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Autore: Hypnotic Poison    27/05/2019    4 recensioni
« A volte un po’ mi manca. La sensazione di libertà che ogni tanto mi dava. Sai, volare. »
« Vedi che non ti dispiace allora se ti chiamo tortorella. » [...] Aveva sempre voluto solamente un po’ di quiete; aveva sempre fatto tutto ciò che una signorina del suo rango doveva fare. L’unica sua eccezione era la danza, il suo grande amore. E già per quello si sentiva costantemente in lotta con la sua famiglia, come se non potesse mai dimostrare abbastanza, e lei era così stanca di controbattere continuamente.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Dancing in the Dark

 

 

 

 

 

 

You can’t start a fire without a spark

 

 

 

 

 

Minto si sedette sullo sgabello foderato di velluto blu scuro e aprì con cautela il coperchio d’abete, sfiorando con la punta delle dita i tasti bianchi come a chiedere il permesso di suonarli dopo tanto tempo. Abbozzò piano il primo motivetto che si ricordò, un sorriso che le spuntò naturale sulle labbra nel percepire la naturalezza, seppur un po’ inceppata, dei movimenti.

Era abbastanza arrugginita, ma riusciva ancora a far scivolare le mani come se non fossero passati mesi, se non un annetto, dall’ultima volta che aveva avuto tempo di rilassarsi con il pianoforte a coda che le avevano regalato da bambina. Avrebbe davvero voluto esercitarsi di più (e sicuramente anche sua madre avrebbe apprezzato la cosa), ma era stata così tanto occupata, soprattutto in quegli ultimi tempi…

Una nota fuori posto le fece storcere il naso, l’idillio già spezzato. La mancanza di concentrazione stava cominciando a diventare un problema serio, non bastava più continuare ad ammetterlo a sé stessa, doveva prendere le redini della situazione in mano, e…

Sentì bussare alla porta e sobbalzò piano, tentando di non darlo a vedere alla cameriera che infilò solo la testa dallo spiraglio.

« Signorina Aizawa, c’è un ospite per lei. »

Lei annuì, quasi scocciata dall’interruzione, e sospirò: « D’accordo, ora arrivo. »

La ragazza si ritirò con un accenno e un inchino, chiudendosi la porta alle spalle, e lei si sfregò la fronte. Possibile che ancora non avessero capito che le visite le piacevano solo pianificate?

Cos’aveva fatto di male per meritarsi tutti quegli sconvolgimenti imprevisti alla sua impeccabile, programmatissima, controllatissima vita?

 

 

Four months earlier

 

 

« Ancora!? Ma che cavolo - ! »

L’esclamazione incredula e irritata di Taruto risuonò sopra il chiacchiericcio del salone del Caffè quasi al completo, coperto solo dalla risatina di Purin che gli si lanciò contenta al collo per schioccargli l’ennesimo bacio richiesto dal vischio appeso in apparenti quantità industriali per il locale, noncurante della sfumatura di rosso che gli fece assumere nuovamente.

Minto rise appena, nascondendo il volto nel calice di champagne quasi vuoto, mentre osservava contenta la scenetta.

« Mio fratello fa tanto il duro, ma guarda come tubano nell’angolo. »

Alzò lo sguardo alla sua destra, Kisshu che era comparso accanto a lei con la stessa espressione divertita, le mani cacciate in tasca e l’elegante camicia dalle maniche già sbottonate e arrotolate fino ai gomiti.

« Lascia che facciano, sono teneri. »

Lui le lanciò un’occhiata incredula, poi fece un cenno al bicchiere: « Ne hai già bevuti troppi? Da quando tu trovi tenere le cose? »

« A Natale siamo tutti più buoni, » commentò lei con tono ironico.

« Certo, certo, e io mi chiamo Rudolph. »

Lei rise di nuovo, più allegra di quanto non lo fosse stata in quegli ultimi tempi.

Forse era stato proprio il ritorno dei tre fratelli Ikisatashi, circa sei mesi prima, a portare una ventata di freschezza nelle loro vite.

Seppure all’inizio erano stati tutti sul chi vive a risentire i computer del seminterrato squillare come non facevano da ormai più di dieci anni, gli alieni avevano pienamente dimostrato di avere intenzioni più che pacifiche.

Soprattutto Taruto e Pai, che non avevano perso troppo tempo nel riallacciare fili che probabilmente non erano mai stati del tutto slacciati.

Ovvio, tutti avevano dovuto riacquistare fiducia gli uni negli altri; per quanto alla fine della battaglia si fossero trovati tutti dalla stessa parte, non era stato facile per nessuno cancellare definitivamente ciò che era successo. Ryo più di tutti era stato restio a sotterrare l’ascia di guerra, soprattutto considerato il vecchio interesse che un certo alieno aveva nei confronti di una certa rossa. Soltanto sedute a porte chiuse con Zakuro, Keiichiro, e la stessa Ichigo – che ovviamente non aveva esitato a spifferare tutto alla sua migliore amica – erano riuscite a convincerlo a uscire dal suo mutismo selettivo nei confronti degli alieni e a farlo smettere di comportarsi come un becero cavernicolo di sei anni (citazione diretta della modella, a quanto pareva, che ancora la faceva ridere sotto i baffi).

Anche perché il povero Ryo non avrebbe certo potuto mantenere il fronte di guerra aperto per il resto della sua vita, per quanto la sua testardaggine potesse essere caparbia; gli alieni avevano annunciato tutta la loro volontà di rimanere sul pianeta Terra più a lungo possibile.

« Che era quello che volevamo fin dall’inizio, » aveva scherzato Kisshu durante uno dei tanti incontri, poco dopo il loro ritorno, in cui avevano cercato di far chiarezza sulle cose. Ovviamente si era guadagnato delle occhiatacce da metà del gruppo, ma per quanto fossero cambiati, non potevano cambiare del tutto.

La vita sul loro pianeta, una volta riacquistata la stabilità climatica e un certo grado di normalità grazie all’intervento della Mew Aqua, si era rivelata troppo faticosa per gli Ikisatashi. Erano stati sulla bocca di tutti, nel bene e nel male, e per quanto all’inizio la cosa poteva essersi rivelata vantaggiosa, per alcuni, a lungo andare era diventata quasi velenosa. Pai non riusciva a svolgere le sue ricerche in santa pace, Kisshu veniva additato a volte come traditore primario, altre volte come eroe tragico, e nessuno sembrava più prenderli sul serio o lasciarli vivere la loro vita.

Erano stati lanciati da così giovani in un’avventura decisamente più grande di loro, e la loro patria non era stata più in grado, o forse non aveva voluto, prendersene cura quando erano ritornati.

E nessuno li avrebbe capiti fino in fondo come le ragazze con cui avevano condiviso la parte più importante e segnante della loro adolescenza.

Perciò, presi armi e bagagli – e da quanto aveva capito nei discorsi origliati tra i tre, Keiichiro e Ryo, anche un’astronave parecchio grossa – erano ritornati a Tokyo a chiedere comprensione, ospitalità, e un po’ di pace mentale.

E si erano stupiti tutti, davvero, di quanto facilmente e velocemente i tasselli si erano ricomposti alla perfezione. Quasi non sembrava che fossero passati dieci anni, o che certe cose fossero successe. Certo, non era sempre del tutto vero e alcuni più degli altri erano ancora un po’ titubanti, ma proprio le amicizie nate da eventi improbabili e avversi erano quelle che sembravano più consolidate e durature.

Quindi, anche Shirogane si era dovuto arrendere a trovarsi Kisshu molto più spesso di Kei o Zakuro come compagno d’allenamento. E anche se non l’avrebbero mai ammesso, sotto sotto iniziavano pure a tollerarsi a vicenda, se non proprio a starsi simpatici. 

Anche lei, poi, doveva concederglielo, aveva trovato un alleato non da poco contro i capricci di Ichigo o contro i momenti di noia o di tristezza. Kisshu sembrava sempre caricato con l’argento vivo, incapace di stare fermo – o zitto – eppure al tempo stesso si era rivelato un ottimo ascoltatore. Certo, il più delle volte era capacissimo di farle saltare i nervi con battutine sciocche e infantili e qualche punzecchiatura di troppo, ma avevano scoperto di essere in sintonia su molte altre cose e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, le faceva piacere passare del tempo con lui.

Non le sfuggì, tra la folla per quella festa natalizia organizzata da Keiichiro per rilanciare l’ultima ristrutturazione del locale, le occhiate fameliche che una delle ospiti continuava a lanciare in direzione del suo compagno di chiacchiere. Non che potesse biasimarla troppo, in fondo; gli anni passati avevano decisamente fatto del bene a Kisshu. Aveva ventiquattro anni, poteva dirsi di averne passate abbastanza per definirsi una donna adulta e responsabile, e anche lei sapeva riconoscere un bel ragazzo quando ne vedeva uno senza che ciò comportasse cose disdicevoli.

« Devi stare attento, » mormorò divertita, facendo appena un cenno della testa mentre gli si avvicinava con fare cospiratorio, « Sembra avere intenzioni un po’ troppo decise. »

Kisshu seguì il suo sguardo, altrettanto divertito: « Da tortorella sei diventata un falchetto, ora? O sei preoccupata per me? »

« Sono preoccupata per il bagno del locale, più che altro. »

« Che orribile idea che hai di me! Non potrei mai creare una fila in bagno per tutto quel tempo. »

« Insomma! »

« Passerotto, hai iniziato tu. »

La mora scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, allegramente esasperata, stava per replicare quando una mano leggera le si posò sulla schiena, catturando la sua attenzione.

« Ah, Ogasawara-san! Mi stavo giusto chiedendo dove fossi finito. »

« Eccomi scusa, mia madre al telefono la tira sempre troppo per le lunghe. Ikisatashi-san, giusto? »

L’alieno – in incognito – studiò con la solita aria beffardamente socievole la mano tesa del ragazzo alto e ben vestito di fronte a lui, prima di stringergliela con fermezza: « Giusto. Come va la vita, Ogasawara? »

Il giapponese parve non lasciarsi interdire dalla maniera con cui venne chiamato, e sorrise affascinante: « Non posso lamentarmi, anche se questo è sempre uno dei momenti più impegnativi dell’anno. »

« Non dirlo ad Akasaka-san, ormai non esce più dalla cucina con tutti i dolci di Natale che gli richiedono, » Minto sorrise ancora e prese un sorso dal suo bicchiere, « A proposito, potremmo chiederne uno per la cena dai tuoi genitori, la settimana prossima. »

« Basta che poi non ti lamenti che ti faccio saltare la dieta, » la riprese bonariamente, facendole arricciare il naso in una smorfia di ripicca, « Cosa mi sono perso? »

Kisshu continuò ad osservare le interazioni di Minto con il suo fidanzato, divertito dalla continua formalità che la ragazza sembrava non riuscire mai ad abbandonare: « Niente, io e la tortorella stavamo commentando gli imbucati. »

Questa volta, Eichi alzò appena un sopracciglio: « Non credo che Minto-san apprezzi un soprannome così poco elegante. »

« No, non apprezzo, » Minto sbuffò divertita e lanciò un’occhiata allusiva all’alieno, « Ma non riesce a fargli cambiare idea nemmeno Shirogane in quanto ad appellativi. »

Kisshu ghignò canzonatorio: « Stai scherzando, lo sai che Einstein con gli occhioni a cuore ora è la mia vittima preferita. »

« Kisshu! »

« Che c’è, non posso burlarmi un pochino del mio vecchio rivale in amore che ora ce l’ha fatta? C’è più carie qua dentro che in cucina, con quei due. »

Minto gli lanciò un’occhiata ammonitoria mentre entrambi spostavano l’attenzione su Shirogane che teneva saldamente Ichigo per una mano, come se ancora non potesse credere di avere finalmente conquistato la bella rossina dopo anni e anni di tentativi. La mora poi tossicchiò e raddrizzò di più la schiena, conscia che probabilmente il suo fidanzato non potesse comprendere la totalità del discorso.

« Scusaci, è un’abitudine di Kisshu quella di straparlare. »

« Non prendertela con me, ti ho vista con i miei occhi stare al telefono per ore e ore con la lupetta. »

« Questo è irrilevante. »

L’alieno rise, poi alzò il calice che teneva in mano e fece un cenno con la testa: « Vi lascio proseguire la serata. A quanto pare, potrei riscuotere successo. »

Minto alzò di nuovo gli occhi al cielo a quell’ultimo commento e sospirò sconsolata, mentre l’alieno sgusciava tra la folla con la sua solita andatura casual.

« È un tipo accattivante, eh? » commentò con una risata Eichi.

« Estenuante sarebbe la mia scelta, » rispose lei, e poi intrecciò il braccio con il suo, « Vieni, andiamo a salutare Akasaka-san. » 

 

 

Le luci notturne della città correvano veloci fuori dal finestrino, una pioggerella fitta che si abbatteva contro al vetro che la rendeva grata di essere avvolta dal tepore dell’automobile.

« Non mi hai ancora raccontato molto di quei vostri nuovi amici. »

Minto tentò di confondere la problematicità della domanda con il mettersi più comoda sul sedile in pelle.

« Nuovi non direi, » esclamò con un sorriso, « Li conosciamo da una vita, ormai, ci siamo conosciuti quando ho conosciuto anche le altre. Però non… non hanno abitato in Giappone per un po’. La loro famiglia era di qua ma… si sono spostati un po’ in giro. »

« Io non li ho mai visti. »

« Tu non avevi mai visto prima nessuno dei miei amici, » lo riprese lei lanciandogli un’occhiata divertita.

Eichi le prese la mano e intrecciò le loro dita, prima di posarle un bacio sul dorso: « Io e te eravamo amici, ed eravamo in un bel gruppo. »

« Lo sai cosa intendo, » rispose la mora, « Le ragazze ci sono state in… molti momenti complicati della mia vita. Non le cambierei con nessuno al mondo. »

« Lo so, lo so, vengo solo quinto in posizione, » la prese in giro ridendo.

« Sei proprio uno sciocco! »

Eichi controllò qualche email sul cellulare, entrambi che godettero del silenzio per qualche istante, poi domandò ancora: « È curioso, quel soprannome che ti dà… da dove spunta? »

Minto poté giurare di sentire la voglia tra le scapole pizzicarle insistentemente: « In realtà lo fa con tutte noi, ognuna un animale diverso… Ichigo la chiama gattina perché, lo vedrai anche tu, dorme tutto il giorno e ha l’ossessione per i gatti, Purin quando l’ha conosciuta stava più in equilibrio su una palla che con in piedi per terra quindi scimmietta. E così via. Io… bè, sai, banale, Il lago dei cigni, quindi tutto ciò che ne deriva… e perché dice che becco come una cornacchia. »

Il ragazzo sembrò soppesare la questione mentre continuava a fissare lo schermo del telefono, e annuì con un sorriso: « Mi sembra una cosa molto affettuosa. »

« Gli avrò chiesto almeno un migliaio di volte di smetterla, ma è testardo. »

« È un comun denominatore del vostro gruppo. »

La mora gli lanciò un’occhiata poco divertita, poi coprì il cellulare di lui con una mano e gli sorrise: « Abbiamo parlato abbastanza degli altri, non trovi? »

Eichi ricambiò il sorriso e la tirò più vicino a sé, intersecando le loro dita per baciarle di nuovo il dorso: « Andiamo a casa. »

 

 

§§§

 

 

Minto non avrebbe saputo esattamente indicare il momento in cui aveva conosciuto Eichi Ogasawara. Più che altro, lui era sempre stato una presenza costante fin dall’infanzia; figlio di facoltosi amici di famiglia, avevano frequentato la stessa cerchia, gli stessi luoghi, partecipando l’uno alle feste dell’altra. Se avesse scovato, da qualche parte, gli album di foto che la sua balia aveva accuratamente custodito in tutti quegli anni, avrebbe sicuramente trovato almeno un paio di foto che li ritraevano da bambini.

Per questo, forse, non ci aveva mai dato troppo peso, né si era stupita di vederlo ricomparire ad una delle tante serata a Villa Aizawa, all’improvviso dopo due anni di Master negli Stati Uniti, pronto a prendere le redini dell’azienda di famiglia proprio come suo fratello, a rendere i suoi genitori fieri.

Forse, se ci pensava bene, non era nemmeno rimasta troppo sorpresa dal fatto che fosse un bel ragazzo, abituata com’era a pensarlo come un amico di lunga data a cui non aveva mai dato troppa confidenza, né che sua madre sembrasse nominarlo un paio di volte in più rispetto ai figli di altri amici.

Quando poi però le si era presentato alla porta reggendo un elegante mazzo di fiori e invitandola a cenare con lui, aveva sentito il cuore batterle un po’ più forte e le guance farsi rosse come se fosse la prima volta che qualcuno le chiedeva un appuntamento.

Ovviamente aveva accettato, senza pensarci un secondo. Lui spuntava tutte le caselle giuste, tutte quelle che fin da piccola aveva voluto: elegante, bello, intelligente e beneducato, con una carriera all’orizzonte e tanta buona volontà. Avevano preso a conoscersi e si erano piaciuti sempre di più, approfittando dei momenti liberi per scappare in romantici weekend in lussuosi hotel posseduti dalla famiglia di lui, e anche ora che stavano per scoccare i due anni e mezzo di fidanzamento, la riempiva di attenzioni, soprattutto quando doveva ovviare a occasioni mancate per via dei viaggi di lavoro.

Minto avrebbe solo voluto essere del tutto sincera con lui, rivelargli quella parte di sé, forse quella più importante, più significativa, eppure… eppure c’era sempre qualcosa, forse il suo sesto senso stesso, che la frenava.

Non sapeva se le avrebbe mai creduto, se l’avrebbe presa completamente per pazza o se avrebbe invece rischiato di rivelare tutto, in qualche maniera, riteneva che fosse sempre troppo rischioso. Quindi continuava a tenerla nascosta, come il segreto più caro, invidiando appena le sue amiche che invece potevano essere del tutto complete in ogni situazione.

Certo era che, almeno per una volta nella sua vita, sua madre non aveva avuto benché minimo da ridire sulla sua scelta. La matriarca degli Aizawa era stata più che entusiasta nel venire a sapere – e Minto non si era mai stupita del fatto che la notizia fosse trapelata prima ancora che lei fosse riuscita a vedere i suoi genitori di persona – che effettivamente era stato proprio Eichi a far breccia nel cuore della figlia. Era stata anche una delle poche volte in cui loro due si erano scambiate un momento di confidenze e consigli, come forse non era mai successo prima. Poi che il ragazzo fosse praticamente sempre invitato a cena ogni volta che gli Aizawa tornavano sotto il loro tetto principale, precludendo a Minto la possibilità di passare del tempo sincero con i propri genitori, quello era un discorso a parte.

Non avrebbe certo potuto sperare che i meccanismi dell’alta società, in particolare quelli dettati da sua madre, cambiassero solamente perché lo voleva lei. Le era bastato, doveva ammetterlo, sapere solamente che non l’avrebbero vessata come facevano su tante altre cose; aveva scelto il candidato perfetto, e aveva messo d’accordo tutti.

Poi, che questa cosa comportasse gli stessi difetti e comportamenti della sua famiglia, ecco, quella era una cosa a cui doveva ancora fare del tutto l’abitudine.

A cominciare da quel piccolo, ma decisivo particolare, che faceva sì che tutti (tranne Seiji, bontà sua), non capissero a pieno cosa significava per lei danzare, cosa comportasse il suo lavoro, e che sì, era un lavoro a tutti gli effetti.

« Io non so di cosa ti preoccupi, » Eichi afferrò la giacca dalla sedia e la sfiorò appena con il palmo per liberarla da invisibili pieghe o pulviscoli prima di indossarla, « Non è certo la prima volta che apri tu le danze. »

Minto sbuffò piano alla scelta di parole e si alzò con lui, incrociando le braccia: « È la prima volta che uno spettacolo viene trasmesso in televisione con dei critici tra il pubblico, lo sai che il teatro sta cercando di rilanciare il corpo di ballo a livello mondiale. »

« Mi sembra che di critici ne abbiate superati parecchi, » replicò lui con un sorriso divertito.

« Questo è diverso, » la ragazza cominciò a seguirlo lungo i corridoi di casa, mantenendo le braccia incrociate e un cipiglio severo.

« Tesoro, è diverso soltanto perché vuoi che lo sia. Non è nemmeno in diretta. »

« Non importa che non sia in diretta, tu non capisci, ci sarà - »

Eichi si voltò verso di lei e le sorrise ancora, sfiorandole il braccio in una carezza.

« Chiunque ci sarà, so che sarete bravissimi e tu sarai fantastica come sempre. Andrà tutto bene, » si sporse per lasciarle un veloce bacio sulla guancia mentre si sistemava il colletto del cappotto, « Ora devo scappare, mi vengono a prendere prestissimo domattina. Ti chiamo! »

Lei rimase ferma lì, un po’ imbronciata, guardandolo scendere lo scalone principale senza degnare di un saluto le cameriere che stavano finendo di rassettare, poi fece dietrofront sui talloni e si trascinò con passi pesanti fino alla sua camera. 

Continuava a percepire quella fastidiosissima ansia gorgogliarle in petto, come non le succedeva da un sacco di tempo. Si gettò di schiena sul letto e poggiò le cosce contro il muro, ponendosi ad angolo retto e facendo dei respiri profondi per cercare di calmarsi, ripassando mentalmente i passi della coreografia.

Cosa le era preso non lo sapeva nemmeno lei, forse un po’ stava esagerando, d’accordo, ma pensava che lui avrebbe capito che per lei era una cosa importante, in preparazione da mesi. Pensava di averne anche parlato abbastanza, eppure!

Le sarebbe bastata solamente un po’ di compagnia, non la sempiterna solitudine di quelle vaste quattro mura.

Girò appena il volto per guardare l’orologio sul suo comodino; erano quasi le nove, non era nemmeno così tardi, forse avrebbe potuto…

Per una volta, avrebbe anche potuto ammetterlo.

Si voltò di scatto e afferrò il cellulare, digitando il numero di Ichigo a memoria e infilandosi le cuffie con un po’ d’agitazione mentre contava gli squilli a vuoto, un sussulto di sollievo al cuore quando sentì il click della linea che si apriva.

Dal clamore di voci un po’ offuscato che poteva sentire all’auricolare, si immaginò che la rossa si fosse allontanata un poco dalla compagnia con cui era per risponderle.

« Minto-chan, va tutto bene? Vuoi unirti, siamo a - »

« In realtà, » la interruppe, studiandosi una pellicina fastidiosa e tentennando un attimo, « Scusa, non volevo disturbarti, è solo che… sono qui da sola, e domani… »

L’amica borbottò qualcosa che lei non capì, probabilmente aveva coperto il microfono con una mano, prima di risponderle con il solito tono allegro: « Dammi venti minuti, prendo il primo treno e arrivo! »

Minto non fece in tempo a mormorare un grazie che Ichigo era già passata ad avvertire qualcuno all’altro capo della linea e a chiudere la telefonata. Lei sorrise, già un minimo più rilassata, e rotolò giù dal letto per prendere dalla cassettiera due dei suoi pigiami più comodi e una vestaglia in più, ben sapendo che probabilmente la rossa avrebbe insistito poco graziosamente per un “pigiama party”.

Si struccò e cambiò con molta calma, canticchiando ancora il motivetto del passo a due della coreografia, e poi si avviò al piano di sotto in attesa della sua ex leader.

Come sempre, Ichigo si presentò con i suoi dieci minuti di ritardo, oltrepassando il portone principale come una furia avvolta dal suo sciarpone in lana color ciliegia.

« Ma Shirogane ha ancora la pazienza di aspettarti? » la prese in giro, aspettandola a braccia incrociate sullo scalone d’ingresso.

« Ti ho portato il gelato! Alla frutta, senza latte, senza uova, sei a dieta, bla bla bla, » la rossa le lanciò uno sguardo divertito mentre la superava quasi di corsa e prendeva la scorciatoia per la sua camera da letto, « Ci facciamo una maschera? »

Minto osservò la schiena dell’amica correre su per le scale tra il divertito e lo sconsolato, sentendosi avvolta da caloroso affetto che le placò un poco l’agitazione: « Non ti azzardare ad andare sul mio letto con il gelato, sai! »

 

 

« Okay, ora sorridi… sorridi, daiii! »

« Ichigo, se pensi che io mi lasci fare una foto in queste condizioni e per di più con le orecchie da gatto, ti stai sbagliando grosso. »

« Ma eravamo carineeee! »

« Tu fai pure, ma non mettere in mezzo me, ho una reputazione da difendere. »

Ichigo le fece affettuosamente il verso e si concesse comunque un selfie in solitaria, prima di uscire da Instagram.

Come previsto, le due erano spaparanzate comodamente nel lettone extra-matrimoniale di Minto, stese a pancia in su testa contro testa con delle maschere purificanti in volto e la televisione in sottofondo su qualche reality di bassa lega.

« A che ora hai lo spettacolo domani? »

Minto si osservò attentamente le unghie, alla ricerca di qualche irregolarità nello smalto color cipria da sistemare: « Alle sette, » sospirò, « Ma devo essere in teatro già dalle nove e mezza domani, hanno fatto un casino con i costumi e non sono riusciti a consegnarceli in tempo oggi, quindi domani dobbiamo anche controllare che sia tutto a posto in quel versante. Non poteva succedere in tempi peggiori, davvero. »

Ichigo cercò di lanciare uno sguardo di conforto all’amica anche in quella posizione: « Shirogane-kun mi passa a prendere alle otto e mezza, se vuoi possiamo darti un passaggio noi. »

« Credevo che Shirogane non lavorasse il mercoledì mattina. »

« Lui no, io sì. »

Alla mora scappò una risatina per il tono di crudele divertimento dell’amica: « Tu non meriti quel sant’uomo. »

« Guarda che sono io che mi sorbisco tutte le sue complesse cene di lavoro e di presentazioni. »

« Ti prego, non apriamo quel versante. »

Ichigo si osservò le ciocche rubino per controllare eventuali doppie punte, esitando un secondo: « Ogasawara-san viene a vederti domani? »

« Non credo, » la risposta di Minto fu quasi automatica, visto quanto l’aveva ripetuta da quando era bambina, « Stanno pensando di aprire un resort a Dubai, molte volte è fortunato a uscire dall’ufficio alle sette e mezza. E poi preferisco che non ci sia nessuno tra il pubblico, mi verrebbe ancora più ansia.  »

« Mmmhm, » la rossa cercò di suonare convincente, poi sorrise, « Ti raggiungo appena hai finito, promesso. Basta che mi mandi un messaggino, tanto come vedi anche io ho lo chaffeur! »

« Questa gliela dico. »

« Come se non glielo dicessi già io. »

 

 

§§§

 

 

Kisshu si staccò dal muro non appena udì il rumore del maniglione della porta che veniva spinto, liberando uno sciame di ragazze in body e rigidi chignon laccati che si riversarono ridendo nel corridoio stretto, lanciandogli occhiatine curiose e divertite.

« Kisshu? » Minto comparve tra le ultime, le guance arrossate e l’aria stupita, « Che ci fai qui? »

Lui sorrise appena, sentendosi improvvisamente a disagio: « Ti ho sentita ieri sera, al telefono con Ichigo. Mi ha detto che sarebbe passata dopo, quindi pensavo che un po’ di contributo fosse utile. Com’è andata? »

La mora si guardò un po’ intorno, ancora con il fiato spezzato: « Uhm… bene, spero, direi, » un sorriso felice le si disegnò in volto senza che riuscisse a fermarlo mentre si lisciava sovrappensiero i capelli sudati per evitare che sfuggissero troppo alla stretta acconciatura, « Non verrà trasmesso per un po’ e il giudizio dei critici dovrebbe uscire tra un paio di giorni ma… bene, ecco. »

Anche l’alieno le rivolse un gran sorriso, contagiato dal suo buonumore: « Bravi, sono contento per te. »

« Grazie, » Minto prese un gran respiro, una mano appoggiata allo sterno come ad approfondirlo e riprendere effettivamente coscienza della situazione, ancora troppo estatica dall’adrenalina, poi si umettò le labbra, « Uhm… vado… vado a cambiarmi, questa è un po’ ingombrante, » scherzò, battendo appena le mani sulla vaporosa gonna di tulle.

Kisshu annuì e rificcò le mani in tasca: « Vuoi che ti aspetti o…? »

« In realtà… » la ballerina si voltò per guardarlo mentre si avviava verso lo spogliatoio, camminando all’indietro, « Stavamo pensando di andare tutti a mangiare un boccone per festeggiare, se ti va di venire. »

« Potrei mai rifiutare l’invito a celebrare con una ventina di dolci e felici fanciulle? »

Minto alzò gli occhi al cielo e scosse la testa cercando di nascondere che trovò la sua battuta pure divertente, in quel momento: « Incorreggibile! Aspettami qui. »

Lui annuì e la guardò sparire dietro a un angolo prima di riappoggiarsi al muro, il sorriso divertito che gli rimase in volto.

Non dovette aspettare molto prima che le porte si riaprissero e il corpo di ballo, la maggior parte ora in tenuta molto più sportiva e comoda, sciamasse fuori col solito vociare allegro. Anche Minto, in fondo al gruppetto, quasi incredibilmente era vestita più casual del solito – seppure non a livello di certe sue colleghe che avevano deciso direttamente per la tuta – ancora un gran sorriso stampato in volto, i capelli gonfi e un po’ spettinati che lo incorniciavano.

« Potrei farti una foto e ricattarti per sempre, » scherzò lui, allungando una mano per prenderle il borsone e metterselo in spalla senza che lei potesse replicare, « Però stai bene senza trucco. »

La vide arricciare impercettibilmente il naso e cercare di sistemarsi un secondo i boccoli arruffati da lacca e chignon: « Mi insulti e poi mi fai un complimento? »

« Così non ti monti troppo la testa. »

Lei alzò gli occhi al cielo e si aggiustò il colletto del cappotto pesante blu notte mentre passavano per la porta sul retro del teatro, l’aria fredda della sera che gli sferzò le gote.

« C’è un locale, qua vicino, ci andiamo spessissimo. È ancora aperto, e i sandwich non sono male. »

« Tranquilla, ho già fatto il pieno prima di uscire, » Kisshu si batté un paio di volte il palmo sullo stomaco, facendole alzare un sopracciglio, molto scettica.

« Ti ho visto cenare due volte di fila. »

« È la cucina della pesciolina a cui non posso resistere. »

 « Anche a quella di Keiichiro-san, direi. »

« Ora che ci penso, mi manca giusto la tua, » la guardò con la coda dell’occhio, segretamente divertito, e non fu deluso quando la mora sbuffò altezzosa.

« Certo, aspetta e spera. »

« Dillo che non sei capace. »

« Sono perfettamente in grado, ma sono una donna troppo impegnata per poter anche perdere tempo dietro ai fornelli. »

Kisshu rise divertito e le tenne aperta la porta del bar dove si era rintanato il resto del gruppo indefinito, permettendole di entrare prima di lui. Il tepore del locale fu benvenuto anche dalle ossa dell’alieno, che la seguì fino ad un angolo di alti tavoli circondati da sgabelli che già erano stati occupati dalla compagnia.

La mora si scambiò un paio di parole con i suoi colleghi, la sciarpa e il cappotto già accuratamente ripiegati su uno degli sgabelli, poi gli si avvicinò all’orecchio per farsi sentire al di sopra del chiacchiericcio e della musica.

« Vado a prendere qualcosa da bere, vuoi qualcosa? »

Lui si finse sorpreso e offeso: « Il galateo imporrebbe che sia io a offrire qualcosa alla damigella! Tutta questa adrenalina ti ha decisamente dato alla testa! »

Minto lo guardò fintamente irritata e gli diede uno schiaffetto al polso: « Non ti basta mai dire semplicemente di sì? »

Non aspettò la risposta, a posto semplicemente con la luce da birbante che brillava negli occhi dorati, e si avviò allegra verso il bar, rimuginando che effettivamente la consapevolezza che lo spettacolo avesse superato le sue – come sempre alquanto nere – previsioni la stava riempiendo di una frizzante positività. Rise insieme alle ragazze del corpo di ballo mentre aspettava i cocktail (rigorosamente analcolico per lei) che aveva ordinato, lanciando ogni tanto delle occhiatine di controllo all’alieno che sembrava però essere completamente a suo agio a chiacchierare con un paio di solisti. Le scappò un sorriso, era incredibile come a volte Kisshu potesse ambientarsi così normalmente, anche meglio di loro, sicuramente meglio di lei, in qualsiasi situazione. Un po’ lo invidiava, doveva ammetterlo, quella sua innata capacità di stare bene dovunque lo mettessero, di essere lui stesso in ogni maniera.

Orecchie a punta a parte.

Avvertì un movimento accanto a lei, e indovinò subito ciò che le sarebbe stato chiesto non appena una sua collega le si avvicinò con un sorriso furbo, prendendo un sorso dal suo cocktail fruttato e dandole un colpetto con la spalla: « Allora, ci sono novità? »

Lei scosse la testa: « Non farti strane idee, Ayane, è solo un amico, si chiama Kisshu. »

« Mmmhm, allora se è solo un amico non ti dispiacerà se cerco anch’io di conquistare la sua amicizia… »

Minto alzò gli occhi al cielo e rise divertita: « Figurati, accomodati pure. »

« Come fai a trovare sempre amici del genere, io mi chiedo, » Ayane continuò a tenere gli occhi fissi sull’alieno con aria ghiotta, « Già con quello Shirogane hai fatto jackpot… »

« Dici così solo perché non li conosci. »

« Ripeto, sono completamente disponibile a fare la loro conoscenza. »

« Mi dispiace, Shirogane è più che impegnato, lo sai. »

« Mmmh, però questo Kisshu no, giusto? »

La mora scosse la testa e lanciò un’ultima occhiata al ragazzo: « No, Kisshu no. »

Non aveva nemmeno finito la frase che Ayane era partita alla carica, dritta a presentarsi sfacciatamente al suo obiettivo della serata. Minto alzò gli occhi al cielo e prese finalmente i bicchieri che il barman le stava porgendo, districandosi senza fretta tra la folla per raggiungere i loro tavoli.

« Ah, Minto-san, Kisshu-kun mi stava giusto raccontando che da adolescente lavoravi in un Caffè! »

L’occhiataccia che la ballerina gli lanciò non lo dissuase dal ridere sommesso sotto i baffi: « Ah, che cosa curiosa da raccontare, Kisshu-kun. »

L’alieno le rivolse un occhiolino bislacco: « La divisa però era incantevole. »

Lei gli rifilò un calcio negli stinchi da sotto il tavolino che gli strappò un gemito sommesso, nello stesso istante in cui Ayane buttava la testa all’indietro per ridere e poi si portava i lunghi capelli dritti dietro l’orecchio: « Possiamo vedere una foto, Kisshu-kun? »

« No, no, niente foto, » ridacchiò lui, massaggiandosi la parte lesa, « Non avrei mai messo a repentaglio la mia vita in quella maniera. »

« Ecco, appunto, » la mora appoggiò con una certa convinzione i bicchieri sul tavolino, « Ora bevi e smettila di dire cretinate. »

« Stai cercando di farmi ubriacare per poi avere la meglio su – ahia, okay, okay, la smetto. »

Ayane osservò con una certa curiosità l’interazione tra i due, lo sguardo soddisfatto e placido di Minto che mordeva elegante un angolo del suo club sandwich e quello dolorante di Kisshu, ancora piegato in avanti per raggiungere il punto nuovamente raggiunto dalla punta degli stivaletti preziosi della ragazza.

« Allora da quanto siete amici? »

« Amici è un parolone. »

« Non fare l’antipatica, come sempre. »

« Diciamo che tollero la sua presenza da ormai dieci anni. »

La ballerina bruna li osservò entrambi, incuriosita: « Minto-san, e in dieci anni non ci hai mai fatto conoscere Kisshu-kun? »

Minto dovette trattenersi per non alzare gli occhi al cielo in maniera teatrale, la risatina soddisfatta dell’alieno che già iniziava a darle sui nervi.

« Sono stato un po’ in giro, in questi anni, » intervenne lui, vago, « Motivi di famiglia e di lavoro. E spirito d’avventura. »

« Uh, sembra interessante, » il battito di ciglia di Ayane fu decisamente evidente, « E di che cosa ti occupi, esattamente? »

Kisshu rise ancora, scambiandosi uno sguardo di intesa con la mora: « Guarda, è un po’ complicato da spiegare, e poi siamo qui per festeggiare il vostro successo, non certo per annoiarvi con le mie storie di vita. »

« Dubito che potresti annoiarci, Kisshu-kun. »

« È perché non lo conosci bene, » commentò piatta Minto.

L’alieno le fece una smorfia, prima di rivolgere un occhiolino ad Ayane: « Vedi, è così che Minto tratta i suoi amici. »

Ayane lanciò un’occhiata furba alla prima ballerina: « Però è bello che nonostante tutto siate rimasti così tanto amici. Non sono in tanti a venire a fare il tifo per noi. »

Minto scrollò le spalle con aria annoiata, rimanendo concentrata sul suo panino, ignorando decisa lo sguardo divertito del ragazzo.

« Allora, Ayane, che mi racconti? »

La mora smise di seguire il filo del discorso, ormai satura di tutte le volte che Ayane si metteva in testa che fosse giunta l’ora di flirtare apertamente, a volte senza nemmeno secondi fini – se poi davanti a lei ci stava Kisshu, che sembrava divertirsi nella stessa maniera, apriti cielo. Non aveva mai avuto tempo per certe cose quando era stata più giovane, figurarsi ora che era accompagnata e soddisfatta, e soprattutto stanca dopo quella giornata infinita.

Anche se l’adrenalina stava scendendo, nel tepore del locale e con in sottofondo il chiacchiericcio familiare del corpo di ballo, la sensazione di felicità le borbottava ancora in petto.

Sarebbe servita soltanto una cosa in più per rendere la situazione davvero perfetta, ma anche a quello aveva fatto il callo.

E almeno con Kisshu sapeva sempre che avrebbero riso per le cose più stupide.

Il richiamo conosciuto del proprietario del locale, che li avvisava che erano prossimi alla chiusura, li riportò all’ordine dopo un’oretta, costringendoli a sciamare fuori di nuovo al freddo.

« Sono esausta, » esalò ad alta voce Ayane, « Credo che mi avvierò verso casa. »

Minto si concentrò per non alzare un sopracciglio con fare critico al sotteso che poteva percepirsi da quella frase, coronato dall’espressione furba dell’amica.

« Buonanotte, Ayane, » sorrise divertito Kisshu, il borsone della mora di nuovo appoggiato alla sua spalla, «  È stato un piacere. »

« Anche per me, Kisshu-kun, spero di rivederti! »

La mora aspettò che l’amica girasse l’angolo prima di schiaffeggiare decisa il fianco dell’alieno: « Non ti si può portare da nessuna parte! »

Lui rise sguaiato alla sua espressione corrucciata: « Portarmi da qualche parte, non sono mica un cane. »

« Ti dovrei mettere il guinzaglio per farti stare a bada. »

« Tortorella, non so se questi sono discorsi da affrontare in questo momento. »

L’occhiataccia omicida che lei gli lanciò sorbì soltanto l’effetto di farlo ridere ancora di più mentre si incamminavano ancora verso il teatro.

Pochi istanti dopo, il cellulare di Minto squillò soffocato da dentro il borsone, e lei si affrettò ad aprirlo, incurante del fatto che Kisshu, dall’alto stesse studiando tutto il suo contenuto con aria soddisfatta.

« Ichigo-chan? Guarda siamo giusto di fianco al teatro, e - » Minto sbuffò contrariata « Deve smetterla con questa brutta abitudine di riattaccare all’improvviso. »

« Aaaaah, lo sapevo che saresti stata bravissima! »

Si ritrovò avvolta dall’abbraccio goffo di Ichigo prima ancora di rendersi conto che l’amica li aveva effettivamente raggiunti. Le scappò uno sbuffo divertito mentre cercava di spostare il viso per non soffocare contro la grossa sciarpa di lana che l’altra indossava.

« Come fai a sapere qualcosa tu che nemmeno c’eri. »

« È un presentimento, » Ichigo le rivolse un caloroso e convinto sorriso, « Sono certa che sarà andato alla grande e io avrò un’altra amica super famosa! »

« Ah è questo che ti importa allora, capito. »

« Tanto sei già snob, cosa vuoi che sia. Oh, ciao, Kisshu-kun. »

L’alieno rivolse un cenno della testa alla rossa, nascondendo un sorriso per l’occhiatina confusa e divertita che lei gli rivolse: « Buonasera micetta. Hai lasciato a casa il biondo? »

« No, sta solo parcheggiando. »

« Non sia mai che usiate i trasporti pubblici voi due, eh. »

« Zitto tu, sappiamo benissimo quali trasporti siano di tuo gradimento, » lo riprese a mezza voce Minto con fare ironico, « Sei in ritardo come al solito, Ichigo, abbiamo già finito. »

« Oh, dai, ero impegnata, lo sai che stiamo cercando di trasferirci, » Ichigo fece il broncio, « Andiamo a prendere solo una cosa veloce per festeggiare! »

« In effetti io ho un certo languorino. »

Minto lanciò un’occhiata seccata e al tempo stesso sorpresa a Kisshu: « Ma – testuali parole – non avevi fatto il pieno prima di uscire? »

« Sono ancora in fase di crescita, tortorella, brucio un sacco di calorie. »

« Stai ammettendo di essere infantile? »

« Oh ma guarda, è arrivato il guastafeste. »

« D’accordo, su, andiamo a cercare qualcosa da mangiare così state zitti entrambi con le bocche piene. »

 

 

« Siete sicuri che non volete un passaggio? »

« Abiti dall’altra parte della città, Ichigo-chan, non è giusto nei confronti di Shirogane. »

« Ecco, la voce della coscienza. »

« Sssssh, » Ichigo abbracciò stretta Minto, soffocandola ancora nella sciarpa, « Sei bravissima. Ricordati che hai promesso che guarderemo lo spettacolo tutti insieme. »

La mora sbuffò scherzosa: « Lo so che stai solo cercando di scroccare un invito a cena. »

« Mi raccomando, Kisshu, riportala a casa sana e salva. »

L’alieno piegò la testa da un lato, divertito: « Non ti fidi di me, micetta? »

« Io no! »

Le ragazze si scambiarono una risata alla risposta di Ryo da dentro l’auto, e un ultimo saluto mentre la rossa si accomodava al sedile passeggero.

« Allora, vuoi utilizzare metodi innovativi per tornare a casa? » le domandò Kisshu non appena rimasero soli.

Minto lo guardò poco divertita, ma ponderò comunque sulla domanda, lanciando un’occhiata all’orologio: « Non siamo molto lontani da casa mia, ed è una bella serata anche se fa freddo… potremmo fare un’ultima passeggiata, mi sembra di essere stata chiusa in teatro per mesi e ho bisogno d’aria. »

« Ai suoi ordini, madamigella. »

Lei non tentò nemmeno di replicare, la stanchezza che stava diventando sempre più prominente e che al tempo stesso gareggiava con la voglia di godersi all’ultimo quel momento. Si avviarono tranquilli per le strade quasi vuote, chiacchierando con noncuranza del più e del meno, Kisshu che si premurò di testare il suo senso dell’umorismo ora che era troppo esausta per ribattere con veemenza.

Villa Aizawa si stagliò alla fine della via non appena svoltarono un angolo, e Minto si lasciò scappare un sospiro: « Chissà se c’è qualcosa da sgranocchiare… »

« Aaaah, aspetta, aspetta, » Kisshu le si avvicinò per sbeffeggiarla, « Allora sei umana anche tu, tortorella! »

Lei arricciò il naso, punta sul vivo: « Io ho fatto molta più attività fisica di te, Ichigo e Ryo combinati, oggi. »

« Sulla micetta non avrei dubbi, » l’alieno rise ancora, poi le porse il borsone, « Avrai una dispensa grande quanto la mia stanza, non penso ti lasceranno senza cibo. »

« Eh, dipende, » Minto lanciò uno sguardo alle finestre buie della casa, « Se ci sono solo io, per periodi estesi, non ha molto senso stiparci di cibo. E ormai è tardi, mi dispiace disturbare. »

« Vedi, te l’ho detto che ti stai rammollendo. »

Minto gli schiaffeggiò il braccio, poi si schiarì la gola: « Grazie per stasera, sul serio. Non ce n’era bisogno, ma mi ha fatto piacere. »

Lui inclinò appena la testa da un lato: « Il piacere è tutto mio, signorina Aizawa. »

Lei lo fissò stoica, poi annuì appena: « Ci vediamo domani.»

Kisshu le rivolse un ultimo sorriso, aspettando con le mani in tasca finché non vide la figurina minuta scomparire all’interno della casa.

 

 

§§§

 

 

« Ma insomma, avete finito tutti i cioccolatini! »

« Nee-san, ne avrai mangiati cinque. »

« Io ne volevo ancoraaaa, » si lamentò Ichigo con uno sbuffo, ritornando al suo posto sull’elegante e spazioso divano bianco, e si accoccolò sotto al braccio di Ryo per osservare con soddisfazione il salottino riscaldato dalla luce scoppiettante del fuoco.

La televisione piatta, dalle dimensioni più ridotte di quello più imponente del salotto principale, stava trasmettendo il gran finale dello spettacolo che il New National Ballet of Japan aveva messo in scena circa due settimane prima, con tutta la pompa magna che si addiceva ad una premiere simile. E la protagonista dell’evento era raggomitolata su una delle poltrone, segretamente gongolante e molto fiera di sé stessa.

Ichigo la guardò contenta, prima di sorridere sotto i baffi. Gliel’aveva bofonchiato sottovoce, qualche giorno prima, nella tipica maniera di Minto di far sembrare che qualcosa non le desse per niente fastidio mentre in realtà era un piccolo tarlo che la rodeva dentro. Sia i suoi genitori che Eichi avrebbero dovuto essere a Tokyo per poter condividere quel momento con lei, si era premurata di chiedere in anticipo dei loro programmi; ovviamente, i signori Aizawa avevano deciso di prolungare all’ultimo minuto la loro permanenza alle Bahamas, dove puntualmente svernavano almeno un paio di settimane all’anno, mentre Eichi era stato costretto per diversi motivi di lavoro a un viaggio lampo verso gli Emirati Arabi. Aveva raccontato tutto continuando a perlustrare attentamente le rastrelliere del negozio di scarpe, ma ormai a Ichigo non sfuggiva più l’ombra nei suoi occhi. Così, con una battuta su come gliel’avesse promesso, la rossa si era autoinvitata nella grande villa per un paio di giorni e si era premurata di ripulire le agende di tutti gli altri cosicché potessero invadere tutti e dieci il salotto preferito della ballerina e guardare in diretta la trasmissione del suo spettacolo.

E anche se Minto aveva storto un pochetto il naso a quella convivenza forzata e alla poca eleganza dell’invitare ospiti senza l’esplicito benestare della padrona di casa, la radiosità del suo visetto quella sera era decisamente notevole.

« Io ancora non capisco come fai a fare certe cose, » mormorò Ichigo, la testa piegata da un lato con aria curiosa mentre osservava la ballerina nello schermo venire sollevata fin sopra la testa del suo partner, che la tenne per i fianchi con una mano sola(1).

« Ichigo, non ti abbiamo mai presa per la sportiva del gruppo. »

« Ah, ah, ah. »

Il gruppetto ridacchiò soddisfatto, appesantiti dalla giornata e dall’ottima cena di tre portate che ovviamente la cucina della villa aveva preparato per loro.

« Sei davvero bravissima, nee-san, » mormorò contenta Purin mentre l’intero corpo di ballo si riuniva sul palco per l’ultima scena carica di pathos, il coro di archi e fiati che rese tutto ancora più emozionante.

Minto osservò con una punta d’orgoglio l’ultimo attitude, il primo ballerino che si inginocchiò ai suoi piedi prima che il sipario rosso si chiudesse con forza davanti a loro, scatenando la standing ovation del pubblico: « Grazie mille. »

« Woo-ooh! » anche la biondina si unì al coro di applausi, seguita da Ichigo, Retasu e Kisshu con molto meno furore, « È stato bellissimo! Possiamo rivederlo? »

« Quando vuoi, » la ballerina dovette contenere un sorriso raggiante, « L’ho registrato, ma ho sentito dire che ci regaleranno un DVD. »

« Ma io voglio vederti dal vivo, è un sacco che non riusciamo. »

« Certo, posso darti un pass ospite per il dietro le quinte, basta dirmelo con anticipo. »

« Ah, aspetta, aspetta, sono molto interessato a questo particolare del dietro le quinte, » commentò Kisshu con un ghigno, stravaccato in maniera poco elegante su un divanetto a due posti.

« Kisshu-kun… » lo riprese piano Retasu, un accenno di sorriso divertito.

« Lascialo perdere, lo sai che è irrecuperabile. »

« Sei tu che sei uno stoccafisso impettito. »

Pai ignorò il fratello minore e si alzò in piedi, scrocchiandosi leggermente le spalle: « Be’, grazie della serata, Minto. Devo dire che è stato molto interessante. »

« Mmmm, detto così è davvero entusiasmante. »

Minto lanciò un’occhiata d’avviso a Kisshu, poi si alzò insieme a tutti gli altri per salutare la compagnia.

« Anche noi dobbiamo andare, nee-san, domani devo aprire la palestra prestissimo, iniziamo gli allenamenti per i campionati. »

Lei annuì e accennò a un inchino: « Grazie a voi per essere venuti. Anche se mi avete finito le provviste. Siete benvenuti a tornare quando volete. »

Ichigo si fece avanti per rubarle un abbraccio: « Mi piacerebbe rimanere, ma abbiamo un impegno domani sera. »

Ryo diede un buffetto simpatico sulla guancia della rossa: « Indovinate chi ha preteso una cena romantica per San Valentino. »

« Non ho preteso nulla, per una volta che sei poco impegnato…! »

« Come se tu potessi dirle di no, onii-san. »

La battuta di Purin, connessa all’espressione vaga dell’americano, scatenò una risata divertita nel gruppetto.

« Va bene, buonanotte, arrivederci! »

Fu il primo a uscire dal salotto trascinandosi dietro una ridente Ichigo, convinto anche se lei rimaneva indietro per continuare a confabulare sottovoce con Retasu riguardo i piani per la serata successiva. 

« Qualcuno poi mi spiega perché voi ragazze ci tenete tanto? » borbottò poco convinto Taruto, seguendo il fratello maggiore verso la porta.

« Perché a Ichigo nee-chan piacciono le cose dolci da film americani. »

« Purin la vuoi piantare? »

« Eddai nii-san, non ti si può più prendere in giro! »

Le voci del resto della truppa scemarono piano lungo i corridoi, lasciando cadere un silenzio caldo nei due rimasti in sala.

« E tu non hai piani romantici, tortorella? »

« Ti sembro una che festeggia San Valentino, io? »

Kisshu rise e si fece scivolare sul pavimento, poggiando la schiena contro al divano: « Magari avevi scoperto anche tu una vena romantica. »

« Ah, come no, » Minto sbuffò sarcastica, inginocchiandosi davanti al camino per ravvivare un poco il fuoco.

« Dai, non ci credo che il tuo bellimbusto non sia riuscito a corromperti in tutti questi anni. »

Lei gli lanciò un’occhiata poco divertita al soprannome, poi alzò il viso in un gesto di scherzoso orgoglio: « Non sono certo una signora facile da corrompere, io. »

« Parafrasando, lui ti ha portata in romantici ristoranti tappezzati di rose rosse e champagne, e tu l’hai fulminato con la tua lingua tagliente perché sono cose così cliché – ahia! »

Il tallone della ballerina l’aveva raggiunto implacabile nello stinco: « Mi ricordo ancora come menarti, sai. »

« Ho notato, » bofonchiò lui con una risata, massaggiandosi la parte lesa, « Però vuol dire che ho ragione. »

« Fatti gli affari tuoi. »

« Comunque che razza di calci tiri con quelle gambette, è già il secondo che mi rifili. »

« Su, non lamentarti tanto, ho fatto pianissimo. »

« Non sarai mai la tua amica lupo, ma in ogni caso… »

Minto rise a vederlo rabbrividire appena e storcere la bocca al ricordo del gancio che Zakuro, a suo tempo, non gli aveva risparmiato.

« Non è colpa mia se te li meriti. »

« Questo è stato più che ingiustificato! E gradirei non avere altre contusioni. »

« Com’è diventato gracilino, capitano Ikisatashi, » la mora lo prese in giro ridendo dello sbuffo che gli strappò.

« Senti, passerotto, posso ancora stenderti in mezzo secondo. »

« Certo, è stato piuttosto facile, direi. »

« Credevo che il sarcasmo fosse prerogativa del biondino. E poi cos’è, stai diventando nostalgica ora tutto un tratto? »

Lei ci rimuginò sopra un secondo, passando il dito sopra la lana morbida del tappeto, seguendo le linee dei complicati ricami floreali, poi parlò senza quasi rendersene conto.

« A volte un po’ mi manca. A te no? »

Kisshu si mosse a disagio, stendendo le gambe sul persiano: « No, no, basta combattere, » rispose con una mezza risatina poco convinta, « Credevo che avrei fatto per sempre il soldato, invece poi ho capito che avevo già dato tutto il possibile. E non mi manca per nulla. Allenarmi insieme a Taruto è già abbastanza.»

Minto lanciò un’occhiata al pezzetto di cicatrice che spuntava dal colletto della maglia, abbozzò un sorriso: « Parlavo più della sensazione di libertà che ogni tanto mi dava. Sai, volare. »

« Vedi che non ti dispiace allora se ti chiamo tortorella. »

Lei storse il naso contrariata, lasciandosi cullare dal calore delle fiamme alle sue spalle: « Per quanto non mi sia mai andata troppo a genio l’idea di essere diventata una… mutante contro la mia volontà, almeno qualche lato positivo c’è stato. Guarda Ichigo e Purin, sicuramente il loro metabolismo non è del tutto umano. »

Il verde la guardò divertito da quella battutina gratuita, poi si girò su un fianco e sorrise beffardo: « Devo ammettere che i vostri costumini striminziti erano una distrazione. »

« Kisshu. »

« Dici che con il tempo avete fatto un upgrade e sono ancora meno da ragazzine? »

« Ho l’attizzatoio a portata di mano. »

Lui ridacchiò e si sporse ancora un poco verso di lei: « Avete ancora i vostri poteri, no? » le domandò sottovoce, studiandole il viso e il modo in cui i colori del fuoco giocarono con le sfumature scure dei suoi capelli quando lei annuì, « Allora possiamo andare a volare quando vuoi. »

Minto avvertì che il fiato le si spezzò in gola quando si rese conto di quanto fossero vicini, all’improvviso. Di come non riuscisse a staccare lo sguardo dalle labbra del ragazzo a miseri millimetri dalle sue, del calore che le risalì dal collo e le incendiò le guance. Del battito che le mancò nel cuore e della strana curiosità che provò all’avvertire vago, ma molto più forte del solito, il suo profumo. Avrebbe dovuto solamente annuire e avrebbe sentito la bocca sulla sua, avrebbe avuto la certezza del suo sapore, e non capiva perché ci stesse davvero pensando, perché tentennava a spostarsi quando…

Si schiarì la gola all’improvviso e si ritirò, voltando la testa verso il pendolo all’altro angolo del salottino e impuntandosi di ignorare quell’insopportabile fuoco sul viso.

« Si è fatto un po’ tardi, credo… » 

Kisshu, l’aria tranquilla e completamente innocente, come se nulla fosse successo, si stiracchiò come un gatto che aveva dormito al sole.

« Colpa di tutto quel buon cibo, ci ha dato alla testa, farò fatica a camminare, » commentò allegro, prima di alzarsi con uno sbuffo.

« Già, » Minto si impose di recuperare un tono di voce normale, si domandò se avesse dovuto aggiungere qualcosa, invece accettò le mani di lui che la tirarono in piedi, solo per staccarsi di fretta, come se si fosse bruciata, e nasconderle dietro la schiena.

Lui continuava a sorridere come se nulla fosse, e la salutò con un buffo saluto militare: « Grazie ancora della cena, tortorella. Au revoir! »

Lei non fece in tempo a rispondere che il sottile schioccò del teletrasporto lo aveva già inghiottito. Rimase ferma un altro paio di secondi, cercando di ricostruire ciò che era quasi successo, e sgridandosi internamente; poi, fece un respiro profondo, e si diresse a passi decisi verso la sua camera.

Sei proprio una sciroccata.

 

 

§§§

 

 

Minto si sistemò con un gesto nervoso la sciarpa che teneva al collo quando il Caffè si stagliò alla fine del vialetto. Le dava fastidio ammetterlo, ma si sentiva ansiosa al pensiero di incontrare un certo alieno.

Cosa diavolo le era venuto in mente, due giorni prima, di mettersi in quella situazione così sciocca? Non era certo da lei rischiare a quel modo, farsi prendere bellamente da un subdolo impulso di pancia. Con Kisshu poi, che era la definizione di uno scapestrato fin troppo amante dell’altro sesso! Come aveva solamente osato rischiare di cadere nei suoi stupidi giochetti da adolescenti?

No, avrebbe dovuto decisamente mettere le cose in chiaro e fare un passo indietro, non era così che ci si comportava e lei non avrebbe mai dato a nessuno la soddisfazione di prenderla in giro.

Perché era tutto uno stupido giochetto, ovviamente. Che non ci fossero dubbi al riguardo.

Raddrizzando ancora di più la schiena, un gesto ormai automatico come tutte le volte che entrava in scena, prese un bel respiro e spinse la porta sul retro del Caffè, il familiare rumore di pentole e cucchiai che la condusse fino in cucina.

« Minto-chan, buon pomeriggio, » Keiichiro l’accolse con il suo cordiale sorriso, ancora intento a lavorare, « Come è andata la tua giornata? »

« Stancante come al solito, » rispose lei con un sospiro, tamburellando con le dita sul piano di marmo, « Cosa stai preparando di bello? »

« Sto testando una ricetta nuova per preparare il gelato, » si voltò per estrarre dal cassetto un cucchiaino, prima di riempire un mini-cono e porgerglielo, « Mi faresti un favore ad assaggiarlo e dirmi cosa ne pensi. »

La mora sospirò sconsolata, osservando il dolcetto: « Oh, Keiichiro-san, lo sai che non posso… »

« Su, andiamo, » glielo avvicinò ancora con un sorriso convinto, e le fece l’occhiolino, « È molto light, te lo giuro. »

Lei gli lanciò un’occhiata di rimprovero, ma poi accettò il gelato mignon e chiuse gli occhi mentre lo assaggiava, sorridendo: « Devo proprio dirtelo che è buonissimo? »

« Fa sempre bene sentirlo! »

Minto rise ancora, poi si voltò curiosa quando sentì la porta aprirsi alle sue spalle e rimase immobile, il freddo del gelato contro i denti, quando vide chi era appena spuntato.

« Non ci è voluto molto per farti capitolare, eh passerotto? »

Lei quasi si strozzò con un pezzetto di cono, ma cercò di rimanere stoica e silenziosa mentre Kisshu poggiava una borsa piena di frutta e verdura sul bancone della cucina.

« E voilà, le provviste più fresche che Tokyo potesse offrire. »

« Grazie mille, Kisshu. »

« Quindi finalmente ti rendi utile? »

« Buonasera anche a lei, madamigella, radiosa come sempre. »

Minto sbuffò a quel commento scanzonato e lo guardò intingere senza pietà un cucchiaio nel gelato, lasciando un buco concavo non indifferente.

« Guarda che così ti viene il mal di pancia, » lo riprese sottovoce con un sorriso.

« Ne vale la pena, questa roba è deliziosa. »

Keiichiro sventolò in segno di trionfo il cucchiaio di legno che stringeva, e caricatosi la borsa in stoffa sulla spalla, si avviò verso la dispensa per riporre il bottino.

La mora piluccò ancora un po’ di gelato, non potendo non ammettere che effettivamente le stava sembrando di mangiare ambrosia per quanto era morbido e cremoso, lo stomaco che le si contrasse non solo per la piacevole sensazione di freddo ma anche per il silenzio che era calato nella stanza e che, almeno per lei, era decisamente imbarazzante.

Si schiarì la gola, rimanendo concentrata sulla vaschetta: « Uhm… Kisshu, volevo… volevo dirti che mi dispiace, non… non era mia intenzione dare impressioni sbagliate e… »

L’alieno la guardò con tutta la tranquillità del mondo, gli occhioni dorati genuinamente curiosi: « Non so di cosa tu stia parlando. »

« Oh, » Minto rimase sorpresa e, in un punto remoto del suo stomaco, anche infastidita dalla sua risposta, corrugò appena la fronte, « Pensavo che… vabbè, insomma, ti pregherei di comportarti come si deve. »

Kisshu rise di cuore e alzò le mani in segno di resa, scuotendo la testa: « Sì, maestra. Un po’ vago come ordine, ma okay. »

« Sei uno sciocco. »

« Tu dovresti ammettere che ti piace sgridarmi. »

Lei decise di ignorarlo, si alzò per riporre in lavastoviglie il cucchiaino che aveva usato.

Giochetti, ecco tutto. Come aveva previsto.

« Tutto bene, passerotto? »

Gli lanciò solo un’occhiata da sopra la spalla, spostando un paio di bicchieri per far sì che si allineassero perfettamente alla griglia dell’elettrodomestico; era ancora intento a trangugiare il gelato, il braccio sinistro appoggiato al tavolo e la frangia che gli cascava davanti agli occhi, la solita aria di non avere una preoccupazione al mondo ma il tono di voce sincero.

« Sì, ma… niente, le prove sono state faticose. »

Lui ridacchiò: « Non ti vedo molto convinta, oggi. »

« Te l’ho detto, sono solo molto… stanca. »

« Okay, » Kisshu leccò un’ultima volta il cucchiaio, poi si voltò per farle un sorriso smagliante, ciondolando a qualche metro da lei e lanciando la posata con precisione dentro al lavello, « Cerca di rilassarti. »

Le fece l’occhiolino e, prima che lei potesse rispondere, prese la via d’uscita, fischiettando sottovoce, lasciandola a scuotere la testa e sospirare.

Era proprio impossibile.

 

                                                                                                    

§§§

 

 

Il rumore delle posate era quasi più forte del leggero chiacchiericcio, come era consono per un’elegante cena in famiglia.

Minto sorrise contenta a una battuta di suo fratello Seiji, almeno per quella settimana di base a Tokyo, poi rivolse di nuovo l’attenzione al padre di Eichi, che aveva tossicchiato appena.

« Allora, Aizawa-san, raccontami un po’ delle tue ultime avventure. »

Seiji si schiarì la gola e si pulì la bocca con un tovagliolo prima di sorridere all’amico di famiglia: « Be’, che dire, Ogasawara-san, ultimamente non so più nemmeno in che fuso orario mi trovi. »

« Seiji sta cercando di finalizzare un accordo con la Francia, » s’intromise il capofamiglia Aizawa, « Vorremmo rilevare una delle loro aziende per la ristrutturazione di alcune ville in Borgogna da trasformare in resort di lusso. »

« Tutto il francese studiato effettivamente è servito a qualcosa, » scherzò il figlio, scambiandosi sguardi divertiti con gli altri commensali.

« Parla per te, io lo uso tutti i giorni, » replicò contenta sua sorella.

« Probabilmente, Minto-san è l’unica di tutti noi che è sempre a Tokyo, » rise appena la madre di Eichi.

Lei accennò a un sorriso cortese: « Sa, Ogasawara-san, con la mia carriera è un po’ difficile spostarsi, soprattutto se non ci sono in programma - »

« Eh, carriera, » sua madre sbuffò sarcastica, le lanciò un’occhiata critica, « Pensavamo che questa smaniata passione le sarebbe passata, crescendo, e invece… »

Minto si sforzò di ridere insieme agli altri, aggiustandosi meglio il tovagliolo sulle gambe e avvertendo il gentile tocco del piede di Seiji contro al suo, in un gesto che lei sapeva benissimo volesse essere sia di conforto sia di consiglio a lasciar perdere una storia ormai vecchia come il mondo.

Eichi, dall’altro lato del tavolo, le sorrise comprensivo: « Qualcuno che deve controllare che tutto vada come deve è buona cosa che ci sia, non trova, Aizawa-san? »

La matriarca degli Aizawa si strinse nelle spalle e prese il suo bicchiere di vino: « Sarai tu quello che dovrà convincerla a passare a passatempi più fruttuosi non appena vi sposerete. »

La mora continuò a masticare lentamente, gli occhi fissi sul suo piatto, a quel commento che ormai sua madre rimarcava troppo spesso per i suoi gusti – come se un discorso del genere fosse mai stato affrontato tra i diretti interessati, poi.

« Sono sicuro che Minto-san sarà più che responsabile, » udì soltanto il fidanzato commentare, ormai già troppo stanca di tutti quei discorsi perché potessero interessarle realmente.

Aveva perso il gusto, negli anni, di litigare con i componenti della sua famiglia – o più generalmente, sua madre – per quello che riguardava le sue scelte di vita, come aveva perso il gusto per il ricordargli scocciata che il suo amore per la danza andava ben aldilà di una passione, visto quanto ci aveva investito. A volte si chiedeva davvero come la sua genitrice potesse essere così ipocrita da commentarle in faccia in questa maniera, e poi presentarsi ad alcuni suoi spettacoli, quelli dov’era più sicura di trovare determinati spettatori, come la più fiera e orgogliosa delle madri.

Vide come oasi di salvezza i camerieri entrare portando i dessert, il che significava che la cena sarebbe terminata da lì a poco e si sarebbero spostati tutti nel salotto di lettura, dove avrebbe potuto chiacchierare con tranquillità con suo fratello e le sorelle di Eichi mentre i genitori si dedicavano a gossip e argomenti di lavoro senza stare a disturbarla ulteriormente. Rivolse un sorriso cortese al cameriere di fianco a lei e fece per indicare uno dei piccoli mont blanc che aveva sul vassoio, quando la voce di sua madre la raggiunse ancora.

« Cara, sei proprio sicura? Già passi tutto quel tempo in quel locale, quel Caffè qualcosa, con i tuoi amici… »

Non le scappò l’inflessione della donna a quell’ultima parola, e dovette trattenersi dal lanciarle un’occhiataccia che anche a ventiquattro anni l’avrebbe messa nei pasticci: « Mew Mew, mamma, » si limitò a sospirare mentre infine scuoteva la testa, lasciando che il cameriere l’oltrepassasse, « Si chiama Caffè Mew Mew. »

« Ci sono stata una volta, Eichi mi aveva detto che la piccola pasticceria era ottima e devo dire che non sono rimasta delusa. Un po’ adolescenziale, però, per i miei gusti, tutto quel rosa… »

Minto sorrise sotto i baffi, per una volta d’accordo con la “suocera” putativa, e piegò accurata il suo tovagliolo, visto che la cena era per lei da considerarsi conclusa. Un colpetto alla spalla la fece girare verso suo fratello, che le fece l’occhiolino e indicò con un cenno del capo il piattino con mezzo dolce ancora intatto.

« Sono già sazio, e sarebbe un peccato. »

La mora gli sorrise riconoscente, trionfando internamente per l’udibile sbuffo di sua madre, e si gustò con calma l’ultima portata, cercando di non soffermarsi su quanto le mancasse Seiji quando era in giro per il mondo a portare avanti l’azienda di famiglia.

Rimasero a tavola ancora qualche minuto, e solamente quando l’ospite, il signor Ogasawara, si alzò da capotavola estraendo anche un sigaro dal panciotto, gli altri poterono fare lo stesso.

Minto si scusò a mezza voce mente uscirono dalla grande sala da pranzo, e invece di seguirli verso il salottino prese la via che conduceva al bagno, desiderando cinque minuti di calma e silenzio.

Seduta sul coperchio della tazza, controllò il cellulare nella borsetta, vedendo già un paio di messaggi nella chat con le ragazze che si organizzavano per uscire e le chiedevano di raggiungerle, se possibile.

Avrebbe voluto, davvero, tutto pur di rifuggire queste cene così tediose e preimpostate, ma i suoi genitori avevano decretato che sarebbe stata una brutta figura presentarsi in macchine separate, perciò era legata ad andarsene insieme a loro. Inviò una risposta veloce alle amiche, con la promessa di ripetere uno dei tanti ritrovi a casa Aizawa il giorno successivo, e si ricontrollò allo specchio, accertandosi che l’acconciatura reggesse nonostante l’avesse combinata in pochi minuti prima di uscire.

Come previsto, le due famiglie si erano accomodate nel salottino al piano terra di villa Ogasawara, le madri già impegnate in una conversazione fitta fitta accompagnata da risatine. Lei alzò gli occhi al cielo senza farsi notare, e un rumore inaspettato catturò la sua attenzione.

In un angolo vicino alla libreria della saletta, infatti, c’era una gabbietta per uccelli che lei non aveva mai visto prima; dentro, una coppia di parrocchetti di un bel verde sgargiante e dall’aria simpatica cinguettava sottovoce, saltellando da un rametto all’altro.

Minto sentì subito un familiare strattone al cuore e si avvicinò alla gabbietta, allungando un dito tra le sbarre per accarezzare il soffice piumaggio di uno degli uccellini.

« Ciao, » sussurrò con un sorriso, « Io mi chiamo Minto. »

Anche il secondo pappagallino le si avvicinò per gustarsi una dose di coccole, e i gorgoglii dei loro canti le risuonarono chiarissimi in testa, come non sentiva da un po’, in una dolce nenia che chiamava il suo nome.

« Nemmeno voi potete volare, vero? » domandò ancora, con una nota triste nella voce.

« Stai parlando con i pappagalli? »

La voce di Eichi alle sue spalle la fece sussultare di sorpresa, e raddrizzò nuovamente la schiena, le braccia che caddero lungo i fianchi.

« No, io… » si schiarì la gola, « Forse questa gabbietta è un po’ piccola, stavo pensando ad alta voce. »

« Mmhm, » il ragazzo la osservò e batté appena il dito un paio di volte contro le sbarre, « Può darsi. Li abbiamo appena comprati come regalo per il compleanno di Fuyuko. »

Lei lanciò un’occhiata alla minore delle sorelle del suo fidanzato, mordendosi la lingua per non commentare che non le sembrava certo giusto per gli animaletti passare solamente come un regalo ma ben sapendo che probabilmente l’avrebbe presa per matta, quindi sorrise ancora.

« Pensaci, a una gabbia più grande. »

« A proposito di pensare, » Eichi tossicchiò « Potremmo… riflettere su ciò che stava dicendo tua madre, prima. A me non dispiacerebbe. »

Minto lo fissò per qualche istante, sbattendo lenta le palpebre un paio di volte mentre analizzava il significato delle sue parole: « Mi stai… » si guardò intorno e abbassò il tono di voce, « Mi stai chiedendo quello che penso mentre siamo a cena a casa tua con tutte le nostre famiglie? »

Lui scosse la testa divertito e le prese una mano, stringendogliela dolcemente: « No, so che in caso andrebbe fatto come si deve. Ti sto solo chiedendo di pensarci su, ecco, e di valutare. »

« Okay… » lei aggrottò le sopracciglia, leggermente confusa, e sbuffò una risatina, « E’ un po’ tutto così… casuale e improvviso, non - »

« Un po’ ci stavo già pensando, » Eichi annuì soddisfatto, « Mi è sembrato di capire che i tuoi genitori sarebbero d’accordo, quindi… riflettiamoci, non trovi? »

La ballerina non poté far altro che annuire, ancora abbastanza perplessa dalla situazione, e il fidanzato le rivolse un altro sorriso e una carezza al braccio, prima di poggiarle la mano sull’incavo della schiena per condurla a sedersi sugli eleganti divani.

Passò il resto della serata con il seme di quell’idea piantato in testa, mentre partecipava alle conversazioni nella maniera più concentrata che potesse. Aveva davvero appena fatto in tempo a riflettere che il discorso matrimonio – sentì un pizzico d’ansia risalirle lungo la gola – non era mai stato affrontato tra lei e Eichi, e lui ora se ne veniva con quella richiesta anche un poco bizzarra, se ci rifletteva bene…

Non che lei fosse romantica, certo, però… detta in quella maniera…

D’accordo, le faceva piacere avere del tempo per pensare bene anche a se iniziare a discutere della faccenda. Sua madre ne sarebbe rimasta estasiata, di quello era certa. Per una volta, o almeno da un sacco di tempo a quella parte, avrebbe fatto davvero ciò che sicuramente lei avrebbe apprezzato e voluto.

Cullata dal ronzio delle chiacchiere e dall’ottima cena che le riempiva lo stomaco, si permise di estraniarsi un poco dalle chiacchiere, stretta tra il tepore di suo fratello e quello di Eichi, il cui viso si permise di studiare a lungo con un sorriso per i minuti che passarono, alla ricerca di qualcosa che scatenasse davvero in lei la voglia di soffermarsi più di qualche istante sulla proposta precedente.

A un certo punto, uno sbadiglio dispettoso ebbe la meglio di lei, che si affrettò a renderlo il più elegante e nascosto possibile, intanto che lanciava uno sguardo al pendolo in un angolo per scoprire che erano ormai ben oltre le dieci.

« Credo sia meglio andare, » Seiji le lanciò un’occhiatina divertita, « Minto-chan domattina dovrà essere in teatro presto, e devo dire che anch’io comincio a sentire l’effetto del jet-lag. »

Come faceva a resistere senza suo fratello, davvero?

I camerieri si prodigarono a portare i cappotti mentre gli Ogasawara accompagnarono la famiglia Aizawa verso l’ingresso, Minto che rimase in disparte con Eichi.

« Potremmo… potresti venire da noi, » bisbigliò, chiudendosi i bottoni del cappotto di lana bianco, « Sei stato via così tanto ultimamente, e anche settimana prossima hai tutti quegli impegni… »

Lui assunse un’espressione dispiaciuta e le sfregò appena uno zigomo col pollice: « Perché non ce ne andiamo da qualche parte questo weekend, solo io e te? Fuori Tokyo, alle terme magari. Così stiamo più tranquilli, ci sono i tuoi genitori ora, è giusto che trascorra un po’ di tempo con loro, e non mi sembra il caso. »

Lei dovette nascondere il disappunto (come se ormai non fosse abituata al fatto che anche se i suoi genitori si trovassero fisicamente sotto lo stesso tetto, era quasi impossibile condividere momenti visti gli impegni a cui dovevano presenziare le poche volte che si trovavano in città, e come se i suoi genitori non sapessero cosa succedeva tra due adulti innamorati e consenzienti), ma sbuffò solamente e annuì: « Ho un appuntamento sabato mattina ma non dovrei fare tardi. »

« D’accordo allora, ci penso io, » Eichi le sorrise allegro, le prese la mano per lasciarle sul dorso un bacio veloce, « Ti chiamo domani. »

Minto annuì e seguì la sua famiglia nella limousine della serata, cercando di ignorare la voce petulante di sua madre che, almeno, iniziava ad investigare sulla vita sentimentale del figlio maggiore.

Quando finalmente fu sola in camera, si lasciò cadere con un sospiro e ancora tutta vestita sulla chaise longue, troppo stanca anche solo per pensare di mettersi il pigiama. Afferrò di nuovo il cellulare e iniziò a scorrere le chat per aggiornarsi sugli avvenimenti di quella serata – e condividere solamente alcuni selezionati dettagli della sua. Una foto di Purin stretta ad uno pupazzo verde grande quasi quanto lei dalle fattezze simili a quelle degli UFO dei film di fantascienza, anche se molto più grottesco, e con l’indice puntato verso un Kisshu molto meno felice, le strappò un sorriso divertito.

Senza nemmeno pensare troppo, uscì dalla chat di gruppo e scorse le conversazioni fino a trovare quella con l’alieno interessato, digitando veloce.

 

Hai trovato un amico che ti assomiglia un sacco! x’D

 

La risposta di Kisshu non tardò molto ad arrivare, facendola ridere ancora.

 

Ti danno da mangiare pane e simpatia a queste fantomatiche cene esclusive?

Ecco perché sei uno stecco.

 

Lei esitò un istante, poi aprì la galleria di immagini e selezionò la foto che era riuscita a scattare dei parrocchetti a casa di Eichi.

 

Anche io ho trovato dei nuovi amici.

Molto più carini di quelli che ho adesso.

 

Non oseresti mai dire una cosa simile sulla lupotta.

 

Io infatti parlavo di voi.

 

Ah, quindi lei mi annovera tra i suoi amici, sono onorato!

 

Attento, è un titolo difficile da ottenere ma che può essere tolto molto velocemente.

 

Se Ichigo è riuscita a mantenerlo per tutti questi anni, dubito che i requisiti siano così stringenti.

 

Ehi, solo io posso parlare male delle mie amiche.

 

Un concetto di amicizia abbastanza complicato :P

Quindi chi sa quante ne dici di me!

 

Minto rise sottovoce, scuotendo la testa mentre un ennesimo sbadiglio poco elegante prendeva il sopravvento.

 

Non ti fischiano mai le orecchie? :D

 

Che tortorella acida. Ecco, allora torna dai pappagallini, beccheranno sicuro quanto te :P

 

Lei alzò gli occhi al cielo, divertita, stropicciandosi fiacca sulla poltrona; riaprì la chat solamente per mandare un generale messaggio della buonanotte a tutti e la promessa di rifarsi, molto presto, anche lei desiderosa della compagnia della sua seconda famiglia più che di quella naturale.

 

 

§§§

 

 

Il sedile riscaldato e comodo della limousine l’accolse come un nido di salvezza non appena ci si buttò sopra, ringraziando con un sospiro il vecchio autista.

Era esausta, gli allenamenti erano durati più del dovuto e lei non aveva messo qualcosa di concreto sotto i denti praticamente da colazione.

Avrebbe decisamente dovuto delegare l’acquisto del regalo di compleanno di Ichigo a Retasu, non avrebbe mai avuto né il tempo né la forza di pensarci davvero lei, il suo contributo era stato dato nel sceglierlo, sarebbe bastato.

Si rilassò e chiuse gli occhi, contemplando sinceramente l’idea di farsi un pisolino fino a casa e crogiolandosi nella prospettiva di un bagno bollente e una cena gustosa, quando sentì il cellulare vibrare insistentemente tre volte nel fondo del borsone.

 

Mi hanno abbandonato tutti per fare cose da coppie.

Abbiamo degli amici davvero noiosi.

Forse i pappagallini tenevano più compagnia.  

 

Minto sorrise, immaginandosi la smorfia annoiata di Kisshu, probabilmente chiuso come una tigre in gabbia nella sua stanza.

 

Incredibile, qualcuno rifiuta la tua compagnia?

Come farà il tuo ego a riprendersi?

 

Potresti venire a salvarmi tu da questo oblio tedioso.

 

Lei rifletté un secondo, le dita che esitarono sopra lo schermo dello smartphone.

 

Minto la salvatrice è in ferie per questa sera.

Non mangio da quasi dodici ore, sto tornando a casa solo ora. Sono esausta.

 

Dodici ore?! E sei ancora viva?! 

 

Non tutti sono un pozzo senza fondo come te.

 

Può darsi, ma io morirei.

Però se da risultati del genere sulle silhouette… Faccia angelo senza riempimento

 

Forse dovresti provare anche tu, sai.

Stai passando un po’ troppo tempo nella cucina del Caffè, ultimamente…

 

… stai insinuando che sono ingrassato?

 

Non mi permetterei mai! :D

 

Allora ammettilo che ogni tanto anche tu non riesci a non essere catturata dal mio fisico statuario.

 

Ti concedo che sia una delle poche cose che ti rendono tollerab-

 

Ancora più spaparanzata sul sedile dell’auto, e con un mezzo sorriso divertito, Minto smise di digitare prima di terminare la frase e cancellò in fretta il messaggio. No, no, decisamente no.

 

Tu fai troppi sogni, Kisshu.

 

Certo che sei crudele, mi sto annoiando tantissimo, potresti almeno darmi la soddisfazione di ricambiare un complimento.

 

Non avevamo già parlato del tuo grandissimo ego?

 

Potrei farti una battuta volgare, ma sembri di buon umore quindi sarò elegante e ti dirò solo che sei antipatica.

 

Come sei prevedibile.

 

Colpa delle ragazze come te che non mi apprezzano mai, ho bisogno di certezze.

 

Non mi sembrava ti mancassero le attenzioni.

 

Sei gelosa, tortorella? ;)

 

Ammettilo che hai firmato un contratto per dire banalità ogni due frasi.

 

Minto sbuffò contrariata mentre finalmente la limousine svoltava dentro al cancello dell’imponente villa, la maggior parte delle finestre buie visto che come al solito lei era l’unica residente.

Continuò a messaggiare anche mentre scendeva dall’auto e prendeva l’entrata sul retro per far sì che la cucina fosse a due porte di distanza. Era così esausta che non le importava nemmeno la rigida divisione dei locali che sua madre le aveva sempre imposto, e a cui lei aveva sempre dato poca retta visto che comunque la dolce genitrice non era mai troppo nei paraggi per controllare che venisse rispettata; perciò, si sedette con uno sbuffo su uno degli sgabelli dell’isola centrale, lanciando un sorriso al cuoco.

« Monsieur Cambron, qualsiasi cosa, per favore. »

Lo chef francese le fece un cenno d’assenso con la testa, finendo di decorare il piatto che aveva davanti: « Mademoiselle, le ho preparato uno dei suoi preferiti, sano e leggero. Un salmon en papillote con asparagi freschi, e qualche pommes parisienne vista la giornata pesante. »

Lei avvertì lo stomaco ruggirle estasiato alla vista del piatto fumante, ringraziò ancora lo chef che silenziosamente si mise a sistemare intorno a lei – ben sapendo ormai che lei avrebbe accettato di buon grado il rumore di sottofondo come compagnia – ma prima di divorare la sua cena, le scattò una foto per spedirla al suo compagno di chat.

Poté quasi udire il lamento di Kisshu attraverso lo schermo.

 

Dai ma allora dillo che sei crudele!

Potresti invitarmi a cena.

 

Spiacente, ho troppa fame per poter condividere!

 

Indugiò un istante, gustandosi il sapore del pesce fresco e delle verdure sul palato, poi decise di aggiungere qualcosa in più.

 

Seriamente, sono davvero esausta. Ho bisogno di annullarmi per questa sera.

 

Tu hai bisogno di rilassarti.

Potrei suggerire tecniche infallibili.

Come lo yoga, ovviamente, tortorella maliziosa.

 

Lei rise sottovoce, dedicandosi poi solamente a gustarsi la cena e la quiete della sua casa, il rumore familiare delle cameriere che sistemavano le ultime cose della giornata prima di concedersi anche loro un meritato pasto.

« Lo desidera un dolce, mademoiselle? »

Minto scosse la testa e si alzò, accennando a un inchino: « No, ma la ringrazio, chef. Ottimo come sempre. »

« Le auguro una buona notte, signorina Minto. »

Si incamminò a passi pesanti verso la sua stanza, meditando se intraprendere davvero qualche tecnica di relax, quando il cellulare prese a vibrare insistentemente come solo una telefonata di Ichigo poteva fare.

« Abbiamo trovato una casaaaaaaaa! »

La voce della rossa le traforò il timpano non appena accettò la chiamata, e dovette allontanare il telefono dall’orecchio mentre alzava gli occhi al cielo e sorrideva: « Sì, Ichigo, pronto? »

L’amica si lanciò in uno dei suoi racconti pieni di eccitazione e felicità, e Minto si limitò ad assentire ed ascoltare mentre si preparava un bagno pieno di schiuma, contenta per l’amica ma decisamente troppo stanca per poterla fermare o porle domande troppo complicate. A volte, dopotutto, a Ichigo bastava fare dei monologhi.

« Quindi quando potrete entrarci? »

« Poco dopo il mio compleanno, è tra pochissimo, Ryo ha organizzato tutto, non so come abbia fatto. »

« Ovviamente, » Minto rise e testò la temperatura dell’acqua, avvolta nel più comodo dei suoi accappatoi « Sono felice per voi, Ichigo-chan. Ora perdonami, ma voglio farmi un bagno e andare a dormire, sono stata in teatro tutto il giorno. »

« D’accordo! Passa per il Caffè domani, voglio farti vedere le foto! »

« Certo, buonanotte. »

Sospirò estasiata non appena scivolò dentro la vasca e il calore dell’acqua le avvolse le membra stanche. Si strofinò il collo, cercando di alleviare la tensione, e si dovette concentrare per non addormentarsi lì, seduta stante. Si crogiolò per un paio di minuti, gli occhi chiusi mentre canticchiava sottovoce, finché non sentì di nuovo il cellulare vibrare.

 

Che fai ora?

 

Minto attese qualche istante, poi appoggiò entrambi i piedi al bordo della vasca, incrociandogli alle caviglie, e li inquadrò per rispondere a Kisshu solamente con quella foto. La sua risposta la fece ridere quasi ad alta voce, rischiando che il telefono le scivolasse nell’acqua.

 

Accidenti, come facevi a sapere che uno dei miei fetish sono i piedi callosi da ballerina?

 

Io non ho i piedi callosi!

 

Mh, dovrei vederli da vicino per accertarmene.

 

 Suona decisamente inquietante.

In ogni caso, i miei piedi sono il simbolo di sforzo e dedizione.

Tu invece ti dedichi soltanto a sforzare lo stomaco J

 

Ti sembra uno stomaco sforzato questo?

 

Lei si affossò un po’ di più nella vasca fino a sfiorare l’acqua con il naso mentre la foto di Kisshu le riempiva lo schermo. Era steso su quello che lei interpretò come il suo letto, le gambe nella stessa posizione della foto di lei e la pancia scoperta, decisamente in una posa che giocava a suo favore. Fissò lo schermo per un po’, prima che le scappasse uno sbuffo divertito.

 

Sono bravi tutti a tirare in dentro la pancia da stesi.

 

Guarda che ci metto mezzo secondo a provartelo dal vivo.

 

Minto giocherellò con un po’ della schiuma rimasta, godendosi il silenzio del bagno finché non avvertì la temperatura dell’acqua farsi troppo tiepida per i suoi gusti. Si alzò con uno sbuffo e si avvolse di nuovo nell’accappatoio tatticamente posizionato vicino al riscaldamento, prendendosi il suo tempo per terminare la sua routine serale.

Riprese il cellulare in mano solo quando si buttò tra le lenzuola pulite, avvolgendosi nel piumone e rilassandosi finalmente per la prima volta nella giornata. Tirandosi la coperta fino sotto al mento, scattò un’ultima foto del suo letto.

 

Pardon, ho finito la mia giornata. Ho bisogno di dieci ore di sonno.

 

Ti lascio al tuo nido allora, passerotto.

Sappi che mi devi comunque della compagnia.

 

Notte J

 

Tolse le notifiche dal cellulare e lo ripose sul comodino prima di spegnere la luce, accoccolandosi per bene tra le lenzuola, un abbozzo di sorriso in volto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

(1) One handed presage lift

 

 

 

 

 

 

Ebbene sì, sono ancora quiii :3 Buon salve carissimi tutti, in questo lunedì tenebroso, senza più Game of Thrones e – lasciatemelo dire anche se non si dovrebbe mischiare lavoro e piacere – qualche news politica non proprio ridente, sono riuscita nella titanica impresa di terminare questo parto di FF e ho deciso di pubblicarne la prima parte, per la vostra (spero!) giuioa :3

 

Lo so che è lunga, lo so, perdonatemi <3 Anche la nee-sama Ria ha ceduto e h detto che sarebbe stato meglio dividerla, ma non si può fermare la Musa, giusto?

 

Il titolo e la frase in incipit sono dell’omonima canzone di Bruce Springsteen, in caso aveste voglia di buona musica anni ’80 e di qualche giustificazione.

 

Vi racconterò della sua genesi nel secondo capitolo, perché altrimenti sarebbe un mezzo spoiler ;)

 

Buon inizio settimana a tutti, come sempre qualsiasi commento, anche delle uova tirate addosso, sono sempre ben recepiti!

 

A presto,

 

Hypnotic Poison  

   
 
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