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Autore: Lamy_    18/05/2019    1 recensioni
Ernest Hemingway ha scritto che «il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide.»
Thomas Shelby era uno degli spezzati, ma non uno di quelli forti. La guerra aveva dilaniato la sua anima, l’aveva fatta a brandelli e l’aveva ingurgitata, e al suo ritorno niente era stato più come prima.
Divenuto il leader dei Peaky Blinders, domina su Birmingham e tenta in tutti i modi di proteggere la sua famiglia. Il destino, però, vuole che Thomas si imbatta nella donna che gli ha salvato la vita.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11. EPILOGO

“There’s a devil waiting outside your door
He’s weak with evil and broken by the world
He’s shouting your name and asking for more
There’s a devil waiting outside your door.”
(Loverman, Nick Cave)
 
Sei mesi dopo.
Tommy si aggirava nel salotto di casa Hamilton curiosando tra le foto mentre fumava. Aveva passato la notte a casa di Amabel, era arrivato circa verso mezzanotte e si era premurato di assicurarsi che nessuno lo avesse visto. Una delle foto ritraeva Amabel prima di partire per la Francia, aveva i capelli lunghi e quella sua solita aria da bambina.
“Non ti impicciare.” Biascicò lei sbadigliando. Tra una chiacchiera e un’altra erano finiti a dormire sul divano senza spostarsi in camera da letto.
“Com’eri carina da piccola.” Disse Tommy indicando una sua foto con i codini e un vestito pomposo. Amabel rise, poi strabuzzò gli occhi quando si accorse che erano le sette del mattino.
“Da quanto sei sveglio? Hai bisogno di riposare, Thomas. E devi diminuire le sigarette, i tuoi polmoni stanotte si lamentavano.”
Tommy alzò gli occhi al cielo, odiava quando faceva la dottoressa. Si frequentavano da sei mesi di nascosto, tra sguardi fugaci e sorrisi complici, tra baci rubati e nottate di passione. Stavano bene, avevano trovato il loro equilibrio e non si facevano alcuna pressione a vicenda. Tommy, per la prima volta dalla guerra, si sentiva libero con lei. Amabel era l’unica persona con cui si mostrava vulnerabile quando aveva gli incubi e voleva essere consolato, e lei era sempre pronta a cullarlo per ore pur di calmarlo. Ed era l’unica con cui si mostrava affettuoso, con cui lasciava trasparire il Thomas di una volta, quello dolce e allegro.
“I miei polmoni stanno bene, dottoressa.” Disse dandole un bacio a stampo. Amabel gli tirò uno schiaffo giocoso sul petto nudo ridacchiando. La tiepida luce mattutina delineava perfettamente i muscoli tonici del suo corpo rendendolo simile ad una statua dalle perfette proporzioni.
“Stanno bene? Respiri male, hai l’affanno, e l’alcol non fa altro che peggiorare le cose.”
Tommy, annoiato da quella conversazione sul suo stato di salute, fece spallucce.
“Non ti libererai di me facilmente, Bel.”
“Come hai scoperto il mio piano malvagio? Sono scioccata!” disse lei fingendosi sorpresa. Tommy cercò di attirarla tra le proprie braccia ma Amabel scappò in cucina con la sua risata cristallina che risuonava in tutta la casa.
“Non funziona questo gioco, tesoro. Io ti troverò sempre.” gridò Tommy andando in cucina.
“Puoi provarci!” replicò lei correndo di sopra. Tommy, però, riuscì ad afferrarla prima che raggiungesse le scale e la sollevò per riportarla sul divano. Amabel rise ancora di più quando Tommy iniziò a farle il solletico sulla pancia, e lui rideva di rimando.
“Presa.” Mormorò lui, poi la baciò. Amabel gli avvolse le gambe intorno ai fianchi per avvicinare i loro corpi. Tommy le baciava il collo mentre con le mani le accarezzava le cosce sotto la camicia da notte. E loro erano proprio così, erano risate, baci, carezze, speranze e ricordi. Amabel si preoccupò quando vide Tommy aggrottare le sopracciglia.
“Thomas?”
“Le tue mutandine sono sporche di sangue.”
Amabel di colpo avvampò nell’imbarazzo più totale. Si era dimenticata dell’appuntamento mensile che caratterizza la vita di ogni donna. Tommy, invece, strava trattenendo una risata.
“Scusami.” Borbottò lei fiondandosi su per le scale in direzione della sua stanza.
Una decina di minuti dopo Amabel tornò in salotto e trovò Tommy a sorseggiare una tazza di the placidamente stravaccato sul divano, con addosso ancora solo i boxer. La ragazza si sedette sul divano di fronte a lui guardandosi intorno con le guance in fiamme. Un istante dopo sospirò.
“Mi dispiace per l’incidente di prima. Che dici, mi sono resa abbastanza ridicola per i prossimi dieci anni?!”
Tommy scoppiò a ridere rovesciandosi sulle gambe alcune gocce di the mentre posava la tazzina sul tavolino di cristallo. L’espressione di Amabel era esilarante.
“Vieni qui.” le disse picchiettandosi la coscia destra. Amabel si sedette con i capelli che le coprivano il volto. Sussultò quando Tommy le baciò dolcemente il collo mentre la stringeva a sé.
“Come ti senti?”
Amabel trovava insolita quella tenerezza, in netto contrasto con i suoi soliti modi di fare bruschi. Eppure a lei riservava una delicatezza incredibile che la faceva sentire importante.
“Sto bene. E tu? Voglio dire, non deve essere stato piacevole.”
“Bel, sei un medico e sai meglio di me che certe cose sono normali.”
“Lo so, ma è stato imbarazzante lo stesso. Ci stavamo baciando e stavi per spogliarmi … e poi … è successo … e io non mi ricordavo che fosse oggi.”
Tommy le diede un bacio a stampo sulle labbra contratte in una smorfia dispiaciuta. Era talmente pure in quel momento che il suo cuore quasi smise di battere.
“Non importa che non lo ricordavi e nemmeno cosa stavamo facendo. Se stiamo insieme, di sicuro capiterà altre volte. Ti ricordo che ho una sorella e, sebbene cercasse di nascondersi, era palese quando si trovava in quel periodo del mese.”
Amabel si sentiva una ragazzina alle prime armi, e sbuffò. Le mestruazioni erano normali, ma essere beccata impreparata da Tommy le metteva una certa agitazione. Però lui la stava stupendo con quella disinvoltura.
“Va bene.” disse Amabel accoccolandosi sul suo petto. Tommy le lasciò un bacio sulla fronte abbracciandola più stretta. Era meravigliato da se stesso per tutte quelle attenzioni che le dedicava. Amabel si rannicchiò contro di lui lasciandosi coccolare, e Tommy non si oppose affatto.
“Questo fine settimana ci possiamo vedere?”
“Temo di no. Nel pomeriggio arriverà il mio amico Oliver da Boston e domattina arriveranno Bertha e le ragazze. Saranno tutti qui per l’inaugurazione.”
Quel sabato, infatti, la clinica Hamilton sarebbe stata inaugurata. Gli Shelby avevano comprato un vecchio edificio in centro, lo avevano ristrutturato, e in pochi mesi era stato preparato tutto. Alcuni medici avevano addirittura già fatto richiesta di assunzione, in fondo la famiglia Hamilton era rinomata in tutta l’Inghilterra e oltre. Amabel aveva trascorso quasi tutti i giorni con Ada in cerca di sponsor, ricchi finanziatori, e bambini bisognosi di aiuto. Aveva anche aperto un’ala per i soldati di guerra a nome di Aaron Jones e Freddie Thorne, mentre l’ala chirurgica era stata dedicata ad Oswald Hamilton.
“Devo preoccuparmi di questo Oliver?” chiese Tommy pizzicandole il ginocchio. Amabel scosse la testa ridendo.
“Ehm, no, direi proprio di no.”
Tommy lesse nei suoi occhi un certo divertimento che gli fece arricciare il naso.
“Cos’è che non mi dici? Lo sai che non mi piace chi mi tiene le cose nascoste.”
Amabel sospirò quando la mano di Tommy si spostò dalla pancia verso il basso ventre, era pericolosamente vicino all’orlo dell’intimo. La sta piacevolmente torturando.
“Non posso dirtelo.” Disse Amabel con una serietà che lo fece preoccupare.
“Ci sei andata a letto?”
“Thomas!”
“E allora puoi dirmelo. Non ti fidi di me?”
Amabel lo vide irrigidire la mascella, tipico indizio che si stava innervosendo, e gli baciò il tatuaggio sul petto.
“Mi fido di te, perciò te lo dirò. Però devi promettermi che non ne farai parola con nessuno.”
“Te lo prometto. Allora?”
“A Oliver piacciono gli uomini.”
Tommy sgranò gli occhi, non si aspettava un segreto di tale portata. L’omosessualità in molti paesi, come l’URSS, era considerato un reato e in generale era considerata una sorta di malattia.
“Capisco. E come mai tu conosci questo tizio?”
“Dopo che la mia unità è tornata in Inghilterra, prima ancora di far ritorno a Birmingham, a Londra siamo stati assistiti da medici e psicologi per riadattarci dopo la guerra. Oliver era stato assegnato a me e, giorno dopo giorno, è nata la nostra amicizia. Lui sa di te, è stata la prima cosa che gli ho raccontato.” Disse Amabel con un sorriso malinconico. Tommy poggiò la fronte nell’incavo del suo collo e con la punta del naso le accarezzò la pelle.
“Il tuo Thomas.”
“Il mio Thomas.”
La ragazza annuì passandogli le dita tra i capelli e le spalle di Tommy crollarono a quella sensazione di pace che gli dava quel tocco. Lui sollevò la testa per guardarla sorridere.
“Mi piace come suona detto da te. Mi piace essere tuo.”
Amabel gli accarezzò gli zigomi lentamente, avvertendo sotto i polpastrelli la barba che stava per ricrescere e la cicatrice, mentre Tommy non stacca gli occhi da lei. Per un momento tornarono gli Amabel e i Thomas di sette anni fa, giovani, spensierati, pieni di sogni. Era incredibile che si fossero ritrovati, sembrava quasi che l’universo, nonostante mille giri, li avesse voluti insieme a tutti i costi.
“Allora vedi di smettere di bere e fumare in modo da restare mio ancora per molto!”
Tommy sbuffò per quell’ennesimo ammonimento facendo ghignare Amabel.
“Sta zitta e baciami, Bel.”
L’attimo dopo si stavano baciando appassionatamente. Amabel si sistemò a cavalcioni mentre Tommy le arpionava i fianchi per tenerla stretta. Bastava un semplice bacio per infiammarli. Continuarono a baciarsi con maggiore trasporto fino a quando non uscirono di casa separandosi per non destare sospetti.
 
Una settimana dopo.
Diana si allacciò la sciarpa al collo per impedire al vento fresco di farla rabbrividire. Al suo fianco c’era Finn e a pochi metri dalle loro spalle camminava Bertha. Il ragazzo era andato a prenderla a casa in modo da arrivare insieme all’inaugurazione, e la domestica si era accodata per badare che lui non facesse mosse azzardate.
“Come va a Londra?” chiese Finn accendendosi una sigaretta. Diana abbozzò un sorriso per gli occhi inquisitori dell’amico.
“Beh, va abbastanza bene. Vado a scuola, prendo lezioni di pianoforte e di equitazione. E qui come va?”
“Va come sempre. Ehm, domattina sei libera? E’ domenica, perciò … non so… potrei farti vedere i cavalli dei miei fratelli.”
Diana arrossì, era la prima volta che Finn parlava di una sorta di appuntamento.
“Certo, è una splendida idea.”
“Va bene.”
La ragazza si avvicinò a lui facendo sfiorare le loro spalle.
“Finn, sei strano. Qualcosa non va?”
“E’ solo che mi manchi. Prima avevo una scusa per allontanarmi dai casini della mia famiglia grazie alle tue lezione, invece ora me ne sto sempre da solo.”
A Diana fece male vedere l’espressione abbattuta di Finn, in fondo era l’unica amicizia vera della sua vita. Finn era diverso dai ragazzi spocchiosi e ricchi che frequentava, lui era molto dolce e sensibile, e anche galante per appartenere ad una bassa classe sociale.
“Anche tu mi manchi. Io vorrei tornare a Birmingham ma le mie sorelle non me lo permettono.”
“Lo so, Tommy mi ripete sempre che vi siete allontanate per il vostro bene. Però perché Amabel è qui?”
“Perché il suo posto è tra i bisognosi. Amabel ha questa missione nella vita, vuole prestare aiuto a tutti senza alcun pregiudizio. Non so, penso che sia una conseguenza della guerra.”
Finn annuì poco convinto. Era ingiusto che la ragazza più carina di Inghilterra, nonché sua unica amica, si fosse trasferita lasciandolo solo.
“Posso sentirti in qualche modo? Io non sono molto ancora bravo a scrivere, quindi le lettere non fanno al mio caso.”
“Potresti chiamarmi la domenica mattina, dato che sono a casa, e potrei chiedere ad Amabel il permesso di tornare a Birmingham almeno un weekend al mese.”
Gli occhi di Finn si illuminarono e Diana sorrise, forse per loro c’era una speranza. Il ragazzo si fermò costringendo lei a fare lo stesso, e si assicurò che Bertha fosse abbastanza lontana.
“Diana, devo dirti una cosa a cui sto pensando da un po’.”
“Dimmi.”
“Ecc … sì … beh … il fatto è che … tu mi piaci, Diana. Cioè, mi piaci più di un’amica.”
Diana, che non aveva mai avuto dichiarazioni simili, abbassò il mento arrossendo a dismisura. Evelyn una volta le aveva detto che un ragazzo avrebbe dovuto corteggiarla con modi raffinati prima di dichiararsi, ma Finn non avrebbe mai rispettato il galateo dell’alta società.
“Perché vi siete fermati?” intervenne Bertha allungando il collo con fare circospetto. Finn, deluso dal silenzio di Diana, sospirò.
“Andiamo, l’inaugurazione ci aspetta.”
 
Evelyn attendeva sulla scalinata della nuova clinica l’arrivo di Diana e Bertha. Avvolta in un lungo abito color argento, si sistemava lo scialle di pizzo sulle spalle per ripararsi dalla frescura. La sala centrale della clinica era già gremita di gente, tutti i ricchi che avevano finanziato l’opera pur di fare bella figura, e altri ospiti si accalcavano all’entrata.
“Buonasera.” Esordì una voce dietro di lei facendola sobbalzare. Michael sorrideva con le mani in tasca e la sigaretta in bocca. Evelyn fece roteare gli occhi sbuffando.
“Oh, sì che adesso la mia serata è rovinata!”
“Sei sempre così gentile? Credevo che Londra avesse migliorato il tuo carattere.” Disse lui con una certa vena di irritazione nella voce. Evelyn incrociò le braccia sotto al seno assumendo un’espressione disinteressata.
“Che peccato aver disatteso le speranze di un criminale.”
“Sei ancora arrabbiata per la faccenda del tuo matrimonio? Sei davvero una ingrata, Evelyn. Tua sorella è scesa a patti con i Peaky Blinders pur di salvarti la vita, ma tu non te ne rendi conto perché sei troppo impegnata a fare la stronza.”
Evelyn si sentì ferita nell’orgoglio e distolse lo sguardo da lui. Era consapevole del rischio che aveva corso Amabel e le era riconoscente, però forse non aveva mai davvero compreso fino in fondo quanto fosse stata fortunata ad essersi liberata di Jacob.
“Non farmi la predica, Michael. Non sono una bambina!”
“Però ti comporti come se lo fossi.” Disse lui, dopodiché si avviò verso l’interno. Evelyn, che in quei mesi di lontananza aveva pensato a lui, si sentì in colpa. Alla fine era stato anche grazie a lui che aveva avuto il coraggio di volare pagina.
“Michael, aspetta.”
Michael si girò buttando fuori il fumo, era visibilmente nervoso.
“Che c’è, vuoi insultarmi ancora?”
 “No. Voglio ringraziarti. Lo so che tu e Amabel mi avete salvato da un matrimonio tossico che probabilmente mi avrebbe spezzato, e sono stata una sciocca a trattarvi male per questo. Non condivido il tuo modo di vivere ma ti sono debitrice. Come posso sdebitarmi?”
Evelyn era talmente bella che il proposito di Michael di essere arrabbiato si dissolse. Il modo in cui i capelli biondi le ricadevano sulla schiena in una cascata dorata e i suoi occhi scuri erano una combinazione letale.
“Puoi sdebitarti ballando con me, signorina Hamilton.” disse lui offrendole la mano. Evelyn allora sorrise accettando l’offerta.
“Con molto piacere, signor Gray.”
 
Ada stava dando un ultimo ritocco al rossetto quando Amabel irruppe in quello che era diventato il loro ufficio.
“I tuoi fratelli non sono ancora arrivati, ma gli ospiti sono tutti qui. Direi che possiamo scendere. Sei pronta?”
Sebbene avessero due personalità opposte, erano diventate molto amiche negli ultimi mesi. Ada era una semplice ragazza che voleva evadere dalla corruzione della sua famiglia ma che puntualmente ci si ritrovava avviluppata. Per lei la clinica era un nuovo inizio, un mezzo per dimostrare a tutti quanto valesse. Si aggiustò le pieghe del vestito blu che indossava prima di prendere Amabel a braccetto.
“Pronta. Andiamo, amica mia!”
Non appena fecero il loro ingresso nella grande sala, tutti i presenti applaudirono. Polly sorrideva soddisfatta nel vedere sua nipote occupare finalmente una posizione di potere, era quello che meritava. Grace, Finn e Michael fischiarono per elogiare Ada. Bertha, Evelyn e Diana applaudivano più forte degli altri facendo commuovere la sorella. Zia Camille mancava, non aveva più voluto avere contatti con le nipoti dopo la morte dei Cavendish.
Gli ospiti attorniarono le due padrone di casa per complimentarsi, stringere le mani, elargire consigli e sorrisi. Sul viso di Amabel si dipinse un sorriso radioso quando scorse Oliver in fondo alla sala. Corse da lui per abbracciarlo.
“Sono così felice che tu sia qui!”
Oliver Ross era un bell’uomo di circa trenta anni, con i capelli castani e grandi occhi verdi, e quella faccia simpatica che catturava tutti.
“Sono felice anche io, Amabel. Sei favolosa!”
Amabel per l’occasione aveva indossato un abito nero di pizzo con le bretelle sottili e una fascia di perline in vita. I capelli erano legati in uno chignon ordinato, il trucco era leggero, e ai lobi portava gli orecchini di perle di sua madre.
“Anche tu stai davvero bene!”
Oliver seguì lo sguardo dell’amica che continuava a lanciare occhiate fugaci alla porta.
“I tuoi occhi stanno cercando qualcuno?”
Amabel stava per replicare quando i fratelli Shelby entrarono. Mentre Arthur e Linda andarono da Polly, Tommy fece vagare gli occhi nella stanza. Sorrise non appena riconobbe Amabel, meravigliosa nella sua solita eleganza. Rimasero a fissarsi per un po’, in quella sala esistevano solo loro due, il resto del mondo era svanito.
“Lui è Thomas.” Disse, e Oliver capì subito a chi si riferisse.
“Quel Thomas? Quello della guerra?”
“Il solo e unico.” Rispose Tommy sbucando alle sue spalle. Oliver sollevò le sopracciglia per la sorpresa. Amabel rise e gli diede una gomitata nelle costole.
“Oliver, lui è Thomas Shelby. Thomas, lui è Oliver Ross.”
“Piacere di conoscerti.” Disse Tommy stringendo la mano dell’uomo. Amabel era lieta che si stesse comportando bene sebbene sapesse il segreto di Oliver.
“Il piacere è tutto mio, credimi! Amabel mi ha parlato tanto di te ed è come se ti conoscessi!”
Tommy d’istinto mise una mano tra le scapole di Amabel come aveva fatto all’Athenaeum, e la ragazza si crogiolò nel calore della sua pelle.
“Spero che la nostra dottoressa ti abbia detto solo cose belle su di me.”
Oliver sorrise sornione notando il feeling tra l’amica e Tommy, di sicuro erano più che amici.
“Sì, mi ha parlato bene di te. E’ bello che vi siate ritrovati dopo sette anni.”
“Dipende dai punti di vista.” Replicò Amabel scoccando un’occhiata complice a Tommy.
“Ti ho dato una clinica tutta tua e mi tratti ancora male? Non andiamo bene, dottoressa. I nostri affari sono in crisi.” Disse lui facendo scivolare la mano verso la base della schiena della ragazza. L’espressione divertita di Oliver si tramutò in una maschera di preoccupazione.
“Amabel, abbiamo un problema.”
Amabel si voltò e aggrottò le sopracciglia alla vista di un uomo che camminava nella sua direzione. Era alto, fisico atletico, lucenti capelli biondi e un sorriso affascinante. Tommy sentì la ragazza irrigidirsi e si allarmò all’istante. Quando l’uomo fu vicino, le baciò la mano come richiesto dalle buone maniere.
“Amabel, sei uno splendore.”
“E voi siete?” domandò Tommy, la mascella indurita, le mani che prudevano.
“Sono Warren Emerson.”
La mano di Tommy che stava sulla schiena di Amabel ricadde, e la ragazza avvertì dolorosamente l’assenza del suo tocco.
“Warren, che diamine ci fai qui? Non ti ho spedito l’invito.”
“Bertha è stata così gentile da spedirmene uno. Voleva che fossi qui a tutti i costi. Non potevo perdermi il tuo grande momento!”
“Vieni con me.”
Trascinò Warren in giardino per avere maggiore privacy, malgrado lo sguardo furente di Tommy.
“Non sei contenta di vedermi, Amabel?”
“No! Non sono contenta di vederti, Warren! Devi andartene. Devi lasciare la città stasera stessa.” Gli intimò Amabel tentando di mantenere un tono basso di voce per non attirare l’attenzione. Warren rise della sua agitazione.
“Non posso andarmene. Sono stato assunto come docente di chirurgia presso l’università di Birmingham. Resterò qui per un anno.”
Amabel si portò le mani tra i capelli, incurante di rovinarsi l’acconciatura, e mormorò un ‘maledizione’.
“Come hai fatto ad essere assunto? Ma è ovvio, hai chiesto a tuo cugino di intercedere.”
“Sono qui per te, Amabel. Perché non lo capisci?”
Amabel indietreggiò di scatto quando Warren le accarezzò la guancia, non voleva essere toccata da lui.
“Va tutto bene?” si intromise la voce profonda di Tommy, che li aveva raggiunti per accertarsi che andasse tutto bene. Teneva la sigaretta all’angolo della bocca e le mani in tasca, il segno palese della sua presa di posizione. Amabel lo affiancò e annuì. Si sentì sollevata quando la mano calda di Tommy le sfiorò la schiena.
“Va tutto bene, Thomas. Devo parlare con Bertha.”
Warren voleva inseguirla ma Tommy gli mise una mano sulla spalla per fermarlo.
“Allora, dottorino, cos’è che vuoi?”
“Ho per caso un conto in sospeso con voi, signore? Non mi sembra. Pertanto sono libero di andare.”
La presa di Tommy sulla sua spalla si rinforzò e gli fece digrignare i denti per il dolore.
“Stammi bene a sentire, dottorino. Lascia in pace Amabel. Fossi in te, mi guarderei le spalle attentamente.”
“Sono qui perché la amo. Sono in questa città degradata per riprendermi Amabel. Niente e nessuno mi fermerà, neanche il diavolo.” Sibilò Warren ad una spanna dal viso di Tommy.
“Tu non hai idea di quanto sia fottutamente pericoloso il diavolo da queste parti.”
“Amabel sarà mia entro la fine dell’anno.”
Warren si scrollò di dosso la mano di Tommy e indietreggiò per rientrare in sala, però Tommy lo richiamò.
“Il diavolo verrà a cercarti se non starai lontano da lei. Hai capito, dottorino? Sta per venirti a prendere.”
 
“Mi dispiace, signorina, ma non mi pento della mia decisione.” Disse Bertha con gli occhi lucidi. Amabel l’aveva condotta in un anfratto nascosto del giardino per affrontarla.
“Tu non decidi proprio nulla, Bertha. Io sono il capo della famiglia Hamilton, io prendo le decisioni, e io scelgo chi invitare nella mia clinica! Sei come una madre per noi, ma stasera hai superato ogni limite. Come ti è venuto in mente di invitare Warren? Lo sai che non voglio vederlo!”
“Io … io non voglio che voi frequentiate gli Shelby, signorina. Vi avevo avvertita, eppure ci siete cascata. Voi siete di buon cuore e avete un’anima innocente, non posso permettere che vi intratteniate in compagnia di certa gentaglia. Tommy Shelby è un ladro, un allibratore, un assassino spietato, e vi sta solo usando. Immagino che abbia già approfittato del vostro corpo, vero? Oh, bambina mia, che dolore!”
“Sì, Tommy non è la persona migliore di questo mondo. E sì, fa delle cose orribili, è spietato, ma non è quello che tutti credono. E’ un uomo buono nel profondo, deve solo ricordare a se stesso che può farcela, che può superare ogni giorno senza ricorrere alla violenza. E non ha approfittato di me, non lo farebbe mai. Ti prego, Bertha, lasciami vivere la vita secondo le mie regole. Conosco la soglia da non valicare, e non lo farò. Sono Amabel e lo sarò per sempre, però sono una donna adesso e devi lasciarmi andare.”
Bertha ormai stava piangendo sommessamente senza controllo. Aveva cresciuto quelle tre bambine come fossero figlie sue, le aveva sempre supportate, aveva curato ogni loro ferita, ma era arrivato il momento che le colombelle spiccassero il volo.
“Non sono felice di come avete scelto di vivere, ma non sono nessuno per biasimarvi. Io e le vostre sorelle vi aspetteremo a Londra sempre a braccia aperte. E mi dispiace per Warren, non avrei dovuto invitarlo. Vi voglio bene, mia piccola donna.”
Amabel abbracciò la governante con una nuova leggerezza nel cuore. Era consapevole di rischiare tutto con gli Shelby, ma era proprio quel tipo di pericolo che cercava per mantenersi viva.
“Ti voglio bene anche io, mia governante brontolona.”
 
Erano circa le dieci di sera quando Amabel si mise alla ricerca di Tommy. Dentro non c’era, non era con la sua famiglia, e Oliver lo aveva visto lasciare l’ospedale.
“E’ andato via.”
Amabel si voltò verso Polly ed emise un sospiro frustrato.
“Le cose stasera si sono complicate il doppio di quello che mi aspettavo. L’arrivo di Warren è stata la ciliegina sulla torta.”
“Tommy ha bisogno di te. Lui ha perso la testa per te sin dai tempi della Francia. Per un po’ ha dimenticato il tuo volto, il tuo sorriso, la tua voce, ma non hai mai scordato quello che gli facevi provare. Tu lo hai conosciuto quando era ancora Thomas, lo hai accettato allora e lo accetti anche oggi. Grace è stata importante per lui, un grande amore senza dubbio, ma non il tipo di amore che gli serve.”
“E quale tipo di amore gli serve?”
Polly si attorcigliò una ciocca di Amabel intorno all’indice con fare materno.
“Quel tipo che lo tiene a galla quando il mondo affonda. Un amore che lo sappia curare, che calmi le sue tempeste, e che gli ricordi ogni momento che esiste il buono nella vita. Vai da lui, Amabel, e salvalo.”
 
Tommy si stava scolando l’ennesimo drink quando il suo momento di solitudine fu interrotto da ripetuti colpi alla porta. Aprendo, inarcò il sopracciglio alla vista di Amabel.
“Disturbo? No? Fantastico!” disse lei entrando senza permesso.
“Che ci fai qui? Hai degli ospiti da intrattenere.”
“Ada è decisamente più brava di me ad intrattenere gli ospiti. Io avevo bisogno di vederti.”
“Mi hai visto.” Disse Tommy allargando le braccia in modo teatrale. Amabel lo seguì nello studio e si sedette, era stranamente stanca.
“Perché hai abbandonato la festa? Pensavo volessi celebrare l’attività di riciclaggio di denaro sporco.”
“Me ne sono andato per non vederti insieme al tuo amichetto. Non volevo rovinarmi l’umore.” Ribatté lui versandosi altro whiskey. Se ne stava seduto con i gomiti sui braccioli e la sua tipica espressione distaccata.
“Il tuo umore è sempre rovinato, Thomas. Sta di fatto che Warren non è il mio amichetto e non ero con lui. Gli ho parlato solo per cacciarlo da Birmingham, anche se non è servito a nulla dato che è stato assunto come docente.”
“Bene, dovrò sopportare quel fottuto dottorino ancora per molto.” Disse lui contraendo la mascella. Amabel si alzò per prendere posto sulle sue gambe, sebbene lui la ignorasse.
“Non fare così. Warren è solo una mia rogna, capito? E’ solo un ex fidanzato che vedrò più spesso in giro.”
“La cosa non mi piace, sappilo.”
“Tu vedi Grace ogni giorno ma io non te lo faccio pesare perché per me non è un problema. Io mi fido di te.”
Tommy osò guardarla e si morse le labbra per quanto appariva bella sotto i raggi lunari che penetravano dalla finestra.
“Io e Grace abbiamo un figlio, è ovvio che ci vediamo tutti i giorni. E non puoi paragonare Grace a quel cazzone di Warren.”
“Giusto, Grace è molto più bella di Warren!” disse lei ridendo. Tommy, che non resisteva mai con lei, si fece scappare un sorriso.
“Sono un fottuto disastro, Bel. Sono egoista, ambizioso, un manipolatore, un bugiardo e tu … tu sei così pura! Non voglio trascinarti a fondo con me. Tu non appartieni alla mia gente, né al mio mondo, e neanche a Small Heath.”
Amabel fu attraversata dai brividi, quasi certamente era timore. Timore che lui potesse rifiutarla.
“Sì, sei un dannato disastro. Però non sarei qui se tu non lo fossi. Io ti conosco meglio degli altri, so chi eri prima della guerra e so chi sei ora, ed è per questo che non riesco ad allontanarmi da te. Sei molto più di uno zingaro, di un gangster, di un uomo senza scrupoli. Tu hai fin troppo cuore, ma lo nascondi per paura che qualcuno possa vederlo e svelare la tua fragilità. Io non te lo spiegare cos’è che continua ad attirarmi a te e ai tuoi guai, ma so che non posso farne a meno. Io sento che senza di te non posso stare.”
Tommy guardò fuori per sottrarsi agli occhi di Amabel che gli scavavano fin nelle ossa in cerca di chissà cosa. Si sentiva scoperto, messo a nudo nella sua vulnerabilità, e amava il fatto che lei riuscisse a farlo sentire ancora umano.
“Mi sei entrata nelle vene, Bel, e da lì non te ne andrai mai.”
Poi accadde in un attimo. Tommy la prese in braccio facendola sedere sulla scrivania e buttò a terra i fogli che ricoprivano la superficie di legno. Amabel gli avvinghiò le gambe intorno al bacino attirandolo in un bacio vorace. Le sue mani le alzarono il vestito mentre le tempestava il collo di baci. Amabel gli circondò il collo ansimando ad ogni tocco. Erano due fiamme che davano vita ad un incendio ogniqualvolta stavano insieme. Tommy ghignò quando le dita della ragazza scattarono a sbottonargli i pantaloni, era una novità quella intraprendenza.
“Lo vuoi davvero?” le chiese tra un bacio e l’altro, e Amabel si staccò solo per accarezzargli gli zigomi. Gli prese la mano e se la poggiò sul petto dove batteva il cuore.
“Davvero.”
Tommy la baciò ancora, e questa volta con maggiore passione. Infilò le mani sotto il suo vestito per toglierle l’intimo senza mai smettere di baciarla. Amabel, che non aveva mai consumato un rapporto su una scrivania, avvertiva una certa adrenalina. Stare con Tommy era immorale in tutti i sensi e lei non desiderava altro. Lo studio ben presto si riempì di gemiti e respiri irregolari, mentre i loro corpi si fondevano senza esitazioni. Tommy scostò con urgenza le spalline del vestito di Amabel per blandire le spalle e le clavicole di baci, e lei gli baciava il collo ansimandogli all’orecchio. In quell’istante il mondo sarebbe anche potuto crollare e loro non si sarebbero staccati perché il bisogno di stare vicini era superiore a qualsiasi catastrofe. Dopo che ebbero raggiunto l’apice, Tommy poggiò la fronte contro quella di Amabel con il respiro mozzato. Lei sorrideva tentando di riprendere a respirare normalmente.
“Adesso ascoltami, Bel – disse Tommy accarezzandole il collo – Voglio che tu vada ad aspettarmi di sopra, nel mio letto, perché con te stanotte non ho ancora finito. Voglio fare l’amore con te e farti sentire tutto, proprio tutto.”
Sul viso di Amabel balenò un sorriso malizioso e scese dalla scrivania sistemandosi il vestito.
“Ti aspetto. Però non metterci troppo, già mi manca il tuo corpo.” disse Amabel dandogli un bacio a stampo sulle labbra, dopodiché svanì su per le scale. Tommy si assicurò che fosse salita per digitare il numero di casa di Arthur.
“Qui Arthur Shelby. Chi parla?”
“Sono Tommy. Devi fare una cosa per me.”
“Chi devo ammazzare?” replicò Arthur tirando su col naso, e Tommy lo immaginò già stordito da qualche striscia di neve.
“Non devi ammazzare nessuno. Devi mandare due dei nostri a fare visita ad un certo Warren Emerson. Non gli devono fare troppo male, devono solo spaventarlo.”
“Lo fai per la tua bella dottoressa?” lo canzonò Arthur, ma Tommy non aveva voglia di ridere.
“Tu dai l’ordine e basta. Buonanotte.”
 
Amabel osservava il soffitto mentre scorreva le dita tra i capelli di Tommy. Avevano da poco finito di fare l’amore e si stavano cullando l’uno nel calore dell’altro. Tommy stava sdraiato in mezzo alle sue gambe con la guancia posata sul suo stomaco e la mano destra a stringere la sua. Una sensazione di pace pervadeva la stanza.
“Prima, mentre tornavo a casa, ho lanciato una monetina. Lo faccio sempre quando devo prendere una decisione importante.” Disse Tommy baciandole l’interno del polso. Amabel in risposta gli accarezzò le cicatrici sulle spalle.
“E qual è la decisione importante che dovevi prendere?”
“Riguarda una donna.”
“La moneta è stata d’aiuto?”
Tommy le baciò la pancia e sorrise contro la sua pelle. Si sentiva vulnerabile ma non lo preoccupava perché sapeva che Amabel avrebbe preservato quel suo lato debole.
“Non ho avuto il coraggio di guardare se era testa o croce.”
“Allora fai un altro lancio, magari trovi la soluzione.” Gli consigliò lei passandogli le mani sugli zigomi. Allora Tommy si alzò dal letto in tutta la sua gloriosa nudità, ottenendo uno sguardo ammirato da parte di Amabel, e si infilò i boxer. Raccattò i pantaloni e scavò nella tasca in cerca della moneta. Quando la ebbe trovata, se la rigirò tra le dita.
“La testa è sì, la croce è no.”
Amabel si sedette sul bordo del letto e si coprì il corpo nudo lasciando scoperte solo le gambe e le spalle. Entrambi fissarono la moneta volteggiare in aria e piombare sul parquet con un tonfo sordo. Tommy si abbassò a leggere il responso con una certa agitazione. Testa.
“Ebbene?” chiese lei morsicandosi l’interno guancia.
“E’ testa, è un sì.”
“Sì a cosa, dunque?”
Amabel corrugò la fronte quando Tommy si inginocchiò di fronte a lei prendendole le mani.
“E’ un sì a dirti cosa provo.”
“Thomas, non ti sto capendo.”
Tommy deglutì, e Amabel nei suoi occhi azzurri vide una nuova luce.
“Ti amo.”
Amabel sgranò gli occhi scuri a quelle parole che non credeva le sarebbero mai state rivolte. Eppure Thomas Shelby, il soldato prima e il gangster ora, aveva professato il proprio amore per lei. Nell’ultimo anno erano stati uniti, si erano aiutati a vicenda, si erano salvati, avevano riso e litigato, e alla fine si erano ritrovati. Amare un uomo come Tommy era un rischio, ma uno di quelli che vale la pena rischiare.
“Ti amo anche io, Thomas.”
Tommy la baciò senza perdere tempo, non c’era nessun motivo per indugiare ancora. Polly aveva avuto ragione quando gli aveva detto che dopo Grace sarebbero arrivate altre donne, ma per lui adesso esisteva una sola donna ed era Amabel. Nessuno meglio di lei conosceva il suo cuore, con lei poteva essere se stesso senza preoccuparsi, era libero.
 
La prima cosa che Tommy vide aprendo gli occhi fu il letto vuoto accanto a sé. Il vestito e le scarpe di Amabel non c’erano più e le lenzuola erano fredde, quindi doveva essersi svegliata parecchio tempo prima. Per un secondo la paura che se ne fosse andata si impossessò di lui. Di certo non era un uomo aperto, ma pensava che rivelarle i propri sentimenti l’avrebbe convinta ancora di più a restare.
“Bel! Bel!” gridò scendendo velocemente le scale in preda all’agitazione. Sorrise raggiante quando la ragazza sbucò dalla cucina.
“Stai bene, Thomas? Ero in cucina per mangiare qualcosa ma sembra proprio che la tua dispensa sia vuota.”
Tommy di colpo l’abbracciò affondando il viso nell’incavo del suo collo. L’odore di Amabel era rassicurante.
“Ti amo. Ti amo. Ti amo.” Sussurrò contro la sua pelle, le labbra che si muovevano sulla vena pulsante della gola. Amabel si intristì nel vederlo così insicuro, così affamato di affetto e di attenzioni. Perché Tommy poteva fare il duro quanto voleva, ma nel profondo serbava un animo gracile e ferito.
“E io amo te.” gli disse baciandogli la guancia, quasi fosse una madre che culla il proprio bambino. Quella tenerezza fu troncata dal suono del telefono. Tommy, turbato dalla probabilità che i suoi uomini avessero ucciso Warren, accettò subito la chiamata.
“Pronto?”
“Riunione di famiglia. – ordinò la voce di Ada – Polly ha un brutto presentimento.”
Amabel notò la faccia di Tommy adombrarsi e un moto di ansia le attanagliò lo stomaco.
“Thomas?”
“Preparati, Bel.”
“Per cosa?”
Tommy le stampò un bacio sulle labbra.
“Per la tua prima riunione di famiglia.”
 
Arthur e Michael avevano riso sotto i baffi quando Tommy aveva raggiunto Small Heath insieme ad Amabel. La dottoressa indossava ancora l’abito della sera precedente, il trucco si era un poco rovinato e i capelli erano ormai sciolti sulle spalle. Polly quasi si strozzò con il the alla vista della ragazza.
“Che ci fa la dottoressa qui?”
“Fa parte dei Peaky Blinders  e di conseguenza fa parte della famiglia. Ci possiamo fidare di lei come se fosse sangue del nostro sangue.” Disse Tommy accendendosi una sigaretta. Non voleva dire alla sua famiglia che stava con Amabel, lo avevano stabilito insieme, ma la voleva comunque nella ristretta cerchia degli Shelby.
“Qual è il brutto presentimento, Pol?” indagò Arthur bevendo whiskey direttamente dalla bottiglia, sebbene fossero solo le otto del mattino. Polly scrutava i presenti mentre il fumo della sua sigaretta l’avvolgeva in una cortina di fumo bianco. Amabel immaginava che fosse un retaggio del loro sangue zingaro.
“Qualcosa di molto brutto è arrivato in città. Stanotte non ho chiuso occhio, ero nervosa e stamattina il crocifisso era storto.”
“E quindi?” disse Finn, e Amabel abbozzò un sorriso verso di lui. Prima che Polly proferisse ancora, qualcuno bussò con veemenza.
“E’ qui.” disse Polly con voce assente, sembrava in uno stato di trance. Tutta la famiglia, Amabel inclusa, accolse il nuovo arrivato. Al di là della porta c’era un uomo snello ben vestito, con i baffi curati e i capelli nascosti da un capello di buona fattura.
“Oh, ma che fortuna trovarvi tutti insieme.”
Tommy si fece avanti con le mani in tasca e lo sguardo di sfida.
“Voi chi siete?”
L’uomo sorrise togliendosi il cappello, era giovane nonostante l’abbigliamento austero.
“Mi chiamo Bruno Schmid e sono qui per conto della signoria Lena Meyer. Mi manda a Birmingham perché ha un regalo per voi.”
Al suo cenno due uomini scesero da un camion trasportando un sacco pesante. Un terzo uomo teneva in braccio Charlie. Arthur e Tommy sguainarono le pistole immediatamente.
“Che cazzo di gioco è questo?” chiese Tommy con la rabbia che gli macchiava la voce. Amabel e Polly si strinsero la mano per darsi sostegno.
“Aprite il sacco e vedrete il regalo. Lena spera che sia di vostro gradimento.”
Non appena Bruno e i suoi uomini si furono allontanati, Amabel si gettò in strada per prendere Charlie e affidarlo a Finn perché lo portasse dentro. Tommy aprì velocemente il sacco che emanava un tanfo terribile. Amabel lo vide sbiancare poi accasciarsi in ginocchio per vomitare. Mentre Arthur e Polly si chinavano per aiutarlo, Amabel sbirciò nel sacco e represse un conato. Il corpo di Grace stava rannicchiato con un proiettile nel cuore.
“Cazzo.” Disse Michael al suo fianco. Amabel per abitudine controllò il battito, ma ormai non c’erano più speranze.
“Grace è morta.”
Tommy si ripulì la bocca strisciando sino al corpo freddo di Grace per abbracciarlo.
“Mi vendicherò. Giuro su nostro figlio che mi vendicherò.”
 
 
Salve a tutti!
Beh, come avrete notato ho stravolto gli eventi e spero che non vi dispiaccia. Ovviamente ho dovuto adattare ogni evento della serie alla mia storia.
Amabel e Tommy credevano di averla fatta franca, però i guai a Small Heath non finiscono mai.
Tornerò per una seconda parte, perciò restate con me.
GRAZIE a tutti per aver seguito la storia.
Alla prossima.
Un bacio.
 
 

 
  
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