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Autore: BlueButterfly93    22/05/2019    3 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 49

Impossibile







🎶Adele - Set Fire to the Rain🎶

🎶James Arthur - Impossible🎶

 

***


MIKI

Un anno prima da quell'accaduto qualcuno mi disse di fare attenzione all'amore. Ed io ci avevo provato, ci avevo provato sul serio, ma avevo finito per innamorarmi proprio di colui che mi suggerì di non farlo. Una contraddizione pericolosa ma attraente che portava il suo nome. "L'amore fa male", diceva. E aveva ragione. 

Lui era forte e con il cuore di ghiaccio; io ero debole e con il cuore ammaccato. Era già destinata a finire male la nostra storia, eppure avevo avuto ugualmente il coraggio di credere in noi. Incurante dei suoi avvertimenti, delle sue parole, avevo dimenticato quanto male potesse fare un cuore calpestato da Castiel Black. Già, lui: la mia illusione, il mio errore, la mia distruzione. 

Quella notte in cui tutto finì non mi rincorse, non m'implorò di non abbandonarlo, se ne andò senza fatica. Dopo qualche minuto dalla nostra separazione udii in lontananza il rombo della Harley Davidson e lo vidi. Lo vidi, sotto la luce fioca dei lampioni, indossare il casco e andarsene senza mai voltarsi indietro. Non si curò di me, non si preoccupò della mia incolumità. Io non avrei mai neanche lontanamente pensato di abbandonarlo in piena notte ed in mezzo al nulla, neanche se me l'avesse chiesto lui stesso, invece Castiel ci era riuscito senza alcuno sforzo. Stava lì la nostra differenza: io lo amavo e avrei fatto qualsiasi cosa per lui, anche calpestare la mia dignità. Invece lui... Non sapevo quali sentimenti nutrisse per me e probabilmente non lo avrei mai scoperto. Mi ero illusa potessi insegnargli ad amare di nuovo, ma era surreale anche solo un'eventuale ipotesiAvevo sperato in qualcosa d'impossibile.

Eppure il mio cuore restò ugualmente innamorato di lui. Quando la mia vita era buia e mi sentivo sfinita era bastato un suo bacio per salvarmi e condannarmi allo stesso tempo. Le mie mani erano forti, ma le ginocchia erano decisamente troppo deboli per stare tra le sue braccia senza cadergli ai piedi. E lo feci, mi abbandonai completamente a lui, strisciai al suo fianco, commettendo l'errore più grave di tutta la mia vita. Perché c'era un lato di lui che non avevo mai compreso e che avevo invece sottovalutato. Tutte le cose che diceva non erano mai vere; ogni gioco fatto, lo aveva sempre vinto. Persino con me ci era riuscito alla fine, aveva vinto e aveva giocato senza che me ne accorgessi. Era un abile giocatore, lo stronzo. 

Avevo provato a dare fuoco alla pioggia per difenderci ma, mentre cadeva, mi bruciai sempre di più... E piansi, piansi perché lei continuava ad urlare il suo nome. Alla fine, dopo averlo reclamato, lo attirò a sé rubandolo per sempre. Provai ad afferrarlo, attirarlo a me, riuscii a sfiorarlo soltanto. Da lì capii che non ci fosse più niente da fare. Avrei voluto urlare, fare qualsiasi cosa per riaverlo indietro, ma ero solamente benzina... E si sapeva: la benzina senza il suo fuoco non era così potente e devastante come tutti narravano. Ero fragile, trasparente. 

Io senza di lui ero niente.

Debrah aveva già vinto e trionfò definitivamente quando abbandonai ogni briciolo di fiducia rimasta in lui. Quando venni a conoscenza di tutta la verità, il mondo mi crollò addosso. Da quella sera avrebbe potuto tenerselo tutto per sé, perché Castiel non sarebbe stato più affar mio. Non era più la mia persona, il mio amore. Era diventato un estraneo. Scivolò dal mio cuore in un attimo; ogni aspetto positivo di noi, di lui, riuscì a sparire in soli pochi minuti di registrazione ricevuti per messaggio. Era giunta la fine: la mia, la sua, la nostra.

-

Due mesi prima


CASTIEL 

Mi trovavo nel bagno del locale appartenente alla famiglia Duval quando Debrah, spregiudicata come poche, pensò bene di raggiungermi per pretendere prestazioni sessuali dal sottoscritto. 

«Cosa vuoi Debrah?»

«Te. Sempre... Lo sai.»

«Tempo scaduto. Hai avuto la tua occasione, ma non l'hai saputa sfruttare. Ora lasciami in pace, abbiamo le prove prima del concerto».

«Lasciami provare su di te, canterò meglio. Come ai vecchi tempi, ricordi? Lo facevamo sempre, proprio qui sopra!» picchiettò le mani sul ripiano in marmo ai lati del lavandino e mi si avvicinò lentamente. 

«Smettila, ho detto no!» iniziai a spazientirmi.

«È per la tua nuova puttanella, è così? Ti piace così tanto? Non posso crederci!» scosse il capo con un'espressione disgustata sul viso. 

«Non inserirla in ogni discorso che facciamo. Sei pesante!» sbuffai sollevando gli occhi al cielo. 

«Rispondi Castiel: Ti piace?»

«Non in quel senso. È una bella ragazza, ma tutto finisce lì». 

Non potevo dirle la verità. Sapevo cosa stavo facendo, credetti di avere tutto sotto controllo. 

«Perché non mi guardi negli occhi quando lo dici?» 

Non la ricordavo così assillante.

«Non sei più nessuno per me. Il fatto che canteremo insieme questa sera non cambia le cose tra noi, quindi non hai il diritto di chiedermi un bel niente!» 

«Non ti credo».

«Non m'importa, dormirò lo stesso stanotte!»

Fu in quel preciso istante che avviò la registrazione, non me ne accorsi. Mise le mani nella tasca posteriore della gonna striminzita e premette quel maledetto tasto del suo cellulare. Quel semplice gesto avrebbe trascinato la mia vita nuovamente alla deriva, ma io all'epoca non ne avevo ancora idea. 

«Cos'è lei per te? Rispondi!» alzò la voce. Non la sopportavo quando iniziava a fare la melodrammatica.

«Niente. Lei non è un cazzo di niente per me, così come non lo sei tu. Nessuno ha più potere su di me, nessuno può condizionarmi e nessuno deve permettersi di avere pretese su di me. Voglio stare solo. Non ho più un cuore, non ho più nulla da dare. A causa tua non sarò mai capace di voltare pagina: o con te o con nessuno, ricordi? Sei soddisfatta ora che conosci la verità?» dissi quelle parole urlando furioso e senza trattenermi. 

Ero ancora furioso con Miki, mi aveva abbandonato senza battere ciglio. Non ci aveva riflettuto due volte prima di fuggire dopo aver scoperto che Ambra fosse incinta, non aveva mantenuto la promessa di starmi accanto nei momenti di bisogno. Perché tutti se ne andavano prima o poi, tutti erano dei bugiardi, ogni cosa finiva e lei non era diversa dalle altre. Dovevo farmene una ragione. 

«Non sono ancora pienamente soddisfatta», con lo sguardo languido si leccò il labbro inferiore. 

La sua dote naturale di sensualità non aveva più alcun effetto su di me, ma lei continuava a non capirlo. 

«Cosa vuoi?» 

«Voglio te. Te l'ho già detto!» si avvicinò accarezzandomi il dorso. 

«Non chiedermelo così...» d'istinto mi si appesantì il respiro decretando un ribaltamento di situazione. Mi stavo eccitando con così poco?

«E come allora?» mi guardò da sotto le ciglia lunghe «O con me o con nessuno?! Mostrami che è realmente così! Dimostrami che lei non è nessuno per te», con la sicurezza che le era sempre appartenuta prese ad accarezzarmi la bocca, non riuscii a scostarmi. 

«E poi mi lascerai in pace?»

«Devi essere convincente prima», parlò a rallentatore ad un centimetro dalla mia bocca, seducente più che mai.

«Lo sono sempre stato», risposi a fatica.

«Voglio di più!»

«In che senso?»

«Qualcosa che coinvolga anche lei, qualcosa che possano vedere tutti, qualcosa che la faccia soffrire...» accennò un sorriso malvagio. 

«Perché vuoi che la ferisca?»

«Perché se t'importasse davvero di lei non lo faresti... Ti conosco. Quindi, questo è l'unico modo che hai a disposizione per dimostrarmi la verità: ci tieni o no a lei? Se troverai un piano convincente lascerò stare entrambi. Niente più ricatti, nessun tranello...»

«Dov'è la fregatura? Cosa ci guadagni tu?»

«Fare soffrire Micaela Rossi è un premio già abbastanza consolatorio. Ha osato mettere le mani su qualcosa di mio, ha osato sfidarmi ed è giusto che ne paghi le conseguenze». 

E a quel punto risi, risi insieme a lei. Una mossa sbagliatissima perché avrei dovuto difendere Miki, ma non potevo far saltare in aria tutto il piano. La libertà era un premio troppo prezioso, non era il caso rischiare di perderlo per così poco. Se non avessi agito non sarei mai stato sprigionato da quella ragazza pazza, mi avrebbe perseguitato fino alla morte ed io iniziavo ad essere esausto dei suoi giochetti. 

«Allora senti questa: inizierò una relazione esclusiva con lei, la farò innamorare di me e sul più bello la lascerò dicendole di non esser ancora riuscito a dimenticare te. È abbastanza convincente questo per te?»

Fui esagerato nel proporle un piano di quella portata, ma la mia testa era annebbiata e non riuscii ad immaginare niente di meglio in quell'istante.

«Hai il coraggio di farlo sul serio?» rise diabolicamente, già pronta a godersi lo spettacolo. 

«Certamente! Lei non è niente per me».

Più lo ripetevo e più cercavo di auto convincermi che fosse realmente così.

«D'accordo, affare fatto!» mi strinse la mano, senza rifletterci ulteriormente e mi attirò a sé, il seno urtò contro il mio petto. «E adesso dimostrami quanto sei migliorato in anni di pratiche sessuali... Ho sentito parlare molto bene di questo», portò le mani sulla patta dei jeans e strinse proprio su quel punto, ansimando. «Pare sia cresciuto in questi anni, è così?»

Per un attimo strinsi gli occhi, inspirai ed espirai. Dovevo farlo per Miki, dovevo farlo per me, per non essere più assillato e ricattato da quella donna malata, mi ripetei nella mente. 

Riaprii gli occhi più determinato che mai: «Inizia ad urlare!»


***


MIKI

Non gli era bastato il tradimento fisico, no. I gesti, i fatti non erano stati sufficienti, doveva uccidere anche con le parole per appagarsi. Grazie a quella registrazione compresi un bel po' di aspetti, ad esempio il motivo per il quale Castiel mi avesse chiesto così improvvisamente d'iniziare una relazione con lui. Per gioco, per dimostrare di non tenerci a me. 

Tradita dentro e fuori, fu così che mi sentii. Nella fiducia, nella dignità, nel corpo, nell'anima. "Lei non è niente per me", Castiel ripeté più volte in quella registrazione, ma come potevo credergli? Come potevo anche solo ipotizzare che mi avesse mentito per tutti quei mesi? Ero stata sul serio soltanto un gioco, una prova per dimostrare qualcosa alla sua ex ragazza? Perché era stato così crudele? Le loro parole fecero male, mi entrarono fin dentro le ossa condannandomi all'immobilità temporanea. Recepii ogni sillaba come un proiettile, alla fine ci erano riusciti ad uccidermi. Il rosso ancora una volta aveva giocato sporco, ancora una volta aveva lasciato prevalere i demoni, la parte buia della sua anima. Ancora una volta, per l'ultima volta, si approfittò dei miei sentimenti, della mia fragilità senza averne il diritto. Io non meritavo quel dolore. Avevo giustificato già sin troppe volte i suoi comportamenti, gli avevo concesso il mio aiuto senza che ne fosse degno, avevo calpestato me stessa ed i miei valori per lui. Non l'avrei più fatto, non avrei mai più commesso errori, non avrei mai più donato me stessa a qualcun altro. Non avrei mai potuto perdonare Castiel Black per quel colpo così basso. 

Nonostante ciò, il tempo trascorso insieme a lui sarebbe rimasto indelebile nei ricordi e non mi sarei mai pentita di avergli concesso il mio cuore. Nell'arco di due mesi il mio cuore si era nuovamente spezzato, ma grazie a lui ero stata felice per la prima volta in tutta la mia vita e per quel motivo non avrei mai smesso di ringraziarlo. 

Ogni cicatrice era di nuovo aperta, spalancata e pronta a ricevere nuove ferite. Eppure non potevo lamentarmi, sapevo bene che prima o poi sarebbe arrivato quel momento, sapevo bene che quello fosse il prezzo da pagare per aver remato contro all'impossibile. Dovevo immaginare che sarebbe andata così. Ero stata una stupida ragazzina, mi ero illusa dell'inverosimile possibilità che lui potesse realmente affezionarsi a me, sbagliandomi totalmente. 

Impossibile: io e lui insieme lo eravamo; la nostra storia lo era; che lui mi amasse lo era. Avevo creduto nelle favole, nei romanzi, in quelle storie dove il cattivo ragazzo s'innamorava sempre della protagonista ingenua. Avevo sbagliato per l'ennesima volta, ma quella volta sarebbe stata l'ultima; lo giurai a me stessa. 

 

A: Debrah

 Adesso puoi urlarlo al mondo: Castiel è tuo. Hai vinto! Sei stata perennemente in vantaggio e l'hai sempre saputo. Abbi cura di lui. Non tradirlo ma amalo, perché lui probabilmente ti ama ancora con tutto il cuore.

 

Cinque mesi di battaglia con quella ragazza, di cui solo due in vantaggio. Come uniforme avevo indossato promesse vuote: le false promesse di Castiel, della vincita. Ero scesa in campo passando momentaneamente in vantaggio, pensando per un attimo da totale stupida di poter addirittura vincere, ma a fine partita mi ritrovai ad avere nient'altro che cuore e fiducia spezzati. Avevo perso. Ero stata soggiogata da quei due calcolatori e l'unica scelta restava di accettare i risultati, senza proteste.  

E così feci. Piansi durante le due ore di viaggio in taxi che mi portò nuovamente a Parigi, a casa. Piansi durante la notte e la settimana seguente. Non andai a scuola inventandomi un'influenza ed un virus intestinale. Neanche zia Kate sospettò delle mie bugie, nessuno seppe la verità per un'intera settimana. Rosalya e Ciak insistettero per venire a trovarmi, ma liquidai entrambi dicendo loro di essere contagiosa. Non ebbi il coraggio di raccontare la verità perché altrimenti, se lo avessi detto ad alta voce, tutto sarebbe divenuto reale. Fino a quel momento ogni cosa era rimasta nella mia testa, pareva quasi la proiezione di uno dei miei film mentali immaginari. 

La negazione; su uno di quei giornalini settimanali per adolescenti avevo letto che quella fosse la prima fase tipica da attraversare dopo un tradimento o la fine di una relazione. Ed io l'avevo attraversata chiudendo fuori il mondo dalla mia stanza. Non volli né vedere e né sentire nessuno, io e la solitudine stavamo così bene insieme...

Ad una settimana esatta dall'accaduto, trovai il coraggio di guardarmi allo specchio: un aspetto orribile, gli occhi arrossati e gonfi, furono i risultati dopo quei giorni passati in isolamento e totale distacco dal mondo; ben mi stava. 

«Mi hai preso per scema?» il pomeriggio quelle furono le prime parole di Rosalya dopo aver fatto irruzione nella mia camera buia spalancando la porta. Non si preoccupò neanche di salutarmi. 

Si guardò intorno e corse alla finestra per aprire la saracinesca e far entrare un po' di luce, ma la bloccai con un urlo prima di farglielo fare. Non ero ancora pronta per rivedere la sua scrittura spiaccicata su quel vetro, lì per prendersi gioco di me. Da una settimana non avevo avuto il coraggio di scostare le tende e spesso tenevo le persiane abbassate. La luce mi dava fastidio, scorgere il colore rosso dell'inchiostro su quel vetro ancor di più. Con immensa fatica le sollevavo solamente di notte permettendo, così, ai lampioni situati in strada di filtrare la luce nella mia stanza. Per molti poteva essere considerato stupido, ma avevo paura del buio e necessitavo di un filo di luce per addormentarmi. L'inchiostro rosso in quei casi era invisibile, quindi mi andava benissimo come sistemazione notturna. Nessun ricordo, nessuna paura.

«Vuoi dirmi cosa sta succedendo? Tu non sei malata!» notò la mia amica, accomodandosi sul mio letto e accendendo la piccola abat-jour sul comodino. 

«Sono malatissima, altro che no...» tossii più forte che potevo e quasi mi affogai con la mia stessa saliva. «Lasciami riposare», mi voltai dall'altro lato del letto dando le spalle a Rose. 

«Quindi non stai vedendo neanche Castiel in questi giorni?»

Il suo nome. Quel nome che da esattamente sette giorni avevo cercato di non pronunciare ad alta voce. Evitavo persino di pensare al suo tradimento, alla verità, a quelle voci e quegli ansimi che misero fine alla registrazione ricevuta per messaggio. E quel nome pronunciato ingenuamente da Rosalya fu come un lampo a ciel sereno. Mi riportò alla realtà, sulla terra ferma, davanti a quella evidenza che avevo negato per forse troppi giorni. Castiel mi aveva tradita, si era messo insieme a me per gioco, aveva stipulato un patto con Debrah. Doveva farmi innamorare e lasciare subito dopo, per dimostrarle che io ero il niente per lui. Ma evidentemente qualcosa era andato per il verso sbagliato, non sapevo ancora cosa e non avevo intenzione di scoprirlo. Era stata Debrah ad innescare la bomba, a sollecitare Castiel di raccontarmi la verità e non riuscivo a comprenderne il senso o forse ero troppo accecata per capirlo. Probabilmente aveva anticipato i fatti perché lo rivoleva tutto per sé. Semplice e coinciso, il messaggio. Niente di complicato. 

«Terra chiama Miki», Rose mi saltò letteralmente addosso agitando una mano di fronte al volto per risvegliarmi dallo stato di trance. Ma io non ne volli a che sapere. «Castiel mi ha chiesto di te, di dove fossi», dopo qualche minuto riuscì finalmente ad attirare la mia attenzione. 

Mi alzai di scatto lasciando cadere Rosalya sul materasso, dovette reggersi dalla trapunta per non cadere faccia sul pavimento. Quella scena accompagnata dall'espressione del suo volto mi fece sorridere. Il primo sorriso dopo sette giorni. 

«Lui n-on...» e scoppiai a piangere subito dopo, senza riuscire ad aggiungere altro. 

Da perfetta instabile mentale, un secondo prima ridevo e quello dopo piangevo, ormai ero da rinchiudere in un manicomio. Ma rividi il nostro ritratto, rilessi quelle parole indelebili scritte sulla finestra, percepii il suo profumo nell'aria e fu inevitabile ricordarlo. Era stato nella mia stanza sin troppe volte per riuscire a scacciare il suo odore, la sua presenza e, in realtà, non sapevo neanche se volessi sopprimerlo. Non avevo avuto abbastanza forza nemmeno per cambiare le lenzuola del letto, erano rimaste le stesse dall'ultima volta in cui eravamo stati insieme lì sopra. Quello era un modo per tenerlo ancora un po' con me, per immaginare una verità diversa e migliore. Durante quei giorni vissuti in isolamento, più volte avevo stretto tra le mie braccia il cuscino, avevo chiuso gli occhi ed immaginato Castiel tra le mie braccia, nel mio letto. Sapevo fosse sbagliato, da suicida, ma soltanto lui avrebbe potuto colmare il vuoto ed il dolore percepito al centro del petto. Soltanto lui avrebbe potuto riaccendermi, perché senza di lui ero spenta ed inutile. Ma lui, il fuoco, si era fatto tentare da lei, l'acqua, e mi aveva abbandonata... Eppure tutto continuava ad essere impossibile nella mia testa. Il Castiel conosciuto durante quei due mesi mi era parso così vero, così genuino e felice, da non riuscire neanche lontanamente a pensare che la nostra storia fosse stata tutta finzione. Lo leggevo nei suoi occhi, lo percepivo sulla pelle: noi non eravamo finzione. Eravamo veri o era stata solo una mia illusione?

«Ehi», Rosalya mi stava abbracciando da chissà quanti minuti ed io me ne accorsi solamente quando parlò vicino al mio orecchio. «Non devi raccontarmi per forza tutto adesso, abbiamo tempo. Durante i vostri primi giorni di assenza, avevamo pensato che tu e Castiel foste partiti per una vacanza romantica segreta. Poi... Quando lui è tornato senza di te, riapparendo come il rompipalle di mesi fa, abbiamo capito ci fosse qualcosa che non andava. E abbiamo avuto la conferma oggi, che mi ha chiesto di te. Era preoccupato e non aveva tue notizie da esattamente una settimana», mi raccontò.  

«Non è così, non ha neanche provato a chiamarmi...»

Ed era vero. Da giorni vivevo a metà, guardavo continuamente il cellulare in attesa di una sua chiamata o messaggio, ma niente. Da una parte avrei voluto che s'interessasse a me, dall'altra avrei voluto che mi lasciasse in pace. Ero combattuta, sebbene lui aveva già deciso per entrambi: non ero degna neanche di una sua chiamata. A volte mi svegliavo vicino alla porta, in attesa di riavere indietro il cuore che mi aveva rubato, in attesa di lui. E lo cercavo, lo cercavo continuamente malgrado avessi già capito che tra noi era finita. Guardavo la finestra della mia stanza con la speranza di veder spuntare una chioma color cremisi da essa prima o poi, ma non era successo. Castiel non mi pensava, non aveva avuto problemi del mio stesso genere. Durante i giorni di assenza a scuola quasi sicuramente era stato impegnato con Debrah, se l'era spassata con lei. E sinceramente era incomprensibile quel suo chiedere di me dopo il periodo di menefreghismo acuto. Erano forse stati i sensi di colpa a lacerarlo? Non me ne facevo niente di quelli. Avevo bisogno di certezze, amore, lealtà e lui non era così generoso da offrirli a chiunque. 

Da piccola credevo nella magia; da grande avevo smesso di farlo, ma avevo iniziato a credere in qualcosa di ancora più astratto: l'impossibile. Decisamente peggiore. Porre tutta la propria fiducia in un solo essere umano era da pazzi, io lo ero stata. E ne stavo subendo le conseguenze. Avevo creduto in lui che, come un illusionista, m'invaghì delle sue bugie per poi sparire nel buio della notte senza nessuna giustificazione. Aveva dato per scontato che non volessi ascoltare le sue giustificazioni, ma si sbagliava. Avrei preferito delle parole al silenzio, anche scuse sciocche sarebbero state migliori del mutismo che invece si ostinava a mantenere. Non sopportavo l'oblio: quella sensazione di sentirsi vuota, a metà tra il credere una cosa e pensarne un'altra, ma era proprio quello lo stato in cui mi trovavo. 

Alla fine trovai il coraggio di raccontare a Rosalya tutti gli avvenimenti accaduti, tutte le scoperte fatte e lei di risposta divenne una statua di sale.

«Non posso crederci...» fu il suo primo commento accompagnato dallo stupore nel suo sguardo. «Dev'esserci una spiegazione a tutto questo. Dev'esserci per forza...» 

Si prese qualche attimo di tempo per metabolizzare i fatti ascoltati, subito dopo mi abbracciò. Ed io mi lasciai cullare dalle braccia esili dell'unica amica realmente sincera che mi era rimasta accanto senza pretendere alcun tornaconto personale. Rosalya era speciale.


***


CASTIEL

Quando quella notte Debrah ricevette il messaggio da parte di Miki c'ero anch'io con lei. Prima di ripartire da Varengeville-sur-mer le avevo chiesto d'inviare la fatidica registrazione a Miki senza farla attendere ulteriormente e, al mio rientro, trovai la ragazza dagli occhi di ghiaccio ad aspettarmi sulla veranda di casa mia. Era giusto far conoscere subito a Miki la verità che io stesso a voce non avevo avuto il coraggio di raccontarle. Debrah ovviamente non ci aveva pensato due volte prima di farlo.

Miki mi aveva lasciato andare definitivamente, le dichiarava il via libera. Un senso d'inquietudine mi assalì lo stomaco, non ero pronto a separarmi da lei, non lo sarei mai stato. 

Approfittai della visita in bagno di quella strega per recuperare il suo cellulare dalla borsa e rispondere a quel messaggio al suo posto, per poi cancellare le prove. 

 

A: Miki 

Da: Debrah

Non è così. Lui probabilmente è innamorato, ma non di me.

 

***

Miki non era stata un gioco. Non lo era mai stata. Sin da quando il vento le sferzò i capelli ramati sul viso, sin da quando i suoi occhi scuri invasero i miei sogni ed i miei incubi, sin da quando il rosa delle sue labbra carnose mi fece impazzire, sapevo di esser spacciato. La mia sirena. Quanto era bella Ariel, talmente tanto perfetta da non sembrare neanche reale. Ma lo sentivo, lo percepivo... lei era vera a tal punto da farmi tremare quando mi era vicina. Soltanto per lei. Aveva risvegliato la parte docile del mio essere insieme ad una speranza che non sapevo neanche esistesse. Possedevo ancora un cuore, ma non batteva sempre. Palpitava solamente in sua presenza e da quando se n'era andata si era ghiacciato di nuovo; da quel giorno respiravo a fatica, sopravvivevo senza vivere realmente. Incredibile ma vero, era accaduto proprio a me.

E non potevo dare la colpa a nessun altro se non a me stesso per quel ribaltamento di situazione. Era scappata perché ero un disastro, ero capace solamente di ferire chiunque mi stesse accanto. Non avevo riflettuto a sufficienza prima di cedere alla mia ex, non mi ero dimostrato abbastanza determinato da resistere ai suoi ricatti. Avevo scelto la via più semplice per risolvere i problemi, perdendo di conseguenza ciò che di più caro avevo. Ogni cosa ha il suo prezzo ed io avevo pagato il mio. 

I primi giorni senza Miki furono vuoti, opprimenti, devastanti. Non ebbi neanche il coraggio di tornare a scuola, non ero ancora pronto per incontrarla. Se l'avessi fatto avrei avuto l'istinto di correre e stringerla tra le braccia, ma non sarebbe stato rispettoso nei suoi confronti, quindi optai per restare rintanato a casa in compagnia di Demon, uno spartito e la mia chitarra. In quei tre giorni scrissi parecchio, proprio io - che mi ero posto il divieto di scrivere canzoni per qualsiasi donna - alla fine dovetti fare un'eccezione per lei... La mia eccezione. 

Il cellulare era perennemente al mio fianco; lo afferrai innumerevoli volte pronto per comporre il suo numero e chiamarla o inviarle un messaggio, ma alla fine non riuscii a farlo. Non ero preparato per quel genere di occasioni, non sapevo come ci si dovesse comportare, quale fosse il giusto modo per chiedere scusa. Sperai che un giorno potesse perdonarmi. 

Il quarto giorno mi presentai fuori scuola, motivato più che mai a prendere parte alle lezioni, ma alla fine non ebbi il coraggio di entrare. Scappai a tutto gas appena intravidi il gruppetto di persone che solitamente frequentava Miki. Ero diventato un rincitrullito. Non potevo farmi condizionare la vita da una donna, non era da me, eppure era quello che stava accadendo. La ragazza dai capelli ramati si era impossessata della mia anima, del mio respiro, del mio corpo, di tutta la mia vita. Era ingorda, la stronza. 

Il quinto giorno finalmente, in nome del vecchio Castiel Black, riuscii a mettere piede nel Dolce Amoris. Non potevo farmi intimidire da una ragazzina. L'avrei evitata senza rivolgerle la parola, un tempo ero parecchio bravo in quel gioco, non era impossibile. Perché a distanza di mesi era diventato tutto così complicato? Perché proprio lei era dovuta diventare il centro del mio mondo? Non potevo accettarlo, non se volevo continuare a vivere dignitosamente. Avevo sempre criticato i babbei totalmente dipendenti da una donna ed io non potevo di certo diventare uno di loro. Dovevo smetterla. Ma bastò uno sguardo di troppo in direzione del suo banco per capire che lei non ci fosse, fu sufficiente una domanda della professoressa di lettere indirizzata a Rosalya per allarmarmi: Miki era malata, era vero? Da quanti giorni non frequentava le lezioni? Fu in quell'occasione che misi da parte l'orgoglio e mi precipitai dalla sua amica per saperne di più. 

Da quel giorno in poi, ogni notte, salii di nascosto sul piccolo balcone che dava accesso alla sua camera per assicurarmi che stesse bene. Aveva paura del buio, per quel motivo e per mia fortuna, non chiudeva mai le saracinesche. Il letto era poco distante dalla finestra, per cui riuscii a intravedere la sua figura nonostante il buio. Era inquieta mentre dormiva, cambiava posizione almeno cento volte a notte. Sapevo di essere un trasgressore della legge, di poter apparire come un criminale o addirittura un maniaco agli occhi di molti, ma dovevo vederla. Necessitavo della mia dose quotidiana di Micaela Rossi per essere in grado di sopravvivere. Non respiravamo la stessa aria da troppi giorni, non mi sarei mai potuto abituare al suo addio, proprio noi che avevamo condiviso tutto. Sapevo di risultare contraddittorio, un giorno prima mi assentavo da scuola per non correre il rischio d'incontrarla e l'attimo dopo mi trovavo sul balcone della sua stanza per avere la possibilità di ammirarla da lontano. 

Sapevo fosse distrutta, sapevo stesse trascorrendo dei giorni orribili a causa mia. Non era malata, non aveva alcun virus o influenza, perché il suo male era interno, invisibile, non poteva esser visto ad occhio nudo. Le fui accanto celatamente, nell'unico modo che mi era possibile, perché volevo dividesse con me il peso della sua sofferenza. Avrei tanto voluto abbracciarla, sdraiarmi al suo fianco e respirare l'odore di vaniglia dei suoi capelli, ma non potevo. Se avesse saputo dove mi trovassi sicuramente mi avrebbe mandato via, ed io non volevo correre quel rischio. Stavo così bene a guardarla in silenzio. 

Chissà se percepiva la mia presenza come io percepivo ovunque la sua. Chissà se era rimasto il mio odore sul suo cuscino, chissà se abbracciava quel masso di piume immaginando me; io lo facevo. Chissà se, guardando i luoghi in cui eravamo stati insieme, mi avrebbe ricordato. Io l'avrei fatto. Per tutta la vita. 

In casa mia non respiravo a causa dei ricordi: il divano, il letto, la cucina, il tetto. Qualunque cosa mi ricordava lei, ovunque mi trovassi, mi sembrava ancora di sentirla mugolare il mio nome. Soffocavo stando chiuso in quelle quattro mura, rischiavo perennemente di esser sepolto tra le reminiscenze della nostra storia e non dormivo da chissà quante notti, per cui preferii stare accanto a Miki di nascosto, a sua insaputa. 

Dopo dieci giorni di assenza ritornò a scuola. Quando la vidi restai pietrificato, sorpreso. Non sapevo che sarebbe ritornata proprio quella mattina. Era così diverso osservarla da sveglia, viva e alla luce del sole, tanto che la trovai ancora più bella, nonostante le occhiaie e lo sguardo spento. Le mancavano il sorriso e la felicità. Quella serenità che leggevo perennemente nei suoi occhi quando stavo al suo fianco era sparita. Era apatica, spenta, senza alcuna voglia di vivere, senza sentimenti. Quasi come un robot girovagò per i corridoi del Dolce Amoris fino al suo armadietto. Non si guardò intorno, non mi cercò tra la folla. Perché? Perché io non riuscivo a fare lo stesso? Era stata tutta colpa mia, ormai mi odiava, non avrei neanche dovuto pormi domande di quel genere. Mi maledissi un'infinità di volte per quella situazione, per aver contribuito a distruggere quella ragazza così forte. 

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MIKI

Il mio cuore riprese a battere nell'esatto momento in cui misi piede nel Dolce Amoris. Fu in quell'occasione che ebbi la prova di essere ancora viva. Le mani tremanti, il cuore in gola, i brividi sulla pelle, furono i tipici segnali di pericolo che mi fecero fremere come non mi accadeva da dieci giorni. 

Perché lui era lì. 

Gli occhi grigi tanto agognati e temuti erano proprio davanti a me. Ci guardammo intensamente, separati solamente da studenti intenti a correre nelle loro rispettive classi e ignari della lotta che stava avvenendo tra di noi. Lo fissai con rabbia, delusione, smarrimento e amore. Già, quello purtroppo ancora non ero riuscita a mandarlo via. Castiel era scivolato dal mio cuore, malgrado ciò il mio amore persisteva, era duraturo e difficile da scacciare. Avrei tanto voluto esser capace di fare una magia per guarire da quel veleno così potente, ma non esisteva niente. Nessuna cura, nessuna difesa, nessun antidoto. Contro di lui ero indifesa e nuda, mi avrebbe posseduta per sempre senza neppure esserci fisicamente.

"Perché mi hai fatto questo? Perché mi odi così tanto da volermi uccidere? Perché dici che non sono niente per te, ma ho la percezione che non sia vero? Perché temi così tanto il giudizio di Debrah? Perché non riesci a staccarti da lei? La ami ancora?", gli chiesi in silenzio sperando capisse da solo di dovermi delle risposte. 

Ricambiò lo sguardo, mi fissò in modo diverso. Afflitto ed indeciso sul da farsi: il suo cuore gli suggerì di venirmi a parlare e magari addirittura di abbracciarmi, mentre la sua mente gli rammentò che i tipi duri come lui non chiedevano mai scusa. Avvenne una lotta dentro di lui, in quei pochi secondi di connessione tra i nostri sguardi, ma lasciò vincere l'orgoglio. 

I suoi occhi però non furono d'accordo. Fissò con cura ogni angolo del mio corpo per imprimermi tra i suoi ricordi ed io mi sentii trafitta, fragile, spogliata dai vestiti e dalle emozioni che soltanto lui era stato capace di donarmi. Quella connessione fu breve, mi abbandonò entrando in classe da gran vigliacco qual era sempre stato. Non si smentiva mai, non aveva avuto il coraggio di essere sincero fino in fondo, di spiegarsi. Ma evidentemente non c'era nient'altro da spiegare, aveva già detto tutto in quella registrazione. Ero il niente per lui.

Mi lasciò andare.

Percepivo ancora le sue mani sfiorarmi il corpo, i suoi occhi bruciarmi la pelle ma, così come faceva il sole in un tramonto, non mi scaldò più. Come il rosso che pian piano svaniva dal cielo, non mi appartenne più. Svanì in un istante e con lui, in un secondo, anche il mondo. 

Restai sola precipitando nel buio. Trasparente

 

 

 

 

 

 

 

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🌈N.A.🌈

Hello, come sempre pubblico in ritardo di qualche giorno. 

Oggi sarò breve perché sono triste, quindi vi lascio subito in pace. 

Questa parte di storia mi sta davvero portando via vent'anni di vita, non scherzo. So che apparentemente non accade quasi nulla in questo capitolo, ma avevo bisogno di farne uno così dove prevalgono i pensieri ed i sentimenti invece dei dialoghi e fatti. Spero di non avervi annoiati e confuso più del necessario. 

Vi aspettavate quella conversazione tra Castiel e Debrah? E le parole di Castiel? Perché teme così tanto la sua ex? 

Perché è stata proprio Debrah ad interrompere il "gioco" della relazione tra i Mikistiel?

Domande finite... Vi saluto

All the love💖

Blue🦋 

  
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