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Autore: AdhoMu    22/05/2019    3 recensioni
SOSPESA
Volenteroso, tenace, determinato.
Nonostante le sue innate qualità da legittimo Tassorosso, Cedric Diggory ha scoperto che qualche volta, nella vita, i buoni propositi non bastano, e che i piani per il futuro possono andarsene (letteralmente) al Creatore da un momento all'altro.
Quello che Cedric proprio non si aspettava è che, nella morte, le cose funzionano esattamente allo stesso modo.
E così può capitare che, per tutta una serie di motivi, un ragazzo ligio e diligente come lui, inevitabilmente destinato ad "andare avanti", si ritrovi "lasciato indietro" e sia costretto a fare i conti con l'indefinizione tipica di qualcuno che "è già stato" ma che, chissà perché, in un certo senso "continua ad essere".
Per fortuna, ad aiutarlo a mettere ordine nella sua nuova "non vita" ci penserà un manipolo di nuovi e fluttuanti amici.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Barone Sanguinario, Cedric Diggory, Corvonero, Frate Grasso, Helena Corvonero, Sir Nicholas | Coppie: Cedric/Cho
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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9. Anime gemelle (I)
 
[Hogwarts, luglio 1999]
La Sala Comune dei Tassorosso era attraversata da un’energia densa e fremente.
Cedric si era alzato in piedi e percorreva a grandi passi la Sala giallonera, senza preoccuparsi di schivare le tozze colonne di mattoni a vista che sorreggevano il soffitto, ma passandovi direttamente attraverso. Sul suo bel viso campeggiava un’espressione estremamente preoccupata. Pensava a Cho, naturalmente; a Cho e a come avrebbero fatto per rintracciarla e salvarla.
In un angoletto della Sala, i fratelli Canon avevano accerchiato Roger Davies e gli stavano scattando una serie di fotografie flashandolo con la loro Polaroid fantasma, incitati (a voce neanche troppo bassa e, date le circostanze, decisamente fuori luogo) da una zelantissima Mirtilla che, manco a dirlo, seguiva la scena con vivo interesse: del resto, l’avvenenza di Roger non era certo un segreto, e neppure il fatto che il ragazzo fosse eccezionalmente fotogenico: non per nulla, di lavoro, faceva il fotomodello per le campagne pubblicitarie delle Nimbus da corsa - abilità prontamente confermata dall'effetto sublime attestato dalle immagini che la macchinetta sputava fuori a raffica.
Sir Patrick e Sir Nicholas, una volta tanto sotterrata l’ascia di guerra (più affilata – si augurava vivamente il fantasma Grifondoro – dell’infelice aggeggio che lo aveva quasi decapitato), confabulavano sottovoce in compagnia del Frate Grasso.
Posizionati (o meglio, levitanti) vicini (ma senza sfiorarsi) sul divanetto accanto al camino, la Dama Grigia e il Barone Sanguinario sedevano in silenzio, senza guardarsi, le iridi pallide fisse sulla parete dirimpetto.
Inaspettatamente fu lei a rompere il silenzio per prima.
- Io non... – cominciò, con voce stanca.
Lui ruotò appena il capo.
- Fa male – le disse in un sibilo basso, simile a quello di un serpente che cambia la pelle. Le lunghe catene che pendevano dai suoi polsi tintinnarono in modo sinistro, come a voler sottolineare le sue parole. – Fa ancora male, Helena.
Lei gli rivolse un’occhiata a sua volta addolorata.
- Veramente – lo corresse additando le sue ferite (e lui sorrise impercettibilmente, di rimpianto e di dolore, perché con la stessa arguzia gli avrebbe risposto l’Helena che un tempo aveva conosciuto) – dovrebbe fare male a me, non a te.
Il Barone scosse lentamente la testa argentea, un tempo coronata da riccioli dorati come il sole.
- Questo sangue – le disse, indicandosi il giustacuore di velluto chiazzato per l’eternità – non è solo tuo. E lo sai bene.
- Non ti ho mica chiesto io di...
- Oh, ma per favore. Francamente, Helena.
Fra i due cadde il silenzio; un silenzio intriso di rancore e di tristezza.
- Forse questo non è il momento di comportarsi con astio – suggerì lei, aggrottando la fronte. – Siamo tutti sulla stessa barca o, come direbbe Nick, sulla stessa caravella.
Lui fece una smorfia.
- Dimostri saggezza – le disse, e nella sua voce non v’era traccia di scherno. – E invero, fai onore al cognome che porti.
La Dama Grigia sospirò e tornò a guardare nel vuoto.
- Non so proprio come riusciremo a risolvere questa manche – mormorò, assorta. – Non lo so proprio. Mi sembra tutto così irrisolvibile.
Il Barone ristette per qualche attimo, accarezzando delicatamente le spesse maglie delle catene.
- Neanch’io – sussurrò infine, e rituffandosi nei suoi pensieri. – Neanch’io, Helena.
 
[Cammini d’Europa, autunno-inverno 1183]
Aveva viaggiato instancabilmente, battendo palmo a palmo i dintorni di Hogsmeade e poi, aggrappandosi a tracce ora inequivocabili, ora tanto flebili da rischiare ad ogni passo di scomparire, aveva cominciato a spingersi in direzione Sud.
Quasi un anno era trascorso da quando lei, silenziosa come un’ombra schiva, se n’era andata.
“Ho bisogno che mi si riconosca il valore che merito” c’era scritto, semplicemente, sul bigliettino che Albrecht van Duiker aveva trovato infilato nello spiraglio fra la porta e il battente di camera sua.
Lui era rimasto immobile per un tempo interminabile, gli occhi chiusi, la gola riarsa, una saliva densa e amara impossibile da deglutire ad occludergli la bocca, il grigio sguardo di lei, leggermente accusatorio, conficcato nella mente.
Se l’aspettava?
In fondo, forse, sì.
Ma non per questo il dolore era stato più lieve.
Helena, si era scoperto, era fuggita assieme a Cadmus Peverell (“un pessimo soggetto” l’aveva definito Sir Godric, serio); aveva abbandonato l’ala protettiva di Hogwarts e dei Fondatori; lo aveva lasciato. E peggio ancora, come Albrecht era poi venuto a sapere da un’agitatissima Tosca trattenuta a stento dal signor padrino Salazar, aveva tradito sua madre, portando via con sé il suo diadema incantato.
Madama Priscilla non aveva commentato nulla. Si era chiusa in se stessa e forse, proprio in quel momento, aveva lentamente cominciato a morire.
Del suo malessere e della sua tristezza, però, se n'erano accorti tutti.
“Ma non per la scomparsa del diadema “gli aveva confidato Tosca qualche settimana dopo, accompagnandolo ai portoni di Hogwarts dopo che lui, ormai deciso a fare ritorno in Olanda, aveva raccolto le sue cose e si accingeva a lasciare il Castello. “È l’assenza di Helena a pesarle sulle spalle”.
E in quell’occasione, Madama Tassorosso gli aveva rivelato anche altri segreti.
“Ciò che Helena non ha mai saputo è che anni fa, quando io e Priscilla eravamo ancora giovani donzelle, Cadmus Peverell corteggiò a lungo e con insistenza sua madre”.
Lui l’aveva guardata senza capire, sopraffatto dall’apatia.
“Io credo” aveva concluso Tosca, scegliendo attentamente le parole “che, in un certo senso, portandosi via Helena, quel farabutto abbia voluto far pagare a Priscilla i suoi rifiuti”.
“A me pare, però” aveva replicato lui (e ad ogni parola la lingua gli bruciava, come ustionata dal dolore che provava) “che Sir Peverell nutrisse serio interesse nei confronti di Helena”.
Tosca aveva annuito.
“Oh, sì. Crescendo, Helena è divenuta la copia di sua madre; e anche più leggiadra, fors’anche. Incapricciarsi di lei dev’essergli riuscito assai facile. Ma ti assicuro” aveva continuato la Dama di giallo vestita, in tono grave “che non si tratta soltanto di questo”.
Mentre si spostava a marcia forzata verso Sud, Albrecht van Duiker ebbe modo di pensare e ripensare a lungo a quel suo colloquio con Madama Tassorosso.
“Fai attenzione” gli aveva raccomandato il suo signor padrino poco prima di partire. “E ricorda sempre il valore del sangue, figliolo”.
“Sempre la stessa storia” si era intromesso Sir Godric, scuotendo la testa con insofferenza. “Prendi questo, piuttosto: potrà rivelartisi utile”.
E gli aveva consegnato un lungo pugnale argentato con l’elsa tempestata di rubini.
Salazar Serpeverde aveva rivolto al collega uno sguardo penetrante, ma non aveva ribattuto nulla.
Tosca lo aveva abbracciato con tenerezza quasi materna e lui era partito, il vento gelido a scompigliargli i capelli del colore del grano.
 
[Hogwarts, luglio 1999]
Il borbottio di Pagú che scattava in piedi richiamò immediatamente l’attenzione dei presenti.
Rapido come un lampo argentato, il Tasso prediletto di Tosca galoppò fino alla porta della Sala Comune, la cui superficie prese poi a grattare insistentemente con gli unghioni.
Il Frate Grasso si affrettò a raggiungerlo.
- Che succede, Pagú? Calma, ragazzo mio!
L’animale ringhiò forte, puntando il muso bicolore verso la porta.
- Ci vuole mostrare qualcosa! – esclamò Colin Canon che, nel frattempo, era sopraggiunto seguito a ruota da Cedric e dagli altri.
- Che cosa stiamo aspettando?
Il giovane Tassorosso attraversò con un salto lo spesso strato di legno di noce, subito imitato dai fratelli Canon, da Mirtilla, dai Quattro Fantasmi delle Case e da Sir Patrick con tanto di cavallo al seguito. Roger Davies, invece, dovette rassegnarsi ad aprire la porta per uscire; poi, avvistata la fluttuante comitiva che scivolava rapidamente lungo il corridoio, l’ex-Corvonero si lanciò al loro inseguimento.
 
[Quarrishtë, Albania, primavera 1184]
Tanto aveva fatto e tanto aveva brigato che, alla fine ce l’aveva fatta.
Madama Corvonero, nella sua saggezza, ci aveva visto giusto: nonostante le difficoltà affrontate durante il suo viaggio Albrecht non si era dato per vinto e, alla fine, l’aveva trovata.
Non era stato facile seguire le sue tracce sui sentieri fangosi che, attraversando mezza Europa, l’avevano portato sempre più a Sud, fino alle leggendarie terre d’Illiria e d’Epiro, ormai prossime a trasformarsi nel Principato di Arbanon.
Spesso e volentieri il baronetto era stato lì lì per perdere il filo e si era dovuto affidare all’intuizione laddove il ricordo del passaggio di Helena, avvenuto tanti mesi addietro, rischiava di scomparire del tutto; in molti casi, però, la sua presenza si avvertiva ancora, tenacemente aggrappata a luoghi e persone.
“Una dama vestita d’azzurro, un cavaliere maturo e un cavallo da guerra”. Tenacemente determinato a non abbandonare la sua ricerca, Albrecht chiedeva qua e là e, con un po’di fortuna (ma dovendo spesso scandagliare con la magia i ricordi della gente), gli riusciva di recuperare la traccia.
Non era solo la promessa fatta alla Dama Corvonero a muovere i suoi passi; non era solo l’amore che ancora sentiva di provare nei confronti di Helena ad attizzare il suo desiderio di rivederla. C’era dell’altro: Albrecht era seriamente preoccupato.
“Cadmus Peverell” gli aveva confidato Madama Tosca, corrucciata “è un uomo violento e intemperante. In tutta onestà, molto temo per lei”.
E così, instancabile, il giovane aveva proseguito nel suo viaggio, incurante dellla fatica e della solitudine, dell’incuria rivelata dai suoi biondi capelli spettinati, dalla pelle arrossata dal sole, dagli strappi nei suoi ricchi abiti di velluto nero bordato di verde.
Aveva proseguito finché, alla fine, non l’aveva trovata.
 
La piccola valle di Quarrishtë, incastonata fra le montagne, era incavata e solitaria, circondata da foreste dense e da conformazioni rocciose aguzze e grigiastre le cui pendici erano ricoperte da steli stentati.
Poche case vi erano state costruite nel corso dei secoli; all’inizio della primavera erano ancora quasi tutte vuote, in attesa del ritorno dei pastori agli alpeggi.
Accortosi del filo di fumo che fuoriusciva da un comignolo di pietra Albrecht, appartato dietro il tronco di una quercia imponente, aguzzò la vista, schermandosi gli occhi chiari con la mano.
“Una casa di pietra grigia con le finestre dipinte di verde, lassù sui monti” gli avevano detto alla taverna del poco distante villaggio di Librazhd. I babbani adoravano parlare a vanvera di misteri e stregonerie, soprattutto con un bel boccale di birra fra le mani. “Si dice vi abiti una strega molto potente, messere”.
Il giorno dopo, Albrecht aveva intrapreso l’ascesa.

Non dovette attendere molto.
Dopo pochi minuti trascorsi ad osservate la casa, l’uscio si aprì e una figura maschile, nella quale lui riconobbe immediatamente le fattezze di Cadmus Peverell, sgusciò fuori diretta verso la stalla, dalla quale in seguito fuoriuscì conducendo per le briglie un imponente cavallo palomino.
Albrecht attese che uomo e animale fossero scomparsi nel bosco e poi, con passo tremante, raggiunse la casa.
L’uscio era accostato.
Messa da parte l’esitazione, Albrecht entrò.
- Helena?... – chiamò, piano.
Nessuna risposta.
Incerto, nervoso, il giovane barone avanzò di qualche passo, addentrandosi in una sala immersa nella penombra. Era vuota. Albrecht stava per girarsi, deciso a proseguire nella sua perlustrazione, quando l’occhio gli cadde su uno specchio macchiato appeso alla parete dirimpetto alla porta.
Il riflesso impolverato gli restituì l’immagine del suo viso sgomento e gli rivelò che, alle sue spalle, era comparsa una figura. 
Albrecht si voltò di scatto.
- Helena...?
La giovane Dama Corvonero stava in piedi sulla soglia della stanza; così silenziosa che lui non l’aveva sentita arrivare. Il lungo abito del colore del cielo era sbiadito; i capelli corvini, un tempo lucidi come pelo di gatto, erano opachi; la sue pelle era innaturalmente pallida.
Albrecht aprì e richiuse la bocca, confuso.
Quella era Helena, non v’era ombra di dubbio.
Eppure, non sembrava lei.
Qualcosa di strano e inspiegabile le era accaduto, rendendola simile a se stessa e, al tempo stesso, pressoché irriconoscibile.
- Chi sei?
Albrecht sobbalzò al suono della sua stessa voce, che riverberava nel silenzio assoluto di quelle spesse pareti di pietra.
La figura gli rivolse uno sguardo vacuo.
E poi, senza alcun preavviso, estrasse la bacchetta e lo attaccò.
- Helena!
Lampi di luce verde presero a zigzagare intorno a lui, costringendolo ad abbassarsi, a spostarsi freneticamente di lato e a prodigarsi in una serie di Scudi sconnessi; tutt'intorno, gli incantesimi polverizzavano il vasellame e facevano a pezzi la mobilia.
Helena, smettila! Sono io, Albrecht!
Accorato la supplicò di placarsi ma lei, imperturbabile, continuava a colpirlo. Il giovane indietreggiò, affannato; improvvisamente, con la coda dell’occhio, si accorse di una figura scura affacciata alla porta.
Era Cadmus Peverell, che osservava la scena stringendo gli occhi in un ghigno di baldanzoso compiacimento.
- È solo geloso della tua libertà, Helena – insinuò ad alta voce costui, accennando col capo alla figura di Albrecht che, ansimando, tentava disperatamente di difendersi. – Sa che non farai ritorno ad Hogwarts con lui, e tenterà di ucciderti. È sempre stato un individuo collerico e violento: toglilo di mezzo, tu per prima!
E lei, imperterrita, lo colpì più e più volte finché, con un Expelliarmus deciso, non le riuscì di disarmarlo.
Atterrito, il baronetto la vide che gli si avvicinava con la bacchetta stretta fra le dita sottili. Era Helena ma, al tempo stesso, non era Helena. Era pallida, spettrale, irreale. Grigia. In un ultimo gesto di supplica, il giovane la guardò negli occhi: non v'era alcun guizzo, alcun calore, alcun accenno di vitalità nelle iridi vacue, spente, cinerine come la nebbia.
A quella vista Albrecht si sentì impazzire, per l’angoscia e lo stordimento.
- Non sei Helena, tu! – le urlò allora, facendo scorrere freneticamente le mani sulla cintura, finché le sue dita non entrarono in contatto con il freddo metallo del pugnale consegnatogli da Sir Godric.
Non sei lei! – le urlò, con quanto più fiato aveva in gola. – Vattene, vattene!...
Con una mossa fulmineaa Albrecht estrasse il pugnale, il cui gelido argento brillò colpito da un raggio di luce che fendeva la penombra. E, senza pensarci sue volte, si avventò sulla figura che lo fronteggiava, affondando con forza la lama acuminata nel suo petto.
La creatura spalancò gli occhi, che per un istante fremettero come deboli fiammelle.
Albrecht la colpì ripetutamente, piú e più volte.
- Vattene! Vattene! – gridava ad ogni colpo, mentre il sangue di lei gli macchiava la giubba e il suo viso si bagnava di lacrime. - Restituiscimi la mia Helena!
Smise solo quando la figura, ormai inerte, si accasciò ai suoi piedi.
E mentre lui, disorientato, si guardava intorno senza sapere che cosa diavolo fare, la voce di Cadmus Peverell lo percosse come uno schiaffo.
- Razza di stolto – gli disse il cavaliere, rivolgendogli un sorriso sottile e un'occhiata di scherno. – Proprio tu, che dicevi di amarla.
- Che... che cosa...
- Non sei stato neppure in grado di riconoscerla. Eppure quella era proprio Helena, la tua amata.
- Non... non è vero!...
- E invece sì. Guarda tu stesso.
Albrecht abbassò gli occhi sulla figura riversa sul pavimento in un lago di sangue.
E al colmo dell’orrore, la riconobbe; nuovamente palpabile, concreta, inequivocabile.
Quella era davvero Helena.
E lui, agendo in preda alla pura follia, l’aveva uccisa.
Disperato, sconfitto, pazzo di dolore, il baronetto van Duiker rivolse la lama argentata verso se stesso.
 
[Foresta Proibita, luglio 1999]
In quella notte senza luna la Foresta Proibita era scura come non mai; i suoi anfratti e i suoi pertugi erano illuminati dal debole chiarore dei fantasmi che, in fila dietro al Tasso, si inoltravano nel fogliame seguendo un sentierino parzialmente cancellato dalla vegetazione estiva.
Roger, il cui corpo vivo opponeva resistenza a radici, rami, tralci e arbusti, si sforzava stoicamente di mantenere il passo.
- Pagú sa quello che fa – gli aveva detto Cedric, con aria convinta, mentre il drappello si apprestava ad uscire dal Castello. – L’olfatto dei Tassi di Tosca è fenomenale; sicuramente si tratta di una pista importante.
Il gruppetto procedette per una buona mezz’ora, addentrandosi nell’intricato labirinto vegetale della Foresta. Finalmente, dopo un tempo che a Roger parve eterno (e sospettando che ciò, ai fantasmi, non facesse né caldo né freddo), Pagú si arrestò.
Roger poteva avvertire distintamente il suo ringhiare basso e cadenzato; e sbirciando da dietro un tronco ritorto, ne comprese immediatamente il motivo.
Dinnanzi a loro si apriva un’ampia radura, al centro della quale si trovavano alcune figure scure immerse nell’ombra. Da una parte, i contorni mastodontici di quello che pareva essere un grande animale, sulla groppa del quale era accomodato qualcuno. Lì accanto un’altra figura più bassa, completamente nera, alle spalle della quale spuntava una chiostra di oggetti appuntiti che brillavano alla debole luce delle stelle. E ai suoi piedi, accasciata...
Cho!
Il grido di Cedric lacerò il silenzio prima che Roger avesse il tempo di proferire parola; scosso da un brivido il ragazzo pensò che probabilmente gli spiriti, al buio, ci vedevano meglio di lui.
In men che non si dica i fantasmi di Hogwarts balzarono all’interno della radura, fronteggiando i nemici. E prima che i compagni potessero trattenerlo, il giovane Tassorosso corse avanti, spostandosi veloce verso il centro dello spiazzo.
- Attento, Cedric!
L’urlo del Frate Grasso che lo richiamava indietro gli echeggiò nelle orecchie, ma ormai era troppo tardi; da un piccolo oggetto posizionato proprio al centro della spianata era appena fuoriuscito un cono di luce che, dopo aver girato velocemente su se stesso come un riflettore, si era infine rivolto verso la figura semitrasparente di Cedric e l’aveva colpita in pieno.
I fantasmi si guardarono l’un l’altro, trattenendo il respiro (che, nonostante tutto, continuavano ad esercitare - più per abitudine che per necessità, date le circostanze) ed emettendo infine esclamazioni di sollievo quando, poco dopo, videro la figura di Cedric che affiorava oltre fascio luminoso.
- Ma per la gloriosa bacchetta del signor padrino Salazar...
Il Barone Sanguinario non credeva ai suoi occhi, e così gli altri.
Non era uno spirito quello che, in piedi davanti a loro, si guardava intorno un po’confuso. Niente trasparenze, niente tremolii, niente aspetto gelatinoso ed incorporeo. Tutto il contrario, semmai. 
Peso, spessore, materia. I colori vividi della maglia giallonera che si stagliavano contro le ombre scure della notte.
Quello, inequivocabilmente, era un ragazzo in carne ed ossa.
- Ma cosa accidenti...
- Sono ridiventati solidi! Anche loro! Guardate! – urlò Dannis Canon il cui flash era sfolgorato poco prima, nel tentativo di carpire maggiori informazioni circa l’identità dei loro oppositori. - Se fossero ancora fantasmi, l'immagine non li ritrarrebbe!
La Polaroid incantata lo rivelò chiaramente: proprio al centro della fotografia ecco Ares Mulciber, con la povera Cho riversa ai suoi piedi, ed un maestoso cavallo palomino bardato a guerra, sormontato da un cavaliere con tanto di armatura e cotta di maglia. Guardando attentamente si scorgevano altre figure altrettanto corporee che sostavano alle loro spalle, seminascoste nell’ombra.
Roger Davies osservò la fotografia, sgomento.
- È lui. È quel Mulciber. Lo riconosco – affermò, mentre Cedric correva attraverso la radura nel tentativo di raggiungere Cho.
- Lasciala!
Mulciber, però, fu piú veloce.
- Levicorpus!
Il corpo della ragazza si sollevò prontamente da terra; prima di girarsi e guadagnare velocemente il margine ombroso della foresta, il mago oscuro scoccò al giovane Tassorosso uno sguardo di fuoco e, con un orribile ghigno scolpito sul volto scavato, lo sfidò:
- Vieni a prenderla, avanti!
Cedric si lanciò nella boscaglia al suo inseguimento, seguito a ruota da Roger Davies che, per una volta, si astenne dal preoccuparsi dei tralci spinosi che gli graffiavano il bel viso. Mirtilla e Colin, dopo essersi scambiati uno sguardo d’intesa, fluttuarono velocemente dietro di loro, chiamandoli a gran voce.
Nel frattempo anche il Barone si era avvicinato alla fotografia scattata da Dennis; il lugubre spettro fissava la carta stampata con un’espressione terribile negli occhi slavati.
- Cadmus Peverell – mormorò a voce bassissima, per poi voltarsi di scatto e raggiungere di corsa il cono di luce. 
Qualche secondo dopo, sotto lo sguardo sbigottito dei compagni, un giovane distinto ed elegantementete abbigliato fece capolino dalla cortina luminosa. Il suo capo era coronato da riccioli dorati come il sole; sul suo viso spiccavano un paio di occhi chiari come l’acqua, belli e straordinariamente vivi.
Albrech van Duiker, baronetto di Delft, aveva recuperato le sue fattezze terrene.
La Dama Grigia, le iridi pallide puntate su di lui, lo fissava impietrita.
 
- Ma che cosa diavolo sta succedendo?
La voce di Sir Nicholas, incerta, si sovrappose al mormorio dei compagni.
- Quella è la Pietra! - rispose prontamente Dennis Canon.
- La pietra? Che pietra?
- Spiegati meglio, Canon!
- La Pietra della Resurrezione! – chiarì immediatamente Dennis, scuotendo la testa – Cos’è: non lo avete mai letto il Cavillo, voi?...
Il Frate Grasso lo guardò con gli occhi sbarrati.
- Ti riferisci a... ad uno dei Doni della Morte?!
Fu in quel momento che Helena Corvonero si riscosse dal suo torpore e proruppe in un grido.
- Era sua... era sua! Gli apparteneva!... – gemette, con voce strozzata. – Me... me lo ricordo...
- Certo: apparteneva a Cadmus Peverell, il secondo Fratello – aggiunse Colin, che era sempre stato bravo a fare due più due. – La storia la sanno tutti, suvvia.
La Dama Grigia tremava da capo a piedi; le sue cineree pupille dilatate, a poco a poco, parevano perdere e recuperare lucidità.
- Mi ricordo. Mi ricordo... Io... io... Albrecht!
Un istante dopo, si era a sua volta gettata nel fascio di luce.
 
Il suono della sua voce pronunciava il suo nome.
Morbida, calda, armoniosa. Piena di vita.
Erano secoli che non l'udiva.
Attratto dal suo richiamo girò il capo e la vide, avvolta nel suo lungo abito azzurro come il cielo, bella come una regina.
Albrecht van Duiker sbattè appena le palpebre, abbagliato alla vista di Helena Corvonero che, ritornata corporea, gli si avvicinava di corsa.
Le dure parole di Cadmus Peverell, però, lo riportarono immediatemente alla realtà.
- Barone Sanguinario, in tutto il tuo meschino fulgore – sibilò il cavaliere, assestandosi sulla sella. – Ora che Helena è ritornata in vita, ti divertirai a pugnalarla di nuovo?
Lui scosse la testa bionda in un gesto di diniego.
- Mai – disse appena. - Ma sono pronto a saldare i miei debiti. Mi consegno volontariamente al Buio in cambio della sua salvezza, perché ormai l'ho capito: chi uccide il suo amore non merita pace né misericordia.
- No!
Helena l'aveva raggiunto e, accostata la spalla a quella del giovane barone, fronteggiava il cavaliere bardato.
- Non dargli retta, Albrecht!
Cadmus Peverell le rivolse un’occhiata sprezzante.
- Difendi forse colui che ti ha rubato la vita?
- Non è stato lui ad uccidemi! – gridò Helena, stringendo le dita intorno alla bacchetta. – Ed ora lo so, ne sono certa!  Sei stato tu!
Albrecht sbatté le palpebre, sorpreso.
- Che... come...
Sei stato tu! – Helena urlava, intercalando le parole ai singhiozzi. – Mi hai circuita, mi hai illusa... mii ha detto ciò che volevo senitrmi dire... ed io, da vera stolta, ci sono cascata!... T’ho seguito...
- Io ti ho amata, Helena – sbuffò Cadmus Peverell, irritato.
- No! Non amavi me, volevi solo vendicarti di mia madre! – la voce dell'ex Dama Grigia era acuta come il fischio di un rapace, intrisa di dolore. – Sempre la seconda! Sono sempre stata... la seconda, in tutto . E me lo merito – disse, affranta. – Quando lo scoprii (ti lessi la mente, frugando nei tuoi pensieri) decisi di tornare da lei, di riportarle il diadema e di chiederle scusa, ma tu... tu non me lo permettesti.
- Quel diadema mi serviva – il tono di Cadmus Peverell era calmo, imperturbabile. – Avevo già la Pietra; grazie alla saggezza colà rinchiusa, sarei stato finalmente in grado di gabbare la Morte.
- Mi uccidesti e mi riportasti in vita, sottomettendomi alla tua volontà e manipolando i miei ricordi – continuò Helena, mentre Albrecht la fissava sbalordito. – Ma quella tenue esistenza era solo una mezza vita; non ero veramente io, quella.
Albrecht la guardava scuotendo la testa. Faticava a capire, faticava a capacitarsi.
- Lui. Fu lui ad uccideri.
- Sì...
- E quindi, quand’io giunsi da te...
- Ero già morta... – disse tristemente Helena - ... ero solo un corpo vuoto; non mi ricordavo di te e tu, in quelle circostanze, non avresti potuto riconoscermi...
Lo vide che si premeva la mano sulla bocca.
- Non fui io ad ucciderti. 
Lei lo guardò negli occhi.
- Non uccidesti la vera Helena, ma solo un simulacro. Non ero davvero io, quella.
 
A poco a poco anche Sir Nicholas, il Frate Grasso, Dennis e Sir Patrick con il suo destriero, ad uno ad uno, erano entrati nel cono di luce ed avevano recuperato la loro corporeità materiale, pronti a combattere. Le bacchette sguainate e leggermente impacciati dalla loro ritrovata corporeità, si erano avvicinati ad Albrecht e a Helena, schierandosi al loro fianco.
- Ragazza testarda. Sciocca e indegna del cognome che porti.
Il rimprovero di Cadmus Peverell riempì Albrecht di disgusto, facendolo sobbalzare. Vedendosi improvvisamente attorniato dai compagni, quello che un tempo era stato il baronetto di Delft agì d’impulso, senza pensarci due volte.
Aggrappatosi di scatto alle finiture del cavallo di Sir Patrick, Albrecht montò in sella con un agile salto; poi, afferrate con forza le briglie, puntò i talloni nei fianchi dell’animale e lo spronò al galoppo.
E Cadmus Peverell, con un urlo da far gelare il sangue, lanciò a sua volta il suo terrificante cavallo da guerra contro di lui, facendo roteare la spada.
Albrecht!
Helena urlava, incapace di mouovere un passo alla vista del giovane che, disarmato, andava incontro ad un cavaliere equipaggiato di tutto punto.
Lui nperò on le diede retta.
“Ricorda sempre il valore del sangue, figliolo” gli aveva detto il suo signor padrino prima di concedergli la sua benedizione e lasciarlo partire alla ricerca di Helena. Sir Godric lo aveva accusato di essere monotematico, ma ora Albrecht lo sapeva, ne era certo: non era alla questione del sangue puro che Salazar Serpeverde, probabilmente sotto l’effetto di una premonizione, alludeva, bensì al suo sangue in procinto di mischiarsi per l’eternità a quello della giovane Dama Corvonero.
Al loro sangue, quindi, nonché a quello di Cadmus Peverell che un giorno, forse, avrebbe lavato l’oltraggio e ristabilito la verità.
Accadde tutto molto in fretta. 
Equilibrandosi sulla sella Albrecht estrasse il pugnale e, branditolo, lo scagliò in avanti con tutte le sue forze, direzionandone la traiettoria con l’aiuto della bacchetta.
E il pugnale incantato di Godric Grifondoro volò in linea retta, sibilando, fendendo l’aria e penetrando a fondo nella cotta di maglia di Cadmus Peverell che procedeva con la spada sollevata, fino a conficcarsi con forza nel suo petto scosso dall’affanno della cavalcata.
E il sangue del cavaliere schizzò fuori e si abbattè sul baronetto, che in quel momento incrociava il suo incedere, lavando via le macchie di sangue argentato che, da secoli, chiazzavano il suo giustacuore.
In quel preciso istante le sue lunghe e pesanti catene, simbolo di eterna contrizione, si dissolsero nell’aria; e insieme ad esse cavallo e cavaliere avversari, con relativi rimasugli di sangue, svanirono a loro volta sotto lo sguardo affilato di un ansimante Albrecht che, frenato il destriero di Sir Patrick con uno strattone alle briglie, lo induceva a girarsi e a ritornare adagio sui suoi passi.
Colmata la distanza che lo separava da lei, il giovane barone scivolò lungo il fianco del cavallo e posò i piedi per terra.
Quindi, avvicinatosi lentamente ad Helena, ristette al suo cospetto fissandola  a lungo con i suoi calmi occhi chiari, riempiendosi le pupille della sua travagliata bellezza e sforzandosi di tenere a bada i battiti irruenti del suo cuore nuovamente palpitante.
Infine, sopo aver sbuffato fuori l’aria, si chinò e stese una mano per afferrare delicatamente quella che la Dama gli porgeva.
La prima – le disse, sfiorando con le labbra la sua pelle tiepida e vellutata. – Per me, tu sei sempre stata la prima.

Note a pié di pagina:
Mi ha sempre intrigata la storia della Pietra della Resurrezione, che Harry lascia cadere nella Foresta Proibita dopo avere evocato James, Lily, Sirius e Remus. E mi sono detta: se c'è qualcuno in grado di ritrovarla, quello dev'essere per forza il suo 'legittimo' proprietario: Cadmus Peverell.
Avevo intenzione di rivsolvere i conti di Cadmus e Mulciber in un unico capitolo, ma la cosa rischiava di allungarsi un po'troppo e così ho deciso di tagliare a metà. In Anime Gemelle (II) scopriremo come andrá a finire la vicenda di Cedric e Cho, oltre ad avere qualche delucidazione in più sul perché e sul 'percome' di questo temporaneo ritorno allo stato solido.
   
 
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