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Autore: Harriet    19/05/2019    0 recensioni
Se potessi incontrare le persone più importanti per te da piccole, cosa diresti loro? Come affronteresti i loro drammi e le loro ferite?
I pro hero Deku, Bakugou e Todoroki, per colpa di un quirk dal funzionamento complesso, si ritrovano imprigionati in un mondo mentale creato dai loro ricordi. L'unica via d'uscita è interagire con un frammento delle personalità degli altri, una versione bambina cristallizzata in un momento drammatico...
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III
 
Tear down your walls
 


     Gli anni passavano ma la mania di Deku di mettersi nella merda correndo verso il pericolo rimaneva sempre la stessa.
     E io, perché cazzo gli sono corso dietro?
     Mentre si inabissava nell’oscurità, lo sfiorò il pensiero che forse Deku non aveva realizzato che stava andando diretto tra le braccia del quirk della ragazzina. Anche a lui c’era voluto qualche istante, prima di realizzare che Deku correva verso il buio come uno stupido.
     Comunque fossero andate le cose, non cambiava il fatto che adesso fosse immerso in una nebbia fittissima e probabilmente irreale. Il quirk di cui erano rimasti vittime creava mondi partendo dai ricordi di chi ci finiva dentro, o così aveva capito lui.
     Andiamo bene. Sono in mezzo ai ricordi di Deku e di Todoroki. Sempre che non ci sia finito dentro anche qualche altro.
     Tutt’intorno a lui l’oscurità ebbe un guizzo e si ricompose all’improvviso in un luogo ben preciso. C’erano pareti e pavimenti, adesso, e spazi ampi e vuoti. Era tutto in penombra, come se ci fosse stata una fonte di luce naturale, da qualche parte, ma lui non riuscisse a vederla. Gli sembrava di essere in un lungo corridoio, in una casa in stile giapponese tradizionale. Quel posto non gli diceva niente, quindi era un ricordo di uno degli altri. Non era la vecchia casa di Deku, né quella in cui i due vivevano adesso. E conoscendo qualcosa della famiglia di Todoroki, l’opzione più sensata era che si trattasse di casa sua.
     D’accordo, era in piena memoria di Todoroki. In che modo quel fatto poteva diventare pericoloso? Gli sembrava un’enorme stronzata, ma non era così stupido da sottovalutare l’avvertimento ricevuto.
     Continuava a correre e il corridoio sembrava non finire mai. C’erano alcune porte ma lui le aveva ignorate tutte. A un certo punto si fermò, realizzando che anche se era in un mondo irreale, sentiva davvero la fatica. Si domandò come apparissero, nella realtà, coloro che rimanevano imprigionati in quel quirk. Erano privi di sensi? Si muovevano nello stesso esatto modo, come dei sonnambuli? Lasciò da parte le domande e aprì la porta alla sua destra. Oltre la soglia c’era una grande stanza completamente vuota. Uscì da lì e tentò la porta a sinistra: stessa cosa. Provò a tornare indietro ed esplorare ancora oltre qualche altra porta, ma non trovò altro che quel panorama deprimente di stanze vuote. Seccato e sempre più in allarme, ricominciò a correre lungo il corridoio, questa volta nella direzione opposta a quella da cui gli era sembrato di essere arrivato.
     «Ma non ha una cazzo di uscita, questo posto?» sbottò, fermandosi, quando ormai aveva capito che correre era inutile.
     No.
     Si irrigidì, cercando di capire l’origine di quella voce. L’aveva sentita benissimo. O gli era sembrato? Forse era stata una percezione mentale, invece. Non cambiava il messaggio, comunque.
     «Che significa?» chiese. Se davvero qualcuno (la ragazzina, o forse Todoroki stesso) aveva voglia di chiacchierare, forse gli avrebbe risposto.
     Invece quest volta ci fu silenzio. Katsuki reagì con un pugno contro la parete del corridoio. La casa attorno a lui ebbe un tremito, come una scossa di terremoto che lo fece vacillare. Riuscì a malapena a mantenere l’equilibrio.
     «Che cos’è, questo?» urlò. Un alito freddo gli transitò vicino, facendolo rabbrividire.
     Casa mia.
     «Chi sei? Dove sei? Fatti vedere!»
     La porta davanti a lui si aprì. Katsuki fece un balzo all’indietro e si mise sulla difensiva. Ma sulla soglia comparve solo un bambino. Un bambino facilmente riconoscibile. Capelli metà bianchi e metà rossi, occhi di colori diversi. Era davvero piccolo: avrà avuto non più di quattro o cinque anni. Lo guardava con la solita aria distante che aveva conservato anche da grande, quella che sfoggiava sempre quando si erano conosciuti.
     «Come si esce di qui?» chiese al piccolo Todoroki. Erano i suoi ricordi: almeno lui avrebbe dovuto sapere come venirne fuori!
     «Non si può uscire» rispose il bambino.
     «Che stai dicendo? È una casa. Ci sarà una porta, no?»
     Todoroki scosse la testa.
     «Io sono sempre qui dentro.»
     «Senti, io devo andarmene, capito? Dimmi dov’è la porta, prima che faccia saltare in aria ogni cosa!»
     Nessuna risposta. Katsuki aveva sulle labbra un’altra frase rabbiosa da dirgli, quando realizzò una cosa: il bambino non aveva l’ustione sul lato sinistro della faccia. Preoccupato com’era di farsi dire la strada per uscire, non se n’era accorto fino a quel momento. Quel particolare lo distrasse. Non che gliene fregasse davvero qualcosa. Però… Non sapeva perché, ma non riusciva a staccare gli occhi dal viso del bambino.
     Fece qualche passo e poi si voltò indietro: il bambino non si era mosso da lì. Katsuki ricominciò a correre. Dopo un po’ fu costretto a fermarsi di nuovo, ansimante. La testa aveva preso a girargli e la vista non era del tutto lucida. La cosa lo faceva profondamente incazzare. Avvertì anche una fastidiosa tachicardia. Era quello, l’effetto del quirk? Stava davvero perdendo il controllo del proprio corpo, senza riuscire a fare niente per difendersi?
     All’improvviso una delle porte del corridoio si aprì e ne uscì di nuovo il piccolo Todoroki. Lo guardò con i suoi occhi seri, con la sua faccia integra, e Katsuki fu colto dalla rabbia. Quel posto non aveva senso e…
     Sono nei suoi ricordi, no? Questo casino è colpa sua. Deve sapere come uscirne!
     «Ehi, Todoroki, adesso tu mi aiuti a trovare un modo per andarmene!»
     «Io non posso andarmene» rispose il bambino.
     «Senti, torna in te, eh? Non sei un moccioso di cinque anni, sei un adulto, e questa è la tua psiche. Quindi datti da fare e trovami un’uscita.»
     «Mio padre mi fa stare sempre qui.»
     «Hai ventiquattro anni. Tuo padre è…» Si bloccò, pienamente consapevole solo in quel momento di ciò che il bambino aveva detto.
     Questi sono i suoi ricordi. Quello che vedi è una parte della sua mente.
     Tacque, studiando il bambino, mentre qualcosa di simile alla curiosità mitigava la sua esasperazione.
     «Cos’è questa storia di tuo padre?»
     «Io devo rimanere qui.»
     «E perché?»
     «Devo allenarmi.»
     «Sì, va bene, non è che puoi allenarti e basta. Andrai all’asilo, no?»
     Il bambino scosse la testa.
     «Ci sono tante cose che devo imparare.»
     «E infatti dovresti impararle in una scuola.»
     Nessuna risposta. Katsuki non era proprio molto bravo a decifrare i sentimenti altrui, ma ebbe l’impressione che l’espressione vuota di Todoroki avesse virato verso la tristezza.
     Non è il momento di stare a pensare a questo bambino! Se non esci in fretta da qui…
     La testa aveva preso a girargli vorticosamente. Doveva davvero spezzare la presa che il quirk della ragazza aveva su di lui, oppure avrebbe perso i sensi, o chissà cos’altro. Non aveva tempo per le chiacchiere.
     «Mi cercherò la via d’uscita da solo.»
     Ma era chiaro che non sarebbe riuscito a correre ancora a lungo. Infatti si fermò un attimo dopo essere ripartito, e proprio in quel momento, ecco che un’altra porta si aprì, e Todoroki era di nuovo davanti a lui.
     «Non si può uscire» gli ripeté, con la testa bassa e un abisso di desolazione nella voce.
     E allora avrebbero fatto a modo suo.
     «E chi lo dice?»
     «Mio padre.»
     «Tuo padre è uno stronzo.» Si avvicinò al bambino, lo acchiappò e se lo buttò sulla spalla sinistra. «Se non c’è una porta, ce la creeremo noi. Non si può uscire, eh?» Il bambino, a testa in giù, sgambettava e cercava di aggrapparsi alla stoffa del suo costume. «Vedremo!» disse Katsuki, prima di lanciare un’esplosione contro il muro. Non aveva idea se il suo quirk avrebbe funzionato o meno, ma se quello era un posto mentale, forse poteva provare a usare la mente per manipolarlo in qualche modo.
     Quando il fumo dell’esplosione si fu diradato, c’era un’apertura nel muro.
 «Te l’avevo detto!» disse al bambino, che in quell’istante si dissolse insieme a tutto il resto.




***
Grazie davvero di essere qui! Se questa storia vi sta regalando del tempo piacevole, ne sono felice.
Il titolo del capitolo stavolta è rubato agli Epica. Le mie beta sono sempre le stesse meravigliose donne (che tra l'altro sabato hanno condiviso con me l'avventura del cosplay di MHA. Casomai foste curiosi... La sottoscritta è questa qui...)
   
 
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