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Autore: Adele Emmeti    23/05/2019    1 recensioni
In un mondo apocalittico, dove gli umani sopravvissuti all'avvento dei sanguinari Succhiatori cercano di armarsi per reagire all'assalto, la piccola Carey viene ritrovata allo stremo delle forze, sfatta e affamata, ancora sconvolta dallo straziante omicidio del padre.
In grembo all'umana che la soccorre, la bambina non può immaginare che da lì a breve diventerà una delle combattenti più temute e che proprio tra coloro che odia e che caccia con violenza, si nasconde quel qualcuno che ha sempre cercato, fin dalla nascita...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il bosco in fondo alla gola della valle, opacizzato dal sottile strato di nebbia mattutina, appariva spento e desolato. Nessun movimento tra le fronde, nessun uccello in volo, nemmeno un vento gelido a lambire i bordi delle foglie. Sembrava tutto immobile. Il capitano Duncan, i secondi Ferguson, Tyler e Carey, si arrampicavano sulla punta della collina, con le loro tute grigie e verdi, seguiti da un gruppo di altri venti Rubini. Avevano saputo che, nel cuore di quel bosco, sorgeva una tenuta settecentesca di commercianti di schiavi, con enormi cantine e scantinati probabilmente popolate da umani superstiti. Il loro obiettivo era di superare la collina, arrivare a valle, inoltrarsi nel bosco e insinuarsi nella tenuta nel più breve tempo possibile. Se avessero trovato degli umani, li avrebbero bendati e legati, come quelli accolti due giorni prima, poi spinti rapidamente su per la collina, verso le camionette nascoste nella sterpaglia alta.

«A valle ci divideremo: io e Carey a destra con sette degli altri, Ferguson e Tyler con altri sette a sinistra. Gli ultimi sei resteranno ai bordi del bosco a pattugliare. Dobbiamo stare molto attenti.» Sussurrò il capitano Duncan, osservando il boschetto dall'alto.

«L'ultima volta ce ne andammo poco prima che irrompessero nel covo.» Aggiunse Tyler stizzito.

«Sapevano perfettamente dove fossimo. Ormai è chiaro che abbiano degli infiltrati.» Continuò Ferguson, sostenendo le insinuazioni dell'amico.

«Impossibile... se ci fosse un infiltrato tra di noi, lo noteremmo subito.» Carey odiava gli allarmismi infondati.

«Allora come fanno a sapere sempre dove siamo? Ad arrivare quasi in contemporanea con noi?» Le rispose Tyler con tono di sfida.

«Tyler, ne parleremo a Newborn. Ora concentratevi.» Concluse il capitano con fermezza.

Carey lo guardò di sottecchi, abbassandosi il passamontagna in viso. I suoi occhi neri brillavano attraverso l'unica apertura, colmi di furente determinazione. Nessuno avrebbe detto che sotto quello strato di stoffa nascondeva un viso ancora acerbo, costellato di sporadiche lentiggini chiare e delle labbra aranciate, in contrasto con la pelle bianco-latte. I passamontagna abbassati fino al collo, i pantaloni e le felpe abbondanti, rendevano i Rubini tutti uguali. Al segnale d'assalto, Carey sollevava il cappuccio sulla testa e la sua figura sottile e scattante si perdeva nella mischia, come un'ombra immateriale.

Al via del capitano, il gruppo si divise e i due sciami laterali avanzarono velocemente, a passi felpati. Erano muniti di sole lame affilate taglia-testa e corde arrotolante in vita, per annodare i Succhiatori destinati alle torture o a spettacolari tornaconti.

Ben presto apparve la tenuta patronale, circondata da alti frassini e salici piangenti. L'intonaco era crollato in più punti, lasciando il legno sottostante scoperto; le finestre erano in parte rotte, piene di frammenti scoperti e il grosso portone centrale era tanto serrato da sembrare calcificato.

I Rubini si avvicinarono sfiorando a malapena la terra, e perlustrarono ogni varco alla ricerca di un'entrata.

Ferguson trovò una botola e con alcuni sibili inudibili all'orecchio umano, chiamò a sé i compagni, che si accostarono a lui con estrema cautela. Con un solo tocco, la botola fu scardinata, e tutti loro si infiltrarono rapidamente, immergendosi in un bagno di buio assoluto. Ivi sfregarono le mani, ed esse si illuminarono di una buona luce, più che sufficiente per orientarsi. Il corridoio delle cantine era piuttosto lungo e diverse stanze si succedevano ai lati, una dopo l'altra. Percorrendolo, sostarono in uno spazio rotondo, umido e gocciolante, tappezzato di muffa e muschio negli angoli. Si respirava un odore di acqua stantia e di feci di topo. Perlustrarono ogni angolo e ogni insospettabile rifugio, ma trovarono soltanto dei grossi bauli pieni di vecchi arnesi agricoli e ferraglie arrugginite. Di insediamento umano nemmeno l'ombra.

A un tratto, alcuni passi pesanti risuonarono dal piano superiore, e tutti loro si immobilizzarono.

I passi aumentarono e crebbero di intensità, fino a diventare numerosi e confusi. Infine, delle voci si aggiunsero al fracasso e i Rubini le riconobbero: appartenevano a un gruppo di Succhiatori arrivati a perlustrare la zona, esattamente come loro.

«Saliamo e uccidiamoli» disse Tylor con impeto.

«Non sappiamo quanti sono... aspettiamo.» Sussurrò Ferguson.

«Se aspettiamo aumenteranno. Salendo adesso, possiamo abbattere questi subito e gli altri man mano che arrivano», gli rispose Tyler.

«Se sono stati avvisati da una talpa è tutto inutile. Sanno perfettamente chi e quanti siamo e hanno aspettato che scendessimo per toglierci tutte le vie di fuga. Potrebbero averci già incastrati... » affermò Carey attirandosi gli sguardi sconcertati dei compagni addosso.

«Se così fosse non avrebbero fatto tutto questo casino! Si sarebbero appostati silenziosamente agli ingressi.» La riprese Tyler.

«La verità è che pensano di essere arrivati per primi. A Newborn ho diffuso la notizia che saremmo partiti in tarda mattinata. La talpa ha comunicato loro l'orario sbagliato. I bastardi pensano di poterci attendere al varco e sterminarci facilmente, ma non sanno che, in realtà, siamo sotto i loro piedi.» Intervenne il capitano.

Carey sorrise: «dunque la situazione si ribalta.»

«Non solo. Ora siamo certi di avere una talpa e che questa non è una dei presenti.» Aggiunse il capitano.

Improvvisamente, le voci dall'alto si placarono e con esse i passi casuali. Poi qualcuno urlò. Ai rubini parve di udire: “fuori di qui! Fuori subito!”. I passi si tramutarono in frenetici e le camminate divennero corse precipitose.

«Che succede?» Chiese Ferguson sgranando gli occhi.

«Stanno fuggendo... » sussurrò piano Tyler.

«Che non ci siano... anche loro.» Suggerì infine Carey e tutti sollevarono i capi terrorizzati.

Il caos si interruppe nuovamente e lasciò il posto al silenzio.

Duncan, come del resto anche gli altri, aveva compreso perfettamente il motivo della fuga dei Succhiatori. Quello che agli umani non avevano ancora detto, e che preferivano rivelare quando costoro avrebbero ritrovato una certa stabilità mentale, era che oltre ai Rubini e ai Succhiatori, esisteva una terza razza, più cinica e violenta delle altre due messe insieme: la razza dei Livellatori.

Essi nacquero quando alcuni Succhiatori, curiosi di conoscere il sapore dei Rubini, ne azzannarono alcuni presi prigionieri e restarono folgorati dalla luce tracotante fuoriuscita dalle lacerazioni. Accanto ai loro corpi fumanti, le creature avvelenate dal loro morso, avevano iniziato un certo tipo di trasformazione. I loro corpi si erano gonfiati e inspessiti, i loro occhi avevano perso colore, diventando di un unico nero profondo, le loro voci erano diventate cupe e gutturali. Era come se avessero assunto la peggiore delle forme demoniache. E invece di rincorrere gli umani, come Rubini e Succhiatori facevano ormai da mesi, essi iniziarono a perseguitare proprio loro, le creature soprannaturali. Il loro scopo divenne quello di cancellarli tutti dalla faccia della Terra, di cercarli e sterminarli così da estinguere le forze del Bene e del Male in egual modo, nonché di restare le uniche vere potenze del creato.

Un ruggito riempì l'aria e si espanse per il bosco circostante e lungo la parete della vallata.

«Sono proprio loro.» Affermò Tyler con il fiato alterato, dopo aver riconosciuto il richiamo del capogruppo.

«Dobbiamo allontanarci il prima possibile» disse Ferguson.

«E da che parte andiamo? Siamo bloccati nelle cantine! Questo è stato il piano più stupido che abbia mai seguito!» Continuò Tyler.

«Proseguiamo lungo il corridoio! Guardiamo nelle stanze! Magari ci sono delle botole o dei passaggi nascosti!» Suggerì con fermezza Carey, e così fecero. Si inoltrarono in tutte le stanze, a passi leggeri e felpati. Sbirciarono in ogni angolo, dietro ogni baule, accanto a ogni scala, fino a raggiungere una grande stanza dall'alto soffitto.

Illuminando a fatica l'aria con le mani iridescenti, uno di loro scovò un'uscita nella parete a destra dell'ingresso. Emise un sibilo e tutti gli altri si fermarono per poi raggiungerlo.

«Sembra che dia su una scala interna. Non so dove porta.» Affermò il giovane Rubino.

«Magari porta alle cucine. Questa doveva essere una cantina dove conservavano le scorte di cibo.» Disse il capitano e in quel preciso istante lo sbattere violento delle botole all'inizio del lungo corridoio sotterraneo, rimbombò nitido e agghiacciante.

«Stanno scendendo. Avranno sentito il nostro odore.» Biascicò Tyler.

«Prendiamo la scala. Non abbiamo alternative!» Carey si lanciò per prima e imboccò lo stesso ingresso. Gradino per gradino, le parve di uscire dal ventre di una balena arenata. L'aria si faceva più tiepida, quasi rovente. I compagni la seguirono, aggrappandosi ai grandini con le mani, mentre dal fondo del corridoio, alcuni passi pesanti e dei respiri rauchi riempivano gli spazi e li raggiungevano fin dentro le ossa.

Quando finalmente riuscì ad emergere con la testa all'esterno, Carey si ritrovò in una stanza che sembrava a tutti gli effetti una cucina dismessa. I suoi occhi neri misero a fuoco un bagliore lontano; uscì con tutto il corpo e percepì un forte odore di fumo. Si scostò dall'uscita del cunicolo di collegamento e si spostò di lato per far passare gli altri. Quando tutti furono fuori, realizzarono che il bagliore era prodotto da alcune fiamme e che in quell'edificio, i Livellatori avevano appena appiccato un incendio.

«Avranno già fatto delle cataste di corpi con i Succhiatori e vogliono carbonizzarli insieme a tutto il resto.» Disse Ferguson.

La puzza di fumo divenne densa e pungente. I Rubini avanzarono verso l'uscita della cucina, decisi a trovare un modo per sgattaiolare all'esterno il prima possibile, da una qualche finestra o porta di servizio. Ma appena svoltarono dentro una sala rivestita di travi di legno, un'ascia possente tagliò l'aria sibilando e la sua lama si conficcò nella povera testa di un anziano Rubino.

Tutti si voltarono di scatto: un Livellatore era apparso senza emettere alcun suono e aveva ammazzato l'ultimo della fila. Allora fu il caos. Con un urlo, il Livellatore attirò altri dei suoi; i Rubini iniziarono a correre uniti, ma le asce massicce ne raggiunsero due e li abbatterono all'istante. Presi dalla paura, immersi nel fumo e circondati dalle fiamme, il gruppo di sgretolò e ognuno seguì una direzione a caso. Carey e il capitano Duncan rimasero insieme e salirono lungo una scala di legno, rivestita di moquette verdastra. Arrivarono al piano superiore e intravidero, dalle finestre, alcuni dei Rubini rimasti a fare da ronda all'esterno, brandire delle funi e attenderli dai rami più alti di alcune querce. Carey fece segno al capitano di raggiungere la stanza più vicina agli alberi, così che prese le funi avrebbero potuto legarle all'interno e su di esse scivolare fuori.

Corsero a perdifiato. Sfondarono una porta a calci e si fiondarono sulle finestre tappezzate di macchie e impronte antiche di bambini. Carey ne spalancò una e vide che da una finestra più in là, due dei loro compagni avevano già attaccato le funi e scorrevano lungo di esse. Se ne rallegrò e iniziò ad agitare le braccia, così che i Rubini sugli alberi la vedessero.

Il capitano si posizionò alle sue spalle, brandendo le sue due lame affilate.

Carey avrebbe voluto urlare, ma temeva che i Livellatori l'avrebbero sentita. Emise alcuni sibili, ma l'attenzione dei Rubini sui superstiti dall'altra ala dell'edificio era troppa perché la notassero. Vide Ferguson e Tyler mettersi in salvo. Emise altri sibili, si sporse sul bordo della finestra e poco prima di scivolare verso il basso, finalmente venne notata. I Rubini si spostarono sui rami più vicini al loro versante e gettarono una fune nella loro direzione. La giovane la colse al volo, si voltò vero l'interno e cercò con foga un appiglio sicuro.

«La stufa!» Suggerì Duncan a mezza bocca.

La ragazza vide l'imponente stufa di ghisa e corse ad avvolgervi la corda intorno. Poi si rivolse verso il capitano e gli fece cenno di andare.

«Vai prima tu.» Le suggerì con fare paterno. Carey annuì ma si accorse d'improvviso che, alle spalle del capitano, un Livellatore dalle braccia pesanti, cosparso di vivide cicatrici intorno alle buie cavità oculari, si stava dirigendo verso di loro a una velocità incalcolabile. Si lanciò, allora, dinnanzi al comandante e sfoderò la sua lama, con la quale batté contro il ferro scagliato dall'altro. Ma la forza di questo era prorompente, e con estremo sforzo lo respinse quel tanto da scostarsi dalla sua traiettoria. Cadde di lato e Duncan le coprì le spalle, inserendosi nello scontro. In un secondo si mise in piedi. Il fuoco aveva raggiunto la loro stanza e il pavimento vibrava, scosso dalle travi in procinto di cedere. I due Rubini si affiancarono e convogliarono tutta la loro forza nelle lame lucenti, facendole vibrare e assestando colpi vigorosi e precisi. Ma il Livellatore caricava come un forsennato, sogghignando e mostrando i denti acuminati, avvezzi al loro sangue benedetto. La lotta-fuga continuò per alcuni minuti. I due Rubini crollavano a terra e si rialzavano trattenendo il fiato per l'ansia e la concentrazione, mentre il Livellatore si divertiva a riabbatterli senza troppa fatica. Provarono ad assalirlo alle spalle, ma quello ribaltò l'agile Carey e scaraventò il capitano verso il fondo della sala. Il battere dei suoi stivali ferrosi sul pavimento in procinto di crollare, divertiva i Livellatori sottostanti, che gratificati, brindavano con teste mozzate di Succhiatori e si godevano la danza, incuranti del fuoco che non poteva scalfire, né scottare la loro pelle refrattaria.

Sembrava che per i due non vi fosse scampo, e che il destino li avrebbe puniti con mano pesante, quando, arrivati ormai allo stremo delle forze, sfatti e sfiniti dalla mancanza di ossigeno, il pavimento cedette e crollò, portandoseli dietro. Crollò anche quello sottostante e finirono con l'atterrare nella stanza buia e umida della cantina, dall'alto soffitto. Il capitano rimase rannicchiato in un angolo mentre Carey rotolò lungo le macerie fino a sbattere contro una parete laterale, immersa nel buio. Sollevò lo sguardo sfatto e vide Duncan illuminato dalla luce del piano superiore sventrato. Vide il Livellatore scendere con un solo balzo al suo fianco, afferrarlo per il collo, sollevarlo e sfilargli dalla testa il passamontagna di lana spessa. Vide la luce brillare riflessa sui suoi capelli castani, madidi di sudore, i suoi occhi accesi di azzurro illuminare le cavità invece vuote delle belva e il suo nobile animo gemere con compostezza, anche in quell'istante di terrore furente. Si mise in piedi e fece qualche passo nelle macerie, quando, senza accorgersene, sentì un vuoto improvviso sotto ai piedi e sprofondò all'interno di un pozzo, nascosto sotto delle fascine di legno arse per il calore. Precipitò per alcuni metri, nel buio assoluto, scalfendo, a tratti, le pareti di pietra con la sua lama, fin quando non atterrò sulle gambe leggere e rotolò in avanti. Rimase immobile per alcuni secondi. Si fece forza e si mise subito in piedi. Poteva ancora udire le voci dei Livellatori dall'alto.

«No! Maledizione! No! Duncan! No!» E una rabbia rutilante la percorse dalla testa ai piedi, mentre alcune lacrime di disperazione cieca le affollarono gli occhi. La sola idea di aver lasciato il capitano nelle mani del Livellatore, la avviliva e dilaniava profondamente. Urlò ancora e colpì la pietra con dei pugni carichi di sconforto. Doveva assolutamente trovare un modo per salire in superficie: sfregò le mani e si fece luce, per poi iniziare ad avanzare sudata e grondante di sgomento.

Man mano che proseguiva, i rumori si attenuavano, diventando flebili e sottili. Iniziò a correre, sempre più velocemente, a tastare i muri, ad annusare l'aria sporca, a vedere gli occhi del capitano smorzarsi, a sentire i colpi ridondanti delle loro lame, a immaginare Newborn senza di lui. A immaginare se stessa e il suo futuro senza la sua guida primaria.

Improvvisamente rimasero lei, il silenzio e il ritmo del suo affanno. Si fermò e cercò di riflettere. Comprese che quello non fosse un pozzo, ma una sorta di canale di scarico dei rifiuti o dei liquami. Che quel tunnel stretto l'avrebbe forse condotta all'esterno, lontano dal bosco e persino dalla tenuta. Cosa fare? Tornare indietro? Come risalire? Continuare a correre e poi tornare indietro? Quali altre possibilità aveva? Quanto tempo ci avrebbe impiegato?

Improvvisamente un tonfo la distolse dai pensieri assillanti.

Rimase impietrita e sgranò gli occhi. Spense le mani e si accostò al muro, dove rimase ad ascoltare.

Il tonfo si ripeté e, questa volta, venne seguito dal rumore di alcuni passi.

Carey insinuò lentamente la mano sulla lama, e la strinse per sfoderarla. Lo fece nel mondo meno rumoroso possibile. Rimase così, in allerta, limitando persino i respiri, e cercando di decelerare  i battiti del cuore, fin troppo assordanti.

I passi si succedevano repentini. I passi si avvicinavano, si intensificavano, si dirigevano proprio nella sua direzione. I passi si interruppero a nemmeno un metro da lei. Carey inspirò, batté le mani, illuminò lo spazio e sfoderò la lama, rivolgendola fulmineamente dinnanzi a sé: apparve un viso le cui iridi si rimpicciolirono per la luce inattesa.

«Chi diavolo sei?» Gli chiese con tono imperioso.

L'individuo indietreggiò abbagliato e sollevò una mano per proteggersi. Carey ebbe così modo di notarne un gran numero di particolari: era giovane, sulla ventina, con i capelli quasi rasati ai lati della testa e folti in cima, di un castano molto chiaro. Superava il metro e ottantacinque, sembrava atletico e prestante, ma non tarchiato e corpulento come i Livellatori. La giacca di tessuto scuro, con gli inserti di pelle sui gomiti e sulle spalle, e la maglietta borchiata sottostante suggerivano un gusto estetico e una poca praticità che non lasciavano dubbi: costui non poteva che essere un Succhiatore.

 

   
 
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