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Autore: steffirah    21/05/2019    2 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La verità


           
L’ultimo giorno di gita andò meglio: durante la mattinata Syaoran-kun e Meiling-chan si aggiunsero alla nostra comitiva, con grande sgomento di tutte e mia incommensurabile gioia. Potevo capire la sorpresa delle ragazze, se era vero che finora erano sempre state snobbate da lui; Yamazaki-kun, invece, se ne mostrò entusiasta, riflettendo il mio stesso umore. Quella poteva finalmente essere l’occasione per diventare tutti un grande gruppo unito.
Certamente, i due cugini continuavano a starsene un po’ sulle loro, intervenivano poco nelle nostre conversazioni e ogni tanto si staccavano da noi per restare da soli. In quei momenti mi chiedevo di cosa discorressero, soprattutto perché sembravano sempre molto coinvolti da quel che si dicevano ed erano piuttosto accesi nel rivolgersi l’uno all’altro. Quel pomeriggio per un istante quasi temetti che stessero litigando per quanto alzarono la voce, ma quando si accorsero di noi Meiling-chan ci sorrise come se nulla fosse, mentre Syaoran-kun si limitò a guardarmi. I suoi occhi erano direttamente rivolti ai miei, le sue iridi mi incatenarono sul posto con la loro profondità. Era come se mi stessero lanciando un avvertimento e quanto più mi sentivo annegare in esse tanto più s’incupivano, si ottenebravano. Mi sembrava strano se fosse stato realmente così, visto che dopo l’incidente mi era stato tanto vicino, persino più di prima.
Ad esempio, proprio qualche ora prima mi aveva assistito mentre sciavamo, forse nel timore che potessi cedere alla stanchezza e perdere i sensi; ma in realtà mi sentivo più pimpante che mai. Inoltre, nonostante lui normalmente fosse più veloce di me aveva rallentato per stare al mio fianco e dopo essere giunti a valle eravamo ritornati insieme in seggiovia.
Era stato così emozionante stare finalmente un po’ sola con lui, a così poca distanza. Approfittai di quel raro momento per non fare altro che ammirarlo, sempre più incantata dalla sua bellezza, sia esteriore che interiore. Mi rasserenai allora, capendo che era tutto molto più semplice di quanto pensassi: mi bastava stare in sua compagnia per sentirmi bene, completa.
Sentendosi probabilmente osservato, ad un quarto del percorso si voltò verso di me, domandandomi come stessi.
«Bene. Benissimo» risposi onesta. Dopo aver fatto un bagno caldo una volta alzata mi sembrava di aver riottenuto tutto il calore perduto.
«Ho qualcosa in faccia?» chiese in seguito, toccandosi una guancia con fare perplesso.
Ne osservai scrupolosamente ogni centimetro, negando col capo, piegandolo poi su un lato, disorientata.
«Perché?»
«Dovresti dirmelo tu, mi stai fissando.»
Arrossii più del dovuto, sentendomi colta in flagrante, e agitata scossi le mani davanti al viso, finendo con lo smuovere tutta la cabina.
«Perdonami, non volevo essere indiscreta!»
«Tranquilla, non fa niente» replicò in fretta, prendendomi le mani per farmi stare ferma. «Ma sta’ attenta, se dondoli troppo rischi di cadere.»
A quel punto annuii soltanto, scusandomi ancora.
«Sicura di stare bene?» si assicurò un’ultima volta, guardandomi dritto negli occhi, quasi tentasse di leggere oltre essi per assicurarsi che non stessi mentendo.
Confermai convincente e solo allora mi lasciò, rimettendosi composto, dedicandomi un piccolo sorriso che aveva un che di celestiale, per quanto effimero e a malapena accennato. Tuttavia, quelle sue meravigliose iridi luccicarono e quasi come una reazione naturale le mie budella si attorcigliarono. La cosa buffa è che tutto ciò durò soltanto pochi secondi, ma mi sentii come se provassi tali emozioni da un tempo eterno, immemore.
Fu comunque quella stessa ultima notte allo chalet che scoprii il suo segreto, cominciando a districare un po’ quel grande enigma che era.
Stavamo cenando – al solito, lui e Meiling-chan se ne stavano in disparte a digiunare o sbocconcellare cibo, il che ormai mi induceva a chiedermi se non seguissero una qualche dieta particolare – quando improvvisamente impallidì e si lasciò aiutare dalla cugina mentre usciva dalla sala, con quell’aria sofferente che avevo già visto per due mesi consecutivi. Nessuno parve farci caso e io mi chiesi come fosse possibile che soltanto io me ne accorgessi, quando era piuttosto lampante.
Diedi una rapida occhiata agli altri, vedendoli proseguire col pasto come se nulla fosse, e un po’ infastidita – seppure senza una vera e propria ragione che riuscissi a spiegarmi – mi affrettai a finire i miei udon. Mi alzai col piatto per posarlo sul bancone e tornai dagli altri, usando la scusa di dover andare in bagno per allontanarmi; una volta uscita dalla sala da pranzo cercai i due cugini per i corridoi, senza tuttavia trovarli.
Mi avviai pertanto al piano superiore, diretta verso le camere dei ragazzi con la convinzione che lei lo avesse accompagnato nella sua stanza. Quanto più salivo le scale tanto più lo stomaco mi si stringeva in una morsa, sempre più in ansia per quella malattia sconosciuta.
Non appena misi piede nel loro corridoio quasi mi scontrai con Meiling-chan e mi bastò dare una rapida occhiata attorno a lei per accorgermi che fosse sola.
«Meiling-chan, come sta Syaoran-kun?» andai dritta al sodo.
Parve contrariata da quel mio interessamento, ma mostrò un viso tranquillizzante.
«Bene.»
«Lo so che non è vero» ribattei, volendone sapere di più. «Ho visto la sofferenza sul suo volto.»
Lei sospirò, ponendosi perfettamente di fronte a me, fissandomi ardentemente negli occhi, usando un tono di voce terribilmente convincente.
«Ti assicuro che sta bene, davvero. Non è nulla di grave, soltanto un po’ di stanchezza.»
Sbattei le ciglia, sentendomi un po’ rintronata. Non avevo idea di come stesse cercando di abbagliarmi, ma non potevo permetterglielo.
«Perché non puoi dirmelo?» insistetti, mantenendomi lucida.
Sembrò abbastanza sorpresa da quella domanda, o forse fu tutta la mia reazione ad interdirla; fatto sta che assunse un’espressione abbattuta, sviando dai miei occhi.
«Ci sono casi in cui è meglio non sapere.»
Più mi venivano dette questo genere di cose, più mi sentivo sprofondare negli abissi del panico, e il terrore mi artigliava con le sue grinfie per trascinarmi sempre più a fondo. Stava morendo, non trovavo altre spiegazioni. Per quello non mi voleva con sé. Per quello aveva sempre tentato di allontanarmi. Per non farmi stare male dopo la sua scomparsa.
Non potevo permetterglielo. Non era giusto essere così egoisticamente altruista.
«Perché?» ripetei debolmente, temendo la risposta.
«Perché se tu lo scoprissi» fece una pausa, chinando la testa, proseguendo disillusa, «ti allontaneresti sicuramente da lui. È ciò di cui lui è convinto e so che è anche ciò che più spera. Tuttavia, sia io che le sue sorelle siamo così liete di vederlo finalmente stare così bene con qualcuno che non sia parte della sua famiglia che non vorremmo mai e poi mai che tu lo abbandonassi.» Stavo per replicare, quando lei schioccò la lingua al palato, guardandomi rassegnata. «Ma tanto se non lo farai tu, saremmo costrette a farlo noi… se tu dovessi scoprire la verità.»
Dovevo ammettere che non ci avevo capito molto, ma su una cosa non avevo dubbi.
«Ti sbagli, Meiling-chan. Qualunque sia la cosa che lo affligge, qualunque sia il suo segreto, io non potrei mai abbandonarlo. Non lo lascerei mai solo, bensì mi assumerei parte della sua sofferenza.»
Le sorrisi, percependo una lacrima sfuggire dal mio controllo.
Lei schiuse le labbra, sbigottita, sembrando a corto di parole, sussurrando solo un: «Tu…»
Mi asciugai rapidamente gli occhi, spostando per un attimo lo sguardo verso l’esterno. E allora mi sentii cascare sotto terra. Poggiai le mani contro il vetro, l’aria mi mancò dai polmoni mentre cercavo di capacitarmi di quel che vedevo, sperando che quella sagoma non fosse la sua. Ma quell’ammasso di capelli bruni era inconfondibile e stava indossando lo stesso giubbone color notte che aveva portato con sé in montagna. Cosa ci faceva Syaoran-kun lì fuori, con quelle basse temperature, in mezzo alla neve?! Ero convinta che stesse riposando!
Mi morsi le labbra, allarmata, affrettandomi a fare dietrofront.
«Sakura.» Mi voltai spazientita, ma al contempo colpita. Meiling-chan mi aveva appena chiamata per nome. «Quello che vedrai potrebbe corrispondere ad una realizzazione delle tue più grandi paure.»
Risposi senza indugio, sicura di me stessa. «Se anche così fosse non avrei alcun timore. Stiamo parlando di Syaoran-kun.»
Lei sorrise con approvazione e ad un suo cenno ripresi la mia corsa, afferrando al volo giubbino, sciarpa e cappello, imbacuccandomi rapidamente mentre mettevo le scarpe.
Uscii trafelata chiudendomi la porta alle spalle, seguendo quel che rimaneva delle sue impronte prima che il vento le cancellasse. Mi accorsi che, per quanto flebili e lievemente trascinate, esse conducevano verso il bosco, così allungai il passo affrettandomi a raggiungerlo.
Mi inoltrai nella foresta, continuando a cercare le sue tracce, perdendo il conto ormai di quanti alberi avessi già superato. Dovevo trovarmi ormai nel fitto della foresta perché il biancore era quasi scomparso e le montagne non si vedevano più a causa di tutte quelle chiome elevate.
Mi fermai per un attimo a riprendere fiato, sentendomi gli occhi pizzicare e le narici bruciare a causa del freddo e della fragranza pungente degli aghi. Mi stropicciai le palpebre e soltanto quando tolsi le mani notai Syaoran-kun: era rannicchiato al di sotto di uno di questi abeti maestosi, la sua schiena rivolta verso la corteccia, le ginocchia strette al petto e la testa nascosta tra le braccia.
Feci qualche passo verso di lui e quasi contemporaneamente lui, notandomi pur senza guardarmi, ordinò in tono cupo: «Vattene.»
«No» mi impuntai, continuando a farmi avanti, risoluta.
«Sakura, vattene. Non farmelo ripetere.»
Finsi di non sentirlo, proseguendo, al che alzò la testa di scatto, mostrandosi adirato.
«Vattene!» ringhiò, alzando la voce. Essa divenne più gutturale e cavernosa, sembrava quasi quella di un animale.
I miei piedi si radicarono al terreno e trattenni il fiato, non riuscendo a reagire in alcun modo.
Notai le lacrime raccogliersi nei suoi occhi, scivolargli sulle gote, mentre le sue iridi divenivano ancora più ocra e lucenti, brillanti anche nella notte. Sentii un tonfo al cuore vedendolo piangere. Stava così male? Cosa potevo fare per alleviare il suo dolore?  
Le sue lacrime scintillarono sotto la luce della luna, e solo in quel momento mi accorsi che c’erano pochissime nuvole nel cielo e il suo chiarore non ne era celato, illuminando tutto quel che ci circondava.
Così, la sua figura mi raggiungeva in maniera chiara e distinta: strinse i denti e li digrignò, accovacciandosi sul suolo. Lo vidi poi sorpreso da piccoli spasmi che lo scuotevano, facendolo contorcere, e io volevo poter essere in grado di fare qualcosa, qualunque cosa per porre fine a tutta quella sofferenza che vedevo sul suo volto. Ma ero totalmente inerte dinanzi a qualcosa di tanto straziante, di tanto inverosimile, di tanto incredibile.
Le sue fattezze cominciarono a cambiare poco alla volta, i suoi vestiti si strapparono insieme al mutarsi del suo corpo, mentre una coda si faceva largo tra le sue vesti; si accucciò su quattro zampe ed emise un lungo ululato che narrava di un atroce tormento, prima che le sue fattezze mutassero del tutto.
Ben presto, al posto dello Syaoran-kun che conoscevo, mi ritrovai dinanzi il lupo che incontrai nel bosco. Non dubitavo che non fosse lo stesso: ne riconobbi il manto di quel caldo marrone, come quello dei capelli di Syaoran-kun, quel muso lungo e largo che mi aveva restituito la sciarpa, le orecchie piccole e pelose ora afflosciate, quegli occhi così svegli, che adesso esprimevano paura e un profondo pentimento.
Mi inginocchiai sulla neve, incapace di battere ciglio, temendo che se gli avessi camminato incontro sarebbe scappato e allora sarebbe stato impossibile inseguirlo. Per questo mi tolsi i guanti e allungai soltanto una mano verso di lui, col palmo rivolto in alto, per fargli capire che poteva fidarsi di me: non gli avrei fatto del male, né sarei fuggita, né l’avrei mai rivelato a nessuno.
Con cautela mi si avvicinò, forse temendo di spaventarmi, ma io gli sorrisi incoraggiante. Ne osservai fascinata le ampie zampe che calpestavano la stoffa ridotta in brandelli, spingendola indietro, e la sua corporatura snella e robusta; questa divenne ancora più evidente quando si fermò a pochi centimetri da me. Poggiai una mano al suolo, sprofondando nella neve, e mi allungai in avanti, giungendo parallela ai suoi occhi.
«Syaoran-kun…» sussurrai con morbidezza, posando la mano destra sulla sua testa, in mezzo alle orecchie. Le mie dita si insinuarono nel suo lungo e denso manto, scendendo fino al dorso, carezzandolo con delicatezza. Era così caldo e soffice….
Sollevai anche l’altra mano, quasi desiderosa di abbracciarlo, ma lui mi anticipò spostando il muso contro il mio palmo, sniffandomi e strusciandovelo contro; ridacchiai deliziata, sia a causa della punta umida che per il solletico che mi faceva. Mi parve quasi di vedere quegli occhi sottili sorridere, al che decisi di lasciar perdere tutta la mia cautela e lo avvolsi con le mie braccia, affondando il viso nel suo possente collo, dove il suo mantello era più lungo. Mi accorsi così che il suo odore, solitamente molto delicato, fosse più selvatico, simile alla terra e le foglie.
Mi staccai per riosservarlo e dato che si stese posando la testa sulle zampe anteriori potei analizzare con accuratezza ogni dettaglio del suo corpo, notando i grossi artigli e quanto fosse folta la sua coda. Ci giocai per un po’, sperando di non farlo innervosire, e lui la smosse a destra e sinistra, alzando un po’ di neve. Ridendo me la scrollai di dosso e per ritrovare calore mi stesi al suo fianco, posando la testa tra il suo addome e i suoi arti anteriori, ammirando la luna con una piacevole sensazione nel petto.
Forse sì, Meiling-chan non aveva torto: sarebbe stato più normale e umano aver paura di ciò a cui avevo assistito. Ciononostante non potevo fare a meno di provare pena se pensavo a tutto quello che lui sembrava essere costretto a vivere ogni volta che avveniva la trasformazione, soprattutto se lo faceva soffrire anche durante l’arco della giornata.
E dopotutto, si trattava pur sempre di Syaoran-kun: ero certa al cento per cento che lui non mi avrebbe mai fatto del male, mai e poi mai.










 
Angolino autrice:
Buonasera! Finalmente riesco ad aggiornare, con un capitolo importantissimo che segna una svolta, sia nella storia che nel rapporto stesso tra Syaoran e Sakura. Non vi preoccupate se per ora ancora sembrano esserci delle cose poco chiare, tutto verrà spiegato per bene già dal prossimo capitolo. Io vi avviso, preparate i fazzoletti perché da qui in poi diventa tutto un pochino più angst. 
Gli udon, per chi non lo sapesse, sono gli spaghetti giapponesi (i noodles, per intenderci).
Ringrazio tutti coloro che hanno la costanza di seguirmi ancora e continuare a leggere, nonostante le mie prolungate assenze.
Vi auguro una buona serata e - considerando come andranno le cose d'ora innanzi con l'università - immagino anche un buon inizio d'estate.
  
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