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Autore: Mayo Samurai    20/05/2019    0 recensioni
[Kekkai Sensen]
“Rest is not idleness, and to lie sometimes on the grass under trees on a summer's day, listening to the murmur of the water, or watching the clouds float across the sky, is by no means a waste of time.”
― John Lubbock, The Use Of Life
Steven deve proprio imparare ad amarsi.
Per fortuna c'è Klaus.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Klaus glielo aveva chiesto solo una volta.
S'era avvicinato piano alla sua scrivania e prima di raggiungerlo l'aveva chiamato per nome, per poi poggiare la mano sulla sua spalla come sempre faceva, per avvertirlo della sua presenza, perché più pericoloso di uno Steven arrabbiato era uno Steven spaventato.
Aveva poggiato il mignolo sul collo, proprio a metà tra attaccatura dei capelli e la fine del suo tatuaggio, e la punta dell'anulare oltre il colletto della camicia, un punto di partenza a pochi, pochissimi passi dal tatuaggio cremisi, un disegno oramai ben conosciuto che amava percorrere per tutta la sua lunghezza.
Il palmo pesante e solido era una calda e rassicurante pressione sulla spalla come un abbraccio da tempo atteso, mentre il pollice affondava delicatamente nei muscoli tesi della spalla creando pieghe nella camicia, tesa dalla posizione china sulla scrivania.
Klaus lo toccava così ogni volta che voleva qualcosa.
Steven lo sapeva alla perfezione, e nonostante stesse migliorando a dirgli di no, non era ancora riuscito a fermare il proprio cuore dal cantare, anche se padrone della tecnica del congelamento del sangue.
"Dovresti prenderti un giorno libero." Aveva mormorato piano Klaus, percependo sotto le dita la pelle d'oca dell'altro che cercò di nasconderla rizzando la schiena e piegando il collo per poterlo guardare in volto.
Rimasero qualche attimo ad osservarsi, la mano di Klaus un'ancora, un perno su cui poter fare leva e rispondergli anziché una distrazione.
Steven era bravo a rigirare la situazione a suo favore, e la testardaggine di Klaus era solo un allenamento.
Gli sorrise appena, gli occhi scuri dalle occhiaie e dal continuo strofinare:" Solo quando lo prenderai anche tu."
Klaus non rispose immediatamente, e per un attimo Steven pensò di averlo offeso, ma dopo un suono d'assenso Klaus tolse la mano.
Fece scivolare le dita sotto il colletto della camicia togliendole lentamente, tracciando solo con le punte la curva della schiena e allontanandosi di mezzo passo prima di avviarsi verso la sua scrivania senza una parola.
Steven riprese a guardare il foglio davanti a sé e la presa sulla penna si fece meno convulsa, ma gli servirono diversi minuti per poter riprendere a leggere e ricordarsi cosa effettivamente stesse facendo.
 
 
Steven sfoderò uno dei suoi sorrisi killer, riuscendo a ricacciare il litigio di Zapp e Leonardo nelle gole dei proprietari.
"Proprio qui dovete discutere dove mangiare? Perché non portare in strada la vostra disputa?" Disse allegro: il muscolo dello zigomo sinistro s'alzò con uno spasmo, l'inizio di un mal di testa bussava agli angoli degli occhi e i due fecero tre passi indietro.
"Mi scuso per il loro comportamento infantile, Mr. Starphase." Intervenne Zed, avvicinandosi ai due colleghi e afferrandoli per il colletto:" Ci allontaneremo subito, possiamo portarle un sandwich?"
Il sorriso sparì dalla faccia di Steven, sostituito da un'espressione sorpresa e più genuina.
"Sì. Il solito, grazie."
I tre annuirono, Zapp e Leo freneticamente e già avvicinandosi alla porta, Zed più educatamente e poco dietro.
Le spalle tese si sgonfiarono in un lungo sospiro e portandosi una mano agli occhi per strofinarseli, Steven s'abbandonò contro la sedia.
Una tazza di tea fece la sua comparsa alla sua destra e la mano di Klaus prese il suo posto sul collo, rassicurante.
"Riposati un attimo, hai avuto una lunga giornata."
Steven emise un grugnito d'assenso, mentre Klaus gli passava gentilmente la mano libera tra i capelli, spingendo all'indietro la frangia.
"Non posso." Borbottò senza fare movimenti per spostarsi, e Klaus ripeté il movimento, allungandosi fino a sfiorare la nuca col pollice.
Steven aspettò prima di parlare, sicuro che se avrebbe aperto bocca non avrebbe potuto contenere il tremolio nella voce.
"Davvero, ho una marea di lavoro da fare, c'è un raid da programmare entro due giorni e ho scoperto che le informazioni recuperate dall'ultimo interrogatorio sono praticamente inutili e bisogna ricominciare da capo." Esalò rimettendosi seduto anziché abbandonato sulla poltrona.
La mano di Klaus si fermò e dopo un breve sospiro scostò entrambe, poi si allontanò in silenzio.
Il calore della pelle di Klaus svanì all'istante, e Steven si sentì rabbrividire come in una tempesta di neve.
 
 
Chain gli stava parlando.
Il telefono premuto dalla spalla contro l'orecchio era l'unica cosa calda nella stanza e i resti congelati di un beyondian giacevano sparsi ai suoi piedi: l'impatto col terreno l'aveva reso un mosaico che nessuno si sarebbe preoccupato di ricomporre.
Steven si mise la mano nella tasca dei pantaloni premendo le dita contro la coscia con forza, rigida e fredda come il resto del suo corpo.
"Dove sei?" Ripeté la ragazza con una punta di urgenza nella voce, resa distorta dai diversi piani che lo dividevano dalla superficie.
"Leo ti vede ma la strada è bloccata, devi cercare di avvicinarti il più possibile alla superficie, sei-"
Steven sentì la terra scuotersi e quel poco di sangue che gli rimaneva gli si congelò nelle vene.
Diversi detriti di ghiaccio e cemento esplosero verso l'interno, spazzando i resti dei oramai caduti nemici ai quattro angoli della stanza.
Steven strinse i denti e si piegò leggermente in avanti, il fatto che non si sentisse più un muscolo non significava che si sarebbe mostrato spaventato.
"Steven!" Chiunque avrebbe sentito un tale ruggito emergere da Klaus sarebbe caduto in ginocchio per la paura, ma non Steven: in un attimo la paura e il gelo cambiarono in sollievo e calore, soprattutto quando entrambe le mani di Klaus gli circondarono il volto.
Si concesse un lungo sospiro, scivolando contro l'altro senza più forze in corpo, e immediatamente Klaus lo strinse a sé, circondandogli la vita con un braccio e le spalle con l'altro.
Prima che rovinasse a terra Klaus recuperò il telefono iniziando a parlare con Chain, ma oramai Steven non lo ascoltava più: schiacciò il naso contro la sua giugulare sentendosi estremamente vulnerabile, il gelo del suo stesso sangue gli aveva reso insensibile la pelle, che a contatto col corpo sempre caldo di Klaus riprese vita, dirompendo come una rosa di Gerico.
Mugugnò dal dolore quando il sangue tornò alla pelle bruciando come fuoco, ma si premette ancora di più contro l'altro, alla ricerca di tutto il calore che potesse concedergli.
Riusciva a malapena a tenere i piedi poggiati a terra, gli spilli nelle scarpe e il freddo li martoriavano crudelmente ma non poteva far altro che tentare di rimanere cosciente nonostante il freddo e il dolore.
Klaus doveva aver finito di parlare perché gli mise una mano sulla guancia carezzandogli lo zigomo fino alla cicatrice.
"Steven, mi senti?"
Annuì appena, i tremori fin ora repressi presero possesso delle sue gambe e delle braccia facendolo scuotere violentemente contro il petto dell'altro.
Era sicuro che Klaus volesse dirgli qualcosa, certamente per ammonirlo, perché s'era spinto troppo in là anche per qualcuno che usava esclusivamente poteri legati al gelo, ma nulla gli venne detto.
Gli venne messo addosso il gilet di Klaus e venne sollevato come una sposa.
Tentò di protestare ma il calore del panciotto lo avvolse come una coperta e tutto quello che riuscì a fare fu di affondare il mento nello scollo, con le mani premute in vita e il cuore che batteva solo per sentire la voce di Klaus che piano gli parlava.
 
 
Klaus glielo aveva chiesto solo una volta, effettivamente.
Ma ad ogni tocco, ad ogni sguardo, Steven sentiva la richiesta sulla sua bocca come se fosse una sua idea anziché un desiderio dell'altro.
Sentiva sulla sua lingua le parole, e le labbra di Klaus, certo, ma quello era dato dall'intenso bacio che s'erano appena scambiati, nel primo momento tranquillo che era riusciti a ritagliare dopo il risveglio in ospedale di Steven.
Sentiva sulla sua lingua le parole, pesanti, che gli riempivano la bocca come un boccone di pane e miele.
Avevano un sapore divino e si sarebbe crogiolato per sempre nella dolcezza di quell'idea, di una vita tranquilla al fianco di Klaus, ma il giuramento fatto il giorno che divenne un Caccia Zanne lo riportava alla brutale realtà.
Il suo dovere come Caccia Zanne, il suo lavoro, la sua squadra e i suoi problemi personali gli prendevano troppo tempo per lasciargli un attimo di respiro: poteva sentire la tensione nelle spalle tirarle e tirarle, conscio che un giorno si sarebbe semplicemente spezzato come un ramo secco.
Anche Klaus lo vedeva, e lo implorava con tocchi gentili e lunghi sguardi, sperando di arrivare in tempo prima della rottura, prima che un passo sbagliato permettesse ai nemici di affondare le unghie nel cuore di Steven.
Ma Steven non poteva permetterselo, perché ogni morso nel suo braccio era un morso in meno al collo di un innocente.
E Klaus lo sapeva meglio di lui perché ogni volta che bruciava di giustizia ed orgoglio per il loro lavoro diventava la luce da seguire, e se distruggi il faro le navi si schiantano e i marinai muoiono.
Aveva sognato molte volte la morte di Klaus, e i libri onirici affermano che ciò allunga la vita della vittima.
Un'intera, infinita vita di sangue e violenza, solo per finire esattamente come aveva vissuto.
Steven non era sicuro di voler vedere Klaus invecchiare.
E Klaus, coraggioso e gentile Klaus, gli stava chiedendo di allontanarsi dal suo fianco, di mettersi al riparo, praticamente di scegliere un posto in tribuna e lasciare che i leoni lo divorassero mentre lui stava a guardare.
Steven non poteva lasciarglielo fare.
Ma lo capiva.
Lo stesso desiderio di tenersi al sicuro a vicenda era un circolo vizioso che intralciava e allo stesso spianava la loro via.
"Virtuoso, Steven" aveva detto una volta Klaus: "il tuo zelo nel mantenermi in vita è degno di un santo."
"Perché faccio miracoli?"
Klaus aveva riso.

Damocle se la passava meglio.
 
 
Desidero di non averti mai conosciuto, perché non ti merito.
Non serviva dirlo ad alta voce, Klaus rispondeva in ogni caso tenendogli la mano finché non passava.
 
 
Steven chiamò Gilbert il giorno stesso che venne rilasciato dall'ospedale, nascondendo la metaforica coda tra le gambe e il maggiordomo ebbe abbastanza accortezza dall'astenersi da fare commenti.
Non che si aspettasse di meglio da parte sua.
 
 
"Steven?"
"Andiamo in campagna."
Klaus sbatte' le palpebre e rimase in silenzio.
"Campagna?" Chiese poco dopo.
"Sì. Cioè, ciò che Hellsalem’s Lot può offrire come campagna, perché non possiamo uscire dalla città."
Klaus chiuse la bocca rimasta aperta alla spiegazione di Steven e aggrottò' le sopracciglia:" C'è-"
"Non c'è un vero motivo." Lo interruppe Steven:" ho pensato a quello che mi hai detto. Voglio un giorno libero, ma solo se anche tu ti prendi del tempo."
Klaus lo guardò a lungo, le dita ancora ferme sulla tastiera e la zanna destra leggermente pressata sul labbro.
Tornò a guardare il monitor:" C'è molto da fare e-"
"Gilbert mi ha aiutato a pulire la tua agenda, non hai più nessun impegno, per domani, sei libero come una farfalla."
Klaus poteva essere testardo quanto voleva, ma Steven viveva di sotterfugi.
"Mi dispiace." Aggiunse velocemente, il senso di colpa che l'aveva preso quando aveva chiamato Gilbert lo faceva sentire freddo, anche più di quella volta che era rimasto incastrato decine e decine di metri sotto terra.
"Non intendevo prendere il controllo della tua vita, non- non era quella la mia intenzione. Voglio solo passare una giornata con te." Aggiunse a mezza voce, l'imbarazzo evidente sulle guance e nello sfregare i piedi a terra.
"Non posso rilassarmi se so che sei qui da solo."
"Non sono solo, ci sarebbe l'intera Libra ad aiutarmi."
"Non ti conoscono come ti conosco io."
Steven fece una piccola smorfia al tono possessivo che aveva utilizzato, ma Klaus gli rispose con un piccolo sorriso e alzandosi dalla scrivania, prendendogli delicatamente le mani tra le proprie.
"La preoccupazione che provo ogni volta che non sei al mio fianco è un prezzo che pago volentieri se significa darti i tuoi spazi.
Ma se tu vuoi spendere il tuo tempo libero con me, non posso essere che estremamente felice, essere al centro dei tuoi pensieri è solo la conferma di quanto tu tenga a me."
Steven non morirà per mano di beyondian impazziti, dei o Blood Breed, ma sarà Klaus che metterà fine alla sua vita, con dolci spiazzanti parole, complimenti e sguardi innamorati come quello che gli stava rivolgendo in quel momento.
Si sentì mancare il fiato, la confessione semplice e piena di sentimento lo stava facendo sentire come un ragazzino, come il giorno in cui s'era reso conto di voler passare il resto della sua vita accanto a Klaus.
Deglutì e ricambiò la stretta sorridendogli dolcemente, sentendosi minuscolo e patetico, rimpiangendo ogni momento passato ad imparare a mascherare i propri sentimenti perché Klaus si meritava molto di più di un bugiardo come Steven.
"Mi metti in imbarazzo, smettila." Scherzò poggiando la fronte contro la spalla dell'altro, lasciando che Klaus gli circondasse la vita con le braccia:" Siamo uomini adulti, non ragazzini."
Sentì il naso di Klaus tra i capelli e l'uomo sbuffò, facendogli il solletico:" Se le mie parole ti fan sentire giovane e con la testa per aria, vedrò di essere fonte infinita della tua euforia, perché non c'è cosa che mi renda più felice di vederti felice."
Steven non rispose, premendo più forte il naso nella camicia dell'altro ed aggrappandosi alla sua vita.
No, non si meritava qualcuno di così sincero e innamorato come Klaus, e l'unica cosa che poteva fare era impegnarsi quanto più poteva per essere l'uomo che Klaus pensava lui fosse.
 
 
Klaus si portò una mano agli occhi quando riconobbe le prime note e Steven gli poggiò il vassoio con la colazione sul letto.
"Poi sono io quello imbarazzante." Mormorò assonnato cercando gli occhiali, i capelli in disordine e i segni del cuscino ancora freschi sulla guancia.
Il cuore di Steven perse il ritmo e raggiunse una nota decisamente alta e stonata, tornando alla normalità solo dopo un lungo respiro.
Si ricompose con un sorriso e prese posto sul suo lato del letto, rubando uno dei lamponi.
"Occhi per occhio." Borbottò prendendo la tazza di caffè e mettendosi comodo.
"Facciamo colazione con calma, la macchina è già pronta e il resto della Libra è stato informato della nostra assenza, Gilbert mi ha assicurato che il meteo promette sole e tutti i nostri impegni sono stati rimandati. Siamo completamente liberi.
Per un giorno."
Klaus gli sorrise e allungò una mano per carezzargli il viso, passando lentamente il pollice per tutto lo zigomo.
"Grazie."
La faccia di Steven si stropicciò in una buffa smorfia prima che potesse fermarla e Klaus ridacchiò, solamente peggiorando la situazione.
"Finisci la tua colazione." Disse svelto il moro, abbastanza rosso da aver reso la cicatrice pallida, prendendo un grosso sorso di caffè e alzandosi dal letto:" Vado a cambiarmi."
La risata di Klaus lo seguì fin nel bagno.
 
 
La strada si rivelò più clemente del previsto e nonostante la nebbia, poterono intravedere l'alba aggrapparsi al cielo notturno, la luce solare ancora troppo debole per illuminare le strade, l'orizzonte una macchia di flebili colori pastello.
A Steven mancavano le stelle.
E la luna.
E passeggiare per le strade senza essere assaliti.
Gli mancava la Spagna e le notti infinite passate con Klaus, quasi dieci anni prima, il dovere da Caccia Zanne ancora lontano e sconosciuto nelle loro giovani menti.
Prendersi quel giorno libero era come tornare indietro nel tempo, ritagliarsi delle ore solo per loro, come quando prendevano l'auto dei genitori di Klaus ed esploravano la campagna Berlinese, allontanandosi quanto più dalla città.
Ora, col sole appena all'orizzonte e l'aria umida della notte che s'aggrappava ai loro vestiti, si preparavano per fare un salto nel passato.
Steven non si sentiva così su di giri da anni.
Era una cosa ridicola, perché stavano semplicemente andando ad un picnic, ma c'era qualcosa che lo faceva sentire euforico.
Forse il sorriso appena contenuto di Klaus, o il giorno nascente o l'idea di non doversi più preoccupare di nulla, anche se solo per un giorno.
Caricarono in auto tutto il necessario per pranzo, due cestini cortesemente preparati da Gilbert, con tanto di tovaglia a quadretti (tovaglia che aveva stretto il cuore di Steven con forza, perché erano dell'esatto colore e disegno di quella che avevano consumato da giovani, usata come tovaglia, come coperta e addirittura come unico riparo la volta che un temporale li aveva sorpresi.).
Steven prese il posto del guidatore, rispondendo alla domanda di Klaus su dove stessero andando con un ghigno divertito e nient'altro.
Dopo forse mezz'ora, il sole sorse, riempiendo l'abitacolo con una luce rosata e gentile, facendoli affondare in un caldo bagno luminoso.
La nebbia rendeva la vista della città eterea, come un quadro impressionista dalle piccole e precise pennellate di colore su una tela generosa.
Il rosa dell'alba s'aggrappava alla foschia nonostante tutto, il grigio del tipico cielo cittadino non era ancora riuscito a fagocitare i colori più gentili della mattina.
Klaus guardava sereno fuori dal finestrino, l'auto non era sicuramente il treno, ma sembrava altrettanto di buon umore seduto al posto del passeggero, osservando il paesaggio srotolarsi pigro sotto ai suoi occhi.
Steven si concedeva delle brevi occhiate, le strade di Hellsalem's Lot non erano clementi con chi si distraeva, e Klaus, seduto accanto a lui immerso nella luce mattutina con un pacifico sorriso sul volto era una delle più grandi distrazioni che Steven avesse mai affrontato.
Si ricordò dei quadri appesi per villa Reinherz, dipinti dei membri della famiglia in piena vista per i corridoi e le sale più belle, e nessuno di loro avrebbe fatto giustizia a Klaus in quel momento.
Strinse i pugni sul volante, sentendosi avvampare come una ragazzina, il desiderio di fermarsi in mezzo alla strada per divorare di baci Klaus dirompente come una carica di cavalleria.
"Tutto a posto?"
Steven staccò gli occhi dalla strada per un attimo soltanto e ammorbidì la presa sul volante:" Certo." Mormorò con un piccolo sorriso, tornando a guardare la strada.
Giunsero a destinazione quasi dopo un'oretta, lontani dal centro di Hellsalem's Lot e dal caos tipico della città.
Steven parcheggiò l'auto e ignorò lo sguardo confuso di Klaus, scendendo e andando ad aprire il bagagliaio immediatamente.
Alzò appena lo sguardo e senza preoccuparsi di nascondere il sorriso recuperò i due cestini, mentre osservava con la coda dell'occhio Klaus avvicinarsi all'ingresso a pochi passi da loro.
"Spero ti piaccia." Disse piano, sentendosi il cuore in gola e la terribile ma estremamente sciocca preoccupazione che Klaus non volesse stare lì.
Klaus non rispose subito, rapito dagli alberi e dalla vegetazione di fronte a loro che rigogliosa minacciava di invadere il parcheggio.
Cespugli di gelsomino e ginestre esplodevano sfarzosi tra il blu degl’ibischi e il bianco delle gardenie; Sambuchi e ribes spuntavano dove potevano, macchie rosse e nere facevano risaltare i rosa più delicati delle rose e degli oleandri come tante piccole stelle.
Il verde lussureggiante delle chiome e delle foglie era una tela meravigliosa dove un largo sentiero s'apriva e s'addentrava nel profondo, sparendo tra aiole di lillà e violette e cespugli di more e mirtilli.
Klaus si voltò lentamente verso di lui, la bocca ancora mezza aperta e gli occhi lucidi.
"Lo amo, ti amo."
Il cuore di Steven fiorì in un'esplosione di colori e morbidi petali, e non ebbe la forza di replicare se non con un patetico sorriso, che crebbe a contatto con quello di Klaus in un profondo bacio che lo lasciò senza fiato.
Klaus gli aveva circondato la vita con un braccio, chinandosi su di lui e piegandosi in avanti in un mezzo casquè, e Steven s’aggrappò alle sue spalle con il braccio libero e una risata soffocata.
"Così tanto?" Chiese con un sorriso enorme, spingendo la punta del naso contro la guancia di Klaus che rispose con una mezza risata e un " Anche di più."
Steven chiuse gli occhi e chiese un po' di forza per non sciogliersi come ghiaccio al sole, e picchiettando sulle larghe spalle dell'altro si rimise in piedi, recuperando i cestini che aveva lasciato cadere.
Klaus ne prese uno e si mise al suo fianco, e mano nella mano s'addentrarono nel giardino.
Le fronde degli alberi erano abbastanza fitte per ricoprire la maggior parte del giardino, immergendolo in una gentile e fresca penombra dai colori più intensi.
Passeggiarono per una decina di minuti, catturati e innamorati del paesaggio che li circondava.
Klaus ogni tanto si allontanava di pochi metri, rapito dal colore di un fiore o dalle radici di un albero, completamente immerso nel suo piccolo mondo da botanico.
Steven lo lasciava fare osservandolo con tenero sorriso, cercando nel frattempo un angolo dove potersi fermare a mangiare e dopo averlo avvertito che avrebbe proseguito senza di lui, continuò per il sentiero.
L’aria era ferma e calda, alcuni insetti gli ronzarono attorno, alcuni brillanti come gemme e dalle ali piumate, altri più terresti, come api e libellule.
Il giardino era pubblico, ma in pochi ci andavano, trovandosi lontano dalla città rimaneva un angolo di paradiso staccato dal caos e violenza che regnavano sovrane ad Hellsalem’s Lot.
Da qualche parte nel bosco il suono di un picchio si levò acuto, spezzando la calma piatta.
Per un terribile momento Steven si sentì la schiena gelare e si mise all’erta, le orecchie tese e pronto a reagire, ma il bosco rimase pacifico, e nulla gli saltò alla gola.
Poteva intravedere Klaus e la sua chiara camicia tra i cespugli e tirò un lungo respiro per calmarsi: era in vacanza ed era il suo giorno libero, si morse il labbro superiore scocciato con sé stesso per essersi lasciato ingannare da delle stupide memorie.
“Steven, disordini post traumatici sono più che normali in una persona come te che-“ Non aveva lasciato che le parole della dottoressa Estevez s’aggrappassero ai suoi pensieri, sicuro che meno ci pensava, meno l’avrebbero influenzato.
Aveva un compito, un dovere, il suo cervello doveva adattarsi alla situazione o sarebbe morto.
Punto.
“Steven?”
Alzò la testa e si lasciò andare il labbro quando sentì la voce di Klaus, notandolo spuntare da dietro dei cespugli con un sorriso enorme.
“Trovato fiori interessanti?” Domandò svelto, sorridendo a sua volta per nascondere ogni preoccupazione.
Klaus annuì entusiasta, mettendosi al suo fianco e prendendolo a braccetto per proseguire lungo il sentiero.
“Credo di non aver mai visto degli esemplari così ben tenuti e rigogliosi da anni, invidio chiunque abbia la fortuna di lavorare qui, dici che-“ S’interruppe mordicchiandosi il labbro inferiore, arrossendo.
“Vuoi chiedere se puoi portarne a casa qualcuno, uhm?” Finì per lui Steven con un ghigno diverto.
Klaus inciampò nelle sue stesse parole, arrossendo anche di più:” Ovviamente non li taglierei né strapperei! E non è nemmeno stagione, magari quando saranno in dormienza, così da non rovinare la pianta!”
Steven scoppiò a ridere aggrappandosi al braccio dell’altro:” Calmati, nessuno ti sta accusando di maltrattare le piante, le tratti meglio di come tratti tè stesso, e questo è preoccupante.”
Klaus fece una smorfia imbarazzata e sorrise appena.
"Chiederemo prima di andarcene.” Continuò baciandogli la spalla:” Sono sicuro che non ti diranno di no.”
Il sorriso si fece più largo e cingendogli la vita con un braccio, strinse Steven a sé.
Trovarono un angolo adatto ai piedi di enorme faggio, la chioma rigogliosa s'intrecciava con le piante limitrofe, lasciando passare pochi spiragli di luce che macchiavano il giardino di sfumature verdi e gialle.
Era come trovarsi in un quadro, sospesi e divisi dal resto del mondo e immersi in colori solitamente assenti.
Steven prese un lungo respiro godendosi il calore del sole e il profumo dell'erba, vagamente attento ai dintorni, sentendo Klaus alle sue spalle sistemare i cestini e stendere la tovaglia.
Era ancora presto per il pranzo, perciò si presero del tempo per esplorare il giardino: incontrarono un paio di altre persone, soprattutto coppie anziane e persone che passeggiavano col cane.
Più s'inoltravano nel giardino, superando ponti e ruscelli, più Steven si sentiva sempre a suo agio, finalmente veramente rilassato dopo tanto tempo.
Il sorriso non aveva mai lasciato il volto di nessuno dei due, ed entrambi si sentivano come se stessero camminando sulle nuvole.
"È una cosa così sciocca..." Aveva borbottato Steven, a metà su un piccolo ponte muschioso, il tono lontano dall'essere irritato ma solo imbarazzato.
Klaus gli strinse la mano incoraggiandolo a proseguire: erano rare e molto intime le volte che Steven abbassava la guardia abbastanza per poter esprimere i propri sentimenti, e Klaus omaggiava quei momenti come se si trattasse di privilegio estremamente prezioso, sempre felice di poterlo star ad ascoltare.
"Ma sono felice di essere qui. Non che sia una cosa sciocca venire qui solo- essere felice per così poco." Concluse con le guance rosse.
Klaus gli sorrise dolcemente, sollevando la mano che stava stringendo per baciarne gentilmente le nocche.
"Saresti meno imbarazzato al sapere che non c'è stato ancora un attimo in cui il mio cuore ha smesso di battere all'impazzata?"
Steven alzò lo sguardo su di lui, smettendo di nascondersi fissando l'acqua sotto di loro scorrere in piccole cascate.
"Questa giornata... non è solo un modo per rilassarci, io mi sento in pace e non posso far a meno di ricordare i pomeriggi passati nella serra e di tutte le volte che siamo scappati dai nostri genitori per intere giornate, senza che nessuno sapesse dove fossimo andati."
Gli baciò di nuovo le nocche, carezzando le dita col pollice:" Non trovi che ci meritiamo un po' di pace? Solo un ritaglio, per riprendere fiato."
"E poi un altro scontro?" Domandò Steven a mezza voce, la gola stretta da un cappio.
"E poi un altro scontro." Rispose Klaus tristemente, prendendogli anche l'altra mano:" Ma il domani non importa davvero se so che ci sarai tu al mio fianco."
Steven deglutì e sbatte' le palpebre, perdendosi nell'osservare il volto dell'altro, del dolce sorriso che avrebbe rivolto solo a lui e degli occhi pieni d'amore.
Gli sorrise, e alzandosi sulle punte, lo baciò.
"Lo sai che mi piace molto il dovermi alzare sulle punte per baciarti?" Mormorò contro le sue labbra, una miriade di altri pensieri pronti ad eruttare come una cascata, la pressione sul suo cuore una soffocante morsa contro cui combatteva giornalmente.
"Davvero?" Chiese Klaus piano, cingendogli la vita con le braccia e la voce tremolante solo come Steven riusciva a spillargliela.
"Sì."
Klaus rimase in silenzio per qualche attimo.
"Come mai?"
"Perché mi fa sentire giovane." Replicò Steven con un ghigno, allungando un braccio per cingergli le spalle:" Così mi sento meno un maniaco ad aver sedotto un giovane così puro come te."
Parte della sua frase venne inghiottita dalla risata di Klaus, che si portò una mano agli occhi.
Steven lo imitò, l’orecchio premuto contro il petto dell'altro e le vibrazioni della risata di Klaus per tutto il corpo.
"Perché ridi? Ridi perché sono vecchio, vero?"
Klaus scosse la testa:" Tu non sei vecchio, e io non sono mai stato puro." Rispose con un sorriso enorme:" E non c'è nulla di male, in ciò." Aggiunse più gentilmente.
"La vera purezza non esiste, così come la perfezione, ma va bene così, l'importante nella vita non è la cima, ma il viaggio.
Un viaggio da fare in compagnia."
Steven sorrise dolcemente, strofinando il naso contro la camicia e le lacrime in gola.
Rimasero stretti per qualche minuto ancora, poi lentamente s'avviarono per il bosco, riprendendo la loro passeggiata mano nella mano.
All'ora di pranzo tornarono a dove avevan lasciato la tovaglia, e ancora prima di sedersi e mangiare, Steven si tolse le scarpe e calze, affondando i piedi nell'erba più alta con un lungo sospiro soddisfatto.
Adorava camminare scalzo.
L'erba era fresca e umida sotto i suoi piedi e si lasciò cadere accanto a Klaus sulla tovaglia allungando le gambe e piegando la testa all’indietro, godendosi i timidi raggi che filtravano attraverso le chiome degli alberi.
Klaus gli baciò velocemente la fronte, mettendogli accanto un piatto con del riso freddo.
Mangiarono con calma, parlando del più e del meno a bassa voce come se si stessero scambiando dei segreti.
Passarono ore senza far nulla in particolare, contenti di rilassarsi e leggere in tutta tranquillità, il sole come unico orologio.
 
 
Steven aprì lentamente gli occhi, le palpebre ancora pesanti di sonno.
Si stropicciò gli occhi pigramente, mentre si svegliava con calma e respirava profondamente, il dolce profumo dei fiori e dell'erba inebrianti come una ninnananna.
Si stirò come un gatto gettando sopra la testa entrambe le braccia, mentre Klaus sorrideva gentilmente carezzandogli i capelli.
"Buongiorno."
Steven sbattè le palpebre ancora un poco intontito e si guardò attorno, rendendosi conto di essersi addormentato con la testa poggiata alle cosce di Klaus.
Sospirò di nuovo, valutando se tornare a dormire oppure no.
“Non mi offendo se preferisci dormire ancora un po'.” Mormorò Klaus.
Steven fece una smorfia:” Ho già dormito abbastanza… Credo. Quanto ho dormito?”
“Un’oretta. Ma ne avevi bisogno, hai sempre delle occhiaie terribili.”
Rispose con un debole verso d’assenso osservando i dintorni con fare assonnato, tentato dalle carezze di Klaus di tornar a dormire.
Alzò lo sguardo sull’altro, che aveva smesso di passargli la mano tra i capelli ed aveva iniziato a fargli delicati grattini sotto l’orecchio.
Gli tornò in mente il loro primo picnic da quanto avevano iniziato la loro relazione, quanto fossero imbarazzati e nervosi nonostante l’avessero fatto altre centinaia di volte, quel giorno reso speciale dai sentimenti oramai scoperti e in piena vista.
Quasi otto anni prima.
Osservò il viso dell’altro, i suoi capelli rossi appena smossi dal delicato vento e il suo sorriso pacifico.
Klaus non era sempre stato così.
Klaus non aveva le zanne prima: la mascella prominente, gambe lunghe e spalle larghe, ma mai così alto e muscoloso.
Era più magro, più umano, più- debole sopperiva il cervello di Steven, dolce lo correggeva il suo cuore.
Una minuscola parte di lui provava una forte nostalgia di quel Klaus, ma ogni volta che si perdeva nel pensare a come sarebbe se non fosse mai stato catturato, ricordava a sé stesso di quanto fosse un pensiero stupido, perché Klaus non era cambiato di una virgola.
Era sempre gentile, sempre coraggioso e sempre generoso.
Era sempre il suo Klaus.
Anche coi geni riscritti magicamente, anche con zanne e forza demoniaca, anche col sangue che colava tra le dita ad ogni scontro.
Era sempre il suo Klaus.
Allungò una mano fino a carezzargli il mento, e Klaus gli rivolse un breve sguardo prima di baciargli le dita.
“A che pensi?”
Steven rimase in silenzio per qualche secondo, poi alzò le spalle e gli sorrise:” A nulla.”
 
 
Rimasero nel parco finché non iniziò a fare freddo e videro il sole calare oltre le chiome.
Si presero il loro tempo, raccogliendo lentamente stoviglie e tovaglia, facendo un’ultima passeggiata nel bosco tenendosi vicini per schermarsi dall’aria fresca della sera.
Klaus era una meravigliosa fonte di calore, e Steven si sentiva un po' come un pulcino sotto al braccio stretto attorno alle sue spalle, al caldo e al sicuro.
Con un braccio attorno alla vita dell’altro e il suono degli ultimi richiami della fauna del parco in lontananza, in si sentiva leggero, quasi incorporeo, i continui brividi che gli eran corsi per tutta la schiena sin dalla mattina gli avevan reso la pelle sensibile e un piacevole ronzio si levava gentile nella sua testa come una melodia.
Avrebbe voluto poter fermare il tempo, sospesi per sempre in quel ritaglio di paradiso.
Con un lungo sospiro voltò la testa contro la spalla di Klaus:” Credo che sia ora per noi di tornare indietro.” Mormorò.
Klaus gli strinse le spalle e annuì:” Fame? Possiamo fermarci in quel ristorantino thailandese che ti piace tanto…”
“Tu mi vizi.”
L’altro rise e spostò il braccio alla vita, baciandogli la tempia:” Tu mi hai portato qui, non è viziarmi questo? Ora tocca a me.”
Era sempre stato così con Klaus, sin da quando erano bambini.
Klaus dava, non si aspettava più di tanto in cambio, dava senza remore e la gente prendeva.
Steven era stato cresciuto col pensiero opposto, prendi finché sei in tempo, altrimenti non rimarrà più nulla.
Aveva passato anni accanto a Klaus e alla sua famiglia, crescendo assieme ai figli dei Reinherz come se fosse uno di loro, ma mai aveva compreso fino in fondo la loro generosità.
Amava quella famiglia, e Klaus soprattutto, anche più di sé stesso, e allora perché non riusciva ad evitargli ogni male? Perché non era riuscito a salvare Klaus in tempo?
L'amore vinceva veramente sopra ogni cosa?
Sorrise a Klaus, alzandosi sulle punte per baciarlo:” D’accordo, vediamo se riusciamo a prendere un tavolo sul retro.”
Aveva forse paura che non servisse più a Klaus? Che il suo ruolo di guardiano fosse completamente superfluo?
Che Klaus si stancasse di lui?
“Stai bene? Mi sembri un po' perso.”
Oh.
Ma certo.
Non era più Klaus che aveva bisogno di lui, era Steven che ora s'appoggiava a Klaus.
Perché è così che funziona in amore, dai per ricevere e ricevi perché hai dato.
E andava bene così, perché Steven sapeva di poter tirare un sospiro di sollievo, sapeva di aver un posto dove tornare perché Klaus sarebbe stato al suo fianco.
Doveva solo imparare a volersi bene.
E Klaus non si sarebbe mai stancato di dimostrare quanto amasse Steven, e lui, non si sarebbe mai stancato di dare tutto a Klaus.
Annuì piano, un calore famigliare che cresceva dal centro del suo petto come un canto gli spezzò la voce.” Sono solo un po' preso dai ricordi.”
Klaus lo osservò per qualche secondo, poi gli prese il volto tra le mani e lo baciò, lentamente, e profondamente, guidandolo e piegandogli appena il viso per avvicinarsi di più.
Steven lo sentì fin alle punte delle dita e si ritrovò a seguire la bocca dell’altro quando questi si staccò, affamato ed inebriato.
Klaus lo baciò di nuovo, solo una lieve pressione delle labbra, rosso in volto come i suoi capelli.
Rimasero così pochi attimi ancora, aggrappati l'uno all'altro naso contro naso, poi guancia contro guancia facendo le fusa come dei gatti.
Sfiorando con la punta del naso la mascella di Klaus, Steven alzò il volto, sorridendo soddisfatto:" Ora dovremmo davvero tornare indietro."
Klaus arricciò le labbra in un finto broncio prima di chinarsi e recuperare i cestini abbandonati.
"Thailandese, quindi?"
Steven lo prese a braccetto, regalandogli un sorriso smagliante col cuor leggero: "Tu mi vizi.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Da quella che spero sia un’intervista reale a Nightow sensei
“Steve e Klaus si conoscono da molto giovani!”
Io: oddio sono sposati
 
 
Per poco non la postavo perché non trovavo un titolo che mi piacesse
 
 
E’ abbastanza buffo come sia partita sta fic, doveva essere un progetto del pornfest (so che sapete che è, su) e tipo dopo aver letto i prompt gentilmente offerti da Destyno, mi sono messa al lavoro.
Solo che dopo sei pagine d’introduzione perché Sono Fatta Così™, ero tipo “……………………..non ho molta voglia di scrivere porno :(“ e quindi nient, ho continuato come se nulla fosse col fluff e angst.
 
 
Se avete voglia di parlare un po’ di questi due idioti innamorati, mi trovate su tumblr! C’è il link nel mio profilo.
 
 
Grazie a dio qualcun altro ha pensato ad un titolo decente per me: https://www.poetryfoundation.org/poems/45896/the-day-is-done
   
 
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