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Autore: shamrock13    18/05/2019    2 recensioni
Ho letto Life and Death, e diciamolo… Meh.
Ho iniziato a pensare a tutte le cose che non mi erano piaciute, a come quei personaggi erano poco convincenti, a come sarebbe dovuta andare la storia se lui fosse stato un umano e lei una vampira, ed ecco qui.
Non sono Bella ed Edward (o Beau ed Edythe), volevo provare ad inserire delle dinamiche nuove.
E' la mia "alternativa", spero vi piaccia!
Dal cap. 1:
Anche lei alzò il viso e voltò la testa verso di me, lanciandomi un’occhiataccia. Mi voltai, con un’immagine piuttosto confusa in mente. Lo sguardo che mi aveva lanciato non era solo infastidito, era ostile, minaccioso. Proveniva da un volto molto bello, da due occhi… castani? Molto chiari?
Evidentemente avevo visto male perché sembravano addirittura gialli, o ambrati. E quello non è un colore “giusto” per gli occhi, no?
E poi, era proprio così bella? Mentre l’impressione di bellezza sbiadiva già, a causa della brevità del momento in cui l’avevo guardata, l’altra sensazione che avevo avuto, quella di minaccia, permaneva nella mia mente. Un brivido mi percorse la schiena, come se il mio corpo mi dicesse "Per un pelo…"
Che cosa stupida...
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clan Cullen, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Tre anni dopo riprendiamo in mano la storia di Francis e Keelin. E’ un bel po’ di tempo. Che ho fatto? Niente di che…
 
Ho perso un lavoro, ne ho trovato un altro, è terminato anche il secondo, ne ho iniziato un terzo, che è quello attuale. E’ stata una grande sfida e mi ha preso e prende del tempo. In tutto questo, che sono una serie di piccole cose, sono diventato papà di una splendida bimba che ha quasi due anni e che è la gioia e il cuore della mia vita e di quella della mia Signora. Ad oggi, forse perché la bimba inizia a stare ogni tanto per i fatti suoi, forse perché il lavoro inizia a non essere solo un delirio di cose nuove, mi trovo ad avere di nuovo del tempo per me, e varie cose riiniziano a solleticarmi l’interno della testa. Tra queste cose ci sono anche i due personaggi di cui sopra, dei quali è sempre rimasta una traccia della storia nei miei pensieri. La settimana scorsa, in uno di questi momenti, ho riaperto la cartella delle fanfic sul PC, ritrovando già scritti i primi tre periodi di questo capitolo. Ho ripreso a battere sui tasti, e ho capito che qualche altro capitolo sarebbe saltato fuori.
 
Spero vi piaccia, ci aggiorniamo in fondo.
 
Buona lettura!
 
 

Alternativa
Pensieri

 
 
Mi grattai con fastidio la base del collo. Un filo fuori posto del colletto della camicia che indossavo continuava a farsi sentire sempre nello stesso punto, ostinatamente. Stupida camicia.
 
Erano da poco passate le 19, e stavo dando una mano a Matt e ai suoi “tipi” a sistemare la sala. Una cosa va riconosciuta a Matt: conosce un “tipo” in grado di occuparsi un po’ di tutto, e quando bisogna organizzare una festa in un pomeriggio la cosa torna parecchio utile.
 
Nella grande sala-studio del dormitorio i tavoli erano stati spostati per creare un ambiente più adeguato alla serata. Alcuni erano allineati lungo le pareti mentre altri, in un angolo, sembravano i tavolini di un bar con le sedie intorno. Una zona vuota a un capo del locale sarebbe diventata la pista da ballo. Il “tipo” della musica e quello delle luci stavano sistemando la postazione del DJ. Io davo una mano a quelli delle vettovaglie: patatine, salatini, schifezze varie; birra in lattine, birra in bottiglie, in fusti e anche qualcosa di più forte.
 
Le porte che davano sul prato sul retro dell’edificio erano state aperte. Tavoli, sedie, luci e lanterne erano state piazzate anche all’esterno. Non era prevista pioggia quella sera e, anche se la temperatura non era l’ideale, a sentire Matt la voce era girata parecchio e questa sarebbe diventata una specie di festa di “Bentornati!” per tutto il campus, o qualcosa di simile. Serviva quindi tutto lo spazio che si poteva recuperare.
 
“Occhio dietro!”
 
Mi scansai per lasciar passare Matt, che trasportava uno scatolone colmo di grossi bicchieri di plastica rossi, poi lo seguii per aiutarlo a disporli sui tavoli. Mentre lavoravamo mi accorsi di una sua occhiata divertita.
 
“Che c’è?” Chiesi, già intuendo il tono della domanda che sarebbe seguita.
 
“Ti sei fatto bello…” Rispose lui, accennando alla camicia. “Vuol dire che non abbiamo messo in piedi tutto questo per niente?” Chiese, accennando ovviamente alla presenza di Keelin.
 
“Mi ha chiesto l’ora della festa, quindi immagino che venga.” Confermai. “Tra l’altro mi ha scritto, ma io non le ho mai dato il mio numero…” Commentai tra me e me.
 
“Lo ha chiesto a me stamattina, ha scritto anche a me.”
 
“E il tuo numero chi glielo ha dato?” Chiesi curioso. Matt si fermò per un istante, come ponderando la cosa, poi fece spallucce. “Il mio numero ce l’ha mezzo mondo, lo avrà recuperato da qualcuno che conosce.”
 
Il suo commento chiuse la questione, almeno per lui. Io valutavo invece la sua spiegazione, e la cosa continuava a sembrarmi strana. Lei era nuova qui, appena arrivata a detta sua. Non l’avevo mai vista con nessuno, non aveva mai parlato di nessun conoscente all’interno del campus... Un altro mistero.
 
Ma era davvero un altro mistero?
 
Magari, effettivamente, aveva chiesto il numero di Matt a qualche compagno di corso. Non era così improbabile. Doveva pur frequentare degli altri corsi, oltre a quello a cui l’avevo vista partecipare io, o no?
 
La verità era che ogni cosa, ogni accenno a Keelin mi incuriosiva. Ero ansioso, quasi smanioso di sapere di più, di conoscerla meglio, di passare più tempo con lei. Man mano che l’ora della festa si avvicinava ero passato da una leggera inquietudine ad un’agitazione nervosa. Continuavo a spostarmi, a guardarmi nelle varie superfici riflettenti, a valutare se mi ero vestito in modo appropriato, pensando a come stavano i miei capelli, cercando di inventarmi cosa avrei detto, come l’avrei salutata…
 
Alle otto meno dieci salii in camera a cercare un maglione non troppo sciatto da mettere sopra la camicia. La temperatura era scesa ancora, e le porte esterne della sala sarebbero rimaste aperte sulla notte.
 
La gente iniziava ad arrivare alla spicciolata, la musica già si faceva strada in quella zona del campus, e le luci al neon della sala-studio erano state spente, in favore delle luci colorate e delle lanterne. Diversi studenti già mangiavano e bevevano in capannelli immersi in chiacchere e schiamazzi a voce alta, godendosi l’atmosfera rilassata.
 
Io mi guardavo attorno, cercando una sagoma familiare che non riuscii ad individuare.
 
Alle otto e cinque iniziai a sprofondare in una delusione immotivata, contemplando per la prima volta la possibilità che non si sarebbe fatta vedere. In fondo era una cosa che faceva spesso. A volte c’era, a volte no…
 
Spesso? Ma cosa stavo dicendo? La conoscevo da troppo poco tempo per lasciarmi andare a supposizioni sulle sue abitudini. Soprattutto se dovevo basarmi sulla mia incompleta e confusa esperienza dei giorni passati.
 
Sospirai frustrato, staccandomi dal muro e avviandomi verso uno dei tavoli, per prendere una patatina, ma mi fermai a metà strada, quando il mio telefono vibrò nella tasca dei pantaloni.

***
 
20:07 - Sono al parcheggio, mi vieni a prendere?
 
Arrivo - 20:07
 
***
 
In piedi nel piazzale mi specchiai ancora una volta nello scuro finestrino dell’auto.
 
Desiderai che tutte quelle scemenze sui vampiri fossero state vere, e che non fosse stato possibile far riflettere la nostra immagine! Ero peggio di una ragazzina alla prima uscita, mi guardavo continuamente, chiedendomi come mi avrebbe vista Francis. Un pensiero continuava a farsi largo, fastidioso come un sasso in una scarpa, apposta per rovinare il mio umore: come vuoi che ti veda? Potresti presentarti con addosso un sacco di juta sporco e la faccia imbrattata di fango, e ti troverebbe attraente in ogni caso. Sei costruita apposta per questo, stupida!
 
Il viso dai grandi occhi ambrati si strinse in una smorfia irritata sul finestrino, resa ancora più grottesca dalla deformazione dovuta alla superficie curva. Mi voltai, non sopportando quella vista, e provai a calmarmi prendendo un profondo respiro, carico degli odori dell’aria notturna. Lisciai il davanti del corto doppiopetto militare scuro che indossavo, e misi le mai nelle tasche dei jeans.
 
Quel pensiero però, per quanto fastidioso, non era del tutto infondato.
 
Come potevo avere delle interazioni normali con lui, se in ogni momento era attirato verso di me con la stupidità annebbiata della preda che cade nella trappola? Come potevo fidarmi delle sue reazioni, e come potevo calibrare correttamente le mie azioni, sapendo questo? Desideravo rapportarmi con lui da pari a pari, ma era una cosa anche solo lontanamente possibile?
 
Ancora a casa, mentre mi preparavo, questa serata mi era sembrata un’idea simpatica per approfondire le possibilità che questo umano aveva fatto comparire nella mia esistenza. Distratta un po’ dai vestiti, i trucchi, i prodotti con cui Alice aveva riempito la mia nuova casa, avevo giocato a prepararmi per la festa, e questo mi aveva fatto tornare ad essere la ragazza che apparivo. Non mi ero soffermata sui lati ancora incogniti di tutta questa strana situazione.
 
La storia di Edward doveva farmi riflettere. Anche inconsciamente rischiavo di essere “troppo” per la mente umana di Francis; potevo farlo mio quasi con noncuranza, privarlo della sua libertà e della sua capacità di ragionare a piacimento, piegarlo alla mia volontà e spingerlo a compiere azioni stupide o addirittura pericolose. Questo era già di per sé un grosso problema, e poteva accadere con qualsiasi umano.
 
Francis però non era uno qualsiasi. Non per me.
 
Anche io potevo rischiare di diventare stupida e irrazionale in sua presenza, e la mia naturale curiosità mi spingeva a tratti a gettare al vento ogni cautela e ad essere distratta. Quanti piccoli errori avevo già commesso? Cosa stavo facendo? La situazione era una bomba che poteva esplodere da un momento all’altro!
 
Inspirai ancora.
 
Non stavo pensando chiaramente, e non stavo rendendo giustizia a Francis. Non era né stupido né incosciente come il resto della sua specie. C’era da considerare quella sua strana capacità di discernere il pericolo: aveva un meccanismo di sicurezza che scattava in anticipo nei momenti peggiori, ben visibile sia a me che a lui. Non aveva sbagliato finora.
 
Inoltre, dono o non dono, era estremamente percettivo. Avevo commesso degli errori, e lui li aveva notati tutti, non gli era scappata nemmeno una mia distrazione. Questo fattore mi doveva spingere ad essere ancora più attenta.
 
C’erano i presupposti per una catastrofe, vero, ma c’erano anche una serie di importanti misure di sicurezza in essere, e a quelle potevo appoggiarmi.
 
La brezza mi portò un profumo che non aveva motivo di essere così familiare, ma che ormai di fatto lo era. In fondo al viale, sotto la luce dei lampioni, Francis camminava verso di me. Il passo era spedito, come impaziente. Cullai per un istante il pensiero che volesse vedere me e per questo si affrettasse anche se, a ben guardare il modo in cui camminava (mani in tasca, braccia strette ai fianchi) poteva tranquillamente essere per il freddo.
 
Un senso di delusione agrodolce mi fece sorridere di me stessa. Mi sentivo davvero una ragazzetta.
 
Attesi con pazienza che Francis mi vedesse; io lo avevo scorto ma, con quella luce, ero ancora troppo distante per i suoi occhi. Mi vide dopo un minuto e accelerò il passo. La ragazzetta dentro di me, notando il suo cambio di passo, esultò.
 
Mi apprestai a salutarlo, con un mezzo sorriso già affiorato alle labbra quando lui, giunto di fronte a me, si sporse in avanti facendo per appoggiare una mano sul mio braccio mentre accennava a portare la sua guancia alla mia. Il mio viso si impietrii e istintivamente mi inclinai lateralmente, allontanandomi da quel potenziale contatto.
 
“Cia-” Il suo saluto si interruppe nell’aria, mentre a sua volta si ritraeva in fretta, notando il mio movimento. Si schiarì la gola in evidente imbarazzo, non nascondendo un’occhiata interrogativa. Sorrisi con naturalezza in risposta, cercando di riprendermi in fretta. “Ciao, Francis.”
 
Se avessi avuto un cuore funzionante, probabilmente in quel momento lo si sarebbe potuto sentire a metri di distanza. Avrei avuto senza dubbio il respiro affannato. Tutta la sicurezza e la confidenza che pensavo di aver raccolto si era dispersa come sabba nel vento.
 
Che cretina, non ero durata nemmeno un secondo. Nemmeno il primo saluto.
 
Agli umani piace il contatto fisico, è una cosa istintuale. I vampiri non la disdegnano, soprattutto con chi conoscono di più, è un modo di comunicare. Ma le due cose non possono viaggiare assieme. La mano sul braccio forse. Con i vestiti a fare da filtro non avrebbe notato né la consistenza né la temperatura, avrebbe potuto essere un contatto normale. Ma il bacio sulla guancia… Sarebbe stato come appoggiare il viso ad un muro, la mia carne non avrebbe ceduto, non si sarebbe deformata. Sarebbe stata fredda come l’aria intorno a noi. Cosa avrebbe pensato? Cosa avrebbe potuto dedurre?
 
E poi, cosa aveva effettivamente dedotto? Attento com’era avrebbe valutato il modo in cui mi ero ritratta. Avrebbe pensato che ero timida, o che ero una sociopatica? Avrebbe dato la colpa a me o a sé stesso? Magari avrebbe pensato che non mi facesse piacere vederlo… Tutte queste idee si affastellavano nella mia mente, mentre il mio viso non faceva altro che sorridere con una disinvoltura di facciata.
 
Lo sentii prendere fiato, probabilmente per rispondere al mio saluto. Il suo sguardo si fece attento, ancor più curioso, e dalle labbra gli sfuggì un sussurro. “Wow…”
 
Mi domandai se avessi impresso un po’ troppa intensità nel mio sorriso, cercando di distrarlo con forse un po’ troppa potenza, ma la sua reazione mi parve comunque esagerata. Stavo già per fare una battuta, per riportarlo alla realtà, quando lui si spostò lateralmente di un passo, indicando qualcosa oltre le mie spalle.
 
“Questa non è tua, vero?” Mi girai, per vedere cos’aveva catturato la sua attenzione, e mi ritrovai a guardare la macchina di Rosalie. Francis si era portato di fronte al cofano, in ammirazione. Annuii, in risposta alla sua domanda. “È stata un regalo.”
 
Lui mi guardò, sconvolto. “Un regalo?” La sua voce quasi si alzò di un’ottava sul finale della domanda. Non mi diede il tempo di proseguire. “È una Shelby GT 500 del ’68!” Disse indicandola, come se io non fossi in grado di vederla, o se quell’informazione dovesse aggiungere qualcosa al fatto che era un attrezzo con le ruote per il trasporto di persone. Lo guardai con aria interrogativa e lui si fece serio. “Non se ne trovano in giro sotto i 120.000 dollari...” Maledizione! Feci un notevole sforzo per mantenere il controllo a quel punto, e mi appuntai mentalmente di cantarne quattro a quella bionda col gusto per le auto sportive.
 
Feci spallucce, cercando di minimizzare. Lo sguardo di Francis continuava a passare da me all’auto, incredulo.
 
Mi stavo sicuramente sbagliando, ma sembrava quasi che io e l’auto ci stessimo contendendo l’attenzione di Francis. Tra l’altro, in quel momento, sembrava ci fosse un pareggio. Volevo interpretarlo come un pareggio, la mia dignità mi vietava categoricamente di giudicarmi in svantaggio contro quell’insieme di lamiere dipinte e cromature. L’irritazione che provavo si fece più acuta quando lo vidi allungare la mano verso il simbolo sul cofano, per toccarlo. Improvvisamente, stizzita, tirai fuori le chiavi dalla tasca e le lanciai (con forza misurata) verso di lui.
 
“Vi lascio soli se vuoi, c’è una festa a cui volevo andare.” Buttai lì, e mi girai avviandomi prima ancora che il mazzo di chiavi terminasse il suo volo.

***
 
Guardai le chiavi, che avevo preso al volo nella destra. Poi guardai la macchina. Poi guardai la ragazza, che si era avviata verso i dormitori senza di me. Poi di nuovo le chiavi di una macchina non mia, di un valore spropositato. Poi di nuovo la ragazza, che possedeva quella macchina, e che a quanto pareva avevo offeso in qualche strana maniera. Un ultimo sguardo all’aggressiva presa d’aria sul cofano, poi mi riscossi e partii all’inseguimento, cercando di capire cosa fosse successo.
 
Ero arrivato, e mi aspettava sorridendo. Splendida come al solito, con quel corto cappotto e le scarpe dal tacco alto.
 
Stavo pensando a come salutarla da quando avevo lasciato la festa. Mi ero accorto che non c’era ancora stato tra noi un contatto fisico. Nulla di strano ovviamente, ci eravamo presentati senza stringerci la mano e poi non c’erano state altre occasioni. Avevo però notato come avesse palesemente evitato di stringere la mano a Matt quando si erano visti la prima volta. Forse era una cosa che le dava fastidio, o forse ero ancora io che cercavo di leggere troppe cose dove probabilmente non c’era nulla.
 
Avevo deciso di provare, pensando che un lieve contatto sul braccio e un semplice ed informale bacio sulla guancia potevano andare bene. Era quello che si faceva, che facevano tutti. Presa quella decisione, non avevo pensato ad altro per tutto il tragitto. Il suo profumo, i suoi capelli. L’idea di avvicinarmi tanto a lei da poter provare il calore del suo viso… Era abbastanza da far girare la testa a chiunque, bella com’era.
 
Avevo cercato di essere disinvolto, quasi automatico, eppure lei si era ritirata prontamente. L’avevo trovata ancora sorridente, ma mi ero sentito improvvisamente un imbecille imbranato. Avevo osato troppo? Ero risultato viscido o inopportuno? Il suo viso era come quello di una sfinge. Scolpito, perfetto e illeggibile. Ero talmente in imbarazzo che avevo distolto lo sguardo, e notato la macchina.
 
Tralasciando forse la mia eccessiva passione, lei mi era sembrata quasi irritata dal fatto che l’avessi notata. Eppure una persona che guida quell’auto non può non sapere di cosa si tratta! Non può non esserne appassionata! Non è una cosa che si trova dal concessionario, è un articolo da collezione. E invece sembrava che volesse addirittura evitare il discorso. Non capivo.
 
Riuscii finalmente ad affiancarmi a lei che, a discapito delle scarpe e della falcata piccola, procedeva disinvolta con un passo estremamente veloce.
 
“Ehi…” Esordii, incerto.
 
“Ehi.” Fece lei, imperscrutabile. Imprecai dentro di me. Non stava andando come immaginavo.
 
“Ti scoccia se ti accompagno?” Chiesi con tono vagamente ironico, cercando di mostrarmi divertito e provando a racimolare un minimo di sicurezza. Parve funzionare, lei finalmente sorrise.
 
“Certo che no.” Disse, con voce calma. Poi inclinò la testa, in ascolto. “Sento della musica?” Chiese, alzando lo sguardo verso di me.
 
Io la guardai stupito, doveva avere un orecchio eccezionale. Eravamo a qualche centinaio di metri dal dormitorio, e un braccio della foresta che circondava il campus si frapponeva tra noi e l’edificio in linea d’aria, avremmo dovuto aggirare gli alberi per arrivare alla festa. Non era possibile che sentisse già-
 
In quel momento le percussioni di un pezzo ritmato raggiusero anche me. Probabilmente i ragazzi avevano alzato il volume rispetto a quando me ne ero andato. Mi voltai per risponderle, gustandomi la vista del suo viso, che aveva alzato nella mia direzione. “Sì, c’è tutto stasera. DJ, cibo, bibite… Hanno anche allestito tavoli e luci all’esterno. Sembra che si aspettassero una risposta massiccia all’invito.”
 
“E non si sbagliavano.” Disse, come se già potesse vedere il dormitorio, ancora nascosto. Non sembrava particolarmente entusiasta. “E’ da un po’ che non vado ad una festa.”
 
“Le scarpe però mi sembrano quelle giuste per l’occasione.” Commentai io, sorridendo. “Anche se non so come fai a camminare così veloce e senza guardare in avanti.” Stava ancora guardandomi in viso, senza imbarazzo e senza intenzione di distogliere da me quegli occhi che, sotto la luce led bianca dei lampioni, erano quasi gialli.
 
Sorrise in risposta, alzando una mano verso il colletto della mia camicia, arrivando quasi a sfiorarlo. “Vedo che ti sei messo in ghingheri anche tu.”
 
Un po’ il gesto, un po’ il complimento e il suo sorriso, mi ritrovai improvvisamente con la bocca estremamente asciutta. “Ah- Non è… È solo una camicia.” Conclusi eloquente. Lei Riprese a guardare in avanti, io sorrisi. Forse la serata non era persa del tutto.
 
Costeggiammo il bosco per qualche decina di metri poi, dietro l’ultima curva, comparve il dormitorio. La musica era ad un volume piuttosto alto, lo si intuiva già da quella distanza. Sembrava inoltre essersi presentato tutto il mezzo campus che aveva il numero di Matt, e forse anche qualcuno di più. Si vedevano persone intente a chiacchierare e bere già sul prato antistante l’edificio, quindi probabilmente l’interno e il retro erano gremiti.
 
“Non scherzavi.” Disse lei, cercando di dissimulare una traccia di incertezza nella voce.
 
“Già… Un successone…”
 
Rallentammo il passo all’unisono, quasi fermandoci a quella che era per entrambi una distanza di sicurezza adeguata. Senza accorgercene ci stavamo comportando tutti e due allo stesso modo, come se stessimo approcciando un covo di nemici piuttosto che una festa in pieno corso. Ci guardammo di sottecchi, consapevoli entrambi del comportamento dell’altro, e lei emise una risatina che servì a rompere un po’ la tensione. “Che succede? Non è il tuo ambiente naturale, Francis?”
 
“Non esattamente. Mi serve però solo un attimo di auto-convincimento, poi posso stare in mezzo a questo gran macello per quanto vogliamo.” Risposi sorridendo, con sincerità.
 
Nemmeno lei sembrava particolarmente interessata a buttarsi in mezzo alla folla. Rise di nuovo, più apertamente, poi si chinò verso di me con aria complice, le mani ancora nelle tasche del jeans. “Credimi, ti capisco perfettamente.”
 
Fece poi una mezza piroetta sul posto, quasi danzando, e un paio di passi all’indietro, guardandomi. “Forza, non ti va di portarmi ad una festa?” Mi sorrise quasi maliziosa, e poi si girò, continuando a camminare verso le luci colorate e la musica.
 
Quell’occhiata, quei capelli che si muovevano nell’aria. Il suo modo disinvolto e armonico di muoversi, il movimento delle sue spalle e dei suoi fianchi mentre si allontanava da me. L’idea che io stessi portando lei da qualche parte era ridicola, senza senso.
 
Ero io che, vedendola allontanarsi, ero pronto a seguirla ovunque andasse quella sera.
 

 
Inizialmente tutta la festa doveva svolgersi in un unico capitolo, ma come i nostri due protagonisti, sono anche io un po’ intimidito. Ho tenuto il capitolo sul breve, cercando di scuotermi di dosso la ruggine. Fatemi sapere che ne pensate e ci sentiamo sul prossimo capitolo, che non dovrebbe tardare troppo.
 
Spero vi piaccia e vi incuriosisca.
 
A presto!
 
N.
  
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