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Autore: viola_capuleti    22/05/2019    0 recensioni
Raven ha sempre avuto la certezza di essere una ragazza normale, nonostante la famiglia ristretta alla madre Elen e l'amico di famiglia Andrea che non la lasciano mai sola, i numerosi traslochi e la vistosa cicatrice che ha sul petto.
Ma tutto cambierà quando un misterioso uomo comparirà davanti a casa sua, insieme ad un particolare trio di ragazzi, proprio quando sua mamma dovrà andarsene di casa per lavoro e un misterioso coniglio albino le farà compagnia nei suoi sogni per avvertirla di un pericolo.
Scoprirà ben presto di far parte di una relatà ben più grande di quanto avrebbe mai potuto immaginare...
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 3
I conigli portano consiglio


Attese l’ora della telefonata con ansia.
L’orario designato era sempre stato attorno alle otto e mezza di sera: lei iniziava ad aspettare che il telefono squillasse attorno alle otto e un quarto, al massimo doveva aspettare fino alle nove meno un quarto.
Quando era più piccola e Andrea le faceva da babysitter, appoggiava il telefono su un mobile vicino al divano, dalla quale lei aspettava tenendo il mento appoggiato sul bracciolo, tenendo d’occhio l’apparecchio per rispondere almeno entro il terzo squillo.
Da quando aveva ricevuto il suo personale cellulare semplicemente controllava ogni minima notifica, cosa che di solito lasciava da fare quando avrebbe avuto tempo di dare un’occhiata.
Non vedeva l’ora di sentirla.
Il tempo passato insieme a quella famiglia strampalata era stato piacevole, ma sua madre le mancava già. In più voleva chiederle informazioni su Andrea, dato che non era ancora arrivato né rispondeva alle sue telefonate o messaggi.
Rispondeva sempre tardi (dopo qualche ora dall’invio) ma aveva provato a contattattarlo la mattina e non aveva ancora ricevuto nessun messaggio frettoloso pieno di faccine.
Dopo aver mangiato un insipido hamburger mezzo bruciato raccattato dal frigo, si buttò sul divano a guardare un programma tv con il telefono sulle ginocchia.
Questa volta sua madre telefonò alle otto e mezza in punto.
Rispose immediatamente, lasciando che facesse appena uno squillo.
-Ciao mamma. -.
-Stavi aspettando eh? – ridacchiò Elen –Ciao Raven. Come te la passi? -.
-Sta andando tutto bene. La casa è ancora tutta intera e io viva. -.
-No? Allora hai imparato a cucinare? -.
-Divertente mamma. No, ho mangiato fuori. -.
-Fuori? Spero che con Andrea non ti venga la buona idea di farlo tutti i giorni, non possiamo permettercelo. Dovrei davvero prendere tempo ed insegnarti a fare qualcosa di commestibile. -.
Raven ignorò l’ennesimo punzecchiamento sulle sue scarse qualità da chef, soprattutto fatto da sua madre che se la cavava appena meglio di lei. Replicò: -Ipocrita. No, ho mangiato a casa di… amici. -.
Sua madre rise: -E da che cappello li hai fatti uscire questi amici? Dai, non raccontarmi bugie. -.
-Non racconto balle. Sono andata a restituire la borsa a quei tipi che me l’hanno prestata. A casa del tuo amico. -.
-Oh. -.
Sentire sua madre perdere all’improvviso l’allegria la preoccupò non poco. Cambiò posizione sul divano, cercando un’altra posizione più comoda, mordendosi un labbro.
-Beh, è una novità. – continuò Elen, lo stupore di poco prima scomparso o solo mascherato –Dimmi, come sono? -.
-Strani. -.
-Strani? -.
-Diciamo che sono particolari… La ragazzina direi che è ok, è molto gentile e carina. -.
-Bene. -.
-L’uomo invece non si è mai tolto gli occhiali da sole, neanche in casa. Poi ha i canini appuntiti, non ne ho mai visti così in vita mia. Mentre il ragazzo con la mia età quando mi ha visto in casa ha chiesto “lei cosa ci fa qui?”. Ha calcato il lei, capisci? Come se fossi una persona particolare che non si sarebbe mai immaginato in casa sua! -.
-Forse è stata una tua impressione Raven. – commentò sua madre con una mezza risata –Vi siete appena visti… magari non è molto socievole, proprio come qualcuno che conosco. -.
-Ah-ah, sei proprio dell’umore stasera. – borbottò Raven pizzicandosi la radice del naso con uno sbuffo –Almeno non c’era quel tipo inquietante. Sai che bella atmosfera altrimenti? -.
-Non si è fatto vedere? Come mai? -.
-Hanno detto che lavorava. Secondo me è uno di quelli che va a cercare i debitori o chi non si presenta in tribunale, ne ha la faccia. -.
-Non essere così dura con lui. -.
-Dammi un buon motivo e io non lo farò. -.
Sua madre sospirò, un sospiro da “ecco, mi ha messa all’angolo e non ho voglia di parlarne”. Infatti evitò l’argomento e disse: -Li hai chiamati amici. Mi fa piacere. -.
-Sì, beh, “ho mangiato da dei conoscenti” non suonava bene. L’ho detto tanto per dire. – si difese Raven –Tra l’altro sarebbe comunque sbagliato, perché non li conosco affatto. Sbagliare per sbagliare… tanto vale. -.
-Sei un’orsa. – la sgridò bonariamente Elen –Dovresti farteli degli amici. A volte sono l’unica cosa che ti rimane. -.
-Già toccato l’argomento, già respinto. -.
-Ma ti sei trovata bene con loro o no? -.
Raven alzò gli occhi al cielo e borbottò: -Sta iniziando a starmi sui nervi, ti saluto. -.
Sua madre rise ancora: -Potresti darmela vinta una volta tanto. -.
-Mai. Andrea non è ancora arrivato e non riesco a contattarlo. Ne sai qualcosa? -.
-Oh, sì. È bloccato in aeroporto con il cellulare scarico. Non ha il caricabatteria dietro, perciò non so fra quanto sarà raggiungibile. Ma sta arrivando, non preoccuparti. -.
-E chi si preoccupa? – replicò Raven.
-Devo andare Raven. – l’avvisò sua madre facendo poi schioccare le labbra –Bacio. Ci sentiamo domani sera. -.
-Sì, a domani. Ciao mamma. -.
-Ciao Raven. Stai attenta. – la salutò Elen, attaccando la chiamata.
-Ah. Molto carino come saluto. Rassicurante, proprio. – pensò Raven bloccando lo schermo del suo telefono.
Finì di guardare qualche serie tv e poi fece il giro della casa per assicurarsi che tutte le finestre e le porte fossero chiuse a chiave. Sentendosi un’idiota, quando passò in cucina per dare un occhio fuori dalla finestra.
Non che si aspettasse di vedere l’uomo con la sigaretta di nuovo davanti a casa sua intento a fissarla come un maniaco ma… non si sa mai. No, tutto era tranquillo: i lampioni della strada illuminavano con la loro luce arancione la via centrale e anche parte del marciapiede di fronte, lasciando solo qualche angolo buio, ma irrilevante.
Fece passare lo sguardo con insistenza da un capo all’altro della strada, in cerca di qualcosa di sospetto.
Una macchina solitaria passò davanti a casa e per un attimo a Raven sembrò che ci fosse qualcosa tra i due coni di luce dei lampioni di fronte al suo lato della strada.
Attese che un altro veicolo attraversasse la strada e questa volta il furgone che l’aiutò nel suo spionaggio aveva fari più potenti: riuscì a vedere un naso appuntito e un paio di occhi brillanti.
-Un cane. – realizzò allontanandosi dalla finestra –Dev’essere un randagio. Se si ripresenta dovrò chiamare il canile… sarebbe un disastro se iniziasse a rovistare nella spazzatura. -.
Spense le luci e andò a dormire.
***
-Non conosco questo posto. -.
Insieme a sua madre e Andrea era solita fare qualche escursione in montagna o in qualche parco naturale, dove potevano godersi un po’ di sole e di aria pura. La sua buona memoria le aveva consentito negli anni di non perdersi sui sentieri percorsi anni prima, insieme ad un discreto orientamento.
Ma guardandosi attorno non riuscì a riconoscere tra i tronchi e gli arbusti qualcosa di familiare. A dire la verità non era neanche su un sentiero, notò guardando in basso. Con il naso per aria si accorse che le fronde degli alberi oscuravano completamente il sottobosco, senza lasciar passare neanche un filo di luce. O forse era notte.
-Sto sognando. -.
Girò su se stessa in cerca di qualcosa, senza neanche sapere cosa stava cercando. Provava una strana sensazione, incolpando uno strano peso sulla cicatrice.
Con la coda nell’occhio colse un movimento in mezzo ad un cespuglio e, prima che potesse avvicinarsi per controllare, una palla bianca saltò fuori da groviglio di rami.
-Ancora tu? – domandò Raven, riconoscendo il coniglio albino del sogno precedente, che adesso si puliva il musetto con le zampe anteriori con piccoli gesti nervosi –Non ho mai sognato la stessa cosa più di una volta. -.
Si aspettò che rispondesse con quella voce che non sembrava affatto appartenere ad un batuffolo di pelo. Se mai avesse immaginato un coniglio parlare gli avrebbe affibbiato una vocetta squittente, di certo non calda e musicale.
Sollevò le sopracciglia quando si rese conto che, mentre la guardava, il coniglio stava borbottando tra sé e sé, passandosi di quando in quando una zampa su quegli inusuali occhi cremisi.
Riuscì ad afferrare solo un: -… stupido sbaglio… grosso errore… superare i limiti… -, prima di perdere la pazienza e schioccare le dita per attirare la sua attenzione, dicendo: -Ehi, sto parlando con te. -.
Il coniglio sembrò scuotersi da quello stato e saltellò a destra e sinistra, come per controllare che in quello piccolo spazio tra gli alberi ci fossero solo loro.
Seguendolo con lo sguardo Raven notò che dal terreno si stava alzando una nebbiolina bianca. Attorno a loro non si vedevano più di tre o quattro alberi oltre la prima fila che li circondava, tanto era fitta e abbondante.
-Corri. -.
-Come scusa? – fece la ragazza, provando di nuovo quella scossa misteriosa dalla cicatrice.
-Corri. Sai correre? – chiese il coniglio, senza alcuna traccia di ironia, saltando ad un passo da lei, alzandosi per quanto potesse sulle zampe posteriori, con le orecchie che si piegavano di lato con piccoli scatti.
-Potresti restare stupito da quanto… -.
Il coniglio la interruppe facendo qualche rapido balzo lontano da lei, dichiarando: -Sopravvivere non è una competizione. -, con un tono che non ammetteva repliche, severo. Tutto il suo nervosismo sembrava essere stato cancellato per dire quello.
-Non posso neanche vantarmi di… -.
Il coniglio la interruppe ancora una volta, ripetendo per la terza volta: -Corri. -.
Sopra le loro teste un tuono crepitò ed esplose come una cannonata, facendo urlare per la sorpresa Raven.
-Perché diavolo dovrei mettermi a correre?! – urlò dietro all’animale, che con un paio di salti era scomparso nella nebbia davanti a loro.
Il peso che sentiva sulla cicatrice  da qualche momento diventò più opprimente, tanto che si mise una mano sul petto per accertarsi che effettivamente niente la stesse schiacciando in qualche modo.
Un altro tuono scosse l’aria e lei si premette le mani sulle orecchie.
Odiava i tuoni si da quando era bambina, le facevano venire un groppo alla gola e le ginocchia molli. Normalmente avrebbe cercato rifugio tra le braccia di sua madre o sotto le coperte. Tecnicamente era già sotto le coperte, ma non si stava calmando affatto.
Le sue orecchie sentirono qualcos’altro oltre all’inizio dello scrosciare di miliardi di gocce d’acqua sulle foglie degli alberi, qualcosa di potenzialmente più pericoloso di un temporale: un ringhio.
Si girò, cercando di vedere l’animale che avesse prodotto quel suono, ma quando si ripeté, molto più vicino di prima, decise di dare ascolto a quello che il coniglio le aveva detto di fare.
Cominciò a correre nella stessa direzione del coniglio, saltando con agilità degli arbusti. A qualche metro da lei riconobbe nella nebbia gli occhi del coniglio e i suoi contorni indistinti.
Si era fermato a vedere se l’avesse ascoltato.
Riprese a correre al suo fianco, una saetta bianca frusciante sulle foglie secche che pian piano stavano diventando bagnate e scivolose per colpa dell’acquazzone.
Raven non fece neanche caso se si stesse bagnando o meno, ma piuttosto si concentrò sui rumori spaventosi che sentiva dietro di sé: ringhi, grosse zampe che battevano il terreno molle, ansiti affannati. Sentiva i capelli rizzarlesi sulla nuca e la pelle d’oca sulle braccia scoperte.
-Da cosa stiamo correndo? – chiese tra un respiro e l’altro.
-Non voltarti. – rispose il coniglio con un tono che sfiorava talmente la professionalità da farle pensare che dovesse scappare da qualcuno quotidianamente. Essendo un coniglio la cosa era altamente probabile.
-Rispondimi! -.
Il coniglio saltò su un sasso e spiccò un balzo tanto alto che Raven lo poté vedere con la coda nell’occhio all’altezza del suo viso.
-Andiamo al sicuro. – disse il coniglio atterrando –Prima che ti prendano. -.
-Perché ce l’hanno con me? Chi ce l’ha con me? -.
-Devi raggiungere la casa grigia e stare al sicuro. Loro ti aiuteranno. -.
-Oh, per l’amor del… si può avere una riposta chiara?! – sbottò Raven.
Voltò la testa per vedere cosa le stesse praticamente col fiato sul collo. Mentre lo faceva inciampò in qualcosa di duro e cadde.
Urlò e cercò subito di alzarsi, terrorizzata che la massa scura ed enorme con occhi rossi e luminosi come carboni ardenti dietro di lei le saltasse addosso e la sbranasse, ma quando lo fece le mani non toccarono un letto di foglie zuppe di pioggia, né fango.
Ansimando, spostò le mani a terra per accertarsi che quelle fossero davvero le sue coperte. Alzò la testa, cercando di regolarizzare il respiro, guardando il letto, la scrivania e la finestra.
-Camera mia. – boccheggiò passandosi poi la lingua sulle labbra secche –Era solo un incubo. -.
Si mise seduta, togliendosi le coperte di dosso, massaggiandosi le ginocchia doloranti per la caduta, perfettamente sveglia.
Quando si fu calmata abbastanza, guardò l’ora e controllò poi fuori dalla finestra per vedere se Andrea era arrivato o no.
 Provò di nuovo a chiamarlo sul cellulare, ma sentì solo la segreteria.
-Questa giornata comincia male e continua peggio. – borbottò alzandosi per andare in bagno.
Aprì l’acqua fredda e si bagnò subito il viso, rabbrividendo.
Questi sogni erano assurdi. Quel coniglio era assurdo.
Un coniglio che l’avvisava di mettersi al sicuro nella casa grigia… la casa di Matisse? Non conosceva altre case grigie, per cui doveva essere quella.
Scosse la testa: tutto questo era il suo subconscio che le faceva brutti scherzi.
Si stava semplicemente preoccupando per l’assenza di sua madre e di Andrea. Ammetteva a sé stessa che stare da sola la rendeva inquieta, dato che non lo era mai stata in vita sua. Ma addirittura farci su degli incubi come una mocciosa?
Le venne quasi da ridere.
Segnare poi la casa grigia come sicura, certo! E cos’altro? Sarebbe poi saltato fuori che il tipo con la sigaretta era il suo vero padre?
-Ma il coniglio? – pensò scendendo in cucina per mangiare colazione –Quello non sembra… mio. Inventato dalla mia mente addormentata. -.
La cicatrice la faceva sentire strana in sua presenza. Non era mai capitato prima. Certo, molte delle sue emozioni le sentiva all’altezza della cicatrice e non erano “sensazioni di pancia” come le chiamava sua madre. Ma questa specie di scossa era nuova.
Mentre mangiava cercò sul cellulare “coniglio bianco nei sogni”. Andrea le aveva detto che spesso i sogni nascondevano dei messaggi nascosti sotto forma di simboli: spesso risultavano veri, altre volte solo dei casi.
Lesse diverse voci e il riassunto era questo: simboleggia il punto d’ arrivo in un progetto che si sta per realizzare grazie all’aiuto delle persone che ci stanno accanto, un mondo magico, un partner puro di cuore, la paura di affrontare la vita di tutti i giorni…
Non aveva nessun progetto in corso.
L’unica persona cara era lontana chilometri.
La magia non esiste.
Non aveva nessun partner, fidanzato e neanche qualcuno che le interessasse.
La paura.
Paura ne aveva tanta dopo quell’incubo.
Ma era solo un insulso incubo, una cosa che non sarebbe mai accaduta. Quando mai sarebbe capitata in un bosco, inseguita da qualunque cosa fosse quella bestia?
No, era solo in pena per sua madre e l’essere sola a casa, ecco tutto. Doveva darsi una calmata e aspettare che Andrea arrivasse.
Diede un’occhiata al portafoglio e decise di andare a mangiare fuori per pranzo: poteva permettersi un kebab o un hamburger da qualche parte. Lo avrebbe mangiato poi a casa. Prima di uscire lasciò un biglietto sul tavolo della cucina ad Andrea, nel caso fosse arrivato proprio mentre lei era fuori. Così non si sarebbe preoccupato troppo. Per sicurezza aggiunse anche il numero di telefono del posto dove andava e il percorso che avrebbe fatto con un disegnino.
Uscì e rabbrividì di freddo. Si era dimenticata che al telegiornale la sera prima avevano previsto un temporale estivo con i controfiocchi.
Per un attimo pensò al suo sogno, ma fece una scrollatina di spalle per levarsi il pensiero: non aveva mai avuto sogni premonitori e quello non era di sicuro il primo solo perché si era svegliata con il terrore addosso. E poi aveva appena deciso che non c’era niente di cui preoccuparsi e che quel coniglio bianco era solo una sua paranoia.
Quando voleva andare a mangiare fuori di solito andava in un piccolo locale vicino al centro commerciale della città, gestito da un vecchio italo-americano che preparava pizze e panini.
Calcolando bene il tempo del percorso, andata e ritorno, preparazione del panino ed eventuali chiacchere con il proprietario, sarebbe tornata a casa giusto per l’ora di pranzo. Avrebbe preso qualcosa anche per suo zio, così nel caso arrivassero insieme non avrebbero perso tempo a cucinare.
Magari dopo avrebbe mandato un messaggio a Matisse mentre si guardava un film alla televisione o al computer.
Raggiunse il locale quando nel cielo ormai si erano raggruppati nuvoloni scuri promettenti pioggia e fulmini. Si affrettò a raggiungere la piccola tettoia che riparava l’entrata in tempo per evitare la prima spolverata d’acqua, solo per leggere un cartello sulla porta a vetri chiusa che annunciava il fatto che il negozio era chiuso per lutto.
-Accidenti. – borbottò –Dovrò andarmene a casa a mani vuote. Adesso sì che ci vorrebbe Andrea a casa per fare qualcosa. -.
Con uno sbuffo seccato si tirò il cappuccio della felpa che indossava sulla testa e uscì da sotto il riparo. La pioggia era talmente leggera che a stento la sentiva sui vestiti, ma sapeva che sarebbe tornata a casa comunque gocciolante. Sperò di raggiungere casa prima che iniziasse a tuonare.
Mentre camminava ripassando mentalmente il contenuto del freezer per iniziare ad organizzare un pranzo in solitaria, notò un gatto dall’altra parte della strada: era piccolo e dal manto chiaro, con delle striature scure.
Non era inusuale vedere gatti in giro per strada di solito, ma adesso stava piovendo. I gatti non odiavano l’acqua?
-Non questo qua, evidentemente. – pensò, vedendo come sgattaiolava veloce sul marciapiede.
Notò che il gattino la superava di gran lunga per poi sedersi e aspettare che la superasse, per ripetere l’operazione ancora e ancora.
Lo vide attraversare la strada sulle strisce pedonali per raggiungere il suo lato della strada. Quasi si aspettò che poi le venisse incontro, quando mise piede sul suo marciapiede, ma le diede le spalle e proseguì nella sua stessa direzione, agitando la coda come se scodinzolasse. Ogni tanto si girava indietro, come se non si fidasse di averla dietro o per controllarla.
Per qualche motivo il comportamento di quel gatto la allarmò. Un gatto sano di mente non si aggirava sotto la pioggia e, a giudicare dal pelo appiccicato al corpo, doveva esserlo da molto tempo.
-Prima il cane di ieri sera, ora questo gatto. Mi sento fin troppo osservata. -.
Il gatto si fermò al suo stesso semaforo. Si sedette vicino al palo, a qualche passo da lei, guardandosi attorno con la pioggia che gocciolava dai baffi bianchi.
Attese pazientemente che la sagoma dell’omino in movimento s’illuminasse e si guardò attorno anche lei: era l’unica anima viva abbastanza scema da andarsene in giro con quel tempaccio, oltre ai tizi sulle automobili e al gatto zuppo.
La pioggia s’intensificò un poco e un fulmine squarciò le nubi con un potente tuono che la fece sobbalzare.
La paura del sogno la colse all’improvviso per un attimo, ma passò subito.
Ridacchiò pensando a quanto era stupida, a spaventarsi per un temporale.
Ma smise immediatamente quando l’ultima auto passò davanti a lei nell’altra corsia lasciandole libero il campo visivo del marciapiede dall’altra parte della strada, proprio mentre il gatto soffiava spaventato e cominciava a correre via sollevando piccoli spruzzi d’acqua.
Due enormi cani dal pelo nero arruffato reso lucido dalla pioggia la guardavano con i denti scoperti in un ringhio dall’altra parte della strada.
Non fu il fatto che non erano al guinzaglio, soli e che sembrassero avercela proprio con lei che le fece tremare le gambe.
Ma gli occhi rossi luminosi come bracieri come la bestia nel suo sogno.
-Corri. – le disse la voce del coniglio nella sua testa.
 
 
   
 
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