Crossover
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Autore: Registe    25/05/2019    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 29 - Larxen (III)





Il tomahawk di Lexaeus





“Questa roba è pazzesca.”
Ferite, lividi, persino il dolore, tutto sparito. Anche la tunica dell’Organizzazione sembrava appena uscita dalla lavanderia, stirata di fresco come non era stata neanche il suo primissimo giorno al Castello dell’Oblio.
E la magia della capsula buffa non si era limitata a guarirla. Larxen non si era mai sentita così forte, potente ed esplosiva in vita sua. L'energia del fulmine scalpitava dentro di lei, pizzicava insistentemente sulla punta delle dita, pregando, no, esigendo di venire rilasciata. La n. XII era più che entusiasta di accontentarla.
“Pronti a spaccare il culo a Xemnas, ragazzi?”
“Frena i tuoi impeti omicidi, Larxen. Dobbiamo pianificare attentamente le prossime mosse. Il successo della nostra impresa dipenderà dall’astuzia oltre che dalla forza.”
Davvero non capiva come gli altri potessero restare tanto impassibili. Vexen era un vecchio patetico, Marly un signorino scopa-nel-culo e Axel un ritardato completo, ma possibile che nessuno di loro percepisse la magnificenza del potere che avevano appena ricevuto? Come riuscivano a starsene seduti attorno a un tavolo a discutere mentre la magia ruggiva assordante nelle loro vene? Da quando era uscita dalla capsula, nemmeno un'ora prima, Larxen non era in grado di pensare ad altro. La sua unica certezza era che doveva liberare quel potere o sarebbe esplosa in un tripudio di saette.
“Basta temporeggiare, Marly! Stiamo solo perdendo l'effetto sorpresa!”
La ignorarono. Di nuovo.
Il n. IV stava tenendo una sorta di noiosissima conferenza, illustrando un piano arzigogolato che prevedeva una serie di fughe per il Castello e il collocamento in punti strategici di “sigilli alchemici”, o come diavolo si chiamavano. Sorprendentemente, Axel pendeva dalle sue labbra, chiedendo diverse volte di rispiegare i passaggi che non capiva (cioè quasi tutti) e annuendo con vigore. Bocciolo di Rosa invece si teneva sulle sue, assorto nella contemplazione di ciò che accadeva in quel momento all'interno del Castello. L'immagine fluttuante di Xemnas, Lexaeus e Saïx che tentavano di sfondare a suon di incantesimi il portone delle Stanze della Memoria gettava luci aguzze sulla sua fronte corrugata, rendendo la sua espressione quasi ferale.
“Assurdo che non si senta nulla del casino là fuori.”
Perse le speranze di ricevere attenzione dai suoi tre (deludentissimi) complici, Larxen decise di rivolgersi all'unico altro essere presente nella stanza, il misterioso uomo in armatura. Il suo discorso era stato epico, c’era poco da dire. Di fronte alla battaglia campale di Autozam, la n. XII aveva provato il desiderio di saltare nella mischia e falciare orde di creature nere con una di quelle armi fantastiche che gli umani erano in grado di costruire tremila anni prima. Erano solo immagini ed echi del passato, solo una storia. Ma una bella storia. Come l’avventura del Re Kraken Uccisore di Draghi che leggeva di nascosto da piccola e le faceva battere il cuore. Poche cose nel mondo reale l'avevano fatta sentire così viva fino a quel momento. Far fuori il n. III dopo un sanguinoso duello era una di quelle.
“Ho promesso che vi avrei protetti entro i confini di questa stanza, e la mia parola è sacra.”
L’uomo-lattina restava immobile, imperscrutabile. Probabilmente le creature millenarie avevano anche una pazienza millenaria. Ma Larxen non era una creatura millenaria.
“Prima o poi dovremo uscire di qui.”
“Niente ve lo impedisce.”
Ah.
Un ultimo sguardo al tavolo dei presunti strateghi, poi gli occhi di Larxen inchiodarono il portone come dardi infuocati.
L’unica via di accesso alla sala in cui erano asserragliati da ore. La barriera sottile che li separava dagli ultimi tre ostacoli rimasti tra loro e la conquista del Castello (i n. VI, IX e X avevano abbandonato la nave mentre lei stava combattendo con Xaldin, ma erano irrilevanti in ogni caso).
Mancava così poco.
Il fulmine accorse al suo comando ancora prima che sollevasse la mano. Spalancati! Ordinò. È la Regina delle Tempeste che te lo comanda!
I cardini saltarono, tranciati di netto dalla forza dei battenti che esplodevano verso l'esterno. Il boato assordante le vibrò fin dentro le ossa, facendole battere i denti e scorrere un brivido di piacere lungo la schiena.
Ora inizia il divertimento.
Dalla mano tesa un groviglio di saette eruppe in un'estensione del suo pugno, tuffandosi come un razzo-missile nello spazio tra i battenti scardinati. Per un attimo la luce del fulmine accecò persino lei, ma le urla degli altri si fecero comunque strada fino alle sue orecchie, accarezzandole come la più dolce delle melodie.
Le urla di stupore dei suoi alleati.
E quelle, infinitamente più soddisfacenti, dei suoi nemici. La prima cosa che vide quando il lampo si spense furono il Superiore e i suoi potentissimi guerrieri accartocciati a gambe all'aria, le vesti bruciacchiate.
Scoppiò a ridere.
“Gorilla alla griglia! Cotti a puntino!”
Ad onore di Lexaeus e Saïx andava detto che furono fulminei a rialzarsi per fare da scudo al n. I. In pochi secondi il tomahawk e il claymore apparvero nelle loro mani, e Larxen piantò i piedi a terra, pronta ad affrontare l’inevitabile carica.
“Fatevi sotto, grassoni!”
E poi, mentre Larxen già pregustava lo stridio dei suoi kunai sulle armi dei gorilla, al Superiore venne la malsana idea di posare le mani sulle braccia di entrambi, frenando il loro slancio. Alle sue spalle Larxen percepì, senza vederli, i suoi tre complici che la raggiungevano sulla soglia. Marluxia stava abbaiando qualcosa, verosimilmente rimproveri o ordini, ma Larxen restò con gli occhi puntati sui nemici, relegando il n. XI a brusio di sottofondo. Ve la siete presa comoda.
Lo sguardo di Xemnas abbracciò i quattro traditori, ricolmo di dolore. Neanche dopo la morte dei due membri più fedeli quegli occhi d’ambra riuscivano a tingersi di rabbia.
Eppure te li abbiamo serviti per benino. Un’anatra arrosto e un maiale allo spiedo.
E osava definirsi un leader. Le faceva schifo, per quanto era debole.
“Vi prego, figli miei. Non vi basta il sangue già versato nella nostra famiglia? Possiamo ancora fermare questo… “
Eh, no.
Il tempo dei sermoni era finito.
“Non ci provare!”
Scattò, ogni muscolo del corpo unito in una perfetta sintonia. Era sempre stata veloce, ma adesso le sembrava di volare, di scivolare senza peso sul pavimento bianco. Le altre ragazze del villaggio si emozionavano per un vestito nuovo o una corona di fiori nei capelli, ma Larxen non si era mai sentita bella come in quel momento, mentre caricava il nemico con i kunai tra le dita, il corpo snello circondato dai fulmini.
Non arrivò nemmeno a sfiorare il Superiore. Con un boato assordante, un muro di roccia esplose dal terreno davanti a lei, nascondendo la preda alla sua vista. Larxen vacillò, sul punto di perdere l’equilibrio per le scosse che si propagavano sul pavimento e le pareti del Castello. Piantò i piedi e si morse l'interno del palato, valutando l'ostacolo in una frazione di secondo.
Il muro di roccia continuava a innalzarsi, presto avrebbe raggiunto il soffitto. Era veloce.
Larxen lo era di più.
Saltò, usando le protuberanze e gli spuntoni nella parete rocciosa come punti d'appoggio. La scia di fulmini la seguì come la coda di una cometa, un balzo dopo l'altro. Arrivò in cima poco prima che la pietra si congiungesse al soffitto e si infilò nel pertugio con l'agilità di un serpente, una manovra degna della Regina degli Inseguimenti Rocamboleschi. Atterrò dall'altra parte leggera come una piuma.
Il muro di roccia si schiantò contro il soffitto e il boato riecheggiò fin nelle fondamenta del Castello.
 Purtroppo, il Superiore non si vedeva da nessuna parte.
“Il tuo padrone è un cagasotto. Come pretende di comandare se non fa che nascondersi dietro voi masse di muscoli?”
La massa di muscoli in questione non mosse un sopracciglio. Non c’era nessun altro nel pezzo di anticamera rimasto isolato dalla parete rocciosa. Alle orecchie di Larxen arrivavano grida e rumori confusi, attutiti dallo spesso strato di pietra. Dall'altra parte dovevano aver già iniziato a darsele di santa ragione. Di fronte a lei, un secondo muro: la sagoma possente del n. V.
“Mi lusinghi, comunque. Tutto questo casino solo per rimanere solo con me. Peccato tu non sia il mio tipo.”
Lexaeus dava poca soddisfazione. Non rispondeva alle provocazioni, non insultava, non si arrabbiava. Si limitava a fissarla con disprezzo e disapprovazione scolpiti negli occhi blu. Era come fronteggiare un golem di pietra. Le conveniva farlo fuori in fretta, per poter passare a sfide più divertenti.
Lasciò danzare i fulmini. Inarcò le dita, lanciandoli in una rete ad avviluppare il suo ingombrante avversario, allacciandoli intorno alle braccia e alle gambe solide come tronchi e lanciandosi in avanti in un lampeggiare di kunai. Nessuno nell'Organizzazione poteva rivaleggiare con la forza di Lexaeus, ma la sua stazza da bisonte lo rendeva lento e prevedibile. Allenandosi sotto la sua guida Larxen aveva capito ben presto che il n. V puntava a concludere gli scontri rapidamente, con pochi colpi micidiali e ben assestati.
"Prendimi se ci riesci!"
Lo sfolgorare delle saette non nascose il lampo di sorpresa negli occhi del gorilla, e Larxen rise con malignità mentre i kunai facevano centro una, due, tre volte. Accerchiato dalla gabbia di fulmini, il n. V non riuscì né a parare né a schivare. Poté solo guardare con impotenza mentre tre larghi squarci si aprivano lungo l'avambraccio, il torace e il fianco sinistro. Con una capriola, Larxen si portò di nuovo a distanza di sicurezza e sfrecciò di nuovo all'attacco come il proiettile di una fionda. In un mondo di cui non ricordava il nome aveva scoperto un gioco chiamato "flipper", in cui si premevano freneticamente due levette per far schizzare una pallina di metallo da una parte all'altra e colpire bersagli disseminati lungo il percorso. Da quel momento aveva sempre pensato che sarebbe stato divertente e altamente spettacolare combattere come una pallina da flipper.
Prima delle capsule buffe non sarebbe riuscita ad attaccare tenendo la rete di saette attiva così a lungo, ma adesso non aveva nemmeno il respiro affannato. Lo sfrigolio dell'elettricità faceva da piacevole sottofondo ai grugniti del bestione ogni volta che i kunai affondavano nella carne.
"Ti infilzerò come un porco in un buffet!"
Non riuscì a fare un terzo passaggio. Lexaeus gettò al vento la compostezza e cacciò un urlo che sembrò erompere dalle profondità stesse della terra. Strinse la presa sull'impugnatura del massiccio tomahawk e piantò i piedi sul terreno, attingendo forza dal suo elemento. Il pavimento tremò e Larxen incespicò sui propri piedi. Ma fu l'esplosione farla cadere in ginocchio.
Il muro di pietra si infranse con un boato, e i frammenti schizzarono verso il loro padrone, alcuni grossi come la testa di una persona, altri minuscoli e affilati come dardi. Larxen si appiattì sul terreno, proteggendo occhi e viso con le mani.
Le saette morirono con un ultimo guizzo, e a Larxen sembrò che qualcuno le avesse risucchiato tutto il sangue dalle vene, lasciando soltanto un vuoto gelido al suo posto.
Ora Lexaeus troneggiava, trionfante in mezzo al bianco. Un gigantesco pianeta roccioso attorno a cui ruotavano centinaia di meteoriti più piccoli, lanciati in una girandola vorticosa. L'altra metà della stanza, oltre il muro infranto, era deserta. In fondo si scorgevano soltanto i resti del portone divelto delle Stanze della Memoria.
Larxen non ebbe tempo per domandarsi dove fossero finiti i suoi compagni. All'improvviso, senza che da parte del n. V ci fosse alcun gesto o cenno di comando, tutti i pezzi di roccia si bloccarono sospesi a mezz'aria. L'istante successivo, una raffica di proiettili si dirigeva impazzita verso di lei.
Aveva sempre deriso il n. IV per aver scelto uno scudo come arma, ma mai come in quel momento desiderò averne uno. I proiettili di pietra ignorarono i fulmini e si fecero beffe dei kunai, investendola in pieno. Gridò, rotolando disperatamente sul pavimento.
Era un dolore diverso da quello delle ferite da taglio, più selvaggio, più sordo e brutale. Quando viveva al villaggio, suo padre aveva minacciato varie volte di picchiarla con un bastone per levarle dalla testa "quelle idee da bambina disobbediente" ma, pur con tutta la sua rabbia, nemmeno lui aveva mai trovato il coraggio di sottoporre a un castigo così violento la sua unica figlia. Lexaeus, a quanto pareva, non aveva remore a massacrare giovani ragazze ben più piccole di lui.
Bene.
Avrebbe detestato un avversario che si faceva scrupoli.
Con la guancia ormai premuta contro il pavimento freddo, riuscì a muovere le dita quel tanto che bastava ad aprire un portale subito sotto di lei. Sprofondò nel buio, e il freddo delle spire oscure fu un sollievo contro la pelle martoriata. Alcuni frammenti di roccia finirono nel portale insieme a lei, rimbalzando sull'ennesimo pavimento bianco. Non si era spostata di molto, e lo aveva fatto di proposito. Non era una fuga, solo una ritirata strategica.
"Larxen?"
Che sorpresa. Il caso o il destino l'avevano portata ad atterrare davanti a uno sbigottito n. VIII, intento ad armeggiare con uno dei giocattoli alchemici di Vexen.
"Che ti è saltato in mente a spaccare tutto e attaccare senza preavviso?! Cosa cazzo ti è saltato in mente?!"
Axel era bianco come un lenzuolo e rigirava tra le dita il sigillo alchemico (o quello che era) con evidente nervosismo, ma non appariva ferito.
E si lamenta pure.
Scrollò le spalle, anche se il semplice gesto spedì una fitta di dolore lungo tutta la schiena. Poteva sentire i lividi affiorare dappertutto sotto la tunica dell’Organizzazione, ma ciò non le impedì di scoccare al n. VIII un sorriso di scherno.
"Perché, volevate chiedere scusa al Superiore e baciargli i piedi? Dove sono gli altri?"
"Noi stiamo cercando di fermare Saïx, sai com'è. Lo sapresti se avessi ascoltato un decimo di quello che ha detto Vexen. Quel figlio di puttana di Bocciolo di Rosa invece ha… "
Il crepitio di un portale risuonò minaccioso alle sue spalle.
Ogni fibra del suo corpo agì con la rapidità del suo elemento, più veloce del pensiero. Prima ancora che il portale si aprisse, Larxen era già svanita a sua volta in un varco oscuro.
"Ma che cazzo. .. ?!"
Riapparve al di là della porta della stanza adiacente, ma Axel non poteva saperlo. Senza fare rumore, socchiuse il battente quel poco che bastava a godersi la scena. Lento e stupido com'era, il roscio rimase a fissare l'apparizione del n. V con una faccia da ebete assoluto che minacciò di farla scoppiare dalle risate e distruggere la sua copertura.
"Insegui un traditore, ne trovi un altro."
Bravo Axel. Renditi utile e fammi da esca.
"Oh… ciao Lex."
Larxen vide il tomahawk sollevarsi negli occhi dilatati dal terrore di Axel. Il n. VIII iniziò a evocare un portale, ma i movimenti di entrambi sembravano lentissimi allo sguardo della Ninfa Selvaggia, fotogrammi proiettati da una cinepresa rotta.
Lei era il fulmine. Tutti gli altri erano polvere bruciata, calpestata e abbandonata nella sua scia.
Il balzo agile di un gatto e fu alle spalle del bestione, sicura e mortale come una freccia. Spiccò il salto nel preciso istante in cui Axel si tuffava nel portale e il tomahawk si abbatteva dall'alto, tagliando solo aria e brandelli di oscurità. 
I kunai lampeggiarono, descrivendo un cerchio verso la testa del bestione.
Forse fu lo spostamento d'aria, o i muscoli doloranti che le impedirono di essere silenziosa come avrebbe voluto, ma Lexaeus si voltò con una frazione di secondo d'anticipo.
Una morsa ferrea le serrò il collo, mozzandole il fiato, bruciandole i polmoni. Si ritrovò ad annaspare con i piedi a mezz'aria, le dita strette ad artiglio sulle braccia del n. V, i kunai svaniti in uno sbuffo di luce. Scalciò e si contorse, la bocca spalancata alla disperata ricerca d'aria. Il viso di pietra di Lexaeus si intorbidì, sorprendentemente ingentilito dal velo di lacrime che le annebbiava lo sguardo. I bulbi oculari bruciavano, sembravano contorcersi nel tentativo disperato di saltare via dal cranio.
Il bestione strinse la presa, e Larxen capì che non poteva farcela. Le braccia caddero sconfitte lungo i fianchi, l'intero corpo si afflosciò come il cadavere di un impiccato. La testa sembrava sul punto di esplodere. Il dolore intorno al collo si dilatò coprendo ogni angolo del suo mondo.
Il n. V fece sparire il tomahawk e la afferrò con entrambe le mani. Per la prima volta la sua espressione cambiò, rivelando un ghigno soddisfatto, ferino. Spaventoso.
"Questo è per Xaldin."
Bravo idiota. Ci sei cascato in pieno.
Il dolore e la rabbia ribollirono nelle sue vene, nutrendo il fulmine. Larxen lasciò che l'energia la attraversasse, la trapassasse, la possedesse. La fece bruciare sulla pelle, danzare lungo le braccia e le gambe, esplodere da ogni centimetro del suo corpo.
Brillò di luce accecante, splendente e bellissima.
Lexaeus bruciò insieme a lei.
Ora Larxen non vedeva più nulla. Voleva urlare, ma il bastardo non riusciva a mollare la presa, anche se i suoi arti erano contorti dagli spasmi e il suo ruggito di bestia ferita a morte faceva tremare la terra.
Continuò a far bruciare il fulmine con ogni cellula del suo corpo finché la morsa intorno al collo non svanì del tutto. Poi, come una candela mozzata dal vento, si spense.
La accolse il pavimento, freddo e meraviglioso. E il silenzio.
Fumi di vapore si sollevarono dalla sua pelle, sibilando e confondendosi nel bianco. Era l'unico colore che riusciva a vedere, e non sapeva se era solo il soffitto del Castello o il fulmine che le aveva bruciato le retine. Ma no, il suo elemento non le avrebbe mai fatto del male. Lei era la Regina del Fulmine.
Non riusciva a muovere un muscolo. Non sentiva più nulla, né il dolore né la minima traccia del calore che l'aveva fatta sfavillare. Sentiva il proprio respiro, spezzato e flebile, ma vivo.
Di quello di Lexaeus nessuna traccia.
Avrebbe voluto sorridere, sussurrare una battuta epica con il poco fiato che le restava.
Invece la sua mente sprofondò nel buio.
  
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