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Autore: DilettaWCG    21/05/2019    1 recensioni
Appartengo alla schiera dei fan della serie TV (non ho mai letto i libri) che sono rimasti delusi più dalla frettolosità di scrittura dell’ottava stagione che dai fatti che essa ci ha effettivamente mostrato. Con più tempo, più budget e più approfondimento psicologico, a mio modesto non avremmo potuto avere un finale migliore. La sorte di Jaimie è stata fra le più bistrattate di tutte: presentato come un personaggio capace solo di farsi odiare, ha compiuto una parabola di redenzione lunga molte puntate e culminata col suo incontro con Brienne. Non necessariamente doveva morire da uomo d’onore, o da buono: semplicemente, ho trovato la sua morte difficile da giustificare, la sua scelta di morire accanto a Cersei improbabile perché risolta in una cavalcata di una notte verso sud.
Volevo entrargli in mente e cercare di capire cosa fosse successo, e questo è l’unico obiettivo di questa fanfiction.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jaime Lannister
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest
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Quella era la fine, la fine vera.
Jaimie Lannister entrò barcollando nella sala, la mano d’oro ricoperta di sangue e il cuore e la mente completamente spaccati a metà. 
Quanto siamo davvero noi stessi, senza la nostra famiglia? Quanto di noi è diventato ciò che è a prescindere dalle radici, e quanto invece è il mero frutto di quello che un destino corale ha scritto per noi nelle stelle? Dove comincia il libero arbitrio? Siamo davvero capaci di compiere scelte incondizionate?
Cersei non poteva morire da sola. Suo figlio non poteva morire da solo. E quella era la fine, la fine vera.
Sul plumbeo grigio del cielo si stagliavano fiamme rosse e verdi, una fusione di follia Targaryen. Il rumore dei ruggiti – nella mente di Jaimie, i draghi ruggiscono, come i leoni dorati di casa Lannister – di Drogon risuonava nell’aria, a cadenza regolare, alternandosi al rumore del fuoco che brucia, che scoppietta, e accompagnandosi a un brusio di urla innocenti.
Cersei era seduta su una poltrona di mogano, finemente intagliata, muta e composta. A un primo sguardo, sembrava una statua, o la miglior rappresentazione di sé stessa. Solo quando Jaimie si avvicinò abbastanza da farle notare la sua presenza, e gli occhi di lei guizzarono nella sua direzione, la differenza con la Cersei che era stata la compagna di tutta la sua vita si rivelò abissale. Aveva gli occhi lucidi: lacrime di paura e di tristezza, di sconfitta. Lacrime diverse da quelle che le aveva visto versare per tutta la vita. Erano lacrime solo per sé. Cersei piangeva solo per fatti e sventure riguardanti Joffrey, Tommen e Myrcella. In quel momento, la delusione e il turbamento avevano un solo centro: sé stessa.
Fu in quell’attimo che Jaimie capì che il ventre di sua sorella era vuoto. Fra loro non c’era mai stato bisogno di parole. Forse la fiducia che avevano sempre riposto l’uno nell’altra, ciò che li rendeva un microcosmo perfetto in un mondo fallace, si era rotta completamente quando Jaimie aveva deciso di onorare la parola data al Nord, per rischiare la vita in una battaglia che avrebbe potuto non appartenergli. Quel meccanismo si era incrinato in maniera irreversibile, ma non credeva davvero che avrebbe potuto scoprire che aveva funzionato in maniera difettosa anche per le promesse fatte prima di quel momento.
La questione dell’onore sembrava non volerlo abbandonare nemmeno in punto di morte. Lo tormentava da quando il soprannome “sterminatore di re” gli si era marchiato addosso, indelebile. L’onore è più importante di tutto? Onore e giustizia vanno sempre di pari passo?
Nel caso in cui Cersei si fosse salvata, anche se da prigioniera, senza esercito né famiglia, avrebbe continuato a combattere, rivelandosi pericolosa anche senza armi, e rischiando di mettere a repentaglio il mondo migliore che la regina dei draghi aveva promesso – anche se in quel momento, anche le sue promesse bruciavano nelle fiamme dell’altofuoco. 
Lui doveva ucciderla. Era il punto più alto a cui poteva tendere, e il più basso a cui poteva arrivare.
Cersei aveva probabilmente capito tutto, ma come se ancora tutta Approdo del Re fosse in attesa di vedere la sua reazione scomposta, salvò le apparenze. Era incredibile come pur assediata dall’orrore e dal terrore riusciva ad essere stoica.
Jaimie si avvicinò a lei. Lei si alzò in piedi, mentre una lacrima le rigava il volto e, guardando la sua armatura insanguinata, disse: “Sei ferito.”
“Non importa” rispose Jaimie, e la abbracciò. Non era un abbraccio finto, nonostante tutto: era un commiato dolce amaro, il rifugio immaginario in cui si erano nascosti per tutta la vita.
Le pareti e il soffitto della sala cominciavano a cedere, sgretolandosi rumorosamente.
“Cersei Lannister, morta fra le macerie. Riesci a immaginarlo?” domandò lei, e per un attimo sembrò davvero lei, con quell’ironia nera nella voce.
Jaimie non rispose. Certo che non riusciva a immaginarlo. Sarebbe stato troppo facile.
“Hanno vinto” aggiunse.
Anche gli occhi di Jaimie erano ormai pieni di lacrime. Era vero, avevano vinto. Lui però non si sentiva dalla parte dei vincitori, era come se non riuscisse a mimetizzarsi in quel gruppo. Risaltava la sua mano d’oro, il suo valore ormai sbiadito, il suo passato indelebilmente macchiato.
Strinse forte Cersei in quell’abbraccio, e sfilando il più velocemente possibile il pugnale dalla cintura, la colpì alla schiena. Il ventre che ormai si era rivelato vuoto si schiacciò contro la sua armatura, un peso senza controllo, e la sorella lo guardò per l’ultima volta coscientemente, rimproverandolo e quasi ringraziandolo.
La morte della regina era giusta, eppure, non lo rendeva un uomo giusto.
Forse semplicemente non era nato nella famiglia giusta, per poter diventare il cavaliere che avrebbe voluto essere. Forse l’immagine di ciò che avrebbe dovuto essere gli era stata cucita addosso con così tanta cura che era ormai impossibile liberarsene davvero, e nessun gesto eroico, come quello che era stato appena in grado di compiere – o come il suo combattimento per il Nord, o come l’ucciso del Re Folle – avrebbe potuto redimerlo davvero.
Il passato l’aveva condizionato per sempre, la famiglia lo aveva condizionato per sempre, l’amore per sua sorella l’aveva condizionato per sempre. L’affetto per Brienne, la promessa sulla sorte delle sorelle Stark mantenuta, la perdita della mano destra: tutto ciò che davvero l’aveva reso l’uomo che era al momento, sembrava effimero, pallido in confronto al resto. Era una triste comparazione, ma impossibile da evitare. Il destino di Jaimie era di essere un uomo che non trovava pace né fra i vinti né fra i trionfatori, e solo la morte poteva aiutarlo a sfuggirgli.
Con lo stesso pugnale che ancora era intriso del sangue della sua amante, si trafisse la gola. Cersei era ancora fra le sue braccia e teneva ancora gli occhi aperti. Chissà se davvero aveva visto, quanto gli era costato ucciderla, facendo la cosa giusta. Se lo davvero lo avesse fatto, indubbiamente lo avrebbe trovato spregevole.
 
I corpi dei due fratelli Lannister vennero ritrovati sepolti dalle macerie. Gli ultimi istanti di gloria e infamia dello sterminatore di re sono ancora oggi un nevralgico punto irrisolto di questa storia. 
 
 
 


Appartengo alla schiera dei fan della serie TV (non ho mai letto i libri) che sono rimasti delusi più dalla frettolosità di scrittura dell’ottava stagione che dai fatti che essa ci ha effettivamente mostrato. Con più tempo, più budget e più approfondimento psicologico, a mio modesto non avremmo potuto avere un finale migliore. La sorte di Jaimie è stata fra le più bistrattate di tutte: presentato come un personaggio capace solo di farsi odiare, ha compiuto una parabola di redenzione lunga molte puntate e culminata col suo incontro con Brienne. Non necessariamente doveva morire da uomo d’onore, o da buono: semplicemente, ho trovato la sua morte difficile da giustificare, la sua scelta di morire accanto a Cersei improbabile perché risolta in una cavalcata di una notte verso sud. 
Volevo entrargli in mente e cercare di capire cosa fosse successo, e questo è l’unico obiettivo di questa fanfiction.
With love,
Diletta
 

 
  
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