Fandom:
MacGyver
(2016)
Rating: Verde
Personaggi/Pairing: MacDalton, Team
Phoenix
Tipologia: Two-Shot
Genere: Hurt/comfort, Sentimentale
Avvertimenti: Slash
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi
e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho
elaborato la seguente
storia, non mi appartengono.
Note: Dedicata a Mairasophia.
YOUR WOUNDED BODY, MY MENDED SOUL
CAPITOLO 1
"Da
quella parte!"
"No,
di là! Di là! Sbrigatevi!"
"Jack!
Riley! Dov'è il Biondino?!"
"Matty…
Mac…
Mac non c'è più."
"Sbrigatevi!
Il grattacielo sta per venire giù!"
CRASH!
§§§
"Fermatelo!
Si è
liberato!"
"Sta
scappando, prendetelo!"
"Capo,
cos'è questo rumore?"
"Quel
bastardo! È una bomba, fuori di qui!"
KABOOM!
UNA
SETTIMANA DOPO
Mentre
il rumore fatto dalle notizie del crollo del grattacielo Lancaster
cominciava a
scemare, la Fondazione Fenice si era, con difficoltà,
rimessa in piedi.
Dopo
la scomparsa e la ormai assodata morte dell'Agente MacGyver nel crollo,
la
Direttrice Webber aveva cercato di mettere una pezza alla disastrosa
situazione
psicologica dei suoi agenti, mandandoli in missione in gruppo e
affidando loro
la maggior parte dei compiti che normalmente avrebbe assegnato agli
altri
agenti.
Certo,
lei per prima non voleva dimenticare l'agente scomparso, l'agente che
per lei
era come un figlio, ma sapeva che doveva fare qualcosa oppure avrebbe
perso
anche gli altri.
Solo
due giorni prima, la squadra di punta della Fondazione era stata
mandata via
terra a recuperare alcuni file da un laboratorio militare in disuso e
impedire
che un gruppo di agenti stranieri se ne impadronissero: una missione
semplice,
che avevano portato a compimento abbastanza in fretta e senza intoppi.
Guidavano
da ore, ormai, diretti verso casa e dandosi il cambio soltanto ogni
tanto per
impedire che il guidatore designato esaurisse le già scarse
energie che aveva e
per impedire soprattutto a Jack di prendere il volante.
Riley,
Bozer e Samantha si alternavano ogni circa duecento chilometri mentre
Jack,
seduto sul sedile del passeggero, guardava fuori dal finestrino con
espressione
vuota e pallido in viso.
A
parte qualche chiacchiera distratta sulla strada da prendere e sulla
decisione
di fermarsi a qualche stazione di servizio, i quattro non avevano
parlato
molto: confusi, arrabbiati, tristi… non avevano perso
soltanto un agente quando
Mac era morto ma avevano perso un amico, una parte della famiglia e se
ciascuno
di loro aveva le proprie remore a parlare di famiglie e legami
personali e
simili stronzate, tutti sapevano che Mac significava molto di
più. E missioni
di gruppo del genere facevano sentire maggiormente la sua mancanza.
Un
fratello…
Bozer
si asciugò una lacrima fuggiasca mentre il sorriso divertito
di Mac gli
balenava nella mente: ricordava quando gli preparava i waffle al
mattino prima
di andare al lavoro per farlo mangiare un po’.
Riley
fissava la strada davanti a sé nel tentativo di cancellare
dalla propria testa
l’abbraccio gentile di Mac dopo una missione particolarmente
dura, una delle
prime sul campo, in cui lei si era ritrovata a piangere sul terrazzo da
sola,
dove poi avrebbero preso l’abitudine di riunirsi alla fine di
una lunga
giornata di lavoro. In silenzio, lui l’aveva raggiunta e le
si era seduto
accanto senza dire una parola.
L’aveva
abbracciata e lei si era messa a piangere tra le sue braccia,
sfogandosi.
Era
sempre stato lì per lei, come il fratello che non aveva mai
avuto.
Sam
non aveva un passato come quello degli altri ma in molteplici occasioni
Mac si
era dimostrato degno della sua fiducia e del suo rispetto, dalla
missione con
il gas nervino alla sua scomparsa e successiva riapparizione dopo
essere stato
rapito da Murdoc, e aveva imparato a volergli bene, a fidarsi di lui e
del suo
giudizio nelle situazioni più difficili.
E
perderlo in una maniera simile era doloroso e incredibile.
E
infine…
Il
rapporto tra Jack e Mac era particolare, in molti avevano tentato di
analizzarlo, salvo rendersi conto che non c’erano parole
abbastanza forti nel
dizionario per farlo.
Amici,
fratelli, anime gemelle…
Dove
c’era uno, c’era anche l’altro, pronto a
coprirgli le spalle e a proteggerlo;
quando uno dei due era a terra ferito, l’altro era dietro di
lui pronto a
prendersene cura.
Una
volta, uno degli agenti da poco in servizio aveva tentato di chiedere a
Jack e
Mac quale fosse esattamente il loro rapporto, come facessero a essere
sempre
così pronti all’azione e istintivamente pronti a
ogni cosa per proteggersi
vicendevolmente; e se Jack aveva risposto con qualche oscura
definizione presa
da un film di fantascienza, Mac aveva semplicemente sorriso senza dire
alcunché.
E
perderlo lo aveva ferito in maniera quasi fatale. Svolgeva comunque il
suo
compito ma senza la baldanza solita.
“Tra
poco ti do il cambio, Riles.” disse Bozer con voce bassa.
“Come
vuoi. Non sono ancora stanca, la strada è ancora lunga ed
è meglio che tu
risparmi le energie.”
Mentre
le voci dei suoi compagni gli giungevano attutite alle orecchie, Jack
guardava
senza vederlo davvero il paesaggio che correva oltre il vetro, una
macchia di
colore indistinta che la sua mente, ottenebrata dal dolore e dal
desiderio di
vendetta, non riusciva a decifrare del tutto.
Per
poco, non superarono la figura che barcollava, ferita, febbricitante e
confusa,
a bordo strada, ma nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono
attraverso
il vetro, Jack riconobbe in loro qualcosa che gli riempì gli
occhi di lacrime.
Nonostante
fossero spenti e vuoti, Jack li avrebbe riconosciuti ovunque.
“RILES,
FERMA LA MACCHINA, SUBITO!”
§§§
Con
la testa intontita per il dolore e la febbre, Mac – che
camminava ormai da
giorni senza cibo né acqua, con le ustioni che gli coprivano
le spalle e le
braccia e svariate altre ferite che i suoi rapitori non avevano curato
- non riconobbe subito la persona al di là del finestrino
con cui si
era scambiato un’occhiata distratta, e non si accorse neppure
della macchina
che si era fermata con gran stridore di freni e le grida provenienti
dalla
portiera che si era spalancata all’improvviso che chiedevano
a qualcuno dove
stesse andando, un qualcuno che si era precipitato fuori
dall’abitacolo urlando
un nome che non riusciva a capire ma che suonava sospettosamente come
il
proprio.
Come
faceva a sape-
Oh.
Tutto
divenne più chiaro quando l’uomo venne
più vicino e Mac riconobbe a fatica i lineamenti
di Jack sul suo viso; con un debole sorriso, allungò la mano
verso quello che
poteva essere a tutti gli effetti un miraggio dovuto alla febbre che lo
consumava ma che era così rassicurante da strappargli una
lacrima e aprì la
bocca per dire una semplice cosa: “Mi hai trovato,
Jack…” prima di svenire,
ormai esausto.
Sentì
soltanto le braccia del suo compagno stringersi con delicatezza attorno
a lui
come uno scrigno protettivo e la sua voce mormorargli parole
rassicuranti prima
di perdere del tutto i sensi.
Da
parte sua, Jack non aveva aspettato un attimo prima di stringere a
sé il corpo
di Mac e avvolgerlo nel proprio calore, lasciando che il sollievo e la
gioia
avessero la meglio su di lui mentre ne accarezzava con attenzione i
capelli
sporchi e secchi e allo stesso tempo controllava rapidamente le ferite
che
aveva.
Ustioni
non trattate, tagli, graffi, probabilmente una commozione cerebrale
dovuta a
una botta in testa che aveva aperto una ferita sul cuoio capelluto del
più
giovane…
Non
era in buone condizioni ma almeno era vivo.
Vivo…
Che
parola meravigliosa.
Non
capiva come fosse possibile, Jack aveva visto personalmente il
grattacielo
crollare con Mac al suo interno, ma non gli importava
granché, a dire la
verità.
“Resisti,
ti portiamo a casa.” mormorò al suo orecchio,
nascondendo il viso tra i suoi
capelli lerci per celare una lacrima.
Un
attimo dopo, era in piedi con il corpo di Mac tra le braccia e correva
verso la
macchina da cui erano usciti tutti gli altri.
Nessuno
parlava, non ci riuscivano, ma i sorrisi sui loro volti valevano
più di mille
parole.
Cage
annuì e andò a sedersi al posto di Jack mentre
quest’ultimo portava Mac sui
sedili posteriori, sdraiandoselo in grembo e coprendolo con il plaid:
“Ehi,
Mac, apri gli occhi…” mormorò
l’ex Delta con un filo di voce mentre gli passava
la mano sulla guancia scavata, “C’è
dell’acqua per te…”.
Assetato,
Mac sollevò debolmente una palpebra, venendo accolto dal
sorriso goffo di Jack,
che gli avvicinò la bottiglia alle labbra: “Bevi
piano, amico. Piccoli sorsi,
ti aiuterà anche con la febbre.”
Il
ferito annuì e, debilitato com’era, fu costretto a
farsi aiutare anche per quel
piccolo movimento; ma a Jack non interessava, l’avrebbe
portato in braccio fino
a Los Angeles senza lamentarsi se ciò fosse stato necessario.
Mentre
Bozer massaggiava le gambe di Mac per riattivarne la circolazione e
cercava di
ripulirlo dal sangue secco con alcune salviette da viaggio, le ragazze
sedute
davanti si consultavano sulla strada più veloce per
l’ospedale più vicino e
tentavano di contattare Matty sulla linea sicura della Fondazione.
Una
volta finito di bere, Mac si lasciò cadere
all’indietro tra le braccia di Jack
con un singulto strozzato: “Shh, va tutto bene. Sei al
sicuro.” mormorò il
massiccio agente, sorprendendo Bozer, non avrebbe mai pensato di vedere
Jack
ancora più protettivo nei confronti di Mac più di
quanto non avesse già visto
sul campo e fuori.
“Esplos-sione…”
balbettò il ferito: “V-Volevo r-raggiungervi, ma
mi hanno preso e-“
“Non
parlare, amico, ci sarà tutto il tempo per farlo.”
intervenne Wilt con le
lacrime agli occhi mentre continuava a massaggiargli le gambe rigide e
infreddolite: “Ha ragione, devi soltanto pensare a respirare,
al resto pensiamo
noi.” si fece sentire Riley dal sedile del guidatore:
“E poi ti prenderò a
calci per avermi fatta piangere.”
Con
stridore di ruote, si rimisero sulla strada.
La
notte stava ormai calando ma non c’era più traccia
di quella mestizia che fino
a poco prima regnava nella macchina: le due ragazze davanti
chiacchieravano serene
mentre Bozer parlava a raffica di qualunque cosa gli passasse per la
mente,
battutacce comprese; Jack, nel frattempo, passava le dita tra i capelli
di Mac
per mantenerlo tranquillo e rilassato, cosa che, finora, era riuscita
alla
grande.
Con
la schiena appoggiata al petto del partner per respirare meglio, Mac si
era
appisolato: nonostante tremasse per la febbre, era tranquillo e se
anche a
volte si svegliava per qualche incubo, Jack era sempre dietro di lui,
pronto a
calmarlo e a farlo riaddormentare.
Se
lo sentiva tremare nel suo abbraccio, Jack gli stringeva delicatamente
la mano
e gli posava un bacio tra i capelli, mormorandogli parole di conforto
che
avevano come effetto quello di allontanare la paura, lo stress, e
fargli capire
tra le nebbie della febbre che poteva fidarsi, che ci avrebbero pensato
loro a
tutto.
Che
poteva dormire senza preoccupazioni: prima che qualcuno potesse
arrivare a lui,
ci sarebbero stati tre agenti a fargli da scudo.
Fu
verso l’una che Sam, alla guida, inserì la freccia
e iniziò a rallentare: “Calma,
cowboy.” intervenne lei, vedendo Jack mettersi in posizione
d’attacco, con la
pistola in pugno, “Mi fermo a fare rifornimento, siamo quasi
a secco.”
Bozer
si stiracchiò, allungandosi in avanti, prima di raccogliere
da sotto il sedile
di Riley un’altra bottiglia d’acqua; bagnando un
fazzoletto di stoffa, lo passò
sulla fronte di Mac, che sospirò di sollievo per la
frescura: “La febbre sembra
scendere un po’ ma se ha un’infezione non posso
fare molto.” disse lui mentre
si asciugava le mani sui pantaloni.
“Ehi,
Mac, tieni duro, tra poche ore arriveremo in ospedale, da dove uscirai
soltanto
dopo che i medici avranno dato parere positivo.” Jack
avvicinò la bottiglia
alle labbra del compagno ferito: “E ora bevi,
avanti.”
“P-Praticamente
una prigione.” sussurrò questi con gli occhi
chiusi: “Per f-fortuna che so come
evadere…”.
“Tu
non evaderai, la storia di El Noche dovrebbe averti fatto capire
parecchio sul
perché dovresti fare il bravo bambino e scontare la tua
pena.”.
“Ragazzi,
se dovete fare la coppietta sposata, almeno aspettate di essere
arrivati in una
stanza con un letto comodo.”.
“Bozer,
taci o ti faccio tornare a L.A a calci.”.
“Rilassati,
amico. Jack, sei troppo teso, va tutto bene.”.
Sentendo
il battibeccare amichevole tra le due persone che meglio lo conoscevano
al
mondo, Mac si lasciò sfuggire un sorriso mentre la poco
familiare sensazione di
pizzicore agli occhi era il preludio di una tempesta emotiva che non
aveva la
forza di arginare.
Pochi
minuti dopo, infatti, mentre Cage e Riley erano fuori a fare
rifornimento, Mac
non riuscì più a trattenersi: il singhiozzo che
gli squassò il petto era
violento, da anni non singhiozzava più in quella maniera, ma
quei lunghi giorni
a vagabondare senza meta, confuso e solo, ferito, poi
l’apparizione di Jack e
dei suoi amici, la cura che questi avevano avuto una volta di
più per lui…
Beh,
tutto si era ammassato e lui non riusciva più a gestirlo.
Un
altro singhiozzo, poi un altro, e un altro ancora…
Ben
presto, il corpo di Mac venne scosso da tanti singhiozzi e le lacrime
cominciarono a scendere senza sosta: il ragazzo tremava e cercava di
divincolarsi dalla stretta di Jack che, passandogli una mano sul viso,
cercava
di placare il suo attacco nervoso; il più anziano fece cenno
a Bozer di
scendere, per dargli qualche minuto da solo con Mac, e questi fu rapido
a
strisciare fuori dall’auto per raggiungere le ragazze in
piedi accanto alla
pompa di benzina.
Mac
annuì debolmente e, girandosi di qualche grado, si
aggrappò alle spalle di Jack
e pianse a lungo sul suo petto, lasciando che l’ex soldato lo
tenesse stretto
senza dire niente.
Una
volta di più, Jack rinnovò il proprio giuramento,
non solo di proteggere quel
ragazzo che teneva tra le braccia ma anche di vendicarne le sofferenze
patite:
chiunque fosse stato il responsabile l’avrebbe pagata cara.
Quando
finalmente i singhiozzi si attenuarono, Mac si sollevò di
qualche centimetro
per asciugarsi gli occhi: ansimava esausto e fu Jack a doverlo spostare
di peso
per farlo distendere.
“G-Grazie…”
la voce di Mac era bassa e roca, ma era la sua e Dalton
pensò che non c’era
suono più bello al mondo.
Anche
più bello di quello dello Skee-Ball di Pizza Paradise
“S-scusami,
n-non so cosa mi sia preso, io-“ cercò di dire lui
con voce rotta ma Dalton gli
afferrò il polso e si chinò in avanti e fece
collidere le loro fronti: “Non
devi scusarti, hai capito? Il Mac che conosco io non si scusa per
qualcosa che
ha fatto, figuriamoci per qualcosa di cui non è
responsabile.” Disse in un
soffio, prima di posargli un bacio sulle labbra, “E per la
cronaca, il Mac che
conosco io non si lascia rubare un bacio senza lottare.”.
A
quella frase, Mac sentì una risata nascergli nel petto.
“Ragazzi,
dobbiamo ripartire.” Riley infilò la testa
all’interno dell’auto dal finestrino
abbassato: “Abbiamo ancora qualche ora di viaggio davanti a
noi e prima di
muoviamo e meglio è. Soprattutto per Mac, ha bisogno di cure
e non di qualche
pezza fredda sulla fronte. Matty ha chiamato e si è
raccomandata di tenerti
d'occhio, fratellino." disse la ragazza con un sorriso commosso.
Jack
sollevò la testa da quella di Mac e annuì alla
figlia adottiva, che fece cenno
a Sam e Boz di raggiungerla; ripreso posto a bordo, il gruppo si rimise
in
viaggio, decisamente più rilassato di prima.
Dopo
qualche minuto di viaggio, sia Wilt che Sam crollarono addormentati,
lasciando
Riley al volante e Jack di veglia, perfino Mac aveva lasciato perdere e
si era
nuovamente abbandonato al sonno, senza però lasciare la mano
di Dalton, la sua
ancora alla realtà.
“Ehi,
paparino.”
Con
una nota divertita nella voce, la ragazza ne attirò
l’attenzione: “Puoi
rilassarti, se vuoi dormire un po’ ci penso io a tenervi al
sicuro e a
occuparmi eventualmente di lui. Sono abbastanza certa di sentirlo nel
caso
avesse bisogno di aiuto, questo se prima non scatta il tuo senso di
Mac.”
Jack
sorrise ma scosse la testa: “Non preoccuparti e pensa a
guidare, non sono
stanco.”.
“Jack,
so che è stato difficile, ma è al sicuro
adesso.”
“Ma
non lo era prima, Ri. Senti, sai quanto io voglia bene a Mac,
quando… Mi sono
sentito morire.”
“C’ero,
Jack. E non credere che per noi sia stato più semplice. Ma
è passato, è lì che
dorme con i piedi infilati nel costato di Bozer, a cui non frega niente
del
dolore, e siamo a poche ore di distanza da un ospedale dove lo
rimetteranno in
sesto. Poi salteremo sul primo jet che Matty ci farà
arrivare e saremo a casa
in men che non si dica.”
Distrattamente,
Jack accarezzò i capelli di Mac con la mano ancora libera,
sorridendo nel
sentirlo grugnire infastidito: “Principino
viziato.” lo sfotté sottovoce ma con
una nota di tenerezza; rimboccandogli il plaid fino al collo
perché non
prendesse freddo, Dalton sospirò prima di passargli una mano
sulla fronte, era
ancora caldo ma doveva essere scesa almeno a 38°C, forse
qualcosina di più.
Mentre
nel cielo le stelle cominciavano a tramontare e le tinte violacee della
volta
celeste sfumavano via via verso l'azzurro, era ormai l'alba quando
all'orizzonte apparve la skyline della città più
vicina, dove avevano visto
esserci un ospedale; quando infine si fermarono con gran stridore di
freni nel
parcheggio davanti al pronto soccorso, svegliando i passeggeri per lo
strappo
improvviso, Jack non aspettò che tutti fossero in piedi ma
avvolse Mac nella
coperta e si precipitò fuori alla ricerca di una barella per
depositarcelo
sopra.
"Dalton,
vieni qui e posa Mac prima che decida di vomitarti sulle scarpe."
In
piedi accanto a una barella spinta da alcuni infermieri, Matty accolse
l'agente
più anziano della squadra con uno sguardo di fuoco: "Sono
venuta prima che
ho potuto. Lascia che si occupino del biondino e venite con me. Subito."
"Voglio
restare con lui, Matty."
"No,
Jack. I dottori che si occuperanno di lui sono venuti qui direttamente
dal
Nido."
"Il
Nido? Hai portato qui i medici dell'Ospedale della Fondazione, Matty?"
"Sì,
Samantha, conoscono bene la storia medica del biondino e il direttore
dell'ospedale ha dato pieno supporto all'operazione, è un
vecchio amico. Ora
venite con me, dobbiamo parlare."