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Autore: milla4    20/05/2019    4 recensioni
Piangere è da sfigati, bisogna avere un motivo serio per farlo e Annie lo aveva, quindi doveva piangere, era scontata la cosa. Eppure, non ne voleva sapere. Amanda avrebbe dovuto correggere quell'ingiustizia.
Questa storia partecipa al contest "Hold my Angst (Flash contest - Edite ed inedite)" indetto da GaiaBessie sul forum di EFP.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bisogna meritarle le lacrime
 




La odiava e non sapeva perché. Quando vedeva quel suo grasso ed enorme sedere sbucare dalla porta della mensa avrebbe voluto soltanto immergerle la testa nel brodo dello spezzatino fino a farla soffocare... e non ne capiva il motivo. Odiava il fatto che fosse brutta, odiava i suoi vestiti eccentrici e infantili, odiava che tenesse sempre la testa bassa per evitare guai, odiava persino come camminava. Ma, soprattutto, odiava quel rumore che produceva sfregando le cosce coperte da uno stretto strato di jeans; vedeva il grasso strabordare dalle pieghe di quei suoi pantaloni usurati e fuori moda. Aveva tre paia uguali e li usava a rotazione; nel tempo aveva imparato a conoscere ogni sua variazione, ogni minimo cambiamento.  Possedeva delle magliette, tante magliette di colore diverso: erano brutte, informi sacchi per cercare di nascondere quelle tette enormi e cadenti, che sbattevano una contro l’altra ad ogni passo. Poteva immaginarsi sotto la maglietta che sbattevano ad ogni passo e le faceva ribrezzo.
 
 La odiava, sì, la odiava soprattutto perché se ne fregava di tutto, aveva come un senso di superiorità che traspariva dai No che dava, delle cattiverie che non accettava. Non sorrideva mai se non a chi voleva lei, il viso contratto era duro ma non freddo, solo diffidente. Non sopportava il non poterla scalfire mai, aveva come una corazza contro gli insulti, le parole l’attraversavano senza toccarla. Non sedeva con nessuno, non sembrava interessarle che il mondo non fosse adatto a lei, viveva per se stessa.
Odiava le lacrime che non uscivano perché voleva dire non soffrire e, se Amanda soffriva, tutti dovevano soffrire. Lei era bella, suo padre era un avvocato di fama, sua madre una donna rispettabile, ma aveva anche un qualcosa di maligno che la corrodeva dall’interno; era nato pian piano e ormai era parte di lei. La faceva piangere ogni notte, ormai era diventato un suo speciale rito per andare avanti e quella grassona invece se ne fregava altamente. Aveva provato a farle male, sempre più male per vedere finalmente sgorgare quelle dannate lacrime che era compagne della sua stessa vita: Annie le meritava più di lei. Ed invece continuava a vivere la sua pietosa vita senza lamentarsi, un inutile ammasso di grasso, un rotolo alla volta. Ma questa volta gliel’avrebbe fatta pagare, avrebbe pianto che lo volesse o no. Era una promessa e Amanda non prometteva nulla che non potesse portare a termine.
 
 
Non ne sapeva nulla di questioni mediche e francamente non è che poi le importasse poi molto di cosa provasse, voleva soltanto vedere quelle lacrime rigarle il volto, scendere sulla pelle ormai congelata e provocarle dolore. La scuola organizzava quei viaggi altamente istruttivi due volte l’anno a cui ovviamente nessuno partecipava volentieri e proprio in quei momenti fioccavano certificati di malattia più o meno realistici: quella volta, invece, Amanda non aveva fatto visita al loro medico di fiducia per richiedere un certificato per il mal di schiena, una delle scuse più in voga del momento, causando un lieve shock nella madre già pronta all'ennesima lite. Fece la valigia con grande tranquillità, prendeva un capo e lo piegava dolcemente, senza fretta; era entrata in contatto con se stessa, aveva trovato il suo scopo e aveva tutto sotto controllo, non c’era bisogno di avere fretta, tutto sarebbe andato come sarebbe dovuto andare. Avrebbe ristabilito il corretto ordine delle cose, ci avrebbe pensato lei, solo lei.
 
 
L’aveva chiusa fuori la stanza, nuda come un verme, sulla neve; per tutta la sera Amanda si era divertita come non le era mai successo, sentiva il sangue scorrerle con sempre più velocità, più forte e vigoroso e per questo avrebbe potuto divertirsi davvero con tutta se stessa.
I bungalow erano divisi due a due, ognuno divisi da un una piccola zona boschiva e collegati alla strada principale sulla sinistra, dall'altra parte solo il freddo gelido della neve; Amanda aveva insistito per stare nel gruppo centrale, nel suo bungalow erano cinque letti ma l’occupavano soltanto in due: il suo era coperto dalla valigia aperta mentre l’altro era ancora totalmente intatto, aveva sistemato le sue cose nella sua parte di armadio aspettando la sua coinquilina per quella lunga settimana. Annie sceglieva ogni volta quel posto perché sempre vuoto e questo Amanda lo aveva saputo dalle mille chiacchiere che, nella scuola, giravano sulla strana grassona che occupava il bungalow numero 3 e che faceva banchetti in solitaria tutte le notti con le scorte di cibo che si portava da casa. Almeno era questo che girava.
In realtà Annie amava la solitudine, avere i suoi spazi, sentirsi libera di girare in mutande o di ballare al ritmo delle canzoni anni ’80,  un animale che amava la solitudine non conoscendo altro che quella: questa volta avrebbe avuto una compagna di stanza. Amanda la salutò con molta gentilezza e per tutto il tempo le sorrise, le offrì una caramella aromatizzata alla lavanda, le chiese se volesse una mano nel riporre la valigia, Annie la osservava come una gazzella osserva la leonessa, cercando nel sospetto la verità. Era guardinga, ma nulla era successo, non avevano parlato, si erano semplicemente evitate senza disturbarsi più di tanto. Prima di scendere per la cena, ad Amanda cadde casualmente la tazza di cioccolata ormai fredda addosso ad Annie - stava leggendo e purtroppo aveva mosso il gomito- la dolce bevanda era penetrata attraverso la scollatura sporcandola completamente e costringendola a una veloce doccia pre-cena. Amanda la stava aspettando lì, seduta sul letto, le mani incrociate fra loro, le gambe accavallate che tremavano per la tensione e quando Annie sorpresa la vide sul letto, non si accorse della lampada a forma di gufo che teneva in mano, rubata dallo stesso comodino della sua vittima.




 
 
 
 
Dolore, la faccia le pulsava per il dolore, era stordita sentiva odore di sangue provenire accanto a lei… no… si toccò la testa… da lei e poi quel freddo… e le ci vollero due minuti per capire che era sdraiata nuda, sulla neve al gelo. Urlò ma uscì un rantolo, riprovò ancora e ancora ma il suo corpo non voleva rispondere ai suoi comandi, avrebbe voluto andare verso un riparo ma invece si rannicchiò su se stessa, avrebbe voluto urlare ma non ci riusciva, avrebbe voluto… avrebbe voluto… sì….
 
 
 
 



 
La festa era entrata nel vivo, anche i tipici ragazzi da tappezzeria si erano ormai scaldati in pista quando un urlo fece interrompere i festeggiamenti: era stato trovato il cadavere di una ragazza sulla neve.
Voci di preoccupazione imperversavano senza pietà: chi era? Cosa le sarà successo?
Amanda partecipava con delizia a questi giochi, fingendosi spaventata e addolorata risultando molto convincente; finalmente il loro responsabile accompagnato da un robusto poliziotto sulla quarantina venne a comunicare che Annie Oswald era morta quella sera per congelamento.
 
Si portò le mani sul viso: «Si comincia», pensò.
Rispose alle domande dei poliziotti con una naturalezza interrotta solo dai suoi singhiozzi increduli a cui seguiva un sorriso tenero da parte dell’amichevole ispettore, così per ben tre volte. Annie era morta in un' ora circa, disse il medico legale, e un ematoma si intraveda su quella pelle di porcellana; Amanda si avvicinò al corpo della sua ormai ex coinquilina cercando quei due rigagnoli a lei familiari, ma non trovò nulla. Cercò di avvicinarsi per vedere meglio ma la polizia la fermò.
 
Non aveva pianto, quella puttana grassona non aveva pianto, aveva sofferto forse ma non aveva pianto.
Ed è così che Amanda cadde in mille pezzi e si ruppe.
Cominciò a inveire contro il cadavere, dovettero portarla lontano dalla scena del crimine, neanche in punto di morte l’aveva fatta piangere. Solo lei piangeva. Solo lei.
 
Ora il suo grosso sedere non l’avrebbe più infastidita per il corridoio, né nelle aule; sarebbe rimasta come un fantasma che la sfidava sul suo stesso terreno, per sempre.
Le offrirono del the caldo ma non lo bevve, tutti le stavano attorno, tutti le volevano confessare la loro tristezza.
Lei voleva solo che quell'enorme viaggio finisse. Avrebbe dovuto portare il peso di quelle lacrime, da sola per sempre.







 
Note: è la terza storia di tipo thriller che scrivo e devo dire che mi piace molto quello che ne è uscito fuori; voglio vedere fino a dove mi porta questo nuovo aspetto di me, sfruttandolo finché la vena non si esaurirà. Ma visto lo sfruttamento delle mie risorse, temo che avverrà molto presto.
A presto, anche se non so che cosa bolli in pentola

mill4
   
 
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