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Autore: NPC_Stories    20/05/2019    1 recensioni
Seguito di Lezioni di sopravvivenza - Primo Livello, L'alba del Solstizio d'Inverno e Cursed with Awesome.
Dee Dee continua il suo percorso di crescita scendendo sempre più nelle viscere del dungeon, ma qui l'aspettano sfide ancora peggiori. Il suo compagno di viaggio drow è più dannoso che utile, anche se a volte le due cose coincidono.
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Spoiler: niente romance. La differenza di età la renderebbe una cosa creepy.
Nota: come al solito i personaggi principali sono tutti originali, ma potrebbero comparire a spot alcuni personaggi famosi dei Forgotten Realms
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 9)


“Non è che non voglio.” Spiegò Dee Dee, girandosi in modo da esporre il fianco perché la guardia potesse vedere il suo pugnale. “È che non poffo, quefto pugnale non lo poffo cedere temporaneamente o abbandonarlo, poffo folo regalarlo oppure qualcuno me lo deve rubare, ma il punto è che deve cambiare proprietario.”
La drow la guardò con aria contemplativa, da dietro un paio di occhiali che catturavano la scarsa luce e la riflettevano con bagliori azzurrognoli. Dee Dee aveva già visto degli occhiali prima, ma non avrebbe mai immaginato di trovarli sul naso di un’elfa. Di certo non servivano a correggere la vista, dovevano essere magici.
“Sembrerebbe un oggetto maledetto.” Avanzò un’ipotesi.
“Oh, fì, lo è.” Confermò Dee Dee, annuendo con l’aria di volersi rendere utile.
Si guardarono per un attimo come se fossero destinate a non capirsi. La drow si soffiò una ciocca di capelli da davanti agli occhi e si fece avanti in modo risoluto, come qualcuno che è abituato a risolvere i problemi e non a girarci intorno.
“Posso sistemare la cosa con un incantesimo che rimuove la maledizione, questo dovrebbe… sospenderla, perlomeno. Ti permetterebbe di gettare via il pugnale.”
“Ma non voglio gettarlo. È il dono di un amico.”
Altro silenzio.
“Cara, batti due volte le palpebre se sei qui contro la tua volontà.” Sussurrò la drow, passando alla lingua elfica.
“Cofa? No! Io non… che?
“Era una battuta.” La sacerdotessa tornò al sottocomune e la guardò con una punta di compassione. “Si basa sul fatto che ti accompagni ad amici che ti regalano oggetti maledetti, e se la cosa ti sta bene devi essere sotto l’effetto di un maleficio oppure soggiogata a qualcuno dalla personalità molto forte. Be’... insomma, era quasi una battuta.”
“Ah.” Mormorò Dee Dee. “Fottile. No, non fono foggiogata né con la magia né con giochetti mentali, fono confapevole che è un amico di cacca, ma la maledizione non è cofì brutta. Fi limita a rifcaldare l’aria intorno a me.”
“Nient’altro?”
“Nient’altro.”
La drow ci pensò su per un momento.
“Potrei comunque usare quell’incantesimo, in modo che tu possa lasciare qui il pugnale insieme alla tua spada.”
“Mi… mi piace il calore. Di folito ho fempre freddo.” La dhampir mise una mano sul fodero del pugnale in modo protettivo.
“Ne sei certa? Il calore favorisce l’infettarsi delle ferite.”
“Fono una mezza vampira. Le mie ferite guarifcono in un attimo, non hanno il tempo di infettarfi.”
“Fa marcire più rapidamente il cibo.” Tentò nuovamente la guardia.
“Non ho razioni con me, caccio fempre al momento.”
“Inoltre rovina la pelle.”
Questa volta Dee Dee la guardò con aria interrogativa, senza sapere bene cosa rispondere. Era un’affermazione così… assurda.
“Oh. Ah. Era un’altra battuta.” Ci arrivò dopo un po’.
“Già.”
“Bafata ful fatto che fono un’avvernturiera che fembra effere appena ftata mafticata e vomitata da una viverna. Certo. Quindi la pelle fecca è l’ultimo dei miei problemi e…”
“Già.”
“Ride mai qualcuno alle tue battute?”
“Meno di quanto dovrebbero.” La drow restò sulle sue. “Sono un’artista incompresa.”
Oltre ogni previsione, Dee Dee si sciolse in un sorriso sincero. Per nulla minaccioso. Be’, forse lasciò intravedere i canini, ma anche quello era uno scherzo.
“Tu mi piaci.”
“Gra… è una battuta?”
“Bafata fulla mia doppia natura, fì. Mi nutro di fangue e quindi potrei vederti come cibo, ma fono anche una perfona, e a livello caratteriale mi fei fimpatica.”
Si guardarono di nuovo a vicenda per alcuni secondi. La drow sollevò appena appena un angolo della bocca.
“In effetti non ha senso insistere su quel pugnale, sei comunque armata, non è che tu possa strapparti i canini e lasciarli qui. Ma metterò un sigillo in modo che tu non possa sfoderare l’arma, e dovrai giurare di non attaccare nessuno finché sarai nostra ospite.”
“Nemmeno per addeftramento?”
L’elfa scura la fissò come se non si aspettasse quella proposta.
“Se vorrai… se avrai piacere di fare pratica con qualcuno ti verranno fornite delle armi da addestramento, ma non potrai comunque mordere o usare qualsiasi potere vampirico tu abbia.”
“Oh, diamine. Neanche trafformarmi in un enorme pipiftrello antropomorfo?”
Questa volta la sacerdotessa capì all’istante che Dee Dee scherzava, perché quella era una cosa che nemmeno i vampiri veri potevano fare.
“Di che colore?” Domandò infatti.
“Uh… marrone, direi.”
“No, mi dispiace. Niente pipistrelli giganti antropomorfi marroni. È contro le regole.” Si mise a frugare in una cassettiera di metallo e infine trovò un nastro argentato con ricami bianchi. “Ecco, questo sigillerà la tua arma. Porgimela.”
Dee Dee slacciò l’oggetto incriminato dalla cintura e glielo porse, tenendolo per il fodero mentre la sacerdotessa avvolgeva il nastro intorno all’impugnatura e alla guardia del pugnale.
“Ecco fatto. Ora, quanto a te… giura di non fare del male a nessuno e di non usare poteri vampirici finché sarai nel tempio.”
“Certo, lo giuro.” Per Dee Dee era inconcepibile far del male a qualcuno che la stava accogliendo in casa propria, ma capiva anche che i drow sono paranoici per natura.
“Non ti imporrò nessun incantesimo perché non è un comportamento corretto verso gli ospiti, ma se infrangerai la parola data, verrai allontanata o peggio.”
“Ho capito.”
La drow le fece cenno di procedere verso una porta alle sue spalle. Dee Dee si mosse, ma dopo un paio di passi si fermò. “Prima di andare, poffo fapere il tuo nome?”
“Raeliana” rispose la sacerdotessa, togliendosi gli occhiali. Quella stanza era incisa di rune magiche che emettevano una leggera luminescenza azzurra, e in quella luce i suoi occhi sembravano di un profondo blu scuro. Dee Dee guardò quegli occhi e capì che nonostante il suo atteggiamento spiritoso, non era una persona da sottovalutare.
“Io mi chiamo Dee Dee” rispose, per non essere da meno. “Il prigioniero che avete prefo in cuftodia… lo terrete d’occhio? Credo che fia pericolofo, anche fe non lo fembra.”
La sacerdotessa annuì, improvvisamente molto seria.
“Certo. Credo che Qilué vorrà chiederti qualcosa sul suo conto.”
Non per la prima volta, la dhampir si chiese chi fosse questa Qilué e perché fosse così importante.

Nel frattempo, Daren e l’altro prigioniero erano riusciti ad attraversare il fiume in un tratto più vicino alla sua foce. In condizioni normali l’elfo scuro avrebbe usato la levitazione per tenersi fuori dall’acqua, ma con il peso del suo equipaggiamento e di un prigioniero sollevato a braccia si ritrovarono praticamente a galleggiare sul fiume. Il tiefling si bagnò i piedi, ma non si lamentò, anche perché era imbavagliato.
Alla fine, dopo aver camminato per stretti cunicoli e combattuto o evitato mostri e schifezze, la galleria naturale che stavano percorrendo si aprì senza preavviso sulla caotica città di Skullport.
Daren rafforzò la presa sul braccio del prigioniero e lo trascinò a forza per le vie dello strato inferiore della città. Intorno a loro la gente trasportava mercanzie o trascinava schiavi per le catene, quindi nessuno fece molto caso alla coppia. Sopra le loro teste altri due livelli della città, che si sviluppava in verticale, brulicavano di attività. Per essere una città caotica era meno rumorosa di quanto ci si potesse aspettare. Naturalmente la gente parlava, contrattava, veniva derubata o assassinata, ma il brusio della città sotterranea non era paragonabile ai mercati delle metropoli di Superficie, come Baldur’s Gate o la stessa Waterdeep che si trovava da qualche parte sopra le loro teste.
Il drow raccontava a se stesso di preferire il silenzio dei corridoi, la solitudine, il brivido del sapere che poteva esserci un mostro dietro ogni angolo… ma in realtà stare in città gli scatenava sentimenti contrastanti. Odiava il fatto che ogni persona di Skullport potesse essere un nemico, gli ricordava troppo la sua vita a Menzoberranzan. Doversi difendere dai mostri era normale, ma dai passanti... era fastidioso. D’altra parte, essere circondato dalla gente gli ricordava anche che fino a pochi anni prima la sua vita era molto meno solitaria.
La nostalgia è un sentimento strano, per un drow. Considerò, mentre trascinava l’ignaro Nephlyre Kilchar verso la zona del porto. Non credo che dovremmo provarla, non è naturale, ci siamo allenati per secoli a non farlo. Ci fa lo stesso effetto che fa il latte sugli elfi. Sorrise con una punta di cattiveria, ripensando alla prima volta in cui un suo vecchio amico elfo aveva assaggiato quella bevanda apparentemente innocua.
Quello era stato divertente, ma sembrava successo in un’altra vita...
Be’, tecnicamente era vero.
“Andiamo” biascicò, dando uno strattone alla corda. Il tiefling arrancò, ma riuscì a stargli dietro.

Il guerriero non lo sapeva, ma in quel momento Nephlyre stava covando pensieri a dir poco velenosi.
Era stato catturato, torturato, abbandonato dai suoi compagni. Nessuno era venuto a salvarlo, solo questo cacciatore di schiavi che se l’era preso e portato via verso un destino ignoto. Peggio ancora, il bel cultista era stato ignorato per tutto il tempo, e adesso doveva ingoiare anche quella… umiliazione. Camminare per la città di Skullport tenuto al lazo come uno schiavo, come una bestia, sotto gli occhi di tutti.
I seguaci di Graz’zt avevano il loro orgoglio. Erano loro a dover portare la gente al guinzaglio, metaforicamente o no.
All’inizio voleva raggirare il drow e poi usarlo, e forse in seguito ucciderlo; adesso non aveva più nessun dubbio sul proposito di ucciderlo. Se solo fosse riuscito a convincerlo a slegargli i polsi. Se solo fosse stato anche minimamente vulnerabile al suo fascino… ma quel bastardo stava continuando a ignorarlo.

In un altro punto del pericoloso Terzo Livello, Dee Dee stava provando sentimenti completamente opposti.
Quello era certamente uno dei giorni più strani della sua vita. Era circondata da drow, e non stavano cercando di ucciderla. Per la maggior parte badavano alle proprie faccende, come se lei non fosse presente. Un guerriero mezzo drow (impossibile determinare cosa fosse l’altro mezzo, il suo aspetto era davvero bizzarro) la stava scortando verso un alloggio per gli ospiti. Con gentilezza. Come se lei fosse stata un’ospite di riguardo.
Quella lettera che ho mostrato loro era così importante? Oppure fanno così con tutti, e sono io ad aver abbassato moltissimo i miei standard per colpa di Daren?
La sua stanza era arredata in modo spartano, ma c’era un letto, e in quel momento Dee Dee avrebbe ucciso per un letto. Su un tavolino trovò una bacinella d’acqua per potersi sciacquare, un cambio di abiti anonimi ma asciutti e un pettine di legno di fungo. Il messaggio implicito le fece salire il rossore alle guance, ma poi si ricordò che era un’avventuriera, ed era normale che fosse in disordine. Aveva appena affrontato un viaggio sfiancante e a tappe forzate.
Non appena fu lasciata sola, Dee Dee cominciò a sfilarsi i vestiti. Non aveva con sé il suo zaino, l’avrebbe impacciata nella traversata del fiume, e per lo stesso motivo aveva lasciato indietro il mantello.
I suoi abiti erano già bagnati, quindi appallottolò la corta tunica di lino che teneva sotto l’armatura e la immerse nell’acqua, poi la usò come spugna per lavarsi. Una volta che fu ragionevolmente pulita, indossò la tunica di ricambio che le avevano fornito e stese ad asciugare i suoi vestiti vecchi.
Sotto gli abiti nuovi trovò anche un pacchetto di carne essiccata e succose strisce di fungo giovane, e mangiò tutto nonostante per lei il sapore fosse terribile. Non poteva vivere solo di sangue. Poi, stremata da quella giornata faticosa, si infilò nel letto (un ripiano scolpito nella pietra e coperto di pellicce) e si addormentò prima ancora di aver trovato una posizione comoda.

Nephlyre Kilchar trovava difficile mangiare con i polsi legati, ma il suo carceriere non aveva accennato nemmeno ad allentare la corda. Facendo appello al suo spirito di adattamento, il tiefling stava provando ad utilizzare una forchetta per portarsi alla bocca quei pezzi di carne stopposa e dalla provenienza incerta.
Nonostante questo, Kilchar era speranzoso verso il futuro. Dopo giorni di arduo cammino, mai completamente riposato o sazio, mai completamente asciutto, poter mangiare del cibo caldo era comunque una benedizione. Non solo per il conforto fisico, ma anche perché il drow lo stava trattando bene, o almeno, bene per uno schiavo. Pochi schiavisti si sarebbero preoccupati di portare i prigionieri in una locanda o addirittura di comprargli un pasto caldo.
Il fiero adepto di Graz’zt non provava alcuna gratitudine per quel trattamento, il suo buonumore era frutto solo dei suoi ragionamenti e calcoli; se il drow lo stava trattando bene, allora aveva in mente qualcosa per lui. Qualcosa che forse Kilchar avrebbe potuto rigirare a suo vantaggio.
Più tardi l’elfo scuro lo trascinò su per una ripida rampa di scale, e presto si lasciarono alle spalle il baccano della sala comune della taverna. Parlando con i proprietari, si era procurato una chiave e adesso stava armeggiando per aprire la serratura di una delle porte. C’erano solo tre porte su quel pianerottolo, ma non era strano, gli edifici di Skullport si sviluppavano soprattutto in verticale.
Con qualche protesta e cigolio la porta si aprì, rivelando una stanzetta senza infamia e senza lode. Nephlyre si accorse con uno sguardo che c’era un solo letto, pensato per ospitare una sola persona. Gemette sottovoce. Aveva sempre odiato dormire per terra. Forse… gettò un’occhiata fugace al drow, per capire se ci fosse la speranza di convincerlo a condividere, ma l’arcigno schiavista non lo stava nemmeno guardando. Gli diede una spinta, costringendolo ad entrare nella stanza.
“Se devi fare le tue cose, lì dentro c’è un buco” gli disse soltanto, indicando un angolo della stanza in cui c’era una porticina così stretta che un umano ci sarebbe passato a malapena. Il tiefling ci mise un attimo a capire cosa intendesse. “Se ricordo bene ci dovrebbe essere anche una bacinella d’acqua. Fai con comodo.” Poi fece qualcosa che Nephlyre non si aspettava: gli slegò i polsi.
Il primo pensiero del demonologo fu ovviamente la fuga. C’era qualche speranza? La sua mente lavorò rapidamente, vagliando la disposizione della stanza, considerando il guerriero che stava fra lui e l’uscita, e la scarsa possibilità di scappare da un buco di scarico, che di solito non era più largo di un braccio. No, probabilmente non aveva la minima possibilità.
Sospirò e si massaggiò i polsi, deciso a fare ancora buon viso a cattivo gioco.
Il bagno era veramente piccolo e scomodo, ma almeno era pulito. Era più di quanto si aspettasse da una locanda nella zona del porto. Dopo aver fatto quello che doveva fare si lavò al meglio delle sue possibilità con quel mezzo secchio d’acqua che aveva a disposizione, usandola tutta perché non gliene fregava niente di lasciarne un po’ per il drow. Stava già vivendo molto al di sotto dei suoi standard.
Quando tornò nella stanza da letto, fu sorpreso di vedere che l’elfo scuro si era seduto sul piccolo sgabello che prima stazionava accanto al letto. L’aveva spostato contro la porta, in modo da potersi appoggiare con la schiena e impedirgli la fuga.
“Vai a letto” gli disse il guerriero, in tono annoiato.
Le labbra di Nephlyre si piegarono in un sorrisetto malizioso senza che lui potesse evitarlo, perché se ci avesse riflettuto un momento si sarebbe accorto che quell’invito mancava del tutto di interesse. Portò le mani al colletto della camicia e fece per sfilarsela, cosa che non sarebbe stata semplice perché gli stava un po’ troppo stretta. Da quel che aveva capito erano vestiti del drow, che era più basso di lui di almeno una spanna.
“Non ti ho detto di spogliarti” lo fermò il suo carceriere. “E non ti consiglio di farlo, le lenzuola qui sono ruvide. Certo, non sono io che mi sono appena fatto un tuffo nell’acido, quindi che ne so.”
Il tiefling sentì la sua espressione suadente che si scioglieva in una smorfia di frustrazione. Cercò di dominarsi, ma qualcosa in questo elfo gli faceva perdere le staffe. Si concentrò al massimo per recuperare il suo sorriso mellifluo.
Qualcosa dovrò pur togliermi, e ti assicuro che sono molto meglio quando ho libertà di movimento.” Tentò di recuperare, passandosi la lingua sulle labbra.

Daren scrollò le spalle, per dissimulare un brivido d’orrore.
“Non devi avere libertà di movimento, tu sei un prigioniero. Hai presente?, vuol dire che non puoi fare quello che ti pare. Anzi, trovati una posizione comoda perché poi ti dovrò legare.”
“Uh… va bene, facciamo a modo tuo.” Il tiefling fece le fusa come un gatto. Inquietante. “Ti piace avere il controllo, lo rispetto.”
L’elfo nero alzò gli occhi al soffitto, chiedendosi se questo dannato… be’, dannato, tecnicamente… avrebbe mai gettato la spugna.
“Sì, già, mi piace avere il controllo. Sdraiati sul letto.”
Il cabalista di Graz’zt ubbidì, compiacente. Restò a guardare con un sorrisetto di vittoria mentre il guerriero gli legava i polsi alla testiera del letto, continuò a sorridere (anche se un po’ più incerto) quando gli infilò un bavaglio in bocca… ma alla fine, quando Daren tornò al suo sgabello e si sedette per fare la guardia, un’ombra di sospetto cominciò a farsi strada nel suo sguardo.
Poco dopo il drow frugò nel suo zaino e ne estrasse un libro, e per il tiefling l’umiliazione fu semplicemente troppo da sopportare.
“Hm! Hmu, hmw, nhn vhrhm lhshm hm!”
Daren mise un dito fra le pagine che stava leggendo per non perdere il segno e alzò gli occhi, fulminandolo con lo sguardo.
“Talona damigiana con tutti i diavoli dentro e Bane come tappo!” Sbottò, perdendo la pazienza. “Ti ho messo un bavaglio, questo non ti suggerisce che dovresti stare zitto?”
Il prigioniero lo trapassò con un’occhiata così offesa, infuriata e velenosa da essere terribilmente comica.
“Un consiglio amichevole. Non sai quando potrai dormire di nuovo in un letto. Quindi prendi le cose come vengono e smetti di cercare di assumere il controllo della situazione. Non succederà. Tu non mi interessi, e non interessi alla mia compagna di viaggio. Non sei niente per noi, faresti meglio a non attirare l’attenzione. Cerca di prendere sonno e non costringermi a picchiarti finché non svieni.” All’inizio il suo tono era neutro come al solito, ma verso la fine la sua voce lasciava trasparire una vera minaccia.

Nephlyre Kilchar era sopravvissuto a cose molto peggiori, perché era capace di comprendere quando era il caso di tenere un profilo basso. Odiava farlo. Sperava di essersi lasciato alle spalle quella debolezza, quel senso di impotenza. Non era più un reietto, uno scherzo della natura; era uno dei migliori cabalisti di Graz’zt, Signore degli inganni e delle lusinghe! Nessuno avrebbe dovuto osare resistergli!
Però quella volta la dura realtà si stava prendendo gioco della sua competenza, della sua crescita interiore e della sua sicurezza di sé. Cercare di sedurre quel drow era come cercare di sedurre un comodino.
Aggrottò la fronte e si arrese a fissare il soffitto, imbronciato. Non sapeva se sarebbe riuscito a dormire, la sua situazione lo preoccupava troppo. Non riusciva a capire le motivazioni del suo carceriere. Gli aveva ceduto l’unico letto, ma non per approfittarsi di lui. Lo stava trattando meglio di un normale schiavo, ma perché? A chi aveva intenzione di venderlo? Il fatto di non capire lo spaventava più delle minacce esplicite.
Alla fine si addormentò per la stanchezza, senza accorgersene, e sognò di essere venduto ai suoi stessi compagni che poi finivano per sacrificarlo per i suoi fallimenti.

           

   
 
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