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Autore: Mirae    17/05/2019    0 recensioni
«È vero... è tutto vero», erano state le sue parole prima di andarsene e lasciarlo in quel luogo da solo, ma solo quando si era specchiato e si era visto nel frammento del vetro aveva compreso: era tornato il mostro di sempre.
Non l’aveva trovata nell’attico e quando era giunto in centrale, lei non c’era e lui aveva perso tempo a cercare di recuperare le piume insanguinate che la signorina Lopez aveva raccolto sul luogo della sparatoria, dove lui aveva ucciso Caino e provocato la morte dei suoi complici. E poi... poi aveva perso altro tempo prezioso andando a piagnucolare da Linda, sperando in qualche suo utile consiglio: dopotutto, non era solo la sua terapista, ma era anche amica di Chloe.
Era stata tutta colpa della sua indecisione se lei era fuggita a Roma, dove aveva incontrato quel ciarlatano di padre Kinley. Era stata tutta colpa sua se Charlie era stato rapito da un’orda di demoni disobbedienti e ora Amenadiel e Linda l’avrebbero odiato per l’eternità. Sì, era tutta colpa sua e per questo meritava di sedere su quel trono.
-EPILOGO ALTERNATIVO-
Genere: Sovrannaturale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lussuria

 

Lo schiaffo sul sedere la fece sobbalzare, rischiando di far cadere il contenuto del vassoio: fare sesso le piaceva, ma nessuno di quegli uomini sapeva donarle il piacere come faceva il suo ex amante. Piuttosto, erano molto simili al marito: pronti a prendersi tutto il piacere che volevano, senza essere disposti a regalare una misera briciola.

Andò al bancone, posò il vassoio, e tornò dall’uomo con i baffi e il cappello da cowboy: gli si sedette in braccio e, infilata la mano sotto la camicia, cominciò ad accarezzargli il petto villoso.

Questo era tutto quello che ricordava, mentre osservava il suo corpo nella vasca da bagno, coperto dal sale. Solo la testa sporgeva.

Piegò il capo su una spalla, poi su un’altra, ma la sensazione di qualcosa di sbagliato non l’abbandonava: era uno strano sogno, quello. Di sicuro aveva a che fare con qualche oscura profezia, altrimenti come poteva spiegarsi il fatto che lei stava osservando il proprio cadavere?

Non sussultò quando qualcuno appoggiò la propria mano sulla sua spalla destra: era come se fosse normale. Meno normale era trovarsi di fronte ad Azrael: «Che cosa significa questo?» Le chiese.

«Dobbiamo andare», fu tutto ciò che l’angelo le rispose.

«Dove?» Domandò ancora la donna.

«Mi dispiace», Azrael abbassò la testa, «ma non hai saputo sfruttare questa seconda opportunità».

«Lo rivedrò, dunque?» Un sorriso le increspò il viso eterico.

«Andiamo», si limitò a risponderle e con uno sbattito d’ali condusse via l’anima.

 

§ § § § § § § § § §

 

Deglutendo a vuoto, Ray-Ray gli spiegò il motivo per cui lei e la sorella si trovavano al suo cospetto: «Io e Kri avremmo un favore da chiederti».

«Giusto. Le Creature celesti non si sporcano le ali senza un motivo valido. Ma c’è un problema: il Lucifer che concede i favori viveva a Los Angeles, qui c’è solo il Diavolo», tagliò corto.

«Per favore, Lucifer», implolorò Kristiel, trovando finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi.

Ciò che vide lo sconvolse: «Chi. Ha. Osato», proferì con voce roca e occhi fiammeggianti.

Scattò in piedi, e l’Inferno tremò di nuovo. Kristiel sobbalzò, ma Lucifer non le diede il tempo di volgere altrove lo sguardo: prese tra le mani il delicato volto della sorella ed esaminò i lividi violacei.

Alla fine, il Re degli Inferi emise un sospiro di rassegnazione: «Sono davvero un mostro se anche la mia sorella gemella mi teme», tornò a sedersi sul suo trono di granito.

«Lu...». Azrael aveva le lacrime agli occhi: il Lucifer che ora le stava davanti era completamente diverso da quello incontrato mesi prima nel suo attico mondano. Là, nella città degli umani era felice, anche se forse lui non se ne rendeva conto, ma adesso, lì, nel suo vero mondo quella luce che prima splendeva nei suoi occhi era spenta. Si era acceso qualcosa in lui quando aveva visto i segni delle percosse subite da Kristiel, ma si era subito ridimensionato.

Con un gesto della mano, Lucifer le impedì di continuare. continuava a tenere fisso lo sguardo su Kristiel, aspettando che la sorella confermasse o smentisse la sua affermazione, ma lei aveva riabbassato la testa.

I minuti di silenzio che seguirono sembrarono eternità ai tre angeli, ma alla fine Kristiel trovò il coraggio di guardare di nuovo Lucifer negli occhi.

Ciò che il diavolo vide questa volta lo fece sorridere: le ecchimosi erano ancora tutte lì, vivide come prima, ma la luce era tornata negli occhi verdi della sorella: «Io non temo te. Non ti ho mai temuto. E questo tu lo sai benissimo», trovò infatti il coraggio di dirgli, ma la voce dura, prva della musicalità tipica che lui credeva di ricordare bene, gli fece spegnere il sorriso, facendogli stringere i pugni contro i braccioli.

«Oh, lo so bene questo, visto che ti sei schierata contro di me, quando mi opposi a nostro Padre», l’accusò.

«Non avevo scelta», lo sfidò.

«C’è sempre una scelta. Per tutti noi. E tu hai scelto. Come ho scelto anch’io», l’accusò lui, stando attento a non spostare lo sguardo dagli occhi: solo così era sicuro di mantenere un tono neutro, senza che l’ira prendesse di nuovo il sopravvento.

«Significa che non mi aiuterai?» Gli chiese in un soffio.

Lucifer sospirò: «Come faccio ad aiutarti, se non mi dici che cosa vuoi?»

«Si tratta di mia figlia».

«Che cosa?» Esalò Lucifer, in un sorriso misto di derisione e incredulità.

 

§ § § § § § § § § §

 

Il locale di Encino era arredato come quei vecchi saloon nei films western, con una scala, accanto all’ingresso dei servizi igienici, che conduceva al piano superiore, dove con molta probabilità si trovavano le stanze per i rapporti a ore. L’odore che impregnava l’aria era saturo di alcool scadente, fumo di ancor più pessima qualità e pollo fritto, tanto che sia Chloe che Dan storsero il naso appena entrati. Al piano superiore, la puzza era ancora peggiore: agli effluvi del piano sottostante si aggiungevano quelli di urina e sesso.

«Allora Ella, che cosa abbiamo?» Chiese Chloe, entrando nella stanza numero 112 e indossando i guanti.

Quando la ragazza si voltò, i due detective rimasero sorpresi nel vedere scorrere due lacrime: «Ella, che cosa succede?» Si preoccupò Chloe, mentre Dan, sbirciando oltre le spalle del medico legale, sobbalzò: «O mio Dio. Per fortuna Lucifer non è qui».

«Ella, spostati», le appoggiò le mani sulle braccia, ma Ella la precedette: «Aspetta Chloe. Si tratta... ecco... sì, si trattadieva», sparò tutto d’un fiato.

«Non ho capito», affermò infatti la poliziotta.

«Qualcuno ha ucciso Eva e poi l’ha messa sotto sale», spiegò Dan, sospirando.

«Sì, è stata strangolata, effettivamente: vedete questi segni rossi attorno al collo?» Ella si avvicinò di nuovo alla vasca da bagno e indicò con la mano guantata la gola della giovane donna. «Il cadavere è stato trovato da una collega di Eva. Qui le cameriere sono invogliate a intrattenere rapporti “amichevoli”», sottolineò quest’ultima parola mimando con entrambe le mani le virgolette, «ma non possono dilungarsi troppo, quindi, quando il barista – che oltre a servire deve anche tenere d’occhio le ragazze – non l’ha vista scendere, ha mandato Caroline Dutch a cercarla».

«D’accordo, grazie Ella. Se trovi qualcos’altro, avvertici», si congedò Chloe, seguita da Dan.

Caroline Dutch superava di poco il metro e mezzo e il petto era sproporzionato al resto del corpo. Con una mano si tormentava una ciocca dei capelli troppo ossigenati. «Eva lavorava qui solo da un paio di settimane, ma le volevo bene come a una sorella, anzi di più», stava raccontando a un poliziotto.

«L’uomo con cui è salita era un cliente abituale?» Si intromise Chloe.

«Che io sappia no, era la prima volta che veniva qui», le rispose la cameriera.

«La vittima è coperta fino al collo di sale. Ce ne vogliono di chili per riempire una vasca da bagno», le fece notare Dan.

«Infatti aveva un borsone. Credevo che contenesse vestiti», tirò su col naso.

«D’accordo. Può dirci il nome completo della vittima?» Le chiese ancora Chloe.

«Eva Heaven, ma credo si trattasse più di un nome d’arte che altro. Voglio dire per chi fa il nostro lavoro “Heaven” è un biglietto da visita», alzò le spalle, come se fosse dispiaciuta di non avere avuta lei l’idea di utilizzare prima quel cognome.

«Non lasci la città e si tenga a disposizione e questo è il mio biglietto da visita, nel caso ricordasse qualcos’altro», l’avvertì Chloe, prima di uscire dalla stanza, seguita dall’ex marito.

«Lucifer avrebbe avuto qualche motivo per uccidere Eva e metterla sotto sale, secondo te?» Chiese Dan, mentre scendevano le scale di legno, dove in alcuni punti si potevano scorgere le gallerie scavate dalle tarme.

Chloe sbuffò, e si girò così in fretta verso Dan che quasi lui si trovò seduto sul gradino: «Basta con questo tuo odio nei confronti di Lucifer. Per l’ennesima volta: lui non c’entra niente con la morte di Charlotte e accusarlo di ogni singolo caso di omicidio non aiuterà te a superare il lutto».

Dan aspettò che Chloe finisse di scendere, prima di ricominciare a parlare: «Eva era talmente innamorata di lui che lo seguiva al lavoro, in centrale e sui luoghi dei crimini e una volta si è perfino vestita come te per fare breccia nel suo cuore. Può essere che lui si sia stancato e abbia deciso di risolvere la situazione a modo suo, anziché denunciarla per stalking».

«Guardati attorno», sospirò di nuovo Chloe, girando su se stessa con le braccia aperte, «ti pare che questo sia uno dei posti che Lucifer frequenterebbe? Inoltre, ti ricordo che Lucifer ha lasciato Los Angeles un paio di settimane fa, mentre Eva è morta solo da poche ore»

«Magari è tornato in segreto», Dan non voleva darsi per vinto.

«Fai come vuoi», cedette alla fine Chloe. «Prima, però, voglio che raccogli la testimonianza del barista su questo sconosiuto avventore».

 

§ § § § § § § § § §

 

«Bingo!» Esclamò Dan, mentre osservava lo schermo del computer; quindi stampoò un piao di fogli e andò alla scrivania di Chloe: «Secondo il barista dell’Old West Saloon, il tizio che che avrebbe visto per ultimo Eva viva, si chiamarebbe Hank Rockwell di Flagstaff. Quando l’ho interrogato, però, l’unica cosa che aveva saputo dirmi sul suo aspetto fisico era barba e cappelli rossicci lunghi alle spalle che fuoriuscivano dal cappello da cowboy. Dal nostro archivio pare che l’unico Hank Rockwell di Flagstaff corrispondente alla descrizione sia ricercato dalla polizia dell’Arizona per l’omicidio di sua moglie, Kristiel Rockwell, il cui nome da nubile è... Non indovineresti mai», aggiunse, con un sorriso tirato, mentre continuava a spiegazzare i fogli.

«Perché dovrei indovinare il suo nome da nubile? E perché sei così nervoso?» Gli chiese Chloe.

Dan si inumidì le labbra e si sedette sul bordo della scrivania, poi pensò che per una notizia del genere fosse meglio stare in piedi, quindi si rialzò e proferì: «Il suo nome da nubile è... rullo di tamburi... KRISTIEL MORNINGSTAR!»

Chloe rimase con la bocca spalancata, con gli occhi che si aprivano e si chiudevano di continuo. Quando si riebbe, strappò dalle mani dell’ex marito i fogli: uno di questi era la copia della foto del matrimonio di Hank e Kristiel. Lui aveva i capelli rossicci ondulati e lunghi sulle spalle e a parte i baffi sembrava ben rasato. Lei, invece, era bellissima: il viso era un ovale perfetto, dalla pelle quasi diafana, se dovuta alla cipria o fosse così naturalmente era difficile dirlo; il colore degli occhi, però, non si vedeva bene, a causa dell’ombra, ma non era un dettaglio importante.

«La coppia aveva anche una bambina, Alma Lucinda, che risulta scomparsa. O il padre l’ha uccisa dopo aver ucciso la moglie (ma in questo caso dovrebbe esserci il suo cadavere), oppure se l’è portata con sé qui a Los Angeles. A ogni modo, vado al saloon a mostrare questo identikit al barista e alla collega di Eva», continuò Dan. «Poi andrò a casa di Amenadiel e Linda a informarli, sempre che non lo sappiano già».

«Sì, dobbiamo muoverci come se la bambina fosse ancora viva», convenne Chloe.

Si rigirò la foto tra le mani: il sorriso di Kristiel emanava molta dolcezza, ma chissà se lo era davvero o se in realtà fosse stata una simpatica canaglia come il fratello. Lucifer le aveva sempre parlato male di suo padre, ma non aveva mai menzionato nessuno dei suoi fratelli, eccetto Amenadiel, con cui sembrava aver un buon rapporto. Si ricordò di aver letto qualcosa a Roma riguardo alla Ribellione: sei milioni di angeli si schierarono con Lucifer, mentre altrettanti contro di lui. A giudicare dall’integrità, Amenadiel doveva appartenere alla seconda schiera e forse anche Kristiel non lo aveva appoggiato. A un certo punto della riflessione, si rese conto di un particolare: se Lucifer avesse deciso di restare sulla Terra e mettere la testa a posto instaurando una relazione seria e duratura con lei, si sarebbe ritrovata con qualcosa tipo dodici milioni di cognati. Dodici. Milioni.

Un altro particolare le balzò alla testa, come per distrarla da quella considerazione: quando Lucifer era con lei, diventava vulnerabile, perfino mortale, quindi poteva affermare che l’amore fosse il punto debole degli esseri angelici, ma se Hank era riuscito a uccidere Kristiel, questo significava che lo aveva amato fino all’ultimo. E per lei, in quanto poliziotta e donna, risultava inconcepibile come si potesse amare il proprio carnefice.

 

§ § § § § § § § § §

 

C’era qualcosa di strano nel suo ufficio e non riguardava i campioni che stava esaminando. Ella alzò per un momento lo sguardo: lo stereo continuava a riprodurre musica rock a tutto volume, i campioni delle prove erano ognuno al loro posto e lei continuava a essere da sola. Scosse la testa, prima di rimettersi a controllare i peli nel vetrino: «Stai diventando paranoica, cara Ella», si disse.

«Ciao». La voce alle sue spalle la fece sobbalzare, anche se la ricordava benissimo.

Portandosi la mno destra al cuore, si voltò: «Ray-Ray, mi hai fatto spaventare».

«Scusa, non volevo, ma mi stavo annoiando e allora ho pensato di venire a trovarti», le spiegò l’angelo con gli occhiali.

«Sì, ma non puoi venire a trovarmi qui! Chiunque può entrare e vedere che parlo da sola e prendermi per pazza».

«Beh, visto che non posso venire a casa a tua, pensavo di poter venire qui... e poi non avevi parlato di me ai tuoi amici?»

«Non ho detto che non potevi venire quando ero a casa: solo non quando sono sotto la doccia. E poi ho accennato di te solo a Chloe», fece spallucce e tornando a dedicarsi alle sue prove, a disagio.

«Capisco... Posso restare, però? Ora sono qui...», Azrael si aggiuntò gli occhiali, poi si mise le mani dietro la schiena.

Ella sospirò, alzando di nuovo lo sguardo, ma volgendole sempre le spalle: «E va bene».

«Grazie. Sai, mi sento triste, da quando mia sorella è morta», le spiegò.

Ella si girò e d’istinto l’abbracciò: «Mi dispiace tantissimo, ma ora...», rifletté, allontanandosi di qualche centimetro, «non dovrebbe essere con te? Voglio dire, tu sei un fantasma e lei, beh... anche». Solo dopo l’ultima parola si accorse dell’indelicatezza del commento: «No, scusami, non volevo dire che... beh... quello che ho detto... È che... beh...»

«No, hai ragione: adesso saremo sempre insieme. Più o meno», aggiunse. «Posso immaginare come ti stai sentendo, dopo la partenza di Lucifer».

«Stai dicendo che Lucifer è morto?» Ella non poteva crederci: non Lucifer, non anche lui.

«Chi è morto?» Dalla sua scrivania, Chloe aveva visto Ella abbracciare il nulla e poi gesticolare come se stesse parlando con qualcuno, benché fosse da sola nel proprio ufficio, così aveva deciso di andare a chiederle se tutto fosse a posto.

Ella si girò di scatto, la bocca spalancata. Dopo una manciata di secondi – sufficienti perché a Chloe gli occhi le si riempissero di lacrime – Ella si riprese: «Eva. Eva è morta», asserì, annuendo con convinzione.

«No, tu hai usato il maschile. E ti ho sentito nominare Lucifer», l’accusò.

«No, io intendevo che Lucifer mi manca. Tanto», continuò ad annuire con la testa.

«Prima ti ho vista abbracciare il nulla: il tuo amico fantasma ti ha parlato di Lucifer, vero? È stato lui a dirti che è morto?» Ormai le lacrime scorrevano copiose sul volto di Chloe.

Ella l’abbracciò e le mormorò in modo quanto più possibile dolce le riusc ì che no, Ray-Ray le aveva soltanto detto che era andata a trovarla perché si sentiva triste dopo la morte della sorella e che per questo comprendeva come si sentisse lei dopo la partenza di Lucifer. Staccandosi dall’amica, Ella considerò che in psicologia la partenza di una persona cara a volte viene affrontata come un vero e proprio lutto.

Si staccò da Chloe per guardarla negli occhi e sincerarsi che avesse compreso quest’ultima frase. L’amica si asciugò gli occhi e tirò su col naso, ma prima che potesse tranquillizzarla vennero interrotte.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Oh no, non può essere», brontolò Dan, mentre usciva dalla centrale: tutti si aspettava di vedere, ma non l’uomo alto, vestito di un elegante completo nero e camicia grigia, che gli stava andando incontro.

«Detective Stronzo, dov’è la detective?» Gli chiese Lucifer.

«Buongiorno anche a te. E non credo che Chloe abbia bisogno di te, ora. Non dopo che sei sparito all’improvviso».

«Non sono sparito all’improvviso. Ne abbiamo parlato assieme e lei ha capito che dovevo assentarmi per un po’ di tempo per risolvere delle gravi questioni personali», si giustificò Lucifer, non che ne avesse voglia, ma se voleva ritrovare Alma Lucinda aveva bisogno anche dell’aiuto di Dan.

«Quanto personali?» Lo provocò l’altro.

«Molto personali. E adesso, se non ti dispiace, avrei bisogno di parlare con Chloe», tagliò corto il diavolo.

«Certo. Capisco». Dan gli fece strada verso l’ingresso.

Lucifer lo guardò incredulo: da quando Daniel era così accomodante con lui? Non sapeva decidersi se la situazione fosse inquietante o... inquietante: «Stai bene Daniel?» Non si trattenne dal chiedergli.

«Perché non dovrei stare bene?»

«Sei gentile. Ed è inquietante».

«Io sono sempre gentile», Dan fece schioccare la lingua, fermandosi prima di scendere gli scalini.

«Sì, ma non con me», convenne Lucifer.

«Senti, so di essere stato un po’ duro nei tuoi confronti, ultimamente», cominciò a scusarsi Daniel, ma Lucifer lo bloccò: «Per usare un eufemismo». Gli si mise di fronte, in attesa di altre scuse.

Dan sospirò, girando la testa prima da una parte e poi dall’altra, stringendo alcuni fogli arrotolati: «D’accordo. Ascolta: dopo la morte di Charlotte, io ti ritenevo responsabile, ma adesso lo sto superando, grazie all’aiuto di Linda», si giusticò il poliziotto.

«Bene. Sono contento per te. Ora, scusami, ma ho bisogno della detective», lo scansò con un braccio.

Dan lo guardò scendere i gradini e poi si voltò per andadare all’Old West Saloon.

Giunto nell’open office, Lucifer si guardò attorno, non vedendo Chloe alla scrivania, ma volgendo lo sguardo verso l’ufficio di Ella non solo vide le due ragazze, ma si accorse che erano osservate da sua sorella Azrael: «Ma cos...», si precipitò nella stanza.

«Che cosa ci fa lei qua?» Chiese senza preamboli.

«Io ci lavoro, e Chloe mi ha portato dei reperti», gli rispose Ella, visibilmente irritata per quell’intrusione.

«Sei tornato», Chloe corse ad abbracciarlo, mentre gli occhi le si inumidavano di nuovo.

«Detective...», riuscì solo a mormorare, anche lui commosso, mentre le accarezzava la guancia.

«Sono davvero una bella coppia», sospirò Azrael.

«Sììì», esalò Ella. Finalmente quei due si erano decisi a risolvere la situazione, ma purtroppo la situazione era tutt’altro che romantica e quindi si trovò obbligata a tossire: Ehm... ragazzi... scusate, non vorrei, ma...»

Chloe si staccò dall’abbraccio di Lucifer e i due si voltarono verso di lei che, correndo ad abbracciare l’amico, esclamò: «Oh, al diavolo!»

Lucifer venne colto di sorpresa, anche se, conoscendo Ella, un abbraccio da lei era da mettere in conto. Rimase per alcuni istanti con le braccia sospese a mezz’aria, poi si limitò ad accarezzarle i capelli. «Signorina Lopez! Mi sei mancata anche tu».

«Non ti azzardare mai più a sparire così» e questo rimprovero lo fece sorridere.

«Ehm... A chi ti riferivi quando sei entrato?» Chloe richiamò l’attenzione del partner.

«Ad Azrael. Mia sorella», rispose con naturalezza lui.

«Oh. Credo di aver bisogno di qualche informazione in più», intervenne Ella, cercando uno sgabello su cui sedersi.

«Stai dicendo che c’è un altro diavolo? È per questo che sei tornato? Per riportarlo negli inferi?» Si allarmò Chloe: Lucifer non poteva andarsene dopo essere appena arrivato. Lei glielo avrebbe impedito. Non sapeva ancora come, ma in un modo o nell’altro avrebbe fatto in modo di lagarlo a sè.

«No, non è un diavolo, ma un angelo, come Amenadiel: quando mi ribellai a nostro Padre, lei si schierò contro di me...».

«Non mi sono schierata contro di te. Non mi sono schierata affatto: ero troppo sconvolta per schierarmi», lo contraddisse l’Angelo della Morte. «E come me anche Kristiel», aggiunse.

«Quindi non sei un fantasma? E chi è Kristiel?» Le domandò Ella, socchiudendo gli occhi.

«Tecnicamente, sarei l’Angelo della Morte. E Kristiel è nostra sorella», le confessò Azrael, arricciando il naso.

«Ok. Fermi tutti», si intromise Chloe: «Perché io non riesco a vederla?»

«Perché è l’Angleo della Morte», le spiegò Lucifer. «Solo coloro che passano a miglior vita, o che sfiorano la morte, com’è successo alla signorina Lopez anni fa, possono vederla».

«Questo è confortante», ammise Chloe, annuendo.

«Aspetta», Ella si rivolse a Lucifer, «quindi tu sei davvero il diavolo. E tu lo sapevi?» Chiese a Chloe.

«Finalmente, signorina Lopez!» Esclamè soddisfatto Lucifer.

«L’ho scoperto dopo la morte di Pierce. Devo ammettere che è stato uno choc scoprire che non erano metafore», confessò Chloe.

«Quindi i miei migliori amici sono un diavolo e un angelo. Non so se è una cosa positiva o inquietante», asserì Ella.

«Io direi eccitante», la corresse Ray-Ray.

«Lucifer, puoi dire a tua sorella che sono felice di aver fatto la sua conoscenza senza poterla vedere, ma credo che ti dovresti sedere: io e Ella dobbiamo dirti un paio di cose», lo richiamò la poliziotta.

«Tu e io?» Chiese Ella, sgranando gli occhi e scuotendo la testa.

«Sì, certo. Sai tutte quelle cose scientifiche», la pregò l’amica, facendo strane smorfie.

«Oh, sì, giusto, le prove!» Esclamò il giovane medico forense.

«Oh, bene, si lavora a un caso!» Proruppe Lucifer. «Ma ho un caso anch’io», le bloccò.

Chloe si sfregò la faccia con una mano: «Ah. Credo che il tuo caso sia collegato al nostro».

«In che senso?» Si allarmò Lucifer, guardando prima le due amiche e poi la sorella: «Che cosa mi avete nascosto tu e Kristiel?» I muscoli del viso erano tirati e apriva e chiudeva i pugni, tanto che le due donne e l’angelo deglutirono a vuoto.

«Non ti abbiamo nascosto niente, ma mentre eri in Arizona, qui a Los Angeles è accaduta una cosa», si giustificò Ray-Ray.

Lucifer indurì i muscoli della mascella: «Che cosa?»

«Lucifer, ti ricordo che io non posso né vedere né sentire tua sorella, quindi ti pregherei di evitare di parlare come se io non ci fossi», lo guardò con la testa piegata di lato.

«Scusa detective, ma non ho tempo di fare la traduzione, tanto la signorina Lopez è in grado di seguire questo discorso: ci penserà lei a farti il riassunto».

«Tante grazie!» Sbottò la poliziotta.

Ella si intromise: «A ogni modo, Lucifer, credo sia davvero meglio che ti siedi»

«Fantastico!» Chloe fece cadere le braccia lungo i fianchi. «Ignorata dal mio quasi fidanzato e dalla mia sorella virtuale. Mi domando che cosa stia ancora facendo qui». Si voltò per uscire dalla stanza, mentre Ella invitava Lucifer a seguirla.

Questi emise un sospiro di rassegnazione e le corse dietro: «Detective, aspetta».

«Che cosa?» Lo aggredì, voltandosi e incrociando le braccia sul petto.

Lucifer espirò rumorosamente: «Poco dopo il mio arrivo negli Inferi, Azrael e la mia gemella Kristiel mi hanno raggiunto, chiedendomi un favore: la forma umana di Kristiel era appena stata uccisa e lei voleva che io mi occupassi di sua figlia, ma quando sono andato in Arizona, la bambina risultava rapita. E poi tu mi vieni a dire che hai un caso collegato a questa sparizione, particolare che Azrael mi ha tenuto nascosto, fino a ora».

«Sei già stato in Arizona?» Gli chiese Chloe.

«È quello che ho appena detto: hai problemi di udito?» La prese in giro Lucifer.

«Bene, però il rapimento di tua nipote non è l’unico problema», tergiversò la donna.

Lucifer la guardava incuriosito, il mento proteso in avanti e le mani in tasca: ««Che cosa c’è di più grave della morte di mia sorella e del rapimento di sua figlia?»

«Temiamo che quell’uomo sia qui a Los Angeles e che abbia ucciso un’altra donna».

«Chi?»

Chloe sospirò di nuovo: «Siediti, per favore». Gli indicò la sedia accanto alla propria scrivania.

 

§ § § § § § § § § §

 

Questa volta al bancone del bar non c’era un uomo, bensì una donna. «Fantastico», borbottò Daniel, prima di avvicinarsi. Gli uomini seduti sugli sgabelli lo ignorarono.

Allungò la foto segnaletico di Rockwell alla donna, che la ignorò, mentre continuava a guardare il poliziotto negli occhi, in attesa di un’ordinazione. Aveva i capelli neri lunghi oltre le spalle, il naso dritto, le labbra carnose e il seno prominente, sotto il quale era annodata la camicetta bianca.

Daniel espirò: «Ha mai visto quest’uomo?»

«Le sembro il portiere di un albergo?» Ribatté lei, alzando il foglio e pulendo lo spazio sottostante con un panno umido. «Che cosqa prende?»

«Non bevo quando sono in servizio», le mostrò il distintivo.

Fu il turno della ragazza sbuffare, ma avvicinò lo stesso il foglio agli occhi bruni per guardare meglio. «Sì», ammise alla fine, «ha preso una stanza un paio di settimane fa».

«Mi sta dicendo che non affittate le stanze solo per incontri a ore?» La interrogò.

«Crede che questo sia un bordello?» Lo accusò, con il tono di voce di un’ottava oltre il normale.

«No, ma...» Cominciò Dan, un po’ a disagio.

«Ma, cosa?» Incalzò la donna.

«La sua collega, Eva Heaven, è stata trovata assassinata dopo un rapporto sessuale con questo avventore».

«Come fa a essere sicuro di ciò? Era con sua figlia!» Appoggiò entrambe le braccia sul bancone.

Il sorriso di Dan era di derisione: «Vediamo, dunque: il cadavere ritrovato sottosale nella vasca da bagno, la testimonianza di una vostra collega, una miriade di prove scientifiche che il nostro laboratorio sta esaminando... Serve altro?»

«Sì, il rapporto completo delle prove esaminate. Se le state ancora esaminando vuol dire che non avete nulla di certo in mano. E immagino anche chi vi abbia lasciato la testimonianza: Caroline Dutch, una bugiarda cronica, e pure lesbica. L’ho vista diverse volte pomiciare con altre cameriere, inclusa Eva», confessò.

Due uomini seduti accanto a Daniel risero: «Questo interrogatorio è più interessante di una puntata di “C.S.I.”», disse, mentre il suo compagno di bevute alzò il calice nella sua direzione.

Dan scosse la testa.

«Che stanza ha avvittato?» Dan si rivolse nuovamente alla barista, che, scocciata, gli chiese nuovamente che cosa volesse da bere. Sbuffando, Dan richiedette una semplice soda, rinnovando l’ingiunzione. Sbuffando a sua volta, assieme al bicchiere con la bibita, la barista gli consegnò la chiave numero 333: «Terzo piano».

A quella vista, un sorso gli andò di traverso: «Davvero?»

La donna alzò le spalle, poi si occupò di altri avventori.

Espirando rumorosamente, Dan lasciò sul tavolo qualche moneta e, presa la chiave e foto segnaletica, si incamminò lungo le scale.

«Chloe, ho bisogno di rinforzi: Rockwell aveva affittato una stanza qui al saloon un paio di settimane fa e non l’ha ancora disdetta e non è la stessa dove abbiamo trovato il corpo di Eva», le disse al telefono.

«Pensi che Alma Lucinda sia in quella camera?» Seduto accanto a lei, Lucifer scattò immediatamente in piedi e si diresse a lunghe falcate verso l’uscita.

«Aspetta dove vai? Lo richiamò la donna, ancora col cellulare in mano.

«Abbiamo perso troppo tempo, detective. Quell’uomo ha ucciso mia sorella, la mia ex-amante e ha rapito mia nipote. Non voglio anche lei sulla coscienza», si girò appena.

«Vengo con te: non sei armato e non hai le manette. Non saresti molto di aiuto a Dan, in caso di necessità».

Dall’altro capo del telefono, Dan scosse la testa, ma continuò a salire: a quanto pareva, non c’era modo di tenere Lucifer lontano da Chloe e dalle indagini e lui se lo sarebbe sempre ritrovato tra i piedi.

Non che si aspettasse di trovare un invito a entrare, ma la porta della 333 era ovviamente chiusa a chiave. Daniel appoggiò l’orecchio alla porta: dall’interno provenivano deboli mugolii. La buona notizia era che la bambina sembrava viva; la cattiva notizia era che, per quanto ne sapesse lui, poteva trattarsi di chiunque altro; oltre al fatto che poteva essere ferita. In ogni caso, non aveva tempo di aspettare i rinforzi.

 

§ § § § § § § § § §

 

Quando Lucifer entrò nel locale, per poco non richiuse la porta in faccia alla collega, e neanche se ne accorse, ma si diresse a grandi passi verso il bancone: «Sto cercando Hank Rockwell», disse alla barista.

In un primo momento, Chloe rimase esterrefatta: non era da lui rivolgersi in quel modo alle appartenenti al sesso femminile, anzi, non perdeva occasione di sfoggiare il suo fascino.

«Sei il secondo che mi chiede di lui», le disse in tono neutro la barista.

Anche in quel caso, Chloe si stupì: a quanto pareva non era l’unica donna immune al suo fascino diabolico, oppure le donne cascavano ai suoi piedi solo quando lui lo voleva, ma quello che la meravigliò di più fu vedere il partner sporgersi oltre il bancone e, afferrato il colletto della camicia, sollevare la barista di qualche centimetro. Veloce, gli mise una mano sul braccio: «Lucifer», gli sussurrò, mentre si rivolse in modo secco alla barista: «È un alieno e non conosce l’educazione. Se tu, invece, vorresti dirci gentilmente dove possiamo trovare Rockwell...»

«Non lo so», disse con voce strozzata. «È uscito qualche ora fa e non è ancora tornato. Al vostro collega ho detto qual era la stanza che ha affittato».

«E che cosa aspetti a dirlo anche a noi? Vuoi vedere la mia faccia da alieno?» Le sorrise in modo sinistro, piegando di lato la testa, ma senza mostrarle gli occhi rossi.

«Stanza numero 333, terzo piano».

«Grazie», si limitò a dire Lucifer, lasciandola libera e riassestandosi la giacca e i gemelli della propria camicia.

«Meglio di una puntata di “Men in black”», osservarono i due ubriaconi.

«Lucifer, aspetta!» Chloe arrancava dietro di lui, il quale non si prese la briga di voltarsi o rallentare.

Quando arrivò davanti alla porta della camera, rimase pietrificato: Dan era pochi passi davanti a lui, mentre una bambina, con molta probabilità sua nipote tanta era la somiglianza con Kristiel, era rannicchiata in un angolo. Se Dan provava a fare un passo, lei si raggomitolava ancora di più, costringendo l’uomo a tornare indietro.

Chloe lo raggiunse poco dopo, la pistola in mano, ma a quella vista, l’abbassò subito, rinfoderandola. La bambina le rivolse uno sguardo spaventato, mentre il petto le si alzava e abbassava a ritmo veloce.

«Aspettatemi fuori», ingiunse ai due uomini.

«Detective, questa bambina è mia nipote», si oppose Lucifer.

«Quante volte vi siete visti, negli ultimi anni?» Gli chiese.

Il diavolo sbuffò, voltandosi di lato.

«Appunto», gli disse, «lei non ti conosce e avendo subiti abusi da un uomo, dall’uomo che più di tutti avrebbe dovuto proteggerla», si corresse, «vede te e Daniel come uomini».

Daniel era già uscito e Lucifer capì che non gli restava altro da fare che assecondare la donna: alzando le braccia, imitò l’amico.

Rimasta da sola, Chloe mostrò alla bambina i palmi aperti e prima di muovere un passo, le spiegò che si sarebbe avvicinata per liberarla e che non doveva temerla.

Quando la bambina, nonostante le lacrime e i singhiozzi, annuì, cominciò a muoversi, un passo dopo l’altro.

Il tempo all’Inferno gli sembrava scorresse più in fretta, mentre attendeva in corridoio che la detective liberasse la nipote, poi gli venne un’idea: «Daniel, non credi che dovremmo tendere una trappola a Rockwell?»

«Sì, e come?» Lo derise l’altro.

«Tu lo aspetti in cime alle scale e io qua», gli spiegò.

«Certo, così non appena mette piede sul primo gradino, ha tutto il tempo di scappare, prima che io riesca a scendere tutte queste scale», gli illustrò.

«Oh, avanti Daniel, guardati: sei vestito come un qualsiasi avventore di questo posto. Non crederà mai che sei un poliziotto», chiosò Lucifer.

«Non perdi occasione di prendere in giro le persone, credendoti migliore di tutti, non è vero?» Lo aggredì Daniel, avvicinando la sua faccia a pochi centimetri dal volto di Lucifer. «Invece sei...»

In quel momento, uscì Chloe, tenendo per mano Alma Lucinda, la quale, vedendo i due uomini fuori, si strinse ancora di più alla donna.

Questa si inginocchiò davanti a lei, mentre Lucifer guardava la scena incapace di muovere un solo muscolo.

«Alma, lui è Lucifer, un fratello di tua madre. Ora sarà lui a prendersi cura di te», le sussurrò quasi sottovoce.

La bambina guardò l’uomo alto con gli occhi sgranati, senza dire una parola, e senza staccarsi dalla sua salvatrice.

«Sì, io e tua madre siamo – eravamo – fratelli gemelli. Le assomigli molto. Hai lo stesso colore degli occhi. E anche i capelli sono uguali», proferì Lucifer, dopo che Chloe gli aveva fatto segno di dire qualcosa.

Alma, però, continuava a restare immobile.

Intanto, Daniel, continuava a lanciare occhiate preoccupate al fondo del corridoio, temendo l’arrivo (e la relativa fuga) di Rockwell.

Cercando di vincere la propria repulsione verso i bambini, Lucifer espirò e si inginocchiò portando il proprio volto alla stessa altezza di quello della nipote: «Ascolta, lo so che tu non mi conosci, e forse credi che io sia come tuo padre, ma se mi darai l’occasione, ti dimostrerò che non tutti gli uomini sono esseri immondi».

Da parte sua, Chloe spinse la ragazza verso lo zio.

«Bene, noi andiamo». Per quanto avesse voluto bene a Kristiel e cominciasse a sentirsi responsabile della nipote, Lucifer stette attento a non prendere per mano Alma Lucinda, la quale da parte sua non sembrava ancora pronta ad avere alcun contatto fisico con lui, ma si limitò ad appoggiarle una mano sulla schiena, per invogliarla a camminare. Prima di scendere, si voltò verso Chloe: «Detective...»

«Tranquillo, aspetterò il sospettato con Daniel», stette bene attenta a non pronunciarne il nome, « e poi ti raggiungo all’attico: abbiamo un discorso in sospeso noi due», gli sorrise.

Lucifer fu investito da un’euforia che non aveva provato nemmeno dopo la partenza della Madre.
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N.d.A.: Come sempre, ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite e che lasciano un segno del loro passaggio, come anche chi legge in silenzio.
Per chi è interessato, questa è la mia pagina Facebook: http://www.facebook.com/TheMiraesDream/
A presto.

   
 
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