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Autore: IndianaJones25    24/05/2019    14 recensioni
«Tu cos’hai trovato, Junior?»
«Junior?! Papà…!»
«Scusate, che cosa significa, sempre, questo “Junior”?»
«È il suo nome: Henry Jones Junior!»
«Io sono Indiana.»
«Si chiamava il tuo cane, Indiana.»
Il Santo Graal, la coppa in cui bevve Gesù Cristo durante l’Ultima Cena, il segreto della conoscenza cercato dai saggi ed il tesoro prezioso bramato dagli sciocchi, uno dei più grandi misteri della storia dell’umanità, è andato irrimediabilmente perduto a causa della cieca avidità di coloro che avrebbero agognato servirsene per scopi malvagi. Eppure, né il professor Henry Jones Senior né suo figlio si sentono tristi per quella perdita, perché entrambi hanno trovato qualcosa di molto più prezioso di una semplice coppa, in fondo a questo lungo viaggio…
Un breve racconto scritto in occasione del trentesimo anniversario dell’uscita nei cinema del film “Indiana Jones e l’ultima crociata”, 24 maggio 1989.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr., Marcus Brody, Sallah el-Kahir
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I RAGAZZI JONES

Repubblica di Hatay, 1938

   Polvere e frammenti di pietra li inseguirono negli ultimi metri che percorsero in fretta, sottraendosi quasi per miracolo - l’ennesimo di quel giorno indimenticabile - al crollo della chiesa in cui la coppa di Cristo avrebbe riposato per sempre, lontana da occhi indiscreti. Un mito che avrebbe continuato a restare tale per tutta l’eternità.
   Con sguardo malinconico, Indy rimase a contemplare quello sfacelo. Si sentiva crescere dentro un grande vuoto ma, per una volta, un vuoto non dovuto all’ennesimo reperto storico di inestimabile valore che si era visto sgusciare via fra le dita all’ultimo istante. No, ancora una volta, come già gli era successo in passato, quello che provava nel proprio cuore era un rimpianto, un rimpianto dovuto alla perdita di una donna a cui, forse, non aveva davvero detto tutto e di cui non aveva ben compreso i sentimenti.
   «Elsa…» pensò, osservando la polvere che si librava nell’aria calda e secca della Gola della Luna Crescente.
   Quasi gli avesse letto nella mente, suo padre tornò verso di lui.
   «Elsa non ha mai creduto veramente nel Graal» disse, con un tono amaro nella voce. Sospirò, prima di aggiungere: «Si era illusa di aver trovato un bottino.»
   Finalmente, l’archeologo riuscì a trovare la forza necessaria per staccare gli occhi dal tempio, che non avrebbe mai più rivelato tutti i segreti che custodiva, girandosi ad osservare dritto in volto il genitore. Aveva una curiosità, dentro di sé, ed era venuto il momento di soddisfarla.
   «Tu cos’hai trovato?» chiese.
   «Io?» domandò Henry, con un’espressione serena dipinta in viso. Guardò per un momento in alto, verso il cielo blu e terso che faceva capolino tra gli anfratti rocciosi, poi rispose, in tono basso, quasi stesse proferendo un’orazione: «L’illuminazione.»
   Rivolse un sorriso complice al figlio, quindi si avviò a passo deciso verso i loro cavalli, su cui Marcus e Sallah erano già montati. Sotto gli occhi dell’arabo, che stava accarezzando piano il cavallo per tenerlo calmo, balzò in sella con agilità, lasciò che anche il figlio facesse lo stesso e, poi, ritrovata la sua solita voce alta e dal marcato accento scozzese, aggiunse: «Tu cos’hai trovato, Junior?»
   Suo figlio si spazientì all’istante.
   «Junior…?» ripeté, sollevando un dito ammonitore verso di lui. «Papà…!»
   Ma, prima che potesse andare avanti a lamentarsi del fatto che suo padre dovesse una buona volta  smettere di rivolgersi a lui in quella maniera ridicola, Sallah si intromise.
   «Scusate» domandò, facendo cenno con la mano affinché spiegassero anche a lui, «che cosa significa sempre questo “Junior”?»
   Meravigliato, Henry si volse verso di lui.
   «È il suo nome!» dichiarò. Indicò se stesso: «Henry Jones…» fece un cenno verso il figlio e concluse: «…Junior!»
   «Io sono Indiana!» specificò l’archeologo, sperando che bastasse questo a far concludere lì quella conversazione che, per ciò che lo riguardava, stava prendendo una brutta piega.
   Ma Henry non fu affatto d’accordo. Piegatosi verso di lui e facendogli abbassare gli occhi verso terra come a un bambino scoperto a combinare qualche marachella, gli ricordò che: «Si chiamava il tuo cane, Indiana!»
   Marcus non ne poteva più di quel posto.
   «Possiamo tornare a casa, per favore?» sbottò, desideroso di fare ritorno in luoghi comodi che gli fossero più congeniali di quell’anfratto polveroso e soffocante.
   «Un cane?!» ribatté Sallah, sbalordito. «Tu porti il nome di un cane?!» Prima ancora di aver finito di parlare, si lasciò andare ad una risata così grassa e fragorosa che, per poco, non fu sbalzato di sella.
   «Ho un sacco di bellissimi ricordi di quel cane» tagliò corto Indy, ignorando le risate dell’amico e voltandosi verso suo padre che, nel frattempo, si stava legando un fazzoletto attorno alla testa per ripararsi dal sole. «Pronto?» gli domandò.
   Con ancora in sottofondo Sallah che rideva della grossa, Henry gli gettò una veloce occhiata.
   «Pronto!» confermò.
   «Indy! Henry! Seguitemi! Conosco la strada!» urlò Marcus, lanciandosi in un galoppo scomposto, per metà in sella e per metà pronto a cascare al suolo.
   L’archeologo restò fermo a guardarlo con un sorrisetto divertito, mentre Henry domandò, con accento ironico: «Si è perso nel suo stesso museo, eh?»
   «Ah-ah» affermò Indy.
   Si girò vero il padre, che gli fece un cenno con la mano per invitarlo a partire: «Dopo di te, Junior!»
   «Sì! Ahhh!» fece l’archeologo, dando di sprone al cavallo.
   Uno dopo l’altro, tutti e tre si incunearono nella gola, alle spalle di Marcus.
   Indy fu il primo a raggiungerlo, per aiutarlo a raddrizzarsi sulla sella; poi, affiancati l’uno all’altro, galopparono insieme incontro al sole calante, i quattro cavalieri del Graal di ritorno dall’ultima crociata.
   
   Gli ultimi raggi del tramonto erano scomparsi ad occidente, oltre le montagne che contornavano l’ampia e spesso insidiosa vallata desertica, cedendo il posto ad una calda notte stellata e senza luna; ed il buio, quindi, aveva costretto i quattro uomini ad interrompere la loro lunga cavalcata verso la civiltà, per non rischiare di finire in uno dei numerosi burroni che si aprivano quasi a sorpresa nella zona. Erano scampati per un vero miracolo allo scontro con i tedeschi ed al crollo del santuario e, ora che finalmente era tutto finito ed i loro guai erano dimenticati, non avevano certo voglia di mettersi nei pasticci da soli!
   Adesso il silenzio era sovraumano, quasi fragoroso ed assordante nella sua insolita potenza. Un silenzio a cui, tra loro, solo Indy era davvero abituato, mentre per gli altri, soliti trascorrere la maggior parte del loro tempo nelle città, dove almeno un piccolo rumore non poteva mai mancare, anche durante il momento più fondo della notte, quella calma sembrava quasi spaventosa, in ogni caso scaturita da chissà quali divine profondità; ma pure l’archeologo si ritrovò ad ascoltare quel silenzio con orecchio differente dal solito. Fu anche la paura di sfidare quella quiete ignota ad indurli a sostare ed a rimandare alla mattina, quando suoni e chiarore sarebbero tornati a riempire il mondo, il resto della loro marcia.
   Smontati di groppa e legati i cavalli ad un tronco d’albero rinsecchito che faceva capolino in mezzo ad alcune rocce, si sdraiarono alla meglio sul terreno polveroso e riarso, utilizzando le selle come fortuiti guanciali a cui appoggiare la testa; non avevano proprio nulla da mettere sotto i denti, per cui, dopo essersi spartiti l’acqua tiepida dell’unica borraccia che erano riusciti a recuperare dai finimenti di una delle cavalcature, si risolsero a chiudere gli occhi per qualche ora, in attesa di ripartire la mattina dopo e fare rientro ad Iskenderun, dove avrebbero potuto finalmente rifocillarsi.
   Marcus, dopo aver assicurato che non sarebbe mai riuscito a chiudere occhio in quella posizione tanto scomoda, si addormentò quasi immediatamente, mentre Sallah - che passò cinque minuti buoni a lamentarsi dei morsi della fame che gli divoravano lo stomaco e che lo avrebbero torturato tutta la notte togliendogli il sonno - cominciò a russare rumorosamente qualche istante più tardi.
   Solamente padre e figlio restarono a vegliare, scrutando senza emettere alcun suono il brillante e silenzioso mare di stelle che si allargava sopra di loro.
   Come un’antichissima strada distante quanto la vastità del tempo, la Via Lattea attraversava per intero la volta blu scuro e senza fine del cielo, immersa in una purezza che non aveva eguali in nessun’altra parte del mondo. E quelle luci, che da sempre guardavano verso le tenebre che avvolgevano la Terra dopo il tramonto, dovevano essere depositarie di chissà quali segreti ed arcani misteri, custodi silenti di verità che non sarebbero mai state svelate ad alcuna mente umana.
   Ad un certo punto, con una lentezza quasi sacrale, una stella cadente attraversò per intero il cielo, perdendosi nelle lontane profondità del cosmo, ed entrambi furono certi che anche l’altro l’avesse veduta, seppure nessuno dei due avesse proferito alcuna parola in merito.
   Trascorsi alcuni istanti in quel magico silenzio, ora non più inquietante, anzi diventato una vera oasi di pace dopo la frenesia costante degli ultimi giorni, la voce di Senior si levò nella notte limpida, quasi estranea a quel mondo caldo ed incontaminato, nel quale la pace era  tornata a regnare un’altra volta dopo che, come nei secoli passati, uomini ed eserciti vi avevano combattuto nel nome di credi religiosi differenti e inconciliabili.
   «Junior, dormi?»
   No, Junior non dormiva affatto, anzi si ritrovò ben presto, e con una certa sorpresa, a sorridere di fronte all’ostinazione di suo padre, che non riusciva proprio a decidersi a chiamarlo Indiana, come facevano tutti gli altri e come a lui stesso piaceva tanto.
   «No, non dormo, papà. Non ho sonno, nonostante tutto. Ma tu dovresti farlo, invece… ci siamo stancati tanto, ultimamente, e tu un po’ troppo.»
   Sebbene fosse praticamente impossibile vederlo in faccia a causa dell’oscurità che rendeva invisibile anche ciò che si trovava a pochissimi metri di distanza, Junior fu certo che un sorriso rilassato si fosse allargato sul volto solitamente severo di Senior. Lo percepì nell’aria, una sensazione che, se gli fosse stato chiesto, non avrebbe saputo proprio come spiegare.
   «E come potrei sperare di dormire davvero, Junior? Dopo una vita intera di studi e cocenti fallimenti, dopo aver lottato con tutte le mie forze e senza arrendermi mai, posso infine affermare che la mia ricerca sia giunta alla sua ultima conclusione.» Nella sua voce non c’era alcun tipo di rimpianto, ma solamente una profonda consapevolezza. «È tempo, infine, di lasciarmi tutto questo alle spalle e di tirare le somme di tutti questi anni spesi alla ricerca del Graal.»
   Il rimpianto, invece, risuonò chiaro nella voce del figlio.
   «Non ci siamo riusciti. Lo abbiamo perduto… per sempre. E anche Elsa…» Junior, ora, parve veramente rammaricato. «Se solo avessi stretto un po’ di più, forse a quest’ora sarebbe qui con noi, sana e salva, ci sarebbe stata speranza… Invece, l’ho guardata precipitare in quella tetra oscurità, da cui nessuno poteva sperare di salvarsi…»
   «Non crucciarti, figlio mio» lo interruppe Senior, percependo il suo sconforto. «Come già ti ho detto, Elsa non credeva nel Graal, ma solo nella ricchezza e nel potere che esso avrebbe potuto rappresentare. Lo reputava un ricco tesoro come un altro. Forse, all’inizio, stava davvero cercando qualcosa dentro di sé, come chiunque tra noi, qualcosa che il Graal avrebbe potuto rappresentare; ma, nel momento esatto in cui si vendette alle truppe del Reich pur di giungere ad un risultato, la sua anima fu dannata per sempre ed ogni stilla di bontà disparve dal suo cuore, lasciando il posto soltanto a cieca meschinità ed avidità.» Il vecchio si fermò un istante, forse per nascondere la commozione che, a dispetto delle sue parole severe, gli era sorta dentro al ricordo di Elsa che, a dispetto di tutto, era stata ancora capace di farlo sentire importante e che era parsa tanto genuinamente disperata e stravolta quando Donovan lo aveva quasi ucciso.
   Elsa Schneider era realmente cattiva? O, piuttosto, ad indirizzare i suoi passi era stata semplicemente la cupa consapevolezza che una donna, in un mondo tanto maschilista, non sarebbe mai riuscita a raggiungere i propri obiettivi senza fare ricorso a qualsiasi cosa che potesse aiutarla, fosse anche l’alleanza con i peggiori esseri umani mai comparsi dai tempi di Adamo ed Eva?
   Senior si riprese, accantonando quei pensieri contrastanti in un angolo del proprio cuore, con la speranza che non ne emergessero mai più, e continuò: «Noi, invece, non è vero che lo abbiamo perduto, niente affatto. O, meglio, tu, figlio mio, non lo hai perduto. Ricordi Lancillotto, sì? Egli si avvicinò alla soglia della cappella del Graal, ma non poté oltrepassarla, per via dei suoi peccati, che lo avevano reso impuro agli occhi del Signore. Donovan ed Elsa erano come Klingsor, il mago malvagio, e Kundry, la strega cattiva sua alleata, giunti per impedire all’indegno Lancillotto - il peccatore, io stesso» ammise con un sospiro doloroso, «di varcare quella santa porta e mirarne i segreti. Ma tu, invece, figlio mio, tu sei stato come Galahad, il figlio che Lancillotto abbandonò, l’unico realmente degno di un tale onore: hai interpretato il suo ruolo fino in fondo e sei stato meritevole di giungere oltre la meta, di oltrepassare quella soglia di mirare il grande segreto. La tua fede, alla fine, ti ha mostrato il giusto percorso da seguire. Per questo sono fiero di te, Junior.»
   La fede… Junior non aveva mai creduto di possederne una, neppure in questo preciso momento, a parte la fede in tutto ciò che fosse potuto apparire concreto e materiale.
   Nonostante fosse stato testimone di veri e propri miracoli, uno estremamente prodigioso soltanto poche ore prima, in effetti, ancora non riusciva veramente a credere in nulla che andasse al di là del mondo fisico, perché per lui ci sarebbe stata sempre un’altra spiegazione, anche se difficile o magari impossibile da afferrare, per via dell’assenza di mezzi di ricerca adeguati. Per lui era vero l’inspiegato, non l’inspiegabile.
   L’archeologia, i viaggi, i paesaggi mozzafiato, i pericoli costanti, la stretta di mano di un amico, un sorso di liquore, il corpo caldo e morbido di una donna… tutto questo era ciò che lui chiamava fede, non altro.
   Dal canto suo, suo padre gli aveva detto di aver ricevuto l’illuminazione da quella ricerca; forse, con quella frase enigmatica e sibillina, gli aveva comunicato di aver fugato ogni dubbio, di essere ormai certo di ciò che sarebbe poi stato, dopo? Ma dopo che cosa, di preciso? Non ebbe il coraggio di domandarglielo, perché non si sentiva pronto per quella risposta e, probabilmente, non lo sarebbe stato mai.
   Al contrario, come se gli avesse letto nel pensiero, Senior domandò: «Non hai risposto alla mia domanda, questa sera, Junior. Tu cos’hai trovato?»
   Lo domande erano difficili, ma le risposte spesso rischiavano di esserlo fino al punto di diventare del tutto indiscrete. Come avrebbe potuto dare voce ai tanti pensieri che gli vorticavano nella mente, esternando di fronte a suo padre quello che aveva davvero trovato?
   Junior aveva davvero trovato qualcosa, in fondo a quella ricerca.
   Non un mitico calice, però, e neppure il folle miraggio della vita eterna, un qualcosa a cui nessuno sano di mente avrebbe veramente voluto aspirare. Fosse stato solo quello, avrebbe potuto dirlo facilmente in due parole, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a rispondere. Entrambi, però, sapevano che se avesse risposto in questa maniera sarebbe stata soltanto una menzogna, una bugia detta giusto per non restare in silenzio. Era ben altro ciò che aveva scoperto e che, adesso, gli sarebbe rimasto dentro per sempre.
   Era… come dire… era la consapevolezza di non essere solo, ecco tutto. Era il suo essere figlio, il sapere con certezza di avere un padre, una famiglia, qualcuno su cui poter contare.
   Era cresciuto - ed a momenti invecchiato - in solitudine, nella convinzione di non avere bisogno proprio di nessuno all’infuori di se stesso; aveva sempre pensato di potersi arrangiare, anzi di doverlo fare senza neppure porsi il problema. Era la medesima convinzione, peraltro, che lo aveva indotto a fuggire a gambe levate di fronte alla prospettiva di un matrimonio, prima di compiere quel passo irreparabile che lo avrebbe irrimediabilmente legato ad un destino troppo incomprensibile per uno spirito libero come il suo.
   Eppure, nonostante la propria ostinazione, aveva sempre cercato una famiglia, o almeno qualcosa che potesse surrogarla, fin dal momento in cui la sua strada si era bruscamente divisa da quella di Senior; e l’aveva in parte trovata in Abner Ravenwood, in Marcus Brody - come padri, per lui - o in Sallah ed in Shorty - che gli avevano insegnato che cosa significasse avere un fratello - e, magari, anche in tutte quelle numerose donne e ragazze che aveva sedotto, quasi a voler riempire, attraverso di loro, quell’assenza totale di una figura femminile nella sua vita, un’assenza che durava sin da quando, ancora bambino, aveva perduto la madre.
   Però, quelle persone, per quanto importanti fossero state - o continuassero ad esserlo - non erano realmente dei familiari, non condividevano il suo stesso sangue, erano pur sempre degli estranei a cui lui aveva segretamente attribuito un ruolo fittizio.
   Ma la ricerca del Graal aveva risvegliato qualcosa, dentro di lui, perché trovando la coppa di Cristo Junior aveva definitivamente ritrovato suo padre e, con suo padre, anche quella parte di sé che pensava di avere perduto per sempre, quella capacità di sentirsi irrimediabilmente legato a qualcuno, qualcuno su cui poter contare e fare affidamento in ogni momento, per davvero.
   Aveva creduto, per un certo tempo della propria esistenza, che quel qualcuno sarebbe potuta essere una donna, la donna con cui sposarsi e trascorrere il resto della vita; insomma, aveva creduto che sarebbe potuta essere Marion colei che lo avrebbe salvato da se stesso. Poi, tuttavia, si era reso conto di essersi sbagliato, di non essere pronto per sposarsi - e, forse, non lo sarebbe stato mai. Perlomeno, aveva tentato di convincersene e, per riuscirci, da quando era scappato dinnanzi al matrimonio era stato con decine e decine di donne, provando a far credere al proprio cuore di poterne amare mille, non solo una. Non che ci fosse riuscito sul serio, perché era sempre e solo la stessa donna a fare ritorno nella sua anima, ma questo, adesso, era qualcosa a cui non voleva pensare, perché gli provocava ancora dolore e, con ogni probabilità, gliene avrebbe provocato per sempre.
   In ogni caso, era sempre vissuto con la convinzione di star bene soltanto in solitudine e, di conseguenza, aveva finito col credere che qualsiasi tipo di famiglia non si addicesse ad uno come lui.
   Si era sbagliato alla grande, ma soltanto adesso se ne rendeva finalmente conto. Forse era questo il vero messaggio che il Graal aveva voluto lanciargli, era questo il grande mistero che si trovava alla base di quella millenaria ricerca di cui lui e suo padre avevano avuto l’inattesa fortuna di conoscere la fine, anche se, lo sapevano, una vera e propria fine non ci sarebbe mai stata, e l’uomo sarebbe andato in eterno alla ricerca della coppa di Cristo e del divino che soltanto essa sapeva risvegliare nelle coscienze.
   Ed ora, disteso a rimirare le stelle, si sentiva come se una parte di sé, quella che aveva vagato nel nulla per tanto, troppo tempo, avesse finalmente ritrovato la via di casa, quella casa in cui non viveva lui solo, ma anche Senior. Era una consapevolezza che lo faceva sentire leggero e sereno, come se improvvisamente fosse rinato ad una nuova vita.
   «Junior, ci sei?» domandò la voce pacata di Senior, non sentendo nessuna risposta.
   «Sono qui, papà» rispose l’interpellato. «Stavolta sono qui. E intendo restarci.»
   Quelle poche parole bastarono al vecchio per poter capire quello che il figlio stava provando. Sorrise di nuovo alle stelle, sperando che Anna, la moglie adorata che troppo presto lo aveva lasciato, lassù da qualche parte li stesse guardando e proteggendo, condividendo quel momento.
   Lo aveva sempre saputo che il Graal era qualcosa di straordinario e, infine, ne aveva avuto la certezza. Perché la coppa di Cristo, che non era affatto quell’oggetto fisico e luccicante su cui persone avide speravano di poter mettere le mani, gli aveva insegnato che non ci si può dimenticare di tutto e di tutti, perdendosi nelle maglie di una ricerca, insensata anche se entusiasmante, se questo, poi, comporta la perdita degli affetti, ciò che veramente conti nella vita di un uomo.
   Lui e Junior non si erano quasi parlati per vent’anni, anzi forse per tutta la vita, ed ovviamente Senior ne aveva sempre orgogliosamente attribuito la colpa al carattere burrascoso e selvatico dell’unico erede; adesso, però, si rendeva pienamente conto di aver avuto la propria parte non indifferente, in tutti quegli errori, di essersi lasciato scappare di mano un figlio e di averlo quasi perduto. Ma lo aveva ritrovato, alla fine, il Graal gli aveva dato un’ultima possibilità di riscatto, prima che arrivasse anche il suo turno di congedarsi da tutte le cose terrene. Era partito alla ricerca di un miracolo ed il miracolo era avvenuto, proprio come si era sempre aspettato. Non poteva sapere quanto tempo ancora gli restasse da vivere, ma avrebbe impiegato ogni singolo istante per fare ammenda. Era questa l’illuminazione che il Graal aveva portato nella sua vita, non altro.
   Ovviamente, non poteva parlare a Junior in questi termini senza correre il rischio di fare la figura del vecchio bacucco sentimentale; lui, il celebre docente Henry Jones, Sr. - Attila il professore, come lo chiamavano da intere generazioni i suoi studenti, soprannome di cui non avrebbe ovviamente dovuto sapere nulla e del quale, invece, andava clandestinamente molto fiero - non poteva smettere di recitare la sua parte di uomo rude e burbero. Esattamente come avrebbe continuato a fare, del resto, anche l’altrettanto celebre professor Henry Jones, Jr.
   Ma il silenzio che calò tra loro per una manciata di minuti fu più eloquente di tanti lunghi e roboanti discorsi e ciascuno fu sicuro di aver bene interpretato ciò che attraversava la mente dell’altro.
   Infine, fu Junior a rompere di nuovo la quiete.
   «Ora che cosa farai?» chiese.
   Senior sospirò piano, prima di riprendere a respirare la fresca e secca aria del deserto.
   «Immagino che potrò finalmente scrivere il mio ultimo libro inerente al Graal. Ne ho già pubblicati un paio» non provò neppure a domandare al figlio se li avesse letti, tanto era certo di conoscere la risposta, «ma ora potrò scrivere anche un resoconto degli ultimi avvenimenti e scoperte. Sai, penso che lo scriverò in forma romanzata, così su certe questioni potrò passarci sopra senza dover dare troppe e complesse spiegazioni.»
   Junior ammiccò nel buio, immaginando che ne sarebbe risultato un illeggibile tomo da migliaia di pagine che avrebbe fatto invidia all’intero ciclo bretone e che sarebbe stato il cruccio di schiere di studenti per intere generazioni a venire.
   «E poi? Ti limiterai a insegnare fino al momento di andartene in pensione?» domandò ancora, curioso di conoscere che cosa avrebbe potuto fare suo padre, giunto al termine di quella ricerca che lo aveva tenuto occupato per quarant’anni.
   «Be’, c’è qualcosina ancora, che potrebbe interessarmi, e forse tu potresti darmi una mano, Junior.»
   «Vale a dire?»
   «Conoscerai la leggenda di Longino, immagino» rispose Senior, con fare enigmatico. «Fu il centurione che, prima che Gesù fosse tolto dalla croce, si assicurò che fosse davvero morto conficcandogli la lancia nel costato. Bene, Longino era cieco da un occhio ma il sangue di Cristo, colpendolo, gli rese la vista. Quel miracolo portò alla conversione del centurione, che raccolse un poco del sangue caduto sul terreno e lo portò nella sua città natia, Mantova, in Italia, dove poi subì il martirio. Si dice che la sua lancia, avendo toccato il corpo di Cristo, sia stata dotata di poteri straordinari, poteri che vanno al di là di qualsiasi nostra immaginazione. Una sorta di Graal in forma di arma.»
   Junior distolse per un momento gli occhi dalle stelle e si volse verso la figura scura di suo padre, che spiccava contro il blu dell’orizzonte.
   «Non capisco che cosa c’entri questa vecchia storia, adesso» borbottò. Un dubbio fugace gli attraversò la mente. «A meno che… aspetta, non intenderai dire che…»
   Un nuovo sorriso comparve sul volto barbuto di Senior, che cominciava ad accusare i segni della stanchezza, esattamente come il figlio. Un sorriso sardonico che gli occhi di Junior, questa volta, riuscirono a registrare alla perfezione.
   «Mi hai capito benissimo, Junior» replicò. «Io e te andremo alla ricerca della lancia di Longino, la Lancia del Destino!»
   Nessuno dei due aggiunse altro, perché sarebbe stato superfluo farlo proprio adesso.
   La fatica di quei giorni spossanti e la mancanza di sonno cominciarono a prevalere su di loro e, alla fine, si addormentarono, con il sorriso sulle labbra, mentre le stelle continuavano a vegliarli dall’infinita volta del cielo, muto ed incorruttibile custode di chissà quanti altri segreti che sarebbero rimasti tali in eterno o che, forse, sarebbero stati un giorno svelati.


=== Nota ===

Ciao a tutti!

Ringrazio tantissimo Yanez76 per avermi dato la possibilità di inserire in questo racconto un riferimento tratto dalla sua bellissima storia Elsa's story.

Non vi dico quale sia questo riferimento, se volete scoprirlo vi invito a leggerla!


 [scritto: ottobre 2018 - gennaio 2019]
   
 
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