undicesimo Distretto, detective Carter» esordisce Clint mentre le tende la mano.

Sharon arrossisce appena e si morde le labbra. «Si è trattato di un lavoro di squadra, davvero.»

«Quale lavoro?» chiede Nat perplessa.

Clint la osserva incredulo. «Lo scandalo Osborn e il riciclaggio di denaro sporco. Ma dove vivi?»

Natasha sposta lo sguardo sorpreso su Sharon e le pare che arrossisca un po’ di più. «Non sapevo ci fossi tu dietro l’operazione.»

Sharon annuisce. «Ero parte della task force, è vero, ma ho semplicemente fatto il mio lavoro.»

Natasha per un attimo rimane interdetta: aveva ragione, la Carter non è una novellina, ma c’è qualcosa che non le torna. Lo scandalo Osborn avrebbe dovuto dare una svolta positiva alla sua carriera, ad occhio e croce un’operazione del genere valeva almeno una promozione a sergente per una detective del suo grado. Invece la Carter minimizza i propri meriti e fa richiesta di trasferimento nel loro distretto, un distretto più piccolo. Perché?

Sharon si schiarisce la voce riportandola alla realtà.

«E ora sei qui.» Le sorride e le indica due scrivanie poco distanti. «Hai già conosciuto i detective Wilson e Barnes?»

«Rogers ci ha presentati appena sono arrivata.»

«Perfetto, allora iniziamo il giro.» Imboccano il corridoio con le luci led che le fanno venire il mal di testa. «Questa è la stanza che usiamo per le pause.» Le mostra il distributore e il piccolo fornello a gas in un angolo e poi proseguono. «Non ci vorrà molto: il nostro distretto è più piccolo dell’Undicesimo.»

Natasha lo menziona nella speranza di scoprire cosa ha davvero portato la Carter lì da loro: potrebbe trattarsi di un banale trasferimento o forse no, ma ha tutta l’intenzione di scoprirlo con qualsiasi mezzo.

«L’Undicesimo può essere soffocante» ribatte Sharon. «Mi pare che qui regni un’atmosfera del tutto diversa.»

Soffocante? Curiosa scelta di parole: cosa sta nascondendo la Carter?

«Non farti ingannare: Rogers può essere molto intransigente quando vuole.»

Sharon alza le spalle. «Sulle cose che contano davvero, come l’integrità nel lavoro.»

Quell’osservazione la prende in contropiede, non se l’aspettava. «Però, sembra che tu lo conosca bene.»

Sharon le rivolge un mezzo sorriso. «È abbastanza famoso.»

«Come solo i veterani decorati sanno essere» osserva Natasha mentre la conduce nella stanza per gli interrogatori e poi più giù, fino agli archivi.

Lì non c’è molto da vedere, solo polverose scatole di cartone impilate le une sulle altre e faldoni pieni di carta ingiallita, perciò non perdono molto tempo.

«Fury è il Capitano dell’Undicesimo, giusto?» le chiede mentre percorrono il corridoio a ritroso.

«Non so ancora per quanto, a essere sincera. Il Commissario Pierce sta spingendo per il suo pensionamento.»

Parla dopo una piccola esitazione che non le sfugge. È una maschera quella che Sharon indossa, ma non è perfetta e l’occhio esperto di Nat scorge ogni crepa: l’angolo della bocca si piega appena, un gesto che racchiude disappunto, forse rabbia, mentre lo sguardo si abbassa per un istante prima di tornare sul volto di Natasha all’apparenza impassibile.

Quel loro giro continua e le stanze da mostrarle stanno diminuendo: se Natasha spera di cavare qualcosa dalla conversazione deve darsi una mossa e metterla alle strette in qualche modo. Forse quello non è l’atteggiamento migliore per dare il benvenuto a una collega, ma il distretto è la sua vita, la sua famiglia, e Natasha ha già perso abbastanza: non può permettersi di abbassare la guardia. Fa un altro tentativo e spera che non vada di nuovo a vuoto.

«E Fury cosa ne pensa? L’ho conosciuto appena dopo essere uscita dall’Accademia ed è un osso duro.»

Le parole di Natasha scatenano una risata amara. «Dubito voglia mollare proprio prima del processo per il caso Osborn.»

«Dovrai testimoniare?»

«È probabile.» Sharon sospira e questa volta non si preoccupa di nascondere quella reazione.

Forse sta procedendo nella giusta direzione, forse ha trovato uno spiraglio per penetrare la corazza di Sharon. «Sta’ attenta: gli avvocati difensori saranno dei grandi stronzi e si appelleranno a qualunque cosa pur di screditarti.»

«Saprò gestirli.»

Dubita che avrà un’altra probabilità così presto, così attacca. «Cosa dirai quando ti chiederanno il motivo del trasferimento?»

Sharon sostiene il suo sguardo mentre le labbra si tendono in un sorriso tenero. «Che devo occuparmi di mia zia Peggy e avevo bisogno di un impiego più vicino alla sua casa.» La dolcezza nella sua voce non raggiunge gli occhi e Natasha si chiede se abbia capito cosa stava tentando di fare: è probabile di sì.

D’accordo, è in gamba.

«Non volevo farti un interrogatorio» prova a scusarsi.

Sharon sorride e le posa una mano delicata sulla spalla mentre Natasha tenta di ignorare il calore che quel tocco leggero le trasmette.

«Lo capisco, questo è molto più di un lavoro per te e le persone qui... sono molto più che semplici colleghi per te. Non devi scusarti per questo anzi, è molto bello che tu sia così protettiva nei loro confronti.»

Natasha suo malgrado si ritrova a sorridere. «Non credo che qualcuno qui dentro mi abbia mai definita protettiva

«Non quand’eri a portata d’orecchio, immagino.»

Qualunque cosa la Carter stia tenendo per sé, non la lascerà trapelare tanto facilmente. Ma forse non è poi così importante.

«E questa è la sala briefing.»

L’agente Romanoff conduce Sharon in una stanza ordinata e spaziosa.

«Devo ammetterlo, in questo distretto prendete molto sul serio la pulizia dell’ambiente.»

«L’unica eccezione è la scrivania di Barton.» Quel commento fa ridere Sharon e Nat non riesce a trattenere un sorriso guardandola. «Il capitano Rogers è un bacchettone, ma ottiene ottimi risultati.» Natasha osserva l’altra donna con un’espressione indecifrabile sul viso. «Allora, hai trovato ciò che ti aspettavi?»

Sharon si umetta le labbra e l’occhio di Natasha segue quella reazione innocente con uno sguardo che d’innocente ha ben poco. L’altra detective pare non accorgersene, o forse finge, e le sorride.

«Penso di aver trovato più di ciò che mi aspettavo.»

Sharon ha passato l’esame di Natasha a pieni voti e quel risultato non ha nulla a che vedere con quegli occhi nocciola e le fossette sulle guance. Ugh, ma che le prende?

«Ti va un caffè?» Natasha si rende conto che la domanda può suonare equivoca così si affretta ad aggiungere: «Nella sala comune, intendo.»

Sharon le sorride dolce. «Certo.»

Nat si guarda alle spalle e trova Clint che alza il pollice incoraggiante.

Lo sguardo della detective s’indurisce e con il linguaggio dei segni lo manda al diavolo. Clint fa spallucce e torna a bere il suo caffè mentre Lucky, ai suoi piedi, scodinzola.



Il Capitano è in piedi nel suo ufficio e getta un occhio alla nuova recluta che sorseggia un caffé in compagnia della Romanoff.

La Carter ha un ottimo curriculum: è tra i migliori diplomati del suo anno all’Accademia di Polizia e nell’Undicesimo Distretto si è ritagliata il proprio posto fino al grado di detective, per non parlare del suo ruolo della task force che ha seguito ed esposto il riciclaggio di denaro sporco da parte di una delle società più influenti di New York.

Steve torna a sedersi e sfoglia i moduli del trasferimento davanti ai suoi occhi. È tutto regolare, eppure una sensazione alla bocca dello stomaco lo innervosisce. Nella testa, l’eco di un’unica domanda: perché è lì? Il loro è un piccolo Distretto e Steve si sta adoperando per migliorarlo da quando è arrivato, quasi un anno prima.

Quand’era un soldato, credeva non ci fosse qualcosa di più difficile della guerra e uh, si sbagliava eccome. In guerra non esiste la burocrazia, con i suoi tempi dilatati e le scartoffie che hanno il potere di mandare all’aria un caso. In guerra c’è un solo nemico ed è chiaro, definito di fronte a te. Ora che è a capo di un Distretto di Polizia, Steve non sa di chi può fidarsi e di conseguenza considera tutti potenziali nemici: altri Capitani invidiosi, i boss che tenta ogni giorno di mettere dietro le sbarre, gli Affari Interni...

Deve solo capire quali siano le intenzioni della Carter e quale sia il motivo che l’ha spinta a chiedere di lavorare in quel preciso Distretto. Perché è convinto che sia un motivo ben preciso.

Mette da parte quelle scartoffie e sotto trova altre scartoffie da firmare. Con un sospiro si alza e torna accanto alla finestra. Anche le detective si sono spostate per tornare alle rispettive scrivanie e Steve si ritrova a scrutare la Carter con una leggera voglia di leggerle il pensiero.

Ha proprio bisogno di una vacanza.

Stark entra nella stanza senza bussare, come al solito.

«Credi che si ambienterà?» Steve non si scosta dalla vetrata e non specifica che si riferisce alla Carter: Tony è un tipo sveglio, quando ha abbastanza caffè in corpo.

L’uomo però non gli risponde; Steve si volta e si schiarisce la voce: «Ti dispiacerebbe evitare di sederti sulla mia scrivania mentre sfogli i rapporti?»

«Non lavoro per te, ma per gli Affari Interni» lo provoca, ma poi alza lo sguardo sul Capitano e qualcosa negli occhi del veterano lo fa alzare con un sospiro.

Rogers annuisce soddisfatto mentre tenta di soffocare un sorriso.

«Non avrà problemi,» continua, «il tuo distretto è un paradiso.»

Steve è diffidente e si prende qualche istante per studiare l’espressione di Stark che però non lascia trapelare nulla. È sempre stato difficile interpretare Tony, con il suo sarcasmo asciutto e le manie di protagonismo, e questo lo infastidisce.

Incrocia le braccia sul petto mentre gli parla: «A cosa devo la sviolinata? Gli Affari Interni stanno per rovinarmi e vuoi addolcire la pillola?»

Tony alza gli occhi al cielo. «Come siamo tragici oggi. Non sono sempre stronzo, ho i miei momenti.»

È così, Stark non si fa remore a provocarlo con il suo sarcasmo e il pungente senso dell’umorismo, costantemente. Certi giorni però finisce col dire qualcosa che pare quasi partire dal cuore lasciando Steve interdetto, come in quel momento. D’altronde, ha rinunciato molto tempo prima ad interpretare le fluttuazioni nell’umore di Tony.

«Ti ringrazio, allora.»

«Aspetta a ringraziarmi: ti ho portato qualche foglio da firmare.»

E con qualche intende una pila che sistema all’angolo della scrivania; Steve si lascia scappare un verso simile a un grugnito e Tony nemmeno tenta di dissimulare la propria risata a quella reazione.

«Scommetto che avevi immaginato tutt’altro quando sei stato promosso, uh?»

Steve si siede dietro la scrivania e invece di uscire Tony lo imita accomodandosi di fronte a lui.

«Sapevo che non sarebbe stato facile, ma non mi aspettavo così tanti intoppi» confessa senza vergogna.

Si accorge che Tony l’osserva di sottecchi e capisce subito che qualcosa non va.

«Sputa il rospo.»

Tony sospira e appoggia la schiena sulla sedia grattandosi la barba curata.

«Girano certe voci... Non tutti sono contenti della tua gestione del Distretto.»

«Se vuoi dirmi qualcosa fallo senza enigmi, altrimenti non disturbarti a dire altro.»

Tony incrocia le braccia incrociate sul petto, le sopracciglia aggrottate. «Ti sei fatto un po' di nemici ai piani alti, con i tuoi metodi concilianti e il tuo gruppetto di detective… inusuali.»

«Saranno anche inusuali, ma portano a termine i casi. è tutto nero su bianco, non puoi negare l'evidenza. E nemmeno i piani alti.»

«Non contano solo le scartoffie, Rogers. Ci sono in ballo giochi di potere che-»

Steve si alza e poggia i palmi sulla scrivania. «Non mi interessano i giochi di potere» scandisce sperando di chiudere quella conversazione.

Tony non è impressionato. «Al resto del mondo sì.»

Steve lo fissa per qualche istante, poi scuote la testa. «Riesci sempre ad avere l'ultima parola, uh?»

«È il mio superpotere, Capitano.» Gli rivolge un sorriso sbieco mentre si alza e si abbottona la giacca. Si avvicina alla vetrata e scosta le persiane per sbirciare. «Scommetto cinquanta dollari che entro la fine della settimana Romanoff le chiederà un appuntamento.»

Steve aggrotta la fronte. «È contro il regolamento.»

Ridacchia ma non distoglie lo sguardo dalle detective dall'altra parte della vetrata. «E quando mai la Romanoff ha rispettato il regolamento?»

 

«Psst.»

Bucky alza lo sguardo e incrocia quello di Sam, seduto alla scrivania di fronte a lui.

Sam fa un gesto con la testa e lui segue il segnale fino alla scrivania della nuova arrivata, dove la Romanoff si è fermata per un documento.

Bucky sposta lo sguardo sul partner e alza le spalle.

Sam sbuffa e abbassa la voce. «È la terza volta che Nat va alla scrivania della Carter oggi. Un altro po’ e scaverà un sentiero.»

«Sta cercando di essere gentile.» Sam a volte vede cose che non ci sono – altre però, il suo istinto non sbaglia. Non che Bucky lo ammetterebbe mai a voce alta.

«La Romanoff? Gentile? Dove hai lavorato finora?»

Il fatto è che Bucky ha una marea di lavoro e non può perdere tempo a far gossip. «Anche se fosse? Sono affari suoi.»

«Ma ricordi che impicciona è stata con noi?» Dal tono, pare quasi che Sam la stia prendendo troppo sul personale.

Hanno troppo lavoro da fare per preoccuparsi di certe scemenze. «Se non la pianti mi stacco la protesi e la uso per picchiarti.»

Sam gli scrocca un sorriso insolente. «Pagherei per vedertelo fare.»

Bucky poggia la schiena contro la sedia e si stropiccia il viso con la mano buona. Dubita che vincerà mai una discussione con lui.

«E comunque sarebbe vietato dal protocollo.»

Sam lo guarda con fare cospiratorio. «Anche noi siamo vietati dal protocollo» gli fa notare.

Bucky gli sorride dolce. «Solo se Steve lo scopre.»

 
   
 
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