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Autore: IndianaJones25    23/05/2019    9 recensioni
«Dottor Jones, tutti possiamo essere vittime di malevoli pettegolezzi. Se non ricordo male, in Honduras, lei fu accusato di essere un profanatore di tombe, anziché un archeologo.»
«Be’, in quell’occasione i giornali ingigantirono molto l’incidente…»
«E non fu il sultano del Madagascar che minacciò di tagliarle la testa, se avesse rimesso piede nel suo paese?»
«Non si trattava della testa…»
«Allora la sua mano, magari!»
«No, no, non era la mano. Era il mio… ehm… fu tutto un equivoco.»
Un breve racconto scritto in occasione del trentacinquesimo anniversario dell’uscita nei cinema del film “Indiana Jones e il tempio maledetto”, 23 maggio 1984.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Marcus Brody, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL GIOIELLO DEL PARADISO

Madagascar, 1931

   La stanza, calda e soffocante, era immersa in una semioscurità interrotta da lame di luce che piovevano dalle fessure aperte nelle pareti di pietra - in certi casi talmente larghe che vi si sarebbe potuta infilare facilmente una mano - facendo risaltare il fitto pulviscolo che si era formato nel corso dei secoli e che adesso si librava vorticando nell’aria al passaggio dei passi pesanti dell’archeologo.
   Gli occhi di Indiana Jones, irritati per tutta quella polvere e per il sudore che gli colava da sotto il cappello di feltro, erano ridotti quasi a due fessure, puntati dritti sul magnifico e gigantesco zaffiro appoggiato sopra una mezza colonna nel centro esatto della stanza.
   In vita sua, non ricordava di aver mai visto una pietra più bella di quella: di uno straordinario e brillante blu cobalto, la pietra finemente cesellata riluceva quasi di luce propria, come se un fuoco perenne vi fosse stato accesso all’interno. Era sorprendente pensare che, a parte la lavorazione, quel pezzo di minerale fosse opera della natura, che ancora una volta si riconfermava come il più grande e visionario di tutti gli artefici. Non ebbe alcuna difficoltà a capire perché quello zaffiro venisse chiamato Gioiello del Paradiso.
   Era stato Marcus Brody ad affidargli l’incarico di raggiungere il Madagascar e compiere quella ricerca; per una volta, però, l’oggetto che avrebbe dovuto ritrovare non sarebbe andato ad arricchire le sempre più pregiate collezioni del museo nazionale del Marshall College, almeno non per sempre.
   A quanto pareva, il sultano del Madagascar - che governava il paese in nome della Repubblica francese, di cui la vasta isola africana era da qualche decennio diventata una colonia - era una conoscenza di gioventù di Brody: i due si erano incontrati quando, per un periodo, avevano studiato entrambi alla Sorbona. Il facoltoso monarca aveva contatto il vecchio amico inglese, proponendogli un affare: il ritrovamento del Gioiello del Paradiso, una preziosa reliquia appartenente alla famiglia reale ma smarrita da secoli, in cambio della concessione esclusiva a condurre scavi archeologici in tutto il paese.
   Naturalmente, l’astuto curatore aveva afferrato al volo la ghiotta occasione di aggiungere ulteriori tesori alle teche del suo museo - nelle quali, peraltro, avrebbe fatto bella mostra di sé lo stesso Gioiello del Paradiso, che gli sarebbe stato dato in prestito per due bienni, fino al 1935 - ed aveva subito coinvolto Indy in quella nuova impresa. E, dal canto suo, l’archeologo - sempre smanioso di partire alla volta di località esotiche - non aveva esitato un solo istante ad accettare.
   «Sai, ti invidio moltissimo» gli aveva confidato Brody, con in mano un flûte di  ottimo champagne, la sera che era andato a casa sua per proporgli il lavoro. «Cinque anni fa ci sarei andato io, a cercare quel gioiellino.»
   Jones, che sentiva ripetere quel mantra da almeno cinque anni, non gli aveva minimamente badato.
   Aveva già avuto occasione di vedere Brody in azione sul campo, qualche volta, e sapeva fin troppo bene quanto fosse inadatto a quella vita ed a quel genere di cose. Tanto esperto e sicuro nel suo ambiente naturale, il museo - dove, tuttavia, di quando in quando era persino in grado di smarrirsi tra vetrinette e saloni -  quanto goffo e imbranato al di fuori di quello. Marcus era fatto così e bisognava accettarlo come tale.
   In ogni caso, pensò mentre afferrava a sua volta un calice, non gli dispiaceva affatto prendersi l’ennesima pausa dal suo noioso e monotono lavoro all’Università per andare a compiere un’elettrizzante ricerca.
   «Oltretutto, quello non è l’unico gioiello che si trovi laggiù» continuò il curatore, surriscaldato dal vino e dalle bollicine, facendo ruotare piano il poco liquido rimasto nel bicchiere come fosse stato whisky.
   «No?» chiese distrattamente l’amico, vuotando in un solo sorso il suo calice e riempiendosene subito dopo un altro. Tanto la bottiglia l’aveva offerta Marcus.
   «Dico davvero. Hamada, il sultano, è sposato con una donna molto più giovane di lui. Si dice che la natura le abbia fato dono di una bellezza incredibile e folgorante, al punto da essere stata soprannominata la Venere Nera dell’Oceano Indiano. Una perla rara, a quanto ne so.»
   Notando lo sguardo rapace da conquistatore incallito che, nell’udire quella notizia inaspettata, si era immediatamente dipinto sul volto di Jones, però, Brody si pentì subito di aver fatto cenno a quel dettaglio. In quanto ad Indy, la sua curiosità ne fu immantinente stuzzicata.
   «Continua» lo sollecitò, facendogli cenno con un dito. «Parlami ancora di questa strepitosa Antinea» aggiunse, riferendosi alla mitica regina di un romanzo di Pierre Benoît.
   «Non c’è proprio nulla da continuare» borbottò Brody, a disagio, abbassando il flûte e cercando inutilmente di assumere un aspetto autoritario per far desistere l’amico da qualsiasi proponimento si fosse messo in testa. Purtroppo per lui, non ci riuscì affatto. «Io… dimentica subito che te ne abbia parlato e, qualsiasi cosa ti sia venuta in mente, toglitela dalla testa. Il sultano del Madagascar è un vero e proprio Otello e, con lui, non c’è affatto da scherzare.»
   «Non scherzo mai, quando si tratta di belle donne» lo mise al corrente l’archeologo, con una serietà quasi paurosa, annuendo con solennità.
   «Lo so… purtroppo.» Brody non aveva voglia di andare avanti con quel discorso e sperò vivamente che sarebbe stato sufficiente troncarlo in fretta e furia per far dimenticare all’amico la bellissima principessa. Gettò un’occhiata all’orologio a pendolo appoggiato ad una delle pareti e finì le ultime gocce del proprio champagne. «Adesso, sarà meglio che vada. Domattina dovrai partire presto, ti ho già prenotato un volo da New York, tanto sapevo che non mi avresti detto di no. Buona fortuna e… prudenza.»
   Tuttavia, in barba a tutte le speranze di Brody, Jones non aveva affatto scordato la favolosa moglie del sultano. Anzi, a dire il vero, le aveva dedicato praticamente ogni suo pensiero, nelle ore successive, smanioso di poterla incontrare al più presto; del Gioiello del Paradiso, invece, si era quasi completamente dimenticato, e non vedeva l’ora di sbrigare quella faccenda - che, ora, gli pareva quasi un’inutile perdita di tempo, in confronto a ben altre e, almeno per lui, più lucrose incombenze - per potersi dedicare a ciò che più lo premeva.
   Sfortunatamente, quando al termine del lungo viaggio era infine giunto al cospetto di Hamada Andrianantenaina Rabemananjara I, Serenissimo Sultano del Madagascar, Signore di Antananarivo, Augusto Duca di Manakara, Ras della Flotta e dell’Esercito, Custode delle Memorie Malgasce, Depositario dei Segreti degli Antenati, Rappresentante Delegato della Repubblica di Francia, Gran Maestro e Cavaliere di Gran Cordone del Santo Ordine del Cristo Redentore, lo aveva trovato seduto al capo di una lunga tavola, attorniato da diversi attendenti ma senza che della fiabesca e a lungo sognata consorte ci fosse alcun segno nei paraggi.
   Il sultano era un ometto basso, con capelli e barba incanutiti che contrastavano parecchio contro il color ebano della sua pelle; indossava un’uniforme di panno scuro delle truppe coloniali francesi ricoperta da un numero talmente considerevole di medaglie di ogni tipo e foggia che, a prima vista, veniva da chiedersi come facesse a portarsi in giro tutto quel peso e, sulla testa, portava un elaborato diadema come simbolo del proprio rango. A vederlo così, se non fosse stato per i numerosi titoli che lo contraddistinguevano, lo si sarebbe detto solamente un buffo e insignificante piccoletto vestito a festa. Anzi, a dirla tutta, per Indy quei titoli erano solo parolone roboanti; l’unico di cui sarebbe stato interessante scoprire i retroscena era quello che non era stato annunciato dal maggiordomo di palazzo: marito della Venere Nera.
   Il monarca si era alzato per accoglierlo e, dimostrandosi un uomo parecchio alla mano, gli aveva dato una pacca sulla spalla e gli aveva promesso che, se fosse riuscito a ritrovare il Gioiello del Paradiso, oltre che a mantenere tutti gli accordi in precedenza assunti con Brody, gli avrebbe permesso di chiedere qualsiasi cosa come propria personale ricompensa.
   Resistendo alla tentazione di domandargli di potersi divertire in privato con sua moglie, a cui avrebbe fatto scoprire cose che, con lui, di certo non si era mai neppure immaginata, Jones aveva dato fondo a tutto il proprio repertorio di sfacciataggine replicando che si sentiva davvero onorato di essere al suo servizio e che non vedeva l’ora di mettersi all’opera e che solo per questo motivo era giunto fin lì.
   A quel punto, gli era stato lasciato campo libero.
   Il Gioiello del Paradiso, appartenuto da sempre alla famiglia reale, era scomparso da almeno tre secoli; l’unica certezza che si aveva era che non aveva mai lasciato il palazzo ma, per quante ricerche fossero state condotte in proposito, nessuno era mai riuscito a trovarlo.
   Si diceva che fosse stato ricevuto in dono da Runako Rakotonomenjanahary Rajoarimanana Ranaivo Randriamamonjy I (e, stranamente, anche ultimo con un tale nome), antenato diretto dell’attuale sultano, come ricompensa per aver offerto aiuti e riparo ad alcuni pirati francesi che, nel corso del XVII Secolo, avevano stabilito le proprie basi sulle coste dell’isola. Ma il sultano, temendo che i pirati potessero cercare di tradirlo riprendendosi la pietra, l’aveva nascosta in un punto segretissimo della sua dimora; sfortunatamente, l’aveva nascosta così bene che, per quanti sforzi fossero stati fatti in proposito, nessuno era mai più riuscito a rintracciarla dopo la sua morte.
   Indiana Jones, tuttavia, era un archeologo molto esperto, scrupoloso e testardo e, infatti, gli furono sufficienti solamente un paio di giorni per riuscire ad individuare un passaggio segreto che avrebbe potuto portarlo a destinazione. Informandosi, aveva saputo che tutte le ricerche condotte fino a quel giorno si erano concentrate esclusivamente nei sotterranei del palazzo, il luogo ideale in cui si riteneva più probabile che potesse essere nascosto qualcosa. Anche lui, se non avesse avuto a propria disposizione quelle informazioni fondamentali, avrebbe senza dubbio finito per cercare a lungo e inutilmente tra i bui cunicoli che si diramavano in diverse direzioni al di sotto del palazzo; ma, con un’intuizione rivelatasi subito corretta, decise di cominciare a cercare dall’alto.
   Una volta imbattutosi nel pannello che celava il corridoio segreto - nascosto dietro la rappresentazione di Adebunmi Nanyamka Nbulungi Ramakeele, la giunonica moglie del sultano che aveva nascosto il gioiello - aveva iniziato a percorrere stretti budelli e rapide scalette che si trovavano dietro le pareti, formando piccole intercapedini tra i muri interni e quelli esterni del palazzo, in certi casi così strette da costringerlo a strizzarsi ed a contorcersi tutto per riuscire a passare. Per fortuna, di quando in quando, verso l’esterno si aprivano delle strette feritoie, da cui passava quel poco di luce gli che era abbastanza per vederci ed aria a sufficienza per rendere più accettabile l’atmosfera rarefatta che si respirava lì dentro.
   Infine, sudato e coperto di polvere e ragnatele dalla testa ai piedi, giunse in quella camera di pietra, posta quasi nel sottotetto, e vide lo stupendo gioiello risplendere sul suo piedistallo; il vecchio sultano aveva scelto un nascondiglio davvero a prova di pirata, ma non aveva fatto i conti con Indiana Jones.
   A passi lenti, un ghigno di trionfo dipinto sul viso accaldato e le mani che si muovevano piano per il trionfo imminente, vi si avvicinò, studiando la situazione ed osservando attentamente la mezza colonna. Riteneva improbabile che ci fossero ulteriori accorgimenti a difesa del gioiello - tipo congegni con trabocchetti micidiali o cose del genere - ma non poteva esserne del tutto sicuro ed un po’ di prudenza non avrebbe di certo guastato. Tuttavia, fu sufficiente una semplice occhiata per rendersi conto che non c’era alcun pericolo e che, quindi, non c’era proprio da aver paura di nulla. Il suo fiuto e la sua esperienza, che non lo avevano mai ingannato, non avrebbero potuto sbagliarsi proprio adesso!
   Desiderano toccare quella pietra bellissima, allungò la mano e la strinse nel pugno. Fece appena in tempo a smuoverla di pochi centimetri che il pavimento cominciò a vibrare violentemente, fino ad aprirsi sotto i suoi piedi; colto alla sprovvista, non riuscì ad aggrapparsi a nulla e precipitò nel vuoto.
   Cadde per almeno tre metri, prima di piombare all’interno di quello che pareva un ripido scivolo estremamente levigato, al punto che iniziò immediatamente a capitombolare verso il basso senza possibilità di fermarsi.
   Rotolando e imprecando, Jones fu trasportato suo malgrado fino ad un nuovo condotto, questa volta pieno d’acqua che scorreva rapidamente; temendo di annegare, riuscì a prendere due o tre boccate d’aria, prima di ricominciare il suo folle viaggio verso un’ignota destinazione. Non aveva idea di dove fosse capitato e quella caduta tutta curve e sballottamenti non faceva altro che disorientarlo, oltre che provocargli numerosi ematomi su tutto il corpo.
   Alla fine, quando ormai credeva di essere destinato a rimanere per sempre in quell’umida, tetra e vorticosa oscurità, vide una luce brillare davanti a sé, in fondo al tunnel. La luce si fece via via più forte mano a mano che vi si avvicinava alla velocità di un proiettile, fino a quando il condotto si interruppe, tramutandosi in una cascatella che zampillava allegramente all’interno di quella che sembrava la grande vasca di una fontana, circondata da pareti dipinte di colori tenui e affrescate con motivi floreali.
   Jones, bestemmiando e sbottando maledizioni, rotolò fuori dal tubo e terminò la propria corsa nella vasca della fontana, sollevando schizzi da tutte le parti e schiacciando sotto di sé qualcosa di morbido e delicato che, lì per lì, non seppe riconoscere.
   Sputando acqua ed ancora incerto di quanto accaduto davvero, si sollevò e, come nel più bello di tutti i suoi sogni, vide fanciulle completamente nude fuggire atterrite fuori dalla vasca, con gridolini di sconcerto che riempivano l’aria come cinguettii di uccellini.
   Per un folle momento, pensò di essere veramente stato trasportato nella leggendaria Atlantide governata dalla regina Antinea, di cui quella doveva essere la favolosa corte; leccandosi le labbra e scuotendo il capo, però, riuscì a riordinare le idee. Ed in un attimo comprese che quella non era una fontana, bensì la vasca da bagno della moglie del sultano!
   «Ho un brutto presentimento…» borbottò, facendo un balzo all’indietro che provocò nuove ondate ed abbassando lo sguardo.
   Come aveva temuto, la “cosa” morbida a cui era piovuto addosso non era affatto una cosa, bensì una giovane donna, per meglio dire la principessa. Ebbe un’immediata certezza: Brody aveva avuto ragione, anzi le sue parole non erano riuscite a rendere per nulla omaggio alla bellezza straordinaria della donna. Le sue forme meravigliose erano sottolineate dall’armoniosità della sua pelle color del caffè più nero, ed i suoi occhi marroni parevano emanare bagliori. All’improvviso, nonostante l’acqua fredda che gli aveva fatto accapponare la pelle, Jones sentì un certo inturgidimento che nulla aveva a che fare con il suo bagno fuoriprogramma.
   Doveva controllarsi. Improvvisare qualcosa.
   «Io le ho portato il Gioiello del Paradiso, altezza» disse, sollevando lo zaffiro che, per tutto il tempo, aveva stretto in mano. «Glielo offro come pegno alla sua bellezza.»
   La donna, ancora intenta a massaggiarsi il corpo che le doveva fare parecchio male, dopo che la pesante massa dell’americano le era piombata addosso, fino a quel momento non aveva aperto bocca, osservandolo con il giusto stupore che si potrebbe riservare a qualsiasi uomo piovuto dal cielo con una pietra preziosa in mano ed una frusta alla cintura. Non sono esperienze che si possa ammettere di vivere quotidianamente.
   Poi, come ipnotizzata dalla magnificenza di quel gioiello, allungò una mano per prenderlo; ma Indy, interpretando male quel gesto e credendo che lei gli stesse domandando di aiutarla a rialzarsi, lasciò andare lo zaffiro e, con entrambe le mani, afferrò la principessa sotto le ascelle e la sollevò come fosse stata un fuscello. Quindi, non contento, quasi volesse accertarsi che non si fosse rotta nulla, la toccò rapidamente su tutto il corpo, indugiando un po’ troppo su certi punti piuttosto che su altri.
   Lasciato passare un altro momento di sconcerto, però, la giovane donna parve finalmente rendersi conto della situazione e, dopo essersi sottratta a quelle mani frenetiche ed essere di nuovo sprofondata nell’acqua fino al collo per non farsi vedere, cominciò ad emettere grida così acute che Jones fu costretto a tapparsi le orecchie per evitare che gli esplodessero i timpani.
   Il primo ad accorrere fu il sultano in persona che, vedendo l’archeologo sovrastare sua moglie nascosta nell’acqua e terrorizzata, per poco non svenne dall’orrore e fu sorretto appena in tempo dal suo intendente.
   Subito dopo, sopraggiunsero numerose guardie, che si gettarono nella fontana e, dopo averlo malmenato per renderlo inoffensivo, immobilizzarono l’americano, il quale provò inutilmente a spiegare la situazione. Lo condussero via a viva forza, senza prestare ascolto alle sue urla di protesta, mentre le ancelle, nel frattempo rivestitesi, tornavano di corsa per portare aiuto alla loro signora tremante e fuori di sé per un orrore che chiedeva vendetta a gran voce.

   Indiana Jones fu condotto nei tetri e soffocanti sotterranei del palazzo e messo in ceppi. Legato con quelle catene e impossibilitato a fare altro, non gli restò altro da fare che provare a spiegarsi, ma le sue proteste caddero nuovamente nel vuoto e nessuno gli badò, perlomeno non fino a quando, dopo parecchie ore, il sultano Hamada - rimessosi dallo spavento provato - si decise finalmente a fargli visita.
   «Altezza, la prego di credermi quando le dico che qui è tutto un eq…» cominciò a dire l’archeologo ma, ad un cenno del sultano, una guardia gli diede una randellata nelle costole per obbligarlo a tacere.
   Il monarca incrociò le mani dietro la schiena e cominciò a passeggiare avanti e indietro per la buia e fredda cella.
   «Lei lo sa, professore, quale crudelissima e meritatissima pena i miei antenati applicavano a coloro che tradivano la loro fiducia, specialmente quando si sentivano colpiti negli affetti coniugali?» domandò, senza fermarsi né guardarlo.
   Jones pensò che avrebbe fatto meglio a mantenersi in silenzio, quindi, anziché ricorrere alla sua solita ironia per azzardare una battuta sferzante, non disse alcunché.
   «Il Taglio» continuò il sultano, imperterrito.
   A questo punto, Jones non seppe più trattenersi.
   «Un taglio?» domandò, tra il perplesso e l’orripilato. «Taglio di cosa? Della mano? Della… testa?»
   «Oh, no, professore, no» replicò il sovrano, conciliante, scuotendo il capo. «Non un semplice taglio, bensì il Taglio. Quello supremo e definitivo. Decapitarla? Troppo rapido e indolore. Mozzarle una mano? Gliene resterebbe sempre un’altra.» Finalmente, si fermò e lo fissò dritto negli occhi, con una luce maniacale accesa nello sguardo. «No, no, no, il Taglio che praticavano i miei antenati faceva sì che i loro nemici non potessero mai più avere la tentazione di approfittarsi delle spose altrui, neppure se fossero strisciati dentro il più popoloso degli harem!»
   Jones, compreso all’istante a che cosa stesse alludendo quel pazzo di sultano, sbiancò e si sentì montare dentro una paura tremenda. Che gli tagliassero pure la testa, se lo credevano necessario, ma non quello. Quello voleva portarselo anche all’altro mondo, accidenti a tutto! Non poteva davvero credere di aver ritrovato un Gioiello del Paradiso solo per rischiare di perdere il proprio! Istintivamente, strinse le gambe il più possibile.
   «Senta…» provò a dire, ma il sultano lo ignorò e, fattosi consegnare dal suo inseparabile intendente un astuccio di pelle, ne estrasse un lunghissimo ed estremamente affilato coltello di ossidiana con l’impugnatura in oro massiccio. Quell’affare doveva avere un enorme valore, nessuno lo metteva in dubbio, ma Jones non aveva alcuna intenzione di perdere il proprio “gioiello”, neppure se gli fosse stato portato via dal pugnale più prezioso del mondo. Invano, cercò di strattonare le catene che lo tenevano fermo per provare a liberarsi.
   «Inutile spreco d’energie, professore» sussurrò sadicamente il sultano. «E l’avverto che, per il Taglio, gliene occorreranno davvero tantissime, dato che, per antica tradizione, si pratica senza anestesia. E io, da vero custode delle tradizioni del mio Paese, intendo rispettarle fino in fondo.»
   «Aspetti… aspetti…» borbottò l’archeologo, provando in ogni maniera a trovare una veloce soluzione che lo potesse tirare fuori da quella situazione follemente assurda. «Le giuro che si è trattato di un equivoco. Io ho ritrovato il Gioiello del Paradiso, come lei mi ha richiesto, ma quando l’ho preso…»
   Hamada gli si era avvicinato ed aveva fatto un cenno ad una delle guardie affinché cominciasse a spogliarlo; a quelle parole, tuttavia, bloccò il soldato con un gesto imperioso e ripeté: «Il Gioiello del Paradiso? Lo ha trovato?»
   «Certo, sì, e quando l’ho toccato…»
   Il monarca non gli prestò altra attenzione, ma si allontanò subito con i soldati ed il suo intendente, lasciandolo nuovamente solo e, soprattutto, ancora tutto d’un pezzo.
   Nonostante la situazione, per lui, non fosse affatto migliorata, per il momento poté trarre un sospiro di sollievo. Ma come diavolo era possibile che, ogni volta che metteva piede fuori di casa, finisse col cacciarsi in simili situazioni? D’accordo correre i rischi del mestiere, ma lui esagerava… e Brody non lo pagava abbastanza per tutto questo! Appena avesse risolto questa dannata faccenda e fosse riuscito a tornarsene tutto intero in America, si sarebbe dovuto ricordare di chiedergli un aumento di stipendio.
   Rimase in quella scomodissima posizione, senza neppure poter bere un goccio d’acqua e con i muscoli delle braccia e della schiena che pareva volessero urlare per il dolore, per almeno altre cinque ore, che in quella semioscurità ed in quello stato di faticosa attesa gli parvero durare almeno una settimana. Alla fine, quando ormai cominciava a rassegnarsi all’idea che se lo fossero dimenticato e che sarebbe dovuto restarsene chiuso lì dentro fino a quando non avesse escogitato un modo per liberarsi da solo vide riapparire il sultano con la sua scorta.
   La prima cosa che i suoi occhi stanchi notarono fu che Hamada aveva ritrovato lo zaffiro, che lui aveva lasciato cadere nella vasca per aiutare - e toccare qua e là - la principessa e lo aveva appuntato ad un turbante che si era messo in testa.
   Visto che il sultano impugnava ancora l’affilatissimo pugnale, Jones temette che il brutto momento fosse infine arrivato. Non aveva nessuna voglia di diventare un eunuco, proprio no, anche perché era più che certo che, in questo modo, avrebbe gettato intere schiere di pulzelle nella disperazione più cupa. In un ultimo disperato tentativo di difesa, strinse nuovamente il più possibile le gambe, mettendo al riparo il suo personale Gioiello del Paradiso che, per quanto lo riguardava, era molto più prezioso di quello che portava in testa quel barbagianni di un sultano.
   Tuttavia, le sue paure scemarono ed un briciolo di speranza gli si accese dentro quando il sultano, indicandolo, ordinò in modo brusco che fosse liberato.
   L’intendete in persona aprì le catene e lo sorresse quando Jones, non sentendosi quasi più i muscoli, rischiò di crollare sul pavimento di fredda e polverosa pietra. Poi, affidatolo ad una delle guardie affinché lo aiutasse a reggersi in piedi, annunciò in un tono pieno di enfasi, come se stesse leggendo un proclama di fronte ad un’assemblea: «Sua alta eminenza il sultano del Madagascar si ritiene soddisfatto del lavoro compiuto secondo le sue richieste, ma questo recupero non può in alcuna maniera lavare l’onta e l’offesa patite dalla sua eccellentissima persona. Egli decreta, quindi, che ogni accordo precedentemente preso con gli americani sia da ritenersi nullo e non più rivedibile. Egli, però, nella sua magnanima ed infinita clemenza ed in nome dell’amicizia che un tempo lo legò a Marcus Brody, concede che la pena prevista per l’archeologo americano rispondente al nome di Henry Jones, Jr. sia sospesa. Ordine altresì che Jones sia bandito vita natural durante dal paese e gli accorda un tempo massimo di ventiquattro ore a partire da adesso per raccogliere i propri effetti e lasciare il Madagascar; se scaduto tale lasso di tempo egli dovesse trovarsi ancora entro i confini del paese, sarebbe perseguito come un criminale.»
   Il sultano fece un passo avanti e, dopo aver studiato con disgusto il volto dell’archeologo, sbottò, sollevando il lungo coltello affinché lo ammirasse per bene da vicino: «E la prossima volta che me la troverò davanti, dottor Jones, la evirerò personalmente e con sommo piacere!»
   Ogni residuo di sfinimento e malessere scomparve immediatamente dal corpo di Indiana Jones che, ritrovato l’ardore di sempre, fu lesto a scappare dal sotterraneo ed a raggiungere la propria camera da letto, dove raccolse in fretta e furia le proprie cose. In meno di dieci minuti, cappello in testa e valigia in mano, era fuori dal palazzo, a bordo di un furgoncino scoppiettante che lo condusse in fretta al più vicino aeroporto. Qui, acquistò un biglietto per il primo volo diretto fuori dal paese, un aeroplano che avrebbe fatto scalo in Sudafrica e, poi, sorvolando l’Atlantico, sarebbe proseguito verso l’America latina.
   Non appena il velivolo si fu staccato da terra, Jones poté ritornare a respirare per davvero.
   In qualche modo, era riuscito a scamparla anche quella volta ma, adesso, per un po’, avrebbe detto basta a guai del genere; si sarebbe rilassato. Dato che stava andando in Sud America, pensò che non gli avrebbe fatto male fare una capatina in Honduras dove, stando a quello che gli aveva raccontato Brody pochi giorni prima che partisse verso l’Africa, erano state individuate delle tombe ancora inesplorate. Pareva proprio un lavoretto semplice, giusto per rilassarsi. Ci avrebbe fatto una capatina al più presto…
   Senza più pensare al sultano del Madagascar o al Gioiello del Paradiso - ma rivolgendo un ultimo fugace pensiero alla bellissima Venere Nera - abbassò il cappello sugli occhi, incrociò le braccia e si accoccolò meglio sul sedile, pronto a schiacciare un pisolino.

 [scritto: gennaio 2019]
   
 
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