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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    24/05/2019    1 recensioni
[MacDalton]
Mentre il rumore fatto dalle notizie del crollo del grattacielo Lancaster cominciava a scemare, la Fondazione Fenice si era, con difficoltà, rimessa in piedi.
Dopo la scomparsa e la ormai assodata morte dell'Agente MacGyver nel crollo, la Direttrice Webber aveva cercato di mettere una pezza alla disastrosa situazione psicologica dei suoi agenti, mandandoli in missione in gruppo e affidando loro la maggior parte dei compiti che normalmente avrebbe assegnato agli altri agenti.
Certo, lei per prima non voleva dimenticare l'agente scomparso, l'agente che per lei era come un figlio, ma sapeva che doveva fare qualcosa oppure avrebbe perso anche gli altri.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fandom: MacGyver (2016)
Rating: Verde
Personaggi/Pairing: MacDalton, Team Phoenix
Tipologia: Two-Shot
Genere: Hurt/comfort, Sentimentale
Avvertimenti: Slash
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono.
Note: Dedicata a Mairasophia.

 

YOUR WOUNDED BODY, MY MENDED SOUL

CAPITOLO 1

 

"Da quella parte!"

"No, di là! Di là! Sbrigatevi!"

"Jack! Riley! Dov'è il Biondino?!"

"Matty… Mac… Mac non c'è più."

 

"Sbrigatevi! Il grattacielo sta per venire giù!"

 

CRASH!

§§§ 

"Fermatelo! Si è liberato!"

"Sta scappando, prendetelo!"

"Capo, cos'è questo rumore?" 

"Quel bastardo! È una bomba, fuori di qui!"

KABOOM!

 

UNA SETTIMANA DOPO

 

Mentre il rumore fatto dalle notizie del crollo del grattacielo Lancaster cominciava a scemare, la Fondazione Fenice si era, con difficoltà, rimessa in piedi. 

Dopo la scomparsa e la ormai assodata morte dell'Agente MacGyver nel crollo, la Direttrice Webber aveva cercato di mettere una pezza alla disastrosa situazione psicologica dei suoi agenti, mandandoli in missione in gruppo e affidando loro la maggior parte dei compiti che normalmente avrebbe assegnato agli altri agenti.

Certo, lei per prima non voleva dimenticare l'agente scomparso, l'agente che per lei era come un figlio, ma sapeva che doveva fare qualcosa oppure avrebbe perso anche gli altri. 

Solo due giorni prima, la squadra di punta della Fondazione era stata mandata via terra a recuperare alcuni file da un laboratorio militare in disuso e impedire che un gruppo di agenti stranieri se ne impadronissero: una missione semplice, che avevano portato a compimento abbastanza in fretta e senza intoppi.

Guidavano da ore, ormai, diretti verso casa e dandosi il cambio soltanto ogni tanto per impedire che il guidatore designato esaurisse le già scarse energie che aveva e per impedire soprattutto a Jack di prendere il volante. 

Riley, Bozer e Samantha si alternavano ogni circa duecento chilometri mentre Jack, seduto sul sedile del passeggero, guardava fuori dal finestrino con espressione vuota e pallido in viso.

A parte qualche chiacchiera distratta sulla strada da prendere e sulla decisione di fermarsi a qualche stazione di servizio, i quattro non avevano parlato molto: confusi, arrabbiati, tristi… non avevano perso soltanto un agente quando Mac era morto ma avevano perso un amico, una parte della famiglia e se ciascuno di loro aveva le proprie remore a parlare di famiglie e legami personali e simili stronzate, tutti sapevano che Mac significava molto di più. E missioni di gruppo del genere facevano sentire maggiormente la sua mancanza.

Un fratello… 

Bozer si asciugò una lacrima fuggiasca mentre il sorriso divertito di Mac gli balenava nella mente: ricordava quando gli preparava i waffle al mattino prima di andare al lavoro per farlo mangiare un po’.

Riley fissava la strada davanti a sé nel tentativo di cancellare dalla propria testa l’abbraccio gentile di Mac dopo una missione particolarmente dura, una delle prime sul campo, in cui lei si era ritrovata a piangere sul terrazzo da sola, dove poi avrebbero preso l’abitudine di riunirsi alla fine di una lunga giornata di lavoro. In silenzio, lui l’aveva raggiunta e le si era seduto accanto senza dire una parola.

L’aveva abbracciata e lei si era messa a piangere tra le sue braccia, sfogandosi.

Era sempre stato lì per lei, come il fratello che non aveva mai avuto.

Un collega in gamba…

Sam non aveva un passato come quello degli altri ma in molteplici occasioni Mac si era dimostrato degno della sua fiducia e del suo rispetto, dalla missione con il gas nervino alla sua scomparsa e successiva riapparizione dopo essere stato rapito da Murdoc, e aveva imparato a volergli bene, a fidarsi di lui e del suo giudizio nelle situazioni più difficili.

E perderlo in una maniera simile era doloroso e incredibile.

E infine… 

Il rapporto tra Jack e Mac era particolare, in molti avevano tentato di analizzarlo, salvo rendersi conto che non c’erano parole abbastanza forti nel dizionario per farlo.

Amici, fratelli, anime gemelle…

Dove c’era uno, c’era anche l’altro, pronto a coprirgli le spalle e a proteggerlo; quando uno dei due era a terra ferito, l’altro era dietro di lui pronto a prendersene cura.

Una volta, uno degli agenti da poco in servizio aveva tentato di chiedere a Jack e Mac quale fosse esattamente il loro rapporto, come facessero a essere sempre così pronti all’azione e istintivamente pronti a ogni cosa per proteggersi vicendevolmente; e se Jack aveva risposto con qualche oscura definizione presa da un film di fantascienza, Mac aveva semplicemente sorriso senza dire alcunché.

E perderlo lo aveva ferito in maniera quasi fatale. Svolgeva comunque il suo compito ma senza la baldanza solita.

“Tra poco ti do il cambio, Riles.” disse Bozer con voce bassa.

“Come vuoi. Non sono ancora stanca, la strada è ancora lunga ed è meglio che tu risparmi le energie.”

Mentre le voci dei suoi compagni gli giungevano attutite alle orecchie, Jack guardava senza vederlo davvero il paesaggio che correva oltre il vetro, una macchia di colore indistinta che la sua mente, ottenebrata dal dolore e dal desiderio di vendetta, non riusciva a decifrare del tutto.

Per poco, non superarono la figura che barcollava, ferita, febbricitante e confusa, a bordo strada, ma nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono attraverso il vetro, Jack riconobbe in loro qualcosa che gli riempì gli occhi di lacrime.

Nonostante fossero spenti e vuoti, Jack li avrebbe riconosciuti ovunque.

“RILES, FERMA LA MACCHINA, SUBITO!”

§§§
 

Con la testa intontita per il dolore e la febbre, Mac – che camminava ormai da giorni senza cibo né acqua, con le ustioni che gli coprivano le spalle e le braccia e svariate altre ferite che i suoi rapitori non avevano curato - non riconobbe subito la persona al di là del finestrino con cui si era scambiato un’occhiata distratta, e non si accorse neppure della macchina che si era fermata con gran stridore di freni e le grida provenienti dalla portiera che si era spalancata all’improvviso che chiedevano a qualcuno dove stesse andando, un qualcuno che si era precipitato fuori dall’abitacolo urlando un nome che non riusciva a capire ma che suonava sospettosamente come il proprio.

Come faceva a sape-

Oh.

Tutto divenne più chiaro quando l’uomo venne più vicino e Mac riconobbe a fatica i lineamenti di Jack sul suo viso; con un debole sorriso, allungò la mano verso quello che poteva essere a tutti gli effetti un miraggio dovuto alla febbre che lo consumava ma che era così rassicurante da strappargli una lacrima e aprì la bocca per dire una semplice cosa: “Mi hai trovato, Jack…” prima di svenire, ormai esausto.

Sentì soltanto le braccia del suo compagno stringersi con delicatezza attorno a lui come uno scrigno protettivo e la sua voce mormorargli parole rassicuranti prima di perdere del tutto i sensi.

Da parte sua, Jack non aveva aspettato un attimo prima di stringere a sé il corpo di Mac e avvolgerlo nel proprio calore, lasciando che il sollievo e la gioia avessero la meglio su di lui mentre ne accarezzava con attenzione i capelli sporchi e secchi e allo stesso tempo controllava rapidamente le ferite che aveva.

Ustioni non trattate, tagli, graffi, probabilmente una commozione cerebrale dovuta a una botta in testa che aveva aperto una ferita sul cuoio capelluto del più giovane…

Non era in buone condizioni ma almeno era vivo. 

Vivo…

Che parola meravigliosa. 

Non capiva come fosse possibile, Jack aveva visto personalmente il grattacielo crollare con Mac al suo interno, ma non gli importava granché, a dire la verità.

“Resisti, ti portiamo a casa.” mormorò al suo orecchio, nascondendo il viso tra i suoi capelli lerci per celare una lacrima.

Un attimo dopo, era in piedi con il corpo di Mac tra le braccia e correva verso la macchina da cui erano usciti tutti gli altri. 

Nessuno parlava, non ci riuscivano, ma i sorrisi sui loro volti valevano più di mille parole.

“D-Dobbiamo portarlo in ospedale.” Jack guardò Riley con espressione speranzosa e la ragazza si attivò subito alla ricerca di una struttura dove avrebbero potuto curare Mac.

Bozer, che si mordeva il labbro inferiore per non scoppiare, si portò presso il bagagliaio, da cui estrasse una coperta e dell’acqua in bottiglia: “Vengo dietro con te. Sam, potresti-“

Cage annuì e andò a sedersi al posto di Jack mentre quest’ultimo portava Mac sui sedili posteriori, sdraiandoselo in grembo e coprendolo con il plaid: “Ehi, Mac, apri gli occhi…” mormorò l’ex Delta con un filo di voce mentre gli passava la mano sulla guancia scavata, “C’è dell’acqua per te…”. 

Assetato, Mac sollevò debolmente una palpebra, venendo accolto dal sorriso goffo di Jack, che gli avvicinò la bottiglia alle labbra: “Bevi piano, amico. Piccoli sorsi, ti aiuterà anche con la febbre.”

Il ferito annuì e, debilitato com’era, fu costretto a farsi aiutare anche per quel piccolo movimento; ma a Jack non interessava, l’avrebbe portato in braccio fino a Los Angeles senza lamentarsi se ciò fosse stato necessario.

Mentre Bozer massaggiava le gambe di Mac per riattivarne la circolazione e cercava di ripulirlo dal sangue secco con alcune salviette da viaggio, le ragazze sedute davanti si consultavano sulla strada più veloce per l’ospedale più vicino e tentavano di contattare Matty sulla linea sicura della Fondazione.

Una volta finito di bere, Mac si lasciò cadere all’indietro tra le braccia di Jack con un singulto strozzato: “Shh, va tutto bene. Sei al sicuro.” mormorò il massiccio agente, sorprendendo Bozer, non avrebbe mai pensato di vedere Jack ancora più protettivo nei confronti di Mac più di quanto non avesse già visto sul campo e fuori.

“Esplos-sione…” balbettò il ferito: “V-Volevo r-raggiungervi, ma mi hanno preso e-“

“Non parlare, amico, ci sarà tutto il tempo per farlo.” intervenne Wilt con le lacrime agli occhi mentre continuava a massaggiargli le gambe rigide e infreddolite: “Ha ragione, devi soltanto pensare a respirare, al resto pensiamo noi.” si fece sentire Riley dal sedile del guidatore: “E poi ti prenderò a calci per avermi fatta piangere.”

Con stridore di ruote, si rimisero sulla strada.

La notte stava ormai calando ma non c’era più traccia di quella mestizia che fino a poco prima regnava nella macchina: le due ragazze davanti chiacchieravano serene mentre Bozer parlava a raffica di qualunque cosa gli passasse per la mente, battutacce comprese; Jack, nel frattempo, passava le dita tra i capelli di Mac per mantenerlo tranquillo e rilassato, cosa che, finora, era riuscita alla grande.

Con la schiena appoggiata al petto del partner per respirare meglio, Mac si era appisolato: nonostante tremasse per la febbre, era tranquillo e se anche a volte si svegliava per qualche incubo, Jack era sempre dietro di lui, pronto a calmarlo e a farlo riaddormentare.

Se lo sentiva tremare nel suo abbraccio, Jack gli stringeva delicatamente la mano e gli posava un bacio tra i capelli, mormorandogli parole di conforto che avevano come effetto quello di allontanare la paura, lo stress, e fargli capire tra le nebbie della febbre che poteva fidarsi, che ci avrebbero pensato loro a tutto.

Che poteva dormire senza preoccupazioni: prima che qualcuno potesse arrivare a lui, ci sarebbero stati tre agenti a fargli da scudo.

Fu verso l’una che Sam, alla guida, inserì la freccia e iniziò a rallentare: “Calma, cowboy.” intervenne lei, vedendo Jack mettersi in posizione d’attacco, con la pistola in pugno, “Mi fermo a fare rifornimento, siamo quasi a secco.”

Bozer si stiracchiò, allungandosi in avanti, prima di raccogliere da sotto il sedile di Riley un’altra bottiglia d’acqua; bagnando un fazzoletto di stoffa, lo passò sulla fronte di Mac, che sospirò di sollievo per la frescura: “La febbre sembra scendere un po’ ma se ha un’infezione non posso fare molto.” disse lui mentre si asciugava le mani sui pantaloni.

“Ehi, Mac, tieni duro, tra poche ore arriveremo in ospedale, da dove uscirai soltanto dopo che i medici avranno dato parere positivo.” Jack avvicinò la bottiglia alle labbra del compagno ferito: “E ora bevi, avanti.”

“P-Praticamente una prigione.” sussurrò questi con gli occhi chiusi: “Per f-fortuna che so come evadere…”.

“Tu non evaderai, la storia di El Noche dovrebbe averti fatto capire parecchio sul perché dovresti fare il bravo bambino e scontare la tua pena.”. 

“Ragazzi, se dovete fare la coppietta sposata, almeno aspettate di essere arrivati in una stanza con un letto comodo.”.

“Bozer, taci o ti faccio tornare a L.A a calci.”.

“Rilassati, amico. Jack, sei troppo teso, va tutto bene.”.

Sentendo il battibeccare amichevole tra le due persone che meglio lo conoscevano al mondo, Mac si lasciò sfuggire un sorriso mentre la poco familiare sensazione di pizzicore agli occhi era il preludio di una tempesta emotiva che non aveva la forza di arginare.

Pochi minuti dopo, infatti, mentre Cage e Riley erano fuori a fare rifornimento, Mac non riuscì più a trattenersi: il singhiozzo che gli squassò il petto era violento, da anni non singhiozzava più in quella maniera, ma quei lunghi giorni a vagabondare senza meta, confuso e solo, ferito, poi l’apparizione di Jack e dei suoi amici, la cura che questi avevano avuto una volta di più per lui…

Beh, tutto si era ammassato e lui non riusciva più a gestirlo.

Un altro singhiozzo, poi un altro, e un altro ancora…

Ben presto, il corpo di Mac venne scosso da tanti singhiozzi e le lacrime cominciarono a scendere senza sosta: il ragazzo tremava e cercava di divincolarsi dalla stretta di Jack che, passandogli una mano sul viso, cercava di placare il suo attacco nervoso; il più anziano fece cenno a Bozer di scendere, per dargli qualche minuto da solo con Mac, e questi fu rapido a strisciare fuori dall’auto per raggiungere le ragazze in piedi accanto alla pompa di benzina.

Non appena l’abitacolo si fu svuotato, Dalton prese il polso di Mac tra le proprie dita e lo accarezzò, posandogli qualche goffo bacio tra i capelli: “Sfogati quanto vuoi, non siamo nell’esercito e tenerti tutto dentro non ti fa bene.”.

Mac annuì debolmente e, girandosi di qualche grado, si aggrappò alle spalle di Jack e pianse a lungo sul suo petto, lasciando che l’ex soldato lo tenesse stretto senza dire niente.

Una volta di più, Jack rinnovò il proprio giuramento, non solo di proteggere quel ragazzo che teneva tra le braccia ma anche di vendicarne le sofferenze patite: chiunque fosse stato il responsabile l’avrebbe pagata cara.

Quando finalmente i singhiozzi si attenuarono, Mac si sollevò di qualche centimetro per asciugarsi gli occhi: ansimava esausto e fu Jack a doverlo spostare di peso per farlo distendere.

“G-Grazie…” la voce di Mac era bassa e roca, ma era la sua e Dalton pensò che non c’era suono più bello al mondo. 

Anche più bello di quello dello Skee-Ball di Pizza Paradise

“S-scusami, n-non so cosa mi sia preso, io-“ cercò di dire lui con voce rotta ma Dalton gli afferrò il polso e si chinò in avanti e fece collidere le loro fronti: “Non devi scusarti, hai capito? Il Mac che conosco io non si scusa per qualcosa che ha fatto, figuriamoci per qualcosa di cui non è responsabile.” Disse in un soffio, prima di posargli un bacio sulle labbra, “E per la cronaca, il Mac che conosco io non si lascia rubare un bacio senza lottare.”.

A quella frase, Mac sentì una risata nascergli nel petto.

“Ragazzi, dobbiamo ripartire.” Riley infilò la testa all’interno dell’auto dal finestrino abbassato: “Abbiamo ancora qualche ora di viaggio davanti a noi e prima di muoviamo e meglio è. Soprattutto per Mac, ha bisogno di cure e non di qualche pezza fredda sulla fronte. Matty ha chiamato e si è raccomandata di tenerti d'occhio, fratellino." disse la ragazza con un sorriso commosso.

Jack sollevò la testa da quella di Mac e annuì alla figlia adottiva, che fece cenno a Sam e Boz di raggiungerla; ripreso posto a bordo, il gruppo si rimise in viaggio, decisamente più rilassato di prima.

Dopo qualche minuto di viaggio, sia Wilt che Sam crollarono addormentati, lasciando Riley al volante e Jack di veglia, perfino Mac aveva lasciato perdere e si era nuovamente abbandonato al sonno, senza però lasciare la mano di Dalton, la sua ancora alla realtà.

“Ehi, paparino.”

Con una nota divertita nella voce, la ragazza ne attirò l’attenzione: “Puoi rilassarti, se vuoi dormire un po’ ci penso io a tenervi al sicuro e a occuparmi eventualmente di lui. Sono abbastanza certa di sentirlo nel caso avesse bisogno di aiuto, questo se prima non scatta il tuo senso di Mac.”

Jack sorrise ma scosse la testa: “Non preoccuparti e pensa a guidare, non sono stanco.”.

“Jack, so che è stato difficile, ma è al sicuro adesso.”

“Ma non lo era prima, Ri. Senti, sai quanto io voglia bene a Mac, quando… Mi sono sentito morire.”

“C’ero, Jack. E non credere che per noi sia stato più semplice. Ma è passato, è lì che dorme con i piedi infilati nel costato di Bozer, a cui non frega niente del dolore, e siamo a poche ore di distanza da un ospedale dove lo rimetteranno in sesto. Poi salteremo sul primo jet che Matty ci farà arrivare e saremo a casa in men che non si dica.”

Distrattamente, Jack accarezzò i capelli di Mac con la mano ancora libera, sorridendo nel sentirlo grugnire infastidito: “Principino viziato.” lo sfotté sottovoce ma con una nota di tenerezza; rimboccandogli il plaid fino al collo perché non prendesse freddo, Dalton sospirò prima di passargli una mano sulla fronte, era ancora caldo ma doveva essere scesa almeno a 38°C, forse qualcosina di più.

Mentre nel cielo le stelle cominciavano a tramontare e le tinte violacee della volta celeste sfumavano via via verso l'azzurro, era ormai l'alba quando all'orizzonte apparve la skyline della città più vicina, dove avevano visto esserci un ospedale; quando infine si fermarono con gran stridore di freni nel parcheggio davanti al pronto soccorso, svegliando i passeggeri per lo strappo improvviso, Jack non aspettò che tutti fossero in piedi ma avvolse Mac nella coperta e si precipitò fuori alla ricerca di una barella per depositarcelo sopra.

"Dalton, vieni qui e posa Mac prima che decida di vomitarti sulle scarpe."

In piedi accanto a una barella spinta da alcuni infermieri, Matty accolse l'agente più anziano della squadra con uno sguardo di fuoco: "Sono venuta prima che ho potuto. Lascia che si occupino del biondino e venite con me. Subito."

"Voglio restare con lui, Matty." 

"No, Jack. I dottori che si occuperanno di lui sono venuti qui direttamente dal Nido."

"Il Nido? Hai portato qui i medici dell'Ospedale della Fondazione, Matty?"

"Sì, Samantha, conoscono bene la storia medica del biondino e il direttore dell'ospedale ha dato pieno supporto all'operazione, è un vecchio amico. Ora venite con me, dobbiamo parlare."

   
 
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