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Autore: lisi_beth99    17/05/2019    0 recensioni
Sono passati alcuni giorni dagli avvenimenti che hanno cambiato completamente la vita ad Alex Morel. Questa volta la ragazza dovrà affrontare il suo passato.
Chi ha ucciso Theo Johns? Chi era il vero bersaglio dell'incendio?
Alex potrebbe non essere al sicuro come credeva...
AVVERTIMENTO! Questa storia è il continuo di "Nothing will drag you down - Come tutto ebbe inizio"
Buona lettura!
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jay Halstead, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
 

-Di cosa vuoi parlare oggi, Alex? – domandò il dottor Charles seduto su una delle poltroncine nel suo studio. Ci sarebbero state molte cose che avrebbe voluto affrontare in quel momento. Per prima cosa avrebbe dovuto sconfiggere il suo timore ed andare a parlare col sergente Voight che ancora la stava aspettando.

Era passata più di una settimana, ormai quasi due, da quando Jay l’aveva informata che il suo capo desiderava discutere di qualcosa con lei. Quella sera stessa, mentre ancora si trovavano al Molly’s, Halstead aveva ricevuto una chiamata dal suo collega Antonio Dawson. Fu lì che ricevette la notizia dell’omicidio di Theo Johns, l’assassino di sua madre Monique. Ovviamente non scucì nessun dettaglio ma, solo qualche giorno dopo, sul giornale comparve il titolo “Regolamento di conti?”, riferito a quel caso, a caratteri cubitali. In qualche modo l’informazione doveva essere trapelata e in quell’articolo si accennava persino al colpo d’arma da fuoco in testa. Quel dettaglio aveva acceso una sorta di campanello d’allarme nella sua mente.

-C’è un pensiero fisso nella mia testa. – cominciò giocherellando con la manica della maglia – Riguarda il caso del tizio che ha messo l’ordigno nel mio vecchio palazzo, quello che ha ucciso mia madre… - il dottore sembrò sorpreso da come ne parlava la giovane – Che pensiero? – domandò ulteriormente per cercare di farla parlare.

Prima di continuare, Alex fissò negli occhi l’uomo – Tutto quello che viene detto in queste sedute è coperto dal segreto professionale vero? – Charles annuì – Puoi stare tranquilla. Tutto quello che dirai rimarrà in queste quattro mura. -. Passarono altri attimi di silenzio. – Perfetto! – esclamò la castana alla fine – Credo di sapere per chi lavorasse quell’uomo… E, ancora peggio, credo di conoscere il vero motivo per cui hanno assoldato quell’uomo. – lo psichiatra rimase in attesa di un continuo ma sembrava che lei avesse già detto troppo – Non so di cosa si tratti Alex, ma credo che faresti meglio a condividere le tue conoscenze con la polizia. Se non ti fidi di parlare con qualcuno a caso potresti rivolgerti al detective Halstead, mi è sembrato di capire che fra voi ci fosse una sorta di legame… -
Già, Jay… non l’aveva più sentito da quella sera. Aveva ignorato le sue chiamate ed i suoi messaggi. Per qualche motivo temeva che, se gli avesse parlato, lui avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava… Se le sue convinzioni fossero state vere, sarebbe stato rischioso per chiunque le fosse stata vicino.

Guardò l’orologio al polso e vide che l’ora di seduta era terminata da qualche minuto. – Non voglio approfittare dottore. È già troppo il fatto che mi faccia pagare una miseria… Ora la lascio libero di andare dai suoi veri pazienti. – disse alzandosi e recuperando la borsa dal pavimento. Prima di uscire dalla stanza, l’uomo la richiamò per un ultimo consiglio – Ascolta il tuo cuore, non tenerlo rinchiuso in una gabbia di cemento. –

-*-

Si fece coraggio prima di attraversare la strada. Sul marciapiede opposto a quello su cui stava camminando lei era morto suo fratello Max. Il dolore della perdita era sempre lì, però aveva impiegato pochi giorni per uscire dalla rabbia totale e passare alla fase di accettazione. Lei, a differenza della maggior parte delle persone, aveva direttamente saltato la fase depressiva: non poteva permettersi di perdere il controllo.

Cercando di ignorare il punto in cui, solo alcuni giorni prima, Mini giaceva privo di vita, salì gli scalini che portavano alla centrale di polizia. Salutò educatamente il sergente Platt che stava al bancone dell’accoglienza e spiegò il motivo della sua visita. La donna alzò la cornetta e digitò un numero, poi attese alcuni secondi – Ciao Hank. Alexandra Morel vorrebbe parlarti. Ha detto che avevi chiesto di lei. – seguirono altri secondi di silenzio. Riattaccò – Può salire, Le apro da qui. Ah, signorina Morel? Mi dispiace moltissimo per suo fratello, non sarebbe mai dovuto succedere. – il sergente sembrava parecchio turbata dagli avvenimenti della settimana precedente. – Si figuri sergente. Molte cose non sarebbero mai dovute succedere, ma è la vita. – detto ciò si allontanò in direzione delle scale che portavano al cancello di metallo.

-*-

-Ricapitoliamo – disse Voight stando accanto alla lavagna dove erano affisse e scritte tutte le informazioni sul caso - Abbiamo un uomo sospettato di aver messo un ordigno in un palazzo che è costato la vita ad una donna, Monique Morel. – cominciò Atwater rimanendo seduto alla sua scrivania. – Lo stesso uomo è stato trovato morto con un colpo di pistola alla testa poche ore dopo il suo rilascio. – continuò Burgess indicando la foto che ritraeva il cadavere. Fu il turno di Upton – Il medico legale ha stabilito che il colpo è stato esploso a distanza ravvicinata dietro alla nuca del sospettato. In più c’erano segni di legatura ai polsi; da come è disposto il corpo si deduce che le mani fossero legate dietro alla schiena. -. Ruzek si avvicinò alla lavagna – E non dimentichiamo il luogo in cui è stato commesso l’omicidio! Isolato e abbandonato. – Voight faceva un cenno di assenso con il capo – Sembrerebbe a tutti gli effetti opera della Mafia. – disse cupo Jay. – Ottimo! Voglio che continuiate ad indagare su questa pista. Per ora c’è solo quel conto off-shore che può far pensare alla Mafia. – esclamò serio il sergente. Proprio in quel momento squillò il telefono sulla sua scrivania. Alzò la cornetta – Sì? – domandò bruscamente. Rimase in ascolto del sergente Platt – Okay Trudy, mandala su. – riagganciò e tornò accanto alla lavagna.

Di lì a pochi attimi la testa castana di Alex spuntò dalle scale. La giovane si guardò attorno per alcuni attimi. Jay si accorse prima degli altri della sua presenza. Irrigidì impercettibilmente la mascella – Alex… - disse piano mentre muoveva un passo nella sua direzione. Voight bloccò qualunque cosa volesse fare il suo uomo – Vieni nel mio ufficio. – disse quasi come un ordine facendo un cenno ad Alex. Questa superò rapidamente i detective senza guardare negli occhi nessuno e si richiuse la porta dell’ufficio del sergente alle spalle.

I primi attimi rimasero in silenzio a fissarsi, poi Hank la fece accomodare e si sedette sulla sua poltrona – Allora Alex, cos’è che non ci hai detto? Perché il tuo file è secretato? – sembrava cercasse di mantenere una calma che non possedeva. Lei si schiarì la gola: era giunto il momento di condividere la sua storia… Quel dettaglio poteva essere importante per la risoluzione del caso.

-Credo di sapere chi ha ucciso Johns. – cominciò torturandosi le mani che teneva in grembo. A quell’affermazione il sergente irrigidì le spalle – E quale sarebbe la tua teoria?! – domandò sarcastico. – Penso, anzi ne sono praticamente certa, che Johns avesse messo quell’ordigno per uccidere mia madre. E credo sia stato assoldato dalla Mafia irlandese. – mantenne lo sguardo fisso negli occhi infossati dell’uomo – Tu parli di Mafia irlandese. Ma dove hai preso queste informazioni? – era chiaro al sergente che quella giovane donna sapesse molto più di quello che dava a vedere. Lei rimase a fissare un punto indefinito della stanza per alcuni attimi, poi si decise a raccontare tutto.

-Credo sia stato mio padre ad ordinare l’omicidio. Probabilmente lo conosce… è Danny O’Brian! – esclamò la castana. Hank sbarrò gli occhi – Quell’O’Brian?! Il braccio destro di Doherty, il capo del clan irlandese qui a Chicago?! – Alex annuì mestamente col capo – Esattamente lui… voleva che diventassi il suo successore, dato che ero la sua unica figlia. Dieci anni fa, mentre pianificavano un attacco ad un raduno delle forze dell’ordine, registrai le loro conversazioni. Senza dire mai nulla a nessuno. Mi rivolsi ad un detective, Alvin Olinsky, che si era presentato a casa nostra qualche tempo prima: la polizia stava già cercando di incastrare il clan ma non avevano prove… Olinsky mi garantì massima riservatezza e, con le informazioni racchiuse nelle registrazioni, riuscirono a sbattere in galera mio padre ed un altro paio di scagnozzi di Doherty. Lui no, scappò prima che irrompessero nel loro covo. – fece un respiro profondo, rendendosi conto di come quella storia le provocasse ancora i brividi.

Voight rimase in silenzio, pensoso, per un po’ – Quanti anni avevi? 14? Perché hai rischiato così tanto? – lei fece spallucce – Mia madre non aveva la forza di lasciarlo, io non potevo pensare di continuare a vivere in un ambiente del genere… ho deciso di agire. Avevo già visto e sentito troppo per i miei gusti. L’attacco che avevano programmato avrebbe causato un enorme numero di vittime, più di tutti civili e io non sarei più riuscita a guardarmi allo specchio sapendo che avrei potuto impedirlo… - Hank aveva le sopracciglia alzate e una faccia stupita – Sì, lo so: sono sempre stata più matura della mia età. – cercò di buttarla sul ridere.

-Quindi credi che sia stato tuo padre ad ordinare l’omicidio di tua madre… - continuò il sergente. Alex annuì – Io penso che lui abbia capito che la soffiata è arrivata dall’interno. Mio padre aveva già avuto il sospetto, qualche mese prima di essere arrestato, che mia madre volesse uscirne… Forse in prigione gli è giunta voce che è stata lei a fare la spia. – Voight si mise in piedi – Non hai pensato che fosse per te? Sei così sicura che non sappia chi è stato realmente? – domandò avvicinandosi a lei. Alex si massaggiò il collo nervosamente – Se l’avessero saputo, io ora sarei morta. Sono passate due settimane ormai dall’incendio, avrebbero aspettato al massimo un paio di giorni prima di riprovarci. – si alzò a sua volta e riprese la borsa: era ora di andare.

-*-

Jay guardava ripetutamente l’orologio al polso e la porta chiusa dell’ufficio del suo capo. Ormai erano più di trenta minuti che Alex era lì dentro. Muoveva il piede in modo frenetico a tal punto da suscitare un fastidio immenso nella sua partner che gli rifilò un calcio sotto al tavolo – Piantala! Non riesco a capire cosa leggo se continui a fare così! – lo rimbeccò lanciandogli una graffetta – Se sei così agitato, va’ là dentro! – concluse tornando a leggere il fascicolo sul caso.

In quel momento la porta si aprì – Ti terremo comunque aggiornata. – stava dicendo Voight. Strinse la mano alla castana che lo ringraziò e si allontanò verso le scale senza degnare di uno sguardo il detective.

Fu molto difficile nascondere la sua sorpresa per quel comportamento… Hailey gli fece un leggero sorriso, ma non disse nulla. Nel frattempo Hank aveva richiamato l’attenzione di tutta la squadra – Okay gente! Ecco le nuove informazioni: la pista sulla Mafia era giusta. Immagino saprete tutti chi è Doherty, era scappato dieci anni fa quando avevamo cercato di arrestarlo. Potrebbe esserci lui dietro all’omicidio di Johns. – Antonio interruppe il discorso – E questo chi te l’ha detto? Quella ragazza?! -. Voight fece schioccare la lingua sul palato – Aveva delle informazioni. – disse solo, poi riprese la spiegazione – È ormai sicuro che Johns lavorasse per il clan irlandese di Chicago, quello che avevamo sbagliato era il bersaglio. Sara Bukstor non c’entrava nulla in tutto questo, l’obiettivo era Monique Morel. – i suoi sottoposti sbarrarono gli occhi – La vittima? La madre dei due fratelli? – domandò Burgess. Il sergente annuì col capo – Credevano fosse stata lei a farli arrestare. – Antonio interruppe nuovamente Hank – Ma non è stata lei, non è così? -. L’altro cominciò a spazientirsi – Se mi lasciate finire magari avrete tutte le informazioni! – esclamò perdendo la pazienza. Jay non riuscì a trattenersi – È stata Alex, non è così? È stata lei a fare da informatrice. -. Voight sbuffò – Sì, è stata lei. –. Adam alzò due dita per richiamare l’attenzione degli altri – Non per essere poco fiducioso, ma lei come faceva a sapere tutte queste cose? – anche gli altri sembravano avere la stessa domanda stampata in fronte. – Conoscete Danny O’Brian? In realtà la ragazza si chiama Alexandra O’Brian. –

Avrebbe ascoltato tutti i commenti sbigottiti della squadra ma il rumore di un allarme proveniente dal suo computer lo fece allontanare.

-Porca puttana! – sentirono esclamare da fuori l’ufficio del capo. In due secondi Voight era spuntato dalla porta – Halstead chiama immediatamente Alex e falla tornare in centrale! Non riattaccare la telefonata! – ordinò, tornando poi verso il suo telefono per poter contattare il direttore del carcere da cui era evaso Danny O’Brian.

-*-

Stava camminando a passo sostenuto per le strade di Chicago, quando sentì il cellulare vibrare in borsa. Lesse “Jay Halstead” sul display e fu tentata di non rispondere, ma una parte di lei desiderava ardentemente la sua compagnia. – Sì? – domandò appena presa la chiamata. – Alex dove ti trovi? Devi tornare subito in distretto! – la voce era allarmata. – Alex? – domandò ancora – Jay... – sussurrò quasi impercettibilmente lei.

Alex si era fermata sul marciapiede e, di fronte a sé, aveva trovato a fissarla un uomo che avrebbe sperato di non rivedere mai più. Fece per voltarsi ma sentì afferrarsi da dietro: una mano premuta sulla bocca per impedirle di urlare. Le cadde il cellulare di mano mentre veniva pervasa da una scarica in tutto il corpo. Tutto si fece nero.
   
 
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