Dancing in the Dark
You can’t
start a fire without a spark
Minto si sedette sullo sgabello foderato di
velluto blu scuro e aprì con cautela il coperchio d’abete, sfiorando con la punta
delle dita i tasti bianchi come a chiedere il permesso di suonarli dopo tanto
tempo. Abbozzò piano il primo motivetto che si ricordò, un sorriso che le
spuntò naturale sulle labbra nel percepire la naturalezza, seppur un po’
inceppata, dei movimenti.
Era abbastanza arrugginita, ma riusciva
ancora a far scivolare le mani come se non fossero passati mesi, se non un
annetto, dall’ultima volta che aveva avuto tempo di rilassarsi con il
pianoforte a coda che le avevano regalato da bambina. Avrebbe davvero voluto
esercitarsi di più (e sicuramente anche sua madre avrebbe apprezzato la cosa),
ma era stata così tanto occupata, soprattutto in quegli ultimi tempi…
Una nota fuori posto le fece storcere il
naso, l’idillio già spezzato. La mancanza di concentrazione stava cominciando a
diventare un problema serio, non bastava più continuare ad ammetterlo a sé
stessa, doveva prendere le redini della situazione in mano, e…
Sentì bussare alla porta e sobbalzò piano,
tentando di non darlo a vedere alla cameriera che infilò solo la testa dallo
spiraglio.
« Signorina Aizawa, c’è un ospite per lei.
»
Lei annuì, quasi scocciata
dall’interruzione, e sospirò: « D’accordo, ora arrivo. »
La ragazza si ritirò con un accenno e un
inchino, chiudendosi la porta alle spalle, e lei si sfregò la fronte. Possibile
che ancora non avessero capito che le visite le piacevano solo pianificate?
Cos’aveva fatto di male per meritarsi tutti
quegli sconvolgimenti imprevisti alla sua impeccabile, programmatissima,
controllatissima vita?
Four
months earlier
« Ancora!? Ma che cavolo - ! »
L’esclamazione incredula e irritata di Taruto risuonò sopra il chiacchiericcio del salone del
Caffè quasi al completo, coperto solo dalla risatina di Purin
che gli si lanciò contenta al collo per schioccargli l’ennesimo bacio richiesto
dal vischio appeso in apparenti quantità industriali per il locale, noncurante
della sfumatura di rosso che gli fece assumere nuovamente.
Minto rise appena, nascondendo il volto nel
calice di champagne quasi vuoto, mentre osservava contenta la scenetta.
« Mio fratello fa tanto il duro, ma guarda
come tubano nell’angolo. »
Alzò lo sguardo alla sua destra, Kisshu che
era comparso accanto a lei con la stessa espressione divertita, le mani
cacciate in tasca e l’elegante camicia dalle maniche già sbottonate e
arrotolate fino ai gomiti.
« Lascia che facciano, sono teneri. »
Lui le lanciò un’occhiata incredula, poi
fece un cenno al bicchiere: « Ne hai già bevuti troppi? Da quando tu trovi tenere le cose? »
« A Natale siamo tutti più buoni, »
commentò lei con tono ironico.
« Certo, certo, e io mi chiamo Rudolph. »
Lei rise di nuovo, più allegra di quanto
non lo fosse stata in quegli ultimi tempi.
Forse era stato proprio il ritorno dei tre
fratelli Ikisatashi, circa sei mesi prima, a portare una ventata di freschezza
nelle loro vite.
Seppure all’inizio erano stati tutti sul
chi vive a risentire i computer del seminterrato squillare come non facevano da
ormai più di dieci anni, gli alieni avevano pienamente dimostrato di avere
intenzioni più che pacifiche.
Soprattutto Taruto
e Pai, che non avevano perso troppo tempo nel
riallacciare fili che probabilmente non erano mai stati del tutto slacciati.
Ovvio, tutti avevano dovuto riacquistare fiducia
gli uni negli altri; per quanto alla fine della battaglia si fossero trovati
tutti dalla stessa parte, non era stato facile per nessuno cancellare
definitivamente ciò che era successo. Ryo più di tutti era stato restio a
sotterrare l’ascia di guerra, soprattutto considerato il vecchio interesse che un certo alieno aveva nei confronti di una certa rossa. Soltanto sedute a porte
chiuse con Zakuro, Keiichiro,
e la stessa Ichigo – che ovviamente non aveva esitato a spifferare tutto alla
sua migliore amica – erano riuscite a convincerlo a uscire dal suo mutismo
selettivo nei confronti degli alieni e a farlo
smettere di comportarsi come un becero cavernicolo di sei anni (citazione
diretta della modella, a quanto pareva, che ancora la faceva ridere sotto i baffi).
Anche perché il povero Ryo non avrebbe
certo potuto mantenere il fronte di guerra aperto per il resto della sua vita,
per quanto la sua testardaggine potesse essere caparbia; gli alieni avevano
annunciato tutta la loro volontà di rimanere sul pianeta Terra più a lungo
possibile.
« Che era quello che volevamo fin
dall’inizio, » aveva scherzato Kisshu durante uno dei tanti incontri, poco dopo
il loro ritorno, in cui avevano cercato di far chiarezza sulle cose. Ovviamente
si era guadagnato delle occhiatacce da metà del gruppo, ma per quanto fossero
cambiati, non potevano cambiare del tutto.
La vita sul loro pianeta, una volta
riacquistata la stabilità climatica e un certo grado di normalità grazie
all’intervento della Mew Aqua,
si era rivelata troppo faticosa per gli Ikisatashi. Erano stati sulla bocca di
tutti, nel bene e nel male, e per quanto all’inizio la cosa poteva essersi
rivelata vantaggiosa, per alcuni, a lungo andare era diventata quasi velenosa. Pai non riusciva a svolgere le sue ricerche in santa pace,
Kisshu veniva additato a volte come traditore primario, altre volte come eroe
tragico, e nessuno sembrava più prenderli sul serio o lasciarli vivere la loro
vita.
Erano stati lanciati da così giovani in
un’avventura decisamente più grande di loro, e la loro patria non era stata più
in grado, o forse non aveva voluto, prendersene cura quando erano ritornati.
E nessuno li avrebbe capiti fino in fondo
come le ragazze con cui avevano condiviso la parte più importante e segnante
della loro adolescenza.
Perciò, presi armi e bagagli – e da quanto
aveva capito nei discorsi origliati tra i tre, Keiichiro
e Ryo, anche un’astronave parecchio grossa – erano ritornati a Tokyo a chiedere
comprensione, ospitalità, e un po’ di pace mentale.
E si erano stupiti tutti, davvero, di
quanto facilmente e velocemente i tasselli si erano ricomposti alla perfezione.
Quasi non sembrava che fossero passati dieci anni, o che certe cose fossero successe. Certo, non era sempre del tutto vero e
alcuni più degli altri erano ancora un po’ titubanti, ma proprio le amicizie
nate da eventi improbabili e avversi erano quelle che sembravano più
consolidate e durature.
Quindi, anche Shirogane si era dovuto
arrendere a trovarsi Kisshu molto più spesso di Kei o
Zakuro come compagno d’allenamento. E anche se non
l’avrebbero mai ammesso, sotto sotto iniziavano pure a tollerarsi a vicenda, se
non proprio a starsi simpatici.
Anche lei, poi, doveva concederglielo,
aveva trovato un alleato non da poco contro i capricci di Ichigo o contro i momenti
di noia o di tristezza. Kisshu sembrava sempre caricato con l’argento vivo,
incapace di stare fermo – o zitto – eppure al tempo stesso si era rivelato un
ottimo ascoltatore. Certo, il più delle volte era capacissimo di farle saltare
i nervi con battutine sciocche e infantili e qualche punzecchiatura di troppo,
ma avevano scoperto di essere in sintonia su molte altre cose e, anche se non
l’avrebbe mai ammesso, le faceva piacere passare del tempo con lui.
Non le sfuggì, tra la folla per quella
festa natalizia organizzata da Keiichiro per
rilanciare l’ultima ristrutturazione del locale, le occhiate fameliche che una
delle ospiti continuava a lanciare in direzione del suo compagno di
chiacchiere. Non che potesse biasimarla troppo, in fondo; gli anni passati
avevano decisamente fatto del bene a Kisshu. Aveva ventiquattro anni, poteva
dirsi di averne passate abbastanza per definirsi una donna adulta e
responsabile, e anche lei sapeva riconoscere un bel ragazzo quando ne vedeva
uno senza che ciò comportasse cose disdicevoli.
« Devi stare attento, » mormorò divertita,
facendo appena un cenno della testa mentre gli si avvicinava con fare
cospiratorio, « Sembra avere intenzioni un po’ troppo decise. »
Kisshu seguì il suo sguardo, altrettanto
divertito: « Da tortorella sei diventata un falchetto, ora? O sei preoccupata
per me? »
« Sono preoccupata per il bagno del locale,
più che altro. »
« Che orribile idea che hai di me! Non
potrei mai creare una fila in bagno per tutto
quel tempo. »
« Insomma! »
« Passerotto, hai iniziato tu. »
La mora scosse la testa e alzò gli occhi al
cielo, allegramente esasperata, stava per replicare quando una mano leggera le
si posò sulla schiena, catturando la sua attenzione.
« Ah, Ogasawara-san!
Mi stavo giusto chiedendo dove fossi finito. »
« Eccomi scusa, mia madre al telefono la
tira sempre troppo per le lunghe. Ikisatashi-san, giusto? »
L’alieno – in incognito – studiò con la
solita aria beffardamente socievole la mano tesa del ragazzo alto e ben vestito
di fronte a lui, prima di stringergliela con fermezza: « Giusto. Come va la
vita, Ogasawara? »
Il giapponese parve non lasciarsi interdire
dalla maniera con cui venne chiamato, e sorrise affascinante: « Non posso
lamentarmi, anche se questo è sempre uno dei momenti più impegnativi dell’anno.
»
« Non dirlo ad Akasaka-san,
ormai non esce più dalla cucina con tutti i dolci di Natale che gli richiedono,
» Minto sorrise ancora e prese un sorso dal suo bicchiere, « A proposito,
potremmo chiederne uno per la cena dai tuoi genitori, la settimana prossima. »
« Basta che poi non ti lamenti che ti
faccio saltare la dieta, » la riprese bonariamente, facendole arricciare il
naso in una smorfia di ripicca, « Cosa mi sono perso? »
Kisshu continuò ad osservare le interazioni
di Minto con il suo fidanzato, divertito dalla continua formalità che la
ragazza sembrava non riuscire mai ad abbandonare: « Niente, io e la tortorella
stavamo commentando gli imbucati. »
Questa volta, Eichi
alzò appena un sopracciglio: « Non credo che Minto-san apprezzi un soprannome
così poco elegante. »
« No, non apprezzo, » Minto sbuffò
divertita e lanciò un’occhiata allusiva all’alieno, « Ma non riesce a fargli
cambiare idea nemmeno Shirogane in quanto ad appellativi. »
Kisshu ghignò canzonatorio: « Stai
scherzando, lo sai che Einstein con gli occhioni a cuore ora è la mia vittima
preferita. »
« Kisshu! »
« Che c’è, non posso burlarmi un pochino
del mio vecchio rivale in amore che ora ce l’ha fatta? C’è più carie qua dentro
che in cucina, con quei due. »
Minto gli lanciò un’occhiata ammonitoria
mentre entrambi spostavano l’attenzione su Shirogane che teneva saldamente
Ichigo per una mano, come se ancora non potesse credere di avere finalmente
conquistato la bella rossina dopo anni e anni di tentativi. La mora poi
tossicchiò e raddrizzò di più la schiena, conscia che probabilmente il suo
fidanzato non potesse comprendere la totalità del discorso.
« Scusaci, è un’abitudine di Kisshu quella
di straparlare. »
« Non prendertela con me, ti ho vista con i
miei occhi stare al telefono per ore e ore con la lupetta.
»
« Questo è irrilevante. »
L’alieno rise, poi alzò il calice che
teneva in mano e fece un cenno con la testa: « Vi lascio proseguire la serata.
A quanto pare, potrei riscuotere successo. »
Minto alzò di nuovo gli occhi al cielo a
quell’ultimo commento e sospirò sconsolata, mentre l’alieno sgusciava tra la
folla con la sua solita andatura casual.
« È un tipo accattivante, eh? »
commentò con una risata Eichi.
« Estenuante sarebbe la mia scelta,
» rispose lei, e poi intrecciò il braccio con il suo, « Vieni, andiamo a
salutare Akasaka-san. »
Le luci notturne della città correvano
veloci fuori dal finestrino, una pioggerella fitta che si abbatteva contro al
vetro che la rendeva grata di essere avvolta dal tepore dell’automobile.
« Non mi hai ancora raccontato molto di
quei vostri nuovi amici. »
Minto tentò di confondere la problematicità
della domanda con il mettersi più comoda sul sedile in pelle.
« Nuovi non direi, » esclamò con un sorriso,
« Li conosciamo da una vita, ormai, ci siamo conosciuti quando ho conosciuto
anche le altre. Però non… non hanno abitato in Giappone per un po’. La loro
famiglia era di qua ma… si sono spostati un po’ in giro. »
« Io non li ho mai visti. »
« Tu non avevi mai visto prima nessuno dei
miei amici, » lo riprese lei lanciandogli un’occhiata divertita.
Eichi le prese la mano e intrecciò le loro dita,
prima di posarle un bacio sul dorso: « Io e te eravamo amici, ed eravamo in un
bel gruppo. »
« Lo sai cosa intendo, » rispose la mora, «
Le ragazze ci sono state in… molti momenti complicati della mia vita. Non le
cambierei con nessuno al mondo. »
« Lo so, lo so, vengo solo quinto in
posizione, » la prese in giro ridendo.
« Sei proprio uno sciocco! »
Eichi controllò qualche email sul cellulare,
entrambi che godettero del silenzio per qualche istante, poi domandò ancora: «
È curioso, quel soprannome che ti dà… da dove spunta? »
Minto poté giurare di sentire la voglia tra
le scapole pizzicarle insistentemente: « In realtà lo fa con tutte noi, ognuna
un animale diverso… Ichigo la chiama gattina perché, lo vedrai anche tu, dorme
tutto il giorno e ha l’ossessione per i gatti, Purin
quando l’ha conosciuta stava più in equilibrio su una palla che con in piedi
per terra quindi scimmietta. E così via. Io… bè, sai, banale, Il lago dei cigni, quindi tutto ciò che
ne deriva… e perché dice che becco come una cornacchia. »
Il ragazzo sembrò soppesare la questione
mentre continuava a fissare lo schermo del telefono, e annuì con un sorriso: «
Mi sembra una cosa molto affettuosa. »
« Gli avrò chiesto almeno un migliaio di
volte di smetterla, ma è testardo. »
« È un comun denominatore del vostro
gruppo. »
La mora gli lanciò un’occhiata poco
divertita, poi coprì il cellulare di lui con una mano e gli sorrise: « Abbiamo
parlato abbastanza degli altri, non trovi? »
Eichi ricambiò il sorriso e la tirò più vicino a
sé, intersecando le loro dita per baciarle di nuovo il dorso: « Andiamo a casa.
»
§§§
Minto non avrebbe saputo esattamente
indicare il momento in cui aveva conosciuto Eichi Ogasawara. Più che altro, lui era sempre stato una presenza
costante fin dall’infanzia; figlio di facoltosi amici di famiglia, avevano
frequentato la stessa cerchia, gli stessi luoghi, partecipando l’uno alle feste
dell’altra. Se avesse scovato, da qualche parte, gli album di foto che la sua
balia aveva accuratamente custodito in tutti quegli anni, avrebbe sicuramente
trovato almeno un paio di foto che li ritraevano da bambini.
Per questo, forse, non ci aveva mai dato
troppo peso, né si era stupita di vederlo ricomparire ad una delle tante serata
a Villa Aizawa, all’improvviso dopo due anni di Master negli Stati Uniti,
pronto a prendere le redini dell’azienda di famiglia proprio come suo fratello,
a rendere i suoi genitori fieri.
Forse, se ci pensava bene, non era nemmeno
rimasta troppo sorpresa dal fatto che fosse un bel ragazzo, abituata com’era a
pensarlo come un amico di lunga data a cui non aveva mai dato troppa
confidenza, né che sua madre sembrasse nominarlo un paio di volte in più
rispetto ai figli di altri amici.
Quando poi però le si era presentato alla
porta reggendo un elegante mazzo di fiori e invitandola a cenare con lui, aveva
sentito il cuore batterle un po’ più forte e le guance farsi rosse come se
fosse la prima volta che qualcuno le chiedeva un appuntamento.
Ovviamente aveva accettato, senza pensarci
un secondo. Lui spuntava tutte le caselle giuste, tutte quelle che fin da
piccola aveva voluto: elegante, bello, intelligente e beneducato, con una
carriera all’orizzonte e tanta buona volontà. Avevano preso a conoscersi e si
erano piaciuti sempre di più, approfittando dei momenti liberi per scappare in
romantici weekend in lussuosi hotel posseduti dalla famiglia di lui, e anche
ora che stavano per scoccare i due anni e mezzo di fidanzamento, la riempiva di
attenzioni, soprattutto quando doveva ovviare a occasioni mancate per via dei
viaggi di lavoro.
Minto avrebbe solo voluto essere del tutto
sincera con lui, rivelargli quella
parte di sé, forse quella più importante, più significativa, eppure… eppure
c’era sempre qualcosa, forse il suo sesto senso stesso, che la frenava.
Non sapeva se le avrebbe mai creduto, se
l’avrebbe presa completamente per pazza o se avrebbe invece rischiato di rivelare
tutto, in qualche maniera, riteneva che fosse sempre troppo rischioso. Quindi
continuava a tenerla nascosta, come il segreto più caro, invidiando appena le
sue amiche che invece potevano essere del tutto complete in ogni situazione.
Certo era che, almeno per una volta nella
sua vita, sua madre non aveva avuto benché minimo da ridire sulla sua scelta.
La matriarca degli Aizawa era stata più che entusiasta nel venire a sapere – e
Minto non si era mai stupita del fatto che la notizia fosse trapelata prima ancora
che lei fosse riuscita a vedere i suoi genitori di persona – che effettivamente
era stato proprio Eichi a far breccia nel cuore della
figlia. Era stata anche una delle poche volte in cui loro due si erano
scambiate un momento di confidenze e consigli, come forse non era mai successo
prima. Poi che il ragazzo fosse praticamente sempre invitato a cena ogni volta
che gli Aizawa tornavano sotto il loro tetto principale, precludendo a Minto la
possibilità di passare del tempo sincero con i propri genitori, quello era un
discorso a parte.
Non avrebbe certo potuto sperare che i
meccanismi dell’alta società, in particolare quelli dettati da sua madre,
cambiassero solamente perché lo voleva lei. Le era bastato, doveva ammetterlo,
sapere solamente che non l’avrebbero vessata come facevano su tante altre cose;
aveva scelto il candidato perfetto, e aveva messo d’accordo tutti.
Poi, che questa cosa comportasse gli stessi
difetti e comportamenti della sua
famiglia, ecco, quella era una cosa a cui doveva ancora fare del tutto
l’abitudine.
A cominciare da quel piccolo, ma decisivo
particolare, che faceva sì che tutti (tranne Seiji,
bontà sua), non capissero a pieno cosa significava per lei danzare, cosa
comportasse il suo lavoro, e che sì, era un lavoro a tutti gli effetti.
« Io non so di cosa ti preoccupi, » Eichi afferrò la giacca dalla sedia e la sfiorò appena con
il palmo per liberarla da invisibili pieghe o pulviscoli prima di indossarla, «
Non è certo la prima volta che apri tu le danze. »
Minto sbuffò piano alla scelta di parole e
si alzò con lui, incrociando le braccia: « È la prima volta che uno spettacolo
viene trasmesso in televisione con dei critici tra il pubblico, lo sai che il
teatro sta cercando di rilanciare il corpo di ballo a livello mondiale. »
« Mi sembra che di critici ne abbiate
superati parecchi, » replicò lui con un sorriso divertito.
« Questo è diverso, » la ragazza cominciò a
seguirlo lungo i corridoi di casa, mantenendo le braccia incrociate e un
cipiglio severo.
« Tesoro, è diverso soltanto perché vuoi
che lo sia. Non è nemmeno in diretta. »
« Non importa che non sia in diretta, tu
non capisci, ci sarà - »
Eichi si voltò verso di lei e le sorrise ancora,
sfiorandole il braccio in una carezza.
« Chiunque ci sarà, so che sarete
bravissimi e tu sarai fantastica come sempre. Andrà tutto bene, » si sporse per
lasciarle un veloce bacio sulla guancia mentre si sistemava il colletto del
cappotto, « Ora devo scappare, mi vengono a prendere prestissimo domattina. Ti
chiamo! »
Lei rimase ferma lì, un po’ imbronciata,
guardandolo scendere lo scalone principale senza degnare di un saluto le
cameriere che stavano finendo di rassettare, poi fece dietrofront sui talloni e
si trascinò con passi pesanti fino alla sua camera.
Continuava a percepire quella
fastidiosissima ansia gorgogliarle in petto, come non le succedeva da un sacco
di tempo. Si gettò di schiena sul letto e poggiò le cosce contro il muro,
ponendosi ad angolo retto e facendo dei respiri profondi per cercare di
calmarsi, ripassando mentalmente i passi della coreografia.
Cosa le era preso non lo sapeva nemmeno
lei, forse un po’ stava esagerando, d’accordo, ma pensava che lui avrebbe capito che per lei era una
cosa importante, in preparazione da mesi. Pensava di averne anche parlato
abbastanza, eppure!
Le sarebbe bastata solamente un po’ di
compagnia, non la sempiterna solitudine di quelle vaste quattro mura.
Girò appena il volto per guardare
l’orologio sul suo comodino; erano quasi le nove, non era nemmeno così tardi,
forse avrebbe potuto…
Per una volta, avrebbe anche potuto
ammetterlo.
Si voltò di scatto e afferrò il cellulare,
digitando il numero di Ichigo a memoria e infilandosi le cuffie con un po’
d’agitazione mentre contava gli squilli a vuoto, un sussulto di sollievo al cuore
quando sentì il click della linea che
si apriva.
Dal clamore di voci un po’ offuscato che
poteva sentire all’auricolare, si immaginò che la rossa si fosse allontanata un
poco dalla compagnia con cui era per risponderle.
« Minto-chan, va tutto bene? Vuoi unirti, siamo a - »
« In realtà, » la interruppe, studiandosi
una pellicina fastidiosa e tentennando un attimo, « Scusa, non volevo
disturbarti, è solo che… sono qui da sola, e domani… »
L’amica borbottò qualcosa che lei non capì,
probabilmente aveva coperto il microfono con una mano, prima di risponderle con
il solito tono allegro: « Dammi venti
minuti, prendo il primo treno e arrivo! »
Minto non fece in tempo a mormorare un grazie che Ichigo era già passata ad
avvertire qualcuno all’altro capo della linea e a chiudere la telefonata. Lei
sorrise, già un minimo più rilassata, e rotolò giù dal letto per prendere dalla
cassettiera due dei suoi pigiami più comodi e una vestaglia in più, ben sapendo
che probabilmente la rossa avrebbe insistito poco graziosamente per un “pigiama
party”.
Si struccò e cambiò con molta calma,
canticchiando ancora il motivetto del passo a due della coreografia, e poi si
avviò al piano di sotto in attesa della sua ex leader.
Come sempre, Ichigo si presentò con i suoi
dieci minuti di ritardo, oltrepassando il portone principale come una furia
avvolta dal suo sciarpone in lana color ciliegia.
« Ma Shirogane ha ancora la pazienza di
aspettarti? » la prese in giro, aspettandola a braccia incrociate sullo scalone
d’ingresso.
« Ti ho portato il gelato! Alla frutta,
senza latte, senza uova, sei a dieta, bla bla bla, » la rossa le lanciò uno
sguardo divertito mentre la superava quasi di corsa e prendeva la scorciatoia
per la sua camera da letto, « Ci facciamo una maschera? »
Minto osservò la schiena dell’amica correre
su per le scale tra il divertito e lo sconsolato, sentendosi avvolta da
caloroso affetto che le placò un poco l’agitazione: « Non ti azzardare ad
andare sul mio letto con il gelato, sai! »
« Okay, ora sorridi… sorridi, daiii! »
« Ichigo, se pensi che io mi lasci fare una
foto in queste condizioni e per di più con le orecchie da gatto, ti stai
sbagliando grosso. »
« Ma eravamo carineeee!
»
« Tu fai pure, ma non mettere in mezzo me,
ho una reputazione da difendere. »
Ichigo le fece affettuosamente il verso e
si concesse comunque un selfie in solitaria, prima di uscire da Instagram.
Come previsto, le due erano spaparanzate
comodamente nel lettone extra-matrimoniale di Minto, stese a pancia in su testa
contro testa con delle maschere purificanti in volto e la televisione in
sottofondo su qualche reality di bassa lega.
« A che ora hai lo spettacolo domani? »
Minto si osservò attentamente le unghie,
alla ricerca di qualche irregolarità nello smalto color cipria da sistemare: «
Alle sette, » sospirò, « Ma devo essere in teatro già dalle nove e mezza
domani, hanno fatto un casino con i costumi e non sono riusciti a consegnarceli
in tempo oggi, quindi domani dobbiamo anche controllare che sia tutto a posto
in quel versante. Non poteva succedere in tempi peggiori, davvero. »
Ichigo cercò di lanciare uno sguardo di
conforto all’amica anche in quella posizione: « Shirogane-kun
mi passa a prendere alle otto e mezza, se vuoi possiamo darti un passaggio noi.
»
« Credevo che Shirogane non lavorasse il
mercoledì mattina. »
« Lui no, io sì. »
Alla mora scappò una risatina per il tono
di crudele divertimento dell’amica: « Tu non meriti quel sant’uomo. »
« Guarda che sono io che mi sorbisco tutte
le sue complesse cene di lavoro e di presentazioni. »
« Ti prego, non apriamo quel versante. »
Ichigo si osservò le ciocche rubino per
controllare eventuali doppie punte, esitando un secondo: « Ogasawara-san
viene a vederti domani? »
« Non credo, » la risposta di Minto fu
quasi automatica, visto quanto l’aveva ripetuta da quando era bambina, « Stanno
pensando di aprire un resort a Dubai, molte volte è fortunato a uscire
dall’ufficio alle sette e mezza. E poi preferisco che non ci sia nessuno tra il
pubblico, mi verrebbe ancora più ansia.
»
« Mmmhm, » la
rossa cercò di suonare convincente, poi sorrise, « Ti raggiungo appena hai
finito, promesso. Basta che mi mandi un messaggino, tanto come vedi anche io ho
lo chaffeur! »
« Questa gliela dico. »
« Come se non glielo dicessi già io. »
§§§
Kisshu si staccò dal muro non appena udì il
rumore del maniglione della porta che veniva spinto, liberando uno sciame di
ragazze in body e rigidi chignon laccati che si riversarono ridendo nel
corridoio stretto, lanciandogli occhiatine curiose e divertite.
« Kisshu? » Minto comparve tra le ultime,
le guance arrossate e l’aria stupita, « Che ci fai qui? »
Lui sorrise appena, sentendosi
improvvisamente a disagio: « Ti ho sentita ieri sera, al telefono con Ichigo.
Mi ha detto che sarebbe passata dopo, quindi pensavo che un po’ di contributo
fosse utile. Com’è andata? »
La mora si guardò un po’ intorno, ancora
con il fiato spezzato: « Uhm… bene, spero, direi, » un sorriso felice le si
disegnò in volto senza che riuscisse a fermarlo mentre si lisciava
sovrappensiero i capelli sudati per evitare che sfuggissero troppo alla stretta
acconciatura, « Non verrà trasmesso per un po’ e il giudizio dei critici
dovrebbe uscire tra un paio di giorni ma… bene, ecco. »
Anche l’alieno le rivolse un gran sorriso,
contagiato dal suo buonumore: « Bravi, sono contento per te. »
« Grazie, » Minto prese un gran respiro,
una mano appoggiata allo sterno come ad approfondirlo e riprendere
effettivamente coscienza della situazione, ancora troppo estatica
dall’adrenalina, poi si umettò le labbra, « Uhm… vado… vado a cambiarmi, questa
è un po’ ingombrante, » scherzò, battendo appena le mani sulla vaporosa gonna
di tulle.
Kisshu annuì e rificcò le mani in tasca: «
Vuoi che ti aspetti o…? »
« In realtà… » la ballerina si voltò per guardarlo
mentre si avviava verso lo spogliatoio, camminando all’indietro, « Stavamo
pensando di andare tutti a mangiare un boccone per festeggiare, se ti va di
venire. »
« Potrei mai rifiutare l’invito a celebrare
con una ventina di dolci e felici fanciulle? »
Minto alzò gli occhi al cielo e scosse la
testa cercando di nascondere che trovò la sua battuta pure divertente, in quel
momento: « Incorreggibile! Aspettami qui. »
Lui annuì e la guardò sparire dietro a un
angolo prima di riappoggiarsi al muro, il sorriso divertito che gli rimase in
volto.
Non dovette aspettare molto prima che le
porte si riaprissero e il corpo di ballo, la maggior parte ora in tenuta molto
più sportiva e comoda, sciamasse fuori col solito vociare allegro. Anche Minto,
in fondo al gruppetto, quasi incredibilmente era vestita più casual del solito – seppure non a
livello di certe sue colleghe che avevano deciso direttamente per la tuta –
ancora un gran sorriso stampato in volto, i capelli gonfi e un po’ spettinati
che lo incorniciavano.
« Potrei farti una foto e ricattarti per
sempre, » scherzò lui, allungando una mano per prenderle il borsone e
metterselo in spalla senza che lei potesse replicare, « Però stai bene senza
trucco. »
La vide arricciare impercettibilmente il
naso e cercare di sistemarsi un secondo i boccoli arruffati da lacca e chignon:
« Mi insulti e poi mi fai un complimento? »
« Così non ti monti troppo la testa. »
Lei alzò gli occhi al cielo e si aggiustò
il colletto del cappotto pesante blu notte mentre passavano per la porta sul
retro del teatro, l’aria fredda della sera che gli sferzò le gote.
« C’è un locale, qua vicino, ci andiamo
spessissimo. È ancora aperto, e i sandwich non sono male. »
« Tranquilla, ho già fatto il pieno prima
di uscire, » Kisshu si batté un paio di volte il palmo sullo stomaco, facendole
alzare un sopracciglio, molto scettica.
« Ti ho visto cenare due volte di fila. »
« È la cucina della pesciolina
a cui non posso resistere. »
«
Anche a quella di Keiichiro-san, direi. »
« Ora che ci penso, mi manca giusto la tua,
» la guardò con la coda dell’occhio, segretamente divertito, e non fu deluso
quando la mora sbuffò altezzosa.
« Certo, aspetta e spera. »
« Dillo che non sei capace. »
« Sono perfettamente
in grado, ma sono una donna troppo impegnata per poter anche perdere tempo
dietro ai fornelli. »
Kisshu rise divertito e le tenne aperta la
porta del bar dove si era rintanato il resto del gruppo indefinito,
permettendole di entrare prima di lui. Il tepore del locale fu benvenuto anche
dalle ossa dell’alieno, che la seguì fino ad un angolo di alti tavoli
circondati da sgabelli che già erano stati occupati dalla compagnia.
La mora si scambiò un paio di parole con i
suoi colleghi, la sciarpa e il cappotto già accuratamente ripiegati su uno
degli sgabelli, poi gli si avvicinò all’orecchio per farsi sentire al di sopra
del chiacchiericcio e della musica.
« Vado a prendere qualcosa da bere, vuoi
qualcosa? »
Lui si finse sorpreso e offeso: « Il
galateo imporrebbe che sia io a
offrire qualcosa alla damigella! Tutta questa adrenalina ti ha decisamente dato
alla testa! »
Minto lo guardò fintamente irritata e gli
diede uno schiaffetto al polso: « Non ti basta mai dire semplicemente di sì? »
Non aspettò la risposta, a posto
semplicemente con la luce da birbante che brillava negli occhi dorati, e si
avviò allegra verso il bar, rimuginando che effettivamente la consapevolezza
che lo spettacolo avesse superato le sue – come sempre alquanto nere –
previsioni la stava riempiendo di una frizzante positività. Rise insieme alle
ragazze del corpo di ballo mentre aspettava i cocktail (rigorosamente
analcolico per lei) che aveva ordinato, lanciando ogni tanto delle occhiatine
di controllo all’alieno che sembrava però essere completamente a suo agio a
chiacchierare con un paio di solisti. Le scappò un sorriso, era incredibile
come a volte Kisshu potesse ambientarsi così normalmente, anche meglio di loro,
sicuramente meglio di lei, in
qualsiasi situazione. Un po’ lo invidiava, doveva ammetterlo, quella sua innata
capacità di stare bene dovunque lo mettessero, di essere lui stesso in ogni
maniera.
Orecchie a punta a parte.
Avvertì un movimento accanto a lei, e
indovinò subito ciò che le sarebbe stato chiesto non appena una sua collega le
si avvicinò con un sorriso furbo, prendendo un sorso dal suo cocktail fruttato
e dandole un colpetto con la spalla: « Allora, ci sono novità? »
Lei scosse la testa: « Non farti strane
idee, Ayane, è solo un amico, si chiama Kisshu. »
« Mmmhm, allora
se è solo un amico non ti dispiacerà se cerco anch’io di conquistare la sua
amicizia… »
Minto alzò gli occhi al cielo e rise
divertita: « Figurati, accomodati pure. »
« Come fai a trovare sempre amici del
genere, io mi chiedo, » Ayane continuò a tenere gli
occhi fissi sull’alieno con aria ghiotta, « Già con quello Shirogane hai fatto
jackpot… »
« Dici così solo perché non li conosci. »
« Ripeto, sono completamente disponibile a
fare la loro conoscenza. »
« Mi dispiace, Shirogane è più che
impegnato, lo sai. »
« Mmmh, però
questo Kisshu no, giusto? »
La mora scosse la testa e lanciò un’ultima
occhiata al ragazzo: « No, Kisshu no. »
Non aveva nemmeno finito la frase che Ayane era partita alla carica, dritta a presentarsi
sfacciatamente al suo obiettivo della serata. Minto alzò gli occhi al cielo e
prese finalmente i bicchieri che il barman le stava porgendo, districandosi
senza fretta tra la folla per raggiungere i loro tavoli.
« Ah, Minto-san, Kisshu-kun
mi stava giusto raccontando che da adolescente lavoravi in un Caffè! »
L’occhiataccia che la ballerina gli lanciò
non lo dissuase dal ridere sommesso sotto i baffi: « Ah, che cosa curiosa da
raccontare, Kisshu-kun.
»
L’alieno le rivolse un occhiolino bislacco:
« La divisa però era incantevole. »
Lei gli rifilò un calcio negli stinchi da
sotto il tavolino che gli strappò un gemito sommesso, nello stesso istante in
cui Ayane buttava la testa all’indietro per ridere e
poi si portava i lunghi capelli dritti dietro l’orecchio: « Possiamo vedere una
foto, Kisshu-kun? »
« No, no, niente foto, » ridacchiò lui,
massaggiandosi la parte lesa, « Non avrei mai messo a repentaglio la mia vita
in quella maniera. »
« Ecco, appunto, » la mora appoggiò con una
certa convinzione i bicchieri sul tavolino, « Ora bevi e smettila di dire
cretinate. »
« Stai cercando di farmi ubriacare per poi
avere la meglio su – ahia, okay,
okay, la smetto. »
Ayane osservò con una certa curiosità
l’interazione tra i due, lo sguardo soddisfatto e placido di Minto che mordeva
elegante un angolo del suo club sandwich e
quello dolorante di Kisshu, ancora piegato in avanti per raggiungere il punto
nuovamente raggiunto dalla punta degli stivaletti preziosi della ragazza.
« Allora da quanto siete amici? »
« Amici
è un parolone. »
« Non fare l’antipatica, come sempre. »
« Diciamo che tollero la sua presenza da
ormai dieci anni. »
La ballerina bruna li osservò entrambi,
incuriosita: « Minto-san, e in dieci anni non ci hai mai fatto conoscere
Kisshu-kun? »
Minto dovette trattenersi per non alzare
gli occhi al cielo in maniera teatrale, la risatina soddisfatta dell’alieno che
già iniziava a darle sui nervi.
« Sono stato un po’ in giro, in questi
anni, » intervenne lui, vago, « Motivi di famiglia e di lavoro. E spirito
d’avventura. »
« Uh, sembra interessante, » il battito di ciglia
di Ayane fu decisamente evidente, « E di che cosa ti
occupi, esattamente? »
Kisshu rise ancora, scambiandosi uno
sguardo di intesa con la mora: « Guarda, è un po’ complicato da spiegare, e poi
siamo qui per festeggiare il vostro successo, non certo per annoiarvi con le
mie storie di vita. »
« Dubito che potresti annoiarci, Kisshu-kun. »
« È perché non lo conosci bene, » commentò
piatta Minto.
L’alieno le fece una smorfia, prima di
rivolgere un occhiolino ad Ayane: « Vedi, è così che
Minto tratta i suoi amici. »
Ayane lanciò un’occhiata furba alla prima
ballerina: « Però è bello che nonostante tutto siate rimasti così tanto amici.
Non sono in tanti a venire a fare il tifo per noi. »
Minto scrollò le spalle con aria annoiata, rimanendo
concentrata sul suo panino, ignorando decisa lo sguardo divertito del ragazzo.
« Allora, Ayane,
che mi racconti? »
La mora smise di seguire il filo del
discorso, ormai satura di tutte le volte che Ayane si
metteva in testa che fosse giunta l’ora di flirtare apertamente, a volte senza
nemmeno secondi fini – se poi davanti a lei ci stava Kisshu, che sembrava
divertirsi nella stessa maniera, apriti cielo. Non aveva mai avuto tempo per
certe cose quando era stata più giovane, figurarsi ora che era accompagnata e
soddisfatta, e soprattutto stanca dopo quella giornata infinita.
Anche se l’adrenalina stava scendendo, nel
tepore del locale e con in sottofondo il chiacchiericcio familiare del corpo di
ballo, la sensazione di felicità le borbottava ancora in petto.
Sarebbe servita soltanto una cosa in più per rendere la
situazione davvero perfetta, ma anche a quello aveva fatto il callo.
E almeno con Kisshu sapeva sempre che
avrebbero riso per le cose più stupide.
Il richiamo conosciuto del proprietario del
locale, che li avvisava che erano prossimi alla chiusura, li riportò all’ordine
dopo un’oretta, costringendoli a sciamare fuori di nuovo al freddo.
« Sono esausta,
» esalò ad alta voce Ayane, « Credo che mi
avvierò verso casa. »
Minto si concentrò per non alzare un
sopracciglio con fare critico al sotteso che poteva percepirsi da quella frase,
coronato dall’espressione furba dell’amica.
« Buonanotte, Ayane,
» sorrise divertito Kisshu, il borsone della mora di nuovo appoggiato alla sua
spalla, « È stato un piacere. »
« Anche per me, Kisshu-kun,
spero di rivederti! »
La mora aspettò che l’amica girasse
l’angolo prima di schiaffeggiare decisa il fianco dell’alieno: « Non ti si può
portare da nessuna parte! »
Lui rise sguaiato alla sua espressione
corrucciata: « Portarmi da qualche
parte, non sono mica un cane. »
« Ti dovrei mettere il guinzaglio per farti
stare a bada. »
« Tortorella, non so se questi sono
discorsi da affrontare in questo momento. »
L’occhiataccia omicida che lei gli lanciò
sorbì soltanto l’effetto di farlo ridere ancora di più mentre si incamminavano
ancora verso il teatro.
Pochi istanti dopo, il cellulare di Minto
squillò soffocato da dentro il borsone, e lei si affrettò ad aprirlo, incurante
del fatto che Kisshu, dall’alto stesse studiando tutto il suo contenuto con
aria soddisfatta.
« Ichigo-chan?
Guarda siamo giusto di fianco al teatro, e - » Minto sbuffò contrariata « Deve
smetterla con questa brutta abitudine di riattaccare all’improvviso. »
« Aaaaah, lo
sapevo che saresti stata bravissima! »
Si ritrovò avvolta dall’abbraccio goffo di
Ichigo prima ancora di rendersi conto che l’amica li aveva effettivamente
raggiunti. Le scappò uno sbuffo divertito mentre cercava di spostare il viso
per non soffocare contro la grossa sciarpa di lana che l’altra indossava.
« Come fai a sapere qualcosa tu che nemmeno
c’eri. »
« È un presentimento, » Ichigo le rivolse
un caloroso e convinto sorriso, « Sono certa che sarà andato alla grande e io
avrò un’altra amica super famosa! »
« Ah è questo che ti importa allora,
capito. »
« Tanto sei già snob, cosa vuoi che sia.
Oh, ciao, Kisshu-kun. »
L’alieno rivolse un cenno della testa alla
rossa, nascondendo un sorriso per l’occhiatina confusa e divertita che lei gli
rivolse: « Buonasera micetta. Hai lasciato a casa il biondo? »
« No, sta solo parcheggiando. »
« Non sia mai che usiate i trasporti
pubblici voi due, eh. »
« Zitto tu, sappiamo benissimo quali trasporti siano di tuo gradimento, » lo
riprese a mezza voce Minto con fare ironico, « Sei in ritardo come al solito,
Ichigo, abbiamo già finito. »
« Oh, dai, ero impegnata, lo sai che stiamo
cercando di trasferirci, » Ichigo fece il broncio, « Andiamo a prendere solo
una cosa veloce per festeggiare! »
« In effetti io ho un certo languorino. »
Minto lanciò un’occhiata seccata e al tempo
stesso sorpresa a Kisshu: « Ma – testuali parole – non avevi fatto il pieno
prima di uscire? »
« Sono ancora in fase di crescita,
tortorella, brucio un sacco di calorie. »
« Stai ammettendo di essere infantile? »
« Oh ma guarda, è arrivato il guastafeste.
»
« D’accordo, su, andiamo a cercare qualcosa
da mangiare così state zitti entrambi con le bocche piene. »
« Siete sicuri che non volete un passaggio?
»
« Abiti dall’altra parte della città,
Ichigo-chan, non è giusto nei confronti di Shirogane.
»
« Ecco, la voce della coscienza. »
« Sssssh, » Ichigo
abbracciò stretta Minto, soffocandola ancora nella sciarpa, « Sei bravissima.
Ricordati che hai promesso che guarderemo lo spettacolo tutti insieme. »
La mora sbuffò scherzosa: « Lo so che stai
solo cercando di scroccare un invito a cena. »
« Mi raccomando, Kisshu, riportala a casa
sana e salva. »
L’alieno piegò la testa da un lato,
divertito: « Non ti fidi di me, micetta? »
« Io no! »
Le ragazze si scambiarono una risata alla
risposta di Ryo da dentro l’auto, e un ultimo saluto mentre la rossa si
accomodava al sedile passeggero.
« Allora, vuoi utilizzare metodi innovativi
per tornare a casa? » le domandò Kisshu non appena rimasero soli.
Minto lo guardò poco divertita, ma ponderò
comunque sulla domanda, lanciando un’occhiata all’orologio: « Non siamo molto
lontani da casa mia, ed è una bella serata anche se fa freddo… potremmo fare
un’ultima passeggiata, mi sembra di essere stata chiusa in teatro per mesi e ho
bisogno d’aria. »
« Ai suoi ordini, madamigella. »
Lei non tentò nemmeno di replicare, la
stanchezza che stava diventando sempre più prominente e che al tempo stesso
gareggiava con la voglia di godersi all’ultimo quel momento. Si avviarono
tranquilli per le strade quasi vuote, chiacchierando con noncuranza del più e
del meno, Kisshu che si premurò di testare il suo senso dell’umorismo ora che
era troppo esausta per ribattere con veemenza.
Villa Aizawa si stagliò alla fine della via
non appena svoltarono un angolo, e Minto si lasciò scappare un sospiro: «
Chissà se c’è qualcosa da sgranocchiare… »
« Aaaah, aspetta,
aspetta, » Kisshu le si avvicinò per sbeffeggiarla, « Allora sei umana anche
tu, tortorella! »
Lei arricciò il naso, punta sul vivo: « Io ho fatto molta più attività fisica di
te, Ichigo e Ryo combinati, oggi. »
« Sulla micetta non avrei dubbi, » l’alieno
rise ancora, poi le porse il borsone, « Avrai una dispensa grande quanto la mia
stanza, non penso ti lasceranno senza cibo. »
« Eh, dipende, » Minto lanciò uno sguardo
alle finestre buie della casa, « Se ci sono solo io, per periodi estesi, non ha
molto senso stiparci di cibo. E ormai è tardi, mi dispiace disturbare. »
« Vedi, te l’ho detto che ti stai
rammollendo. »
Minto gli schiaffeggiò il braccio, poi si
schiarì la gola: « Grazie per stasera, sul serio. Non ce n’era bisogno, ma mi
ha fatto piacere. »
Lui inclinò appena la testa da un lato: «
Il piacere è tutto mio, signorina Aizawa. »
Lei lo fissò stoica, poi annuì appena: « Ci
vediamo domani.»
Kisshu le rivolse un ultimo sorriso,
aspettando con le mani in tasca finché non vide la figurina minuta scomparire
all’interno della casa.
§§§
« Ma insomma, avete finito tutti i
cioccolatini! »
« Nee-san, ne
avrai mangiati cinque. »
« Io ne volevo ancoraaaa,
» si lamentò Ichigo con uno sbuffo, ritornando al suo posto sull’elegante e
spazioso divano bianco, e si accoccolò sotto al braccio di Ryo per osservare
con soddisfazione il salottino riscaldato dalla luce scoppiettante del fuoco.
La televisione piatta, dalle dimensioni più
ridotte di quello più imponente del salotto principale, stava trasmettendo il
gran finale dello spettacolo che il New
National Ballet of Japan aveva messo in scena circa due settimane prima,
con tutta la pompa magna che si addiceva ad una premiere simile. E la
protagonista dell’evento era raggomitolata su una delle poltrone, segretamente
gongolante e molto fiera di sé stessa.
Ichigo la guardò contenta, prima di
sorridere sotto i baffi. Gliel’aveva bofonchiato sottovoce, qualche giorno
prima, nella tipica maniera di Minto di far sembrare che qualcosa non le desse
per niente fastidio mentre in realtà era un piccolo tarlo che la rodeva dentro.
Sia i suoi genitori che Eichi avrebbero dovuto essere
a Tokyo per poter condividere quel momento con lei, si era premurata di
chiedere in anticipo dei loro programmi; ovviamente, i signori Aizawa avevano
deciso di prolungare all’ultimo minuto la loro permanenza alle Bahamas, dove
puntualmente svernavano almeno un paio di settimane all’anno, mentre Eichi era stato costretto per diversi motivi di lavoro a un
viaggio lampo verso gli Emirati Arabi. Aveva raccontato tutto continuando a
perlustrare attentamente le rastrelliere del negozio di scarpe, ma ormai a
Ichigo non sfuggiva più l’ombra nei suoi occhi. Così, con una battuta su come
gliel’avesse promesso, la rossa si era autoinvitata nella grande villa per un
paio di giorni e si era premurata di ripulire le agende di tutti gli altri
cosicché potessero invadere tutti e dieci il salotto preferito della ballerina
e guardare in diretta la trasmissione del suo spettacolo.
E anche se Minto aveva storto un pochetto
il naso a quella convivenza forzata e alla poca
eleganza dell’invitare ospiti senza l’esplicito benestare della padrona di casa,
la radiosità del suo visetto quella sera era decisamente notevole.
« Io ancora non capisco come fai a fare
certe cose, » mormorò Ichigo, la testa piegata da un lato con aria curiosa
mentre osservava la ballerina nello schermo venire sollevata fin sopra la testa
del suo partner, che la tenne per i fianchi con una mano sola(1).
« Ichigo, non ti abbiamo mai presa per la
sportiva del gruppo. »
« Ah, ah, ah. »
Il gruppetto ridacchiò soddisfatto,
appesantiti dalla giornata e dall’ottima cena di tre portate che ovviamente la
cucina della villa aveva preparato per loro.
« Sei davvero bravissima, nee-san, » mormorò contenta Purin
mentre l’intero corpo di ballo si riuniva sul palco per l’ultima scena carica
di pathos, il coro di archi e fiati che rese tutto ancora più emozionante.
Minto osservò con una punta d’orgoglio
l’ultimo attitude, il primo ballerino
che si inginocchiò ai suoi piedi prima che il sipario rosso si chiudesse con
forza davanti a loro, scatenando la standing
ovation del pubblico: « Grazie mille. »
« Woo-ooh! »
anche la biondina si unì al coro di applausi, seguita da Ichigo, Retasu e Kisshu con molto meno furore, « È stato
bellissimo! Possiamo rivederlo? »
« Quando vuoi, » la ballerina dovette
contenere un sorriso raggiante, « L’ho registrato, ma ho sentito dire che ci
regaleranno un DVD. »
« Ma io voglio vederti dal vivo, è un sacco
che non riusciamo. »
« Certo, posso darti un pass ospite per il
dietro le quinte, basta dirmelo con anticipo. »
« Ah, aspetta, aspetta, sono molto
interessato a questo particolare del dietro le quinte, » commentò Kisshu con un
ghigno, stravaccato in maniera poco elegante su un divanetto a due posti.
« Kisshu-kun… »
lo riprese piano Retasu, un accenno di sorriso
divertito.
« Lascialo perdere, lo sai che è
irrecuperabile. »
« Sei tu che sei uno stoccafisso impettito.
»
Pai ignorò il fratello minore e si alzò in
piedi, scrocchiandosi leggermente le spalle: « Be’, grazie della serata, Minto.
Devo dire che è stato molto interessante. »
« Mmmm, detto
così è davvero entusiasmante. »
Minto lanciò un’occhiata d’avviso a Kisshu,
poi si alzò insieme a tutti gli altri per salutare la compagnia.
« Anche noi dobbiamo andare, nee-san, domani devo aprire la palestra prestissimo,
iniziamo gli allenamenti per i campionati. »
Lei annuì e accennò a un inchino: « Grazie
a voi per essere venuti. Anche se mi avete finito le provviste. Siete benvenuti
a tornare quando volete. »
Ichigo si fece avanti per rubarle un
abbraccio: « Mi piacerebbe rimanere, ma abbiamo un impegno domani sera. »
Ryo diede un buffetto simpatico sulla
guancia della rossa: « Indovinate chi ha preteso
una cena romantica per San Valentino. »
« Non ho preteso nulla, per una volta che
sei poco impegnato…! »
« Come se tu potessi dirle di no, onii-san. »
La battuta di Purin,
connessa all’espressione vaga dell’americano, scatenò una risata divertita nel
gruppetto.
« Va bene, buonanotte, arrivederci! »
Fu il primo a uscire dal salotto
trascinandosi dietro una ridente Ichigo, convinto anche se lei rimaneva
indietro per continuare a confabulare sottovoce con Retasu
riguardo i piani per la serata successiva.
« Qualcuno poi mi spiega perché voi ragazze
ci tenete tanto? » borbottò poco convinto Taruto,
seguendo il fratello maggiore verso la porta.
« Perché a Ichigo nee-chan
piacciono le cose dolci da film americani.
»
« Purin la vuoi
piantare? »
« Eddai nii-san, non ti si può più prendere in giro! »
Le voci del resto della truppa scemarono
piano lungo i corridoi, lasciando cadere un silenzio caldo nei due rimasti in
sala.
« E tu non hai piani romantici, tortorella?
»
« Ti sembro una che festeggia San
Valentino, io? »
Kisshu rise e si fece scivolare sul
pavimento, poggiando la schiena contro al divano: « Magari avevi scoperto anche
tu una vena romantica. »
« Ah, come no, » Minto sbuffò sarcastica,
inginocchiandosi davanti al camino per ravvivare un poco il fuoco.
« Dai, non ci credo che il tuo bellimbusto
non sia riuscito a corromperti in tutti questi anni. »
Lei gli lanciò un’occhiata poco divertita
al soprannome, poi alzò il viso in un gesto di scherzoso orgoglio: « Non sono
certo una signora facile da corrompere, io. »
« Parafrasando, lui ti ha portata in
romantici ristoranti tappezzati di rose rosse e champagne, e tu l’hai fulminato
con la tua lingua tagliente perché sono cose
così cliché – ahia! »
Il tallone della ballerina l’aveva
raggiunto implacabile nello stinco: « Mi ricordo ancora come menarti, sai. »
« Ho notato, » bofonchiò lui con una
risata, massaggiandosi la parte lesa, « Però vuol dire che ho ragione. »
« Fatti gli affari tuoi. »
« Comunque che razza di calci tiri con
quelle gambette, è già il secondo che mi rifili. »
« Su, non lamentarti tanto, ho fatto
pianissimo. »
« Non sarai mai la tua amica lupo, ma in
ogni caso… »
Minto rise a vederlo rabbrividire appena e storcere
la bocca al ricordo del gancio che Zakuro, a suo
tempo, non gli aveva risparmiato.
« Non è colpa mia se te li meriti. »
« Questo è stato più che ingiustificato! E
gradirei non avere altre contusioni. »
« Com’è diventato gracilino, capitano Ikisatashi, » la mora lo prese
in giro ridendo dello sbuffo che gli strappò.
« Senti, passerotto, posso ancora stenderti
in mezzo secondo. »
« Certo, è stato piuttosto facile, direi. »
« Credevo che il sarcasmo fosse prerogativa
del biondino. E poi cos’è, stai diventando nostalgica ora tutto un tratto? »
Lei ci rimuginò sopra un secondo, passando
il dito sopra la lana morbida del tappeto, seguendo le linee dei complicati
ricami floreali, poi parlò senza quasi rendersene conto.
« A volte un po’ mi manca. A te no? »
Kisshu si mosse a disagio, stendendo le
gambe sul persiano: « No, no, basta combattere, » rispose con una mezza
risatina poco convinta, « Credevo che avrei fatto per sempre il soldato, invece
poi ho capito che avevo già dato tutto il possibile. E non mi manca per nulla.
Allenarmi insieme a Taruto è già abbastanza.»
Minto lanciò un’occhiata al pezzetto di
cicatrice che spuntava dal colletto della maglia, abbozzò un sorriso: « Parlavo
più della sensazione di libertà che ogni tanto mi dava. Sai, volare. »
« Vedi che non ti dispiace allora se ti
chiamo tortorella. »
Lei storse il naso contrariata, lasciandosi
cullare dal calore delle fiamme alle sue spalle: « Per quanto non mi sia mai
andata troppo a genio l’idea di essere diventata una… mutante contro la mia volontà, almeno qualche lato positivo c’è
stato. Guarda Ichigo e Purin, sicuramente il loro
metabolismo non è del tutto umano. »
Il verde la guardò divertito da quella
battutina gratuita, poi si girò su un fianco e sorrise beffardo: « Devo
ammettere che i vostri costumini striminziti erano
una distrazione. »
« Kisshu. »
« Dici che con il tempo avete fatto un
upgrade e sono ancora meno da ragazzine? »
« Ho l’attizzatoio a portata di mano. »
Lui ridacchiò e si sporse ancora un poco
verso di lei: « Avete ancora i vostri poteri, no? » le domandò sottovoce,
studiandole il viso e il modo in cui i colori del fuoco giocarono con le
sfumature scure dei suoi capelli quando lei annuì, « Allora possiamo andare a
volare quando vuoi. »
Minto avvertì che il fiato le si spezzò in
gola quando si rese conto di quanto fossero vicini, all’improvviso. Di come non
riuscisse a staccare lo sguardo dalle labbra del ragazzo a miseri millimetri
dalle sue, del calore che le risalì dal collo e le incendiò le guance. Del
battito che le mancò nel cuore e della strana curiosità che provò all’avvertire
vago, ma molto più forte del solito, il suo profumo. Avrebbe dovuto solamente
annuire e avrebbe sentito la bocca sulla sua, avrebbe avuto la certezza del suo
sapore, e non capiva perché ci stesse davvero pensando, perché tentennava a
spostarsi quando…
Si schiarì la gola all’improvviso e si
ritirò, voltando la testa verso il pendolo all’altro angolo del salottino e
impuntandosi di ignorare quell’insopportabile fuoco sul viso.
« Si è fatto un po’ tardi, credo… »
Kisshu, l’aria tranquilla e completamente
innocente, come se nulla fosse successo, si stiracchiò come un gatto che aveva
dormito al sole.
« Colpa di tutto quel buon cibo, ci ha dato
alla testa, farò fatica a camminare, » commentò allegro, prima di alzarsi con
uno sbuffo.
« Già, » Minto si impose di recuperare un
tono di voce normale, si domandò se avesse dovuto aggiungere qualcosa, invece
accettò le mani di lui che la tirarono in piedi, solo per staccarsi di fretta,
come se si fosse bruciata, e nasconderle dietro la schiena.
Lui continuava a sorridere come se nulla
fosse, e la salutò con un buffo saluto militare: « Grazie ancora della cena,
tortorella. Au revoir! »
Lei non fece in tempo a rispondere che il
sottile schioccò del teletrasporto lo aveva già inghiottito. Rimase ferma un
altro paio di secondi, cercando di ricostruire ciò che era quasi successo, e sgridandosi internamente; poi, fece un respiro
profondo, e si diresse a passi decisi verso la sua camera.
Sei proprio una
sciroccata.
§§§
Minto si sistemò con un gesto nervoso la
sciarpa che teneva al collo quando il Caffè si stagliò alla fine del vialetto.
Le dava fastidio ammetterlo, ma si sentiva ansiosa al pensiero di incontrare un
certo alieno.
Cosa diavolo le era venuto in mente, due
giorni prima, di mettersi in quella situazione così sciocca? Non era certo da
lei rischiare a quel modo, farsi
prendere bellamente da un subdolo impulso di pancia. Con Kisshu poi, che era la definizione di uno scapestrato fin troppo
amante dell’altro sesso! Come aveva solamente osato rischiare di cadere nei suoi stupidi giochetti da
adolescenti?
No, avrebbe dovuto decisamente mettere le
cose in chiaro e fare un passo indietro, non era così che ci si comportava e lei non avrebbe mai dato a nessuno la
soddisfazione di prenderla in giro.
Perché era tutto uno stupido giochetto,
ovviamente. Che non ci fossero dubbi al riguardo.
Raddrizzando ancora di più la schiena, un
gesto ormai automatico come tutte le volte che entrava in scena, prese un bel
respiro e spinse la porta sul retro del Caffè, il familiare rumore di pentole e
cucchiai che la condusse fino in cucina.
« Minto-chan,
buon pomeriggio, » Keiichiro l’accolse con il suo
cordiale sorriso, ancora intento a lavorare, « Come è andata la tua giornata? »
« Stancante come al solito, » rispose lei
con un sospiro, tamburellando con le dita sul piano di marmo, « Cosa stai
preparando di bello? »
« Sto testando una ricetta nuova per
preparare il gelato, » si voltò per estrarre dal cassetto un cucchiaino, prima
di riempire un mini-cono e porgerglielo, « Mi faresti un favore ad assaggiarlo
e dirmi cosa ne pensi. »
La mora sospirò sconsolata, osservando il
dolcetto: « Oh, Keiichiro-san, lo sai che non posso…
»
« Su, andiamo, » glielo avvicinò ancora con
un sorriso convinto, e le fece l’occhiolino, « È molto light, te lo giuro. »
Lei gli lanciò un’occhiata di rimprovero,
ma poi accettò il gelato mignon e chiuse gli occhi mentre lo assaggiava,
sorridendo: « Devo proprio dirtelo che è buonissimo? »
« Fa sempre bene sentirlo! »
Minto rise ancora, poi si voltò curiosa
quando sentì la porta aprirsi alle sue spalle e rimase immobile, il freddo del
gelato contro i denti, quando vide chi era appena spuntato.
« Non ci è voluto molto per farti
capitolare, eh passerotto? »
Lei quasi si strozzò con un pezzetto di
cono, ma cercò di rimanere stoica e silenziosa mentre Kisshu poggiava una borsa
piena di frutta e verdura sul bancone della cucina.
« E voilà,
le provviste più fresche che Tokyo potesse offrire. »
« Grazie mille, Kisshu. »
« Quindi finalmente ti rendi utile? »
« Buonasera anche a lei, madamigella,
radiosa come sempre. »
Minto sbuffò a quel commento scanzonato e
lo guardò intingere senza pietà un cucchiaio nel gelato, lasciando un buco concavo
non indifferente.
« Guarda che così ti viene il mal di
pancia, » lo riprese sottovoce con un sorriso.
« Ne vale la pena, questa roba è deliziosa.
»
Keiichiro sventolò in segno di trionfo il
cucchiaio di legno che stringeva, e caricatosi la borsa in stoffa sulla spalla,
si avviò verso la dispensa per riporre il bottino.
La mora piluccò ancora un po’ di gelato,
non potendo non ammettere che effettivamente le stava sembrando di mangiare
ambrosia per quanto era morbido e cremoso, lo stomaco che le si contrasse non
solo per la piacevole sensazione di freddo ma anche per il silenzio che era
calato nella stanza e che, almeno per lei, era decisamente imbarazzante.
Si schiarì la gola, rimanendo concentrata
sulla vaschetta: « Uhm… Kisshu, volevo… volevo dirti che mi dispiace, non… non
era mia intenzione dare impressioni sbagliate e… »
L’alieno la guardò con tutta la
tranquillità del mondo, gli occhioni dorati genuinamente curiosi: « Non so di
cosa tu stia parlando. »
« Oh, » Minto rimase sorpresa e, in un
punto remoto del suo stomaco, anche infastidita dalla sua risposta, corrugò
appena la fronte, « Pensavo che… vabbè, insomma, ti pregherei di comportarti
come si deve. »
Kisshu rise di cuore e alzò le mani in
segno di resa, scuotendo la testa: « Sì, maestra. Un po’ vago come ordine, ma
okay. »
« Sei uno sciocco. »
« Tu dovresti ammettere che ti piace
sgridarmi. »
Lei decise di ignorarlo, si alzò per
riporre in lavastoviglie il cucchiaino che aveva usato.
Giochetti, ecco tutto. Come aveva previsto.
« Tutto bene, passerotto? »
Gli lanciò solo un’occhiata da sopra la
spalla, spostando un paio di bicchieri per far sì che si allineassero
perfettamente alla griglia dell’elettrodomestico; era ancora intento a
trangugiare il gelato, il braccio sinistro appoggiato al tavolo e la frangia
che gli cascava davanti agli occhi, la solita aria di non avere una
preoccupazione al mondo ma il tono di voce sincero.
« Sì, ma… niente, le prove sono state
faticose. »
Lui ridacchiò: « Non ti vedo molto
convinta, oggi. »
« Te l’ho detto, sono solo molto… stanca. »
« Okay, » Kisshu leccò un’ultima volta il
cucchiaio, poi si voltò per farle un sorriso smagliante, ciondolando a qualche
metro da lei e lanciando la posata con precisione dentro al lavello, « Cerca di
rilassarti. »
Le fece l’occhiolino e, prima che lei
potesse rispondere, prese la via d’uscita, fischiettando sottovoce, lasciandola
a scuotere la testa e sospirare.
Era proprio impossibile.
§§§
Il rumore delle posate era quasi più forte
del leggero chiacchiericcio, come era consono per un’elegante cena in famiglia.
Minto sorrise contenta a una battuta di suo
fratello Seiji, almeno per quella settimana di base a
Tokyo, poi rivolse di nuovo l’attenzione al padre di Eichi,
che aveva tossicchiato appena.
« Allora, Aizawa-san, raccontami un po’
delle tue ultime avventure. »
Seiji si schiarì la gola e si pulì la bocca con
un tovagliolo prima di sorridere all’amico di famiglia: « Be’, che dire, Ogasawara-san, ultimamente non so più nemmeno in che fuso
orario mi trovi. »
« Seiji sta
cercando di finalizzare un accordo con la Francia, » s’intromise il
capofamiglia Aizawa, « Vorremmo rilevare una delle loro aziende per la
ristrutturazione di alcune ville in Borgogna da trasformare in resort di lusso.
»
« Tutto il francese studiato effettivamente
è servito a qualcosa, » scherzò il figlio, scambiandosi sguardi divertiti con
gli altri commensali.
« Parla per te, io lo uso tutti i giorni, »
replicò contenta sua sorella.
« Probabilmente, Minto-san è l’unica di
tutti noi che è sempre a Tokyo, » rise appena la madre di Eichi.
Lei accennò a un sorriso cortese: « Sa, Ogasawara-san, con la mia carriera è un po’ difficile
spostarsi, soprattutto se non ci sono in programma - »
« Eh, carriera, » sua madre sbuffò
sarcastica, le lanciò un’occhiata critica, « Pensavamo che questa smaniata
passione le sarebbe passata, crescendo, e invece… »
Minto si sforzò di ridere insieme agli
altri, aggiustandosi meglio il tovagliolo sulle gambe e avvertendo il gentile
tocco del piede di Seiji contro al suo, in un gesto
che lei sapeva benissimo volesse essere sia di conforto sia di consiglio a
lasciar perdere una storia ormai vecchia come il mondo.
Eichi, dall’altro lato del tavolo, le sorrise
comprensivo: « Qualcuno che deve controllare che tutto vada come deve è buona
cosa che ci sia, non trova, Aizawa-san? »
La matriarca degli Aizawa si strinse nelle
spalle e prese il suo bicchiere di vino: « Sarai tu quello che dovrà
convincerla a passare a passatempi
più fruttuosi non appena vi sposerete. »
La mora continuò a masticare lentamente,
gli occhi fissi sul suo piatto, a quel commento che ormai sua madre rimarcava
troppo spesso per i suoi gusti – come se un discorso del genere fosse mai stato
affrontato tra i diretti interessati, poi.
« Sono sicuro che Minto-san sarà più che
responsabile, » udì soltanto il fidanzato commentare, ormai già troppo stanca
di tutti quei discorsi perché potessero interessarle realmente.
Aveva perso il gusto, negli anni, di
litigare con i componenti della sua famiglia – o più generalmente, sua madre –
per quello che riguardava le sue scelte di vita, come aveva perso il gusto per
il ricordargli scocciata che il suo amore per la danza andava ben aldilà di una
passione, visto quanto ci aveva investito. A volte si chiedeva davvero come la
sua genitrice potesse essere così ipocrita da commentarle in faccia in questa
maniera, e poi presentarsi ad alcuni suoi spettacoli, quelli dov’era più sicura
di trovare determinati spettatori, come la più fiera e orgogliosa delle madri.
Vide come oasi di salvezza i camerieri
entrare portando i dessert, il che significava che la cena sarebbe terminata da
lì a poco e si sarebbero spostati tutti nel salotto di lettura, dove avrebbe
potuto chiacchierare con tranquillità con suo fratello e le sorelle di Eichi mentre i genitori si dedicavano a gossip e argomenti
di lavoro senza stare a disturbarla ulteriormente. Rivolse un sorriso cortese
al cameriere di fianco a lei e fece per indicare uno dei piccoli mont blanc che
aveva sul vassoio, quando la voce di sua madre la raggiunse ancora.
« Cara, sei proprio sicura? Già passi tutto
quel tempo in quel locale, quel Caffè qualcosa, con i tuoi amici… »
Non le scappò l’inflessione della donna a
quell’ultima parola, e dovette trattenersi dal lanciarle un’occhiataccia che
anche a ventiquattro anni l’avrebbe messa nei pasticci: « Mew
Mew, mamma, » si limitò a sospirare mentre infine
scuoteva la testa, lasciando che il cameriere l’oltrepassasse, « Si chiama
Caffè Mew Mew. »
« Ci sono stata una volta, Eichi mi aveva detto che la piccola pasticceria era ottima
e devo dire che non sono rimasta delusa. Un po’ adolescenziale, però, per i
miei gusti, tutto quel rosa… »
Minto sorrise sotto i baffi, per una volta
d’accordo con la “suocera” putativa, e piegò accurata il suo tovagliolo, visto
che la cena era per lei da considerarsi conclusa. Un colpetto alla spalla la
fece girare verso suo fratello, che le fece l’occhiolino e indicò con un cenno
del capo il piattino con mezzo dolce ancora intatto.
« Sono già sazio, e sarebbe un peccato. »
La mora gli sorrise riconoscente,
trionfando internamente per l’udibile sbuffo di sua madre, e si gustò con calma
l’ultima portata, cercando di non soffermarsi su quanto le mancasse Seiji quando era in giro per il mondo a portare avanti
l’azienda di famiglia.
Rimasero a tavola ancora qualche minuto, e
solamente quando l’ospite, il signor Ogasawara, si
alzò da capotavola estraendo anche un sigaro dal panciotto, gli altri poterono
fare lo stesso.
Minto si scusò a mezza voce mente uscirono
dalla grande sala da pranzo, e invece di seguirli verso il salottino prese la
via che conduceva al bagno, desiderando cinque minuti di calma e silenzio.
Seduta sul coperchio della tazza, controllò
il cellulare nella borsetta, vedendo già un paio di messaggi nella chat con le
ragazze che si organizzavano per uscire e le chiedevano di raggiungerle, se
possibile.
Avrebbe voluto, davvero, tutto pur di
rifuggire queste cene così tediose e preimpostate, ma i suoi genitori avevano
decretato che sarebbe stata una brutta figura presentarsi in macchine separate,
perciò era legata ad andarsene insieme a loro. Inviò una risposta veloce alle
amiche, con la promessa di ripetere uno dei tanti ritrovi a casa Aizawa il
giorno successivo, e si ricontrollò allo specchio, accertandosi che
l’acconciatura reggesse nonostante l’avesse combinata in pochi minuti prima di
uscire.
Come previsto, le due famiglie si
erano accomodate nel salottino al piano terra di villa Ogasawara,
le madri già impegnate in una conversazione fitta fitta
accompagnata da risatine. Lei alzò gli occhi al cielo senza farsi notare, e un
rumore inaspettato catturò la sua attenzione.
In un angolo vicino alla libreria
della saletta, infatti, c’era una gabbietta per uccelli che lei non aveva mai
visto prima; dentro, una coppia di parrocchetti di un bel verde sgargiante e
dall’aria simpatica cinguettava sottovoce, saltellando da un rametto all’altro.
Minto sentì subito un familiare
strattone al cuore e si avvicinò alla gabbietta, allungando un dito tra le
sbarre per accarezzare il soffice piumaggio di uno degli uccellini.
« Ciao, » sussurrò con un sorriso,
« Io mi chiamo Minto. »
Anche il secondo pappagallino le si
avvicinò per gustarsi una dose di coccole, e i gorgoglii dei loro canti le
risuonarono chiarissimi in testa, come non sentiva da un po’, in una dolce
nenia che chiamava il suo nome.
« Nemmeno voi potete volare, vero?
» domandò ancora, con una nota triste nella voce.
« Stai parlando con i pappagalli? »
La voce di Eichi
alle sue spalle la fece sussultare di sorpresa, e raddrizzò nuovamente la
schiena, le braccia che caddero lungo i fianchi.
« No, io… » si schiarì la gola, «
Forse questa gabbietta è un po’ piccola, stavo pensando ad alta voce. »
« Mmhm, »
il ragazzo la osservò e batté appena il dito un paio di volte contro le sbarre,
« Può darsi. Li abbiamo appena comprati come regalo per il compleanno di Fuyuko. »
Lei lanciò un’occhiata alla minore
delle sorelle del suo fidanzato, mordendosi la lingua per non commentare che
non le sembrava certo giusto per gli animaletti passare solamente come un
regalo ma ben sapendo che probabilmente l’avrebbe presa per matta, quindi
sorrise ancora.
« Pensaci, a una gabbia più grande.
»
« A proposito di pensare, » Eichi tossicchiò « Potremmo… riflettere su ciò che stava
dicendo tua madre, prima. A me non dispiacerebbe. »
Minto lo fissò per qualche istante,
sbattendo lenta le palpebre un paio di volte mentre analizzava il significato
delle sue parole: « Mi stai… » si guardò intorno e abbassò il tono di voce, «
Mi stai chiedendo quello che penso mentre siamo a cena a casa tua con tutte le
nostre famiglie? »
Lui scosse la testa divertito e le
prese una mano, stringendogliela dolcemente: « No, so che in caso andrebbe fatto come si deve. Ti sto solo chiedendo di
pensarci su, ecco, e di valutare. »
« Okay… » lei aggrottò le
sopracciglia, leggermente confusa, e sbuffò una risatina, « E’ un po’ tutto
così… casuale e improvviso, non - »
« Un po’ ci stavo già pensando, » Eichi annuì soddisfatto, « Mi è sembrato di capire che i
tuoi genitori sarebbero d’accordo, quindi… riflettiamoci, non trovi? »
La ballerina non poté far altro che
annuire, ancora abbastanza perplessa dalla situazione, e il fidanzato le
rivolse un altro sorriso e una carezza al braccio, prima di poggiarle la mano
sull’incavo della schiena per condurla a sedersi sugli eleganti divani.
Passò il resto della serata con il
seme di quell’idea piantato in testa, mentre partecipava alle conversazioni
nella maniera più concentrata che potesse. Aveva davvero appena fatto in tempo
a riflettere che il discorso matrimonio
– sentì un pizzico d’ansia risalirle lungo la gola – non era mai stato
affrontato tra lei e Eichi, e lui ora se ne veniva
con quella richiesta anche un poco bizzarra, se ci rifletteva bene…
Non che lei fosse romantica, certo,
però… detta in quella maniera…
D’accordo, le faceva piacere avere
del tempo per pensare bene anche a se iniziare a discutere della faccenda. Sua
madre ne sarebbe rimasta estasiata, di quello era certa. Per una volta, o
almeno da un sacco di tempo a quella parte, avrebbe fatto davvero ciò che sicuramente lei avrebbe apprezzato e voluto.
Cullata dal ronzio delle
chiacchiere e dall’ottima cena che le riempiva lo stomaco, si permise di
estraniarsi un poco dalle chiacchiere, stretta tra il tepore di suo fratello e
quello di Eichi, il cui viso si permise di studiare a
lungo con un sorriso per i minuti che passarono, alla ricerca di qualcosa che
scatenasse davvero in lei la voglia di soffermarsi più di qualche istante sulla
proposta precedente.
A un certo punto, uno sbadiglio
dispettoso ebbe la meglio di lei, che si affrettò a renderlo il più elegante e
nascosto possibile, intanto che lanciava uno sguardo al pendolo in un angolo
per scoprire che erano ormai ben oltre le dieci.
« Credo sia meglio andare, » Seiji le lanciò un’occhiatina divertita, « Minto-chan domattina dovrà essere in teatro presto, e devo dire
che anch’io comincio a sentire l’effetto del jet-lag.
»
Come faceva a resistere senza suo
fratello, davvero?
I camerieri si prodigarono a
portare i cappotti mentre gli Ogasawara
accompagnarono la famiglia Aizawa verso l’ingresso, Minto che rimase in
disparte con Eichi.
« Potremmo… potresti venire da noi,
» bisbigliò, chiudendosi i bottoni del cappotto di lana bianco, « Sei stato via
così tanto ultimamente, e anche settimana prossima hai tutti quegli impegni… »
Lui assunse un’espressione
dispiaciuta e le sfregò appena uno zigomo col pollice: « Perché non ce ne
andiamo da qualche parte questo weekend, solo io e te? Fuori Tokyo, alle terme
magari. Così stiamo più tranquilli, ci sono i tuoi genitori ora, è giusto che
trascorra un po’ di tempo con loro, e non mi sembra il caso. »
Lei dovette nascondere il
disappunto (come se ormai non fosse abituata al fatto che anche se i suoi
genitori si trovassero fisicamente sotto lo stesso tetto, era quasi impossibile
condividere momenti visti gli impegni a cui dovevano presenziare le poche volte
che si trovavano in città, e come se i suoi genitori non sapessero cosa
succedeva tra due adulti innamorati e consenzienti), ma sbuffò solamente e
annuì: « Ho un appuntamento sabato mattina ma non dovrei fare tardi. »
« D’accordo allora, ci penso io, » Eichi le sorrise allegro, le prese la mano per lasciarle
sul dorso un bacio veloce, « Ti chiamo domani. »
Minto annuì e seguì la sua famiglia
nella limousine della serata, cercando di ignorare la voce petulante di sua
madre che, almeno, iniziava ad investigare sulla vita sentimentale del figlio
maggiore.
Quando finalmente fu sola in
camera, si lasciò cadere con un sospiro e ancora tutta vestita sulla chaise
longue, troppo stanca anche solo per pensare di mettersi il pigiama. Afferrò di
nuovo il cellulare e iniziò a scorrere le chat per aggiornarsi sugli
avvenimenti di quella serata – e condividere solamente alcuni selezionati
dettagli della sua. Una foto di Purin stretta ad uno
pupazzo verde grande quasi quanto lei dalle fattezze simili a quelle degli UFO
dei film di fantascienza, anche se molto più grottesco, e con l’indice puntato
verso un Kisshu molto meno felice, le strappò un sorriso divertito.
Senza nemmeno pensare troppo, uscì
dalla chat di gruppo e scorse le conversazioni fino a trovare quella con
l’alieno interessato, digitando veloce.
Hai trovato un amico che ti assomiglia un sacco! x’D
La risposta di Kisshu non tardò
molto ad arrivare, facendola ridere ancora.
Ti danno da mangiare pane e simpatia a queste
fantomatiche cene esclusive?
Ecco perché sei uno stecco.
Lei esitò un istante, poi aprì la galleria
di immagini e selezionò la foto che era riuscita a scattare dei parrocchetti a
casa di Eichi.
Anche io ho trovato dei nuovi
amici.
Molto più carini di quelli che ho
adesso.
Non oseresti mai dire una cosa simile sulla lupotta.
Io infatti parlavo di voi.
Ah, quindi lei mi annovera tra i suoi amici, sono
onorato!
Attento, è un titolo difficile da
ottenere ma che può essere tolto molto velocemente.
Se Ichigo è riuscita a mantenerlo per tutti questi anni,
dubito che i requisiti siano così stringenti.
Ehi, solo io posso parlare male
delle mie amiche.
Un concetto di amicizia abbastanza complicato :P
Quindi chi sa quante ne dici di me!
Minto rise sottovoce, scuotendo la testa mentre
un ennesimo sbadiglio poco elegante prendeva il sopravvento.
Non ti fischiano mai le orecchie?
:D
Che tortorella acida. Ecco, allora torna dai
pappagallini, beccheranno sicuro quanto te :P
Lei alzò gli occhi al cielo, divertita,
stropicciandosi fiacca sulla poltrona; riaprì la chat solamente per mandare un
generale messaggio della buonanotte a tutti e la promessa di rifarsi, molto
presto, anche lei desiderosa della compagnia della sua seconda famiglia più che
di quella naturale.
§§§
Il sedile riscaldato e comodo della
limousine l’accolse come un nido di salvezza non appena ci si buttò sopra,
ringraziando con un sospiro il vecchio autista.
Era esausta,
gli allenamenti erano durati più del dovuto e lei non aveva messo qualcosa di
concreto sotto i denti praticamente da colazione.
Avrebbe decisamente dovuto delegare
l’acquisto del regalo di compleanno di Ichigo a Retasu,
non avrebbe mai avuto né il tempo né la forza di pensarci davvero lei, il suo
contributo era stato dato nel sceglierlo, sarebbe bastato.
Si rilassò e chiuse gli occhi, contemplando
sinceramente l’idea di farsi un pisolino fino a casa e crogiolandosi nella
prospettiva di un bagno bollente e una cena gustosa, quando sentì il cellulare
vibrare insistentemente tre volte nel fondo del borsone.
Mi hanno abbandonato tutti per fare cose da coppie.
Abbiamo degli amici davvero noiosi.
Forse i pappagallini tenevano più compagnia.
Minto
sorrise, immaginandosi la smorfia annoiata di Kisshu, probabilmente chiuso come
una tigre in gabbia nella sua stanza.
Incredibile, qualcuno rifiuta la
tua compagnia?
Come farà il tuo ego a
riprendersi?
Potresti venire a salvarmi tu da questo oblio
tedioso.
Lei
rifletté un secondo, le dita che esitarono sopra lo schermo dello smartphone.
Minto la salvatrice è in ferie
per questa sera.
Non mangio da quasi dodici ore,
sto tornando a casa solo ora. Sono esausta.
Dodici ore?! E sei ancora viva?!
Non tutti sono un pozzo senza
fondo come te.
Può darsi, ma io morirei.
Però se da risultati del genere sulle silhouette…
Forse dovresti provare anche tu,
sai.
Stai passando un po’ troppo tempo
nella cucina del Caffè, ultimamente…
… stai insinuando che sono ingrassato?
Non mi permetterei mai! :D
Allora ammettilo che ogni tanto anche tu non riesci
a non essere catturata dal mio fisico statuario.
Ti concedo che sia
una delle poche cose che ti rendono tollerab-
Ancora più spaparanzata sul sedile
dell’auto, e con un mezzo sorriso divertito, Minto smise di digitare prima di
terminare la frase e cancellò in fretta il messaggio. No, no, decisamente no.
Tu fai troppi sogni, Kisshu.
Certo che sei crudele, mi sto annoiando tantissimo,
potresti almeno darmi la soddisfazione di ricambiare un complimento.
Non avevamo già parlato del tuo
grandissimo ego?
Potrei farti una battuta volgare, ma sembri di buon
umore quindi sarò elegante e ti dirò solo che sei antipatica.
Come sei prevedibile.
Colpa delle ragazze come te che non mi apprezzano
mai, ho bisogno di certezze.
Non mi sembrava ti mancassero le
attenzioni.
Sei gelosa, tortorella? ;)
Ammettilo che hai firmato un
contratto per dire banalità ogni due frasi.
Minto sbuffò contrariata mentre finalmente la
limousine svoltava dentro al cancello dell’imponente villa, la maggior parte
delle finestre buie visto che come al solito lei era l’unica residente.
Continuò a messaggiare anche mentre
scendeva dall’auto e prendeva l’entrata sul retro per far sì che la cucina
fosse a due porte di distanza. Era così esausta che non le importava nemmeno la
rigida divisione dei locali che sua madre le aveva sempre imposto, e a cui lei
aveva sempre dato poca retta visto che comunque la dolce genitrice non era mai
troppo nei paraggi per controllare che venisse rispettata; perciò, si sedette
con uno sbuffo su uno degli sgabelli dell’isola centrale, lanciando un sorriso
al cuoco.
« Monsieur
Cambron, qualsiasi cosa, per favore. »
Lo chef francese le fece un cenno d’assenso
con la testa, finendo di decorare il piatto che aveva davanti: « Mademoiselle, le ho preparato uno dei
suoi preferiti, sano e leggero. Un salmon en papillote
con asparagi freschi, e qualche pommes parisienne
vista la giornata pesante. »
Lei avvertì lo stomaco ruggirle estasiato
alla vista del piatto fumante, ringraziò ancora lo chef che silenziosamente si
mise a sistemare intorno a lei – ben sapendo ormai che lei avrebbe accettato di
buon grado il rumore di sottofondo come compagnia – ma prima di divorare la sua
cena, le scattò una foto per spedirla al suo compagno di chat.
Poté quasi udire il lamento di Kisshu
attraverso lo schermo.
Dai ma allora dillo che sei crudele!
Potresti invitarmi a cena.
Spiacente, ho troppa fame per
poter condividere!
Indugiò un istante, gustandosi il sapore
del pesce fresco e delle verdure sul palato, poi decise di aggiungere qualcosa
in più.
Seriamente, sono davvero esausta.
Ho bisogno di annullarmi per questa sera.
Tu hai bisogno di rilassarti.
Potrei suggerire tecniche infallibili.
Come lo yoga, ovviamente, tortorella maliziosa.
Lei rise sottovoce, dedicandosi poi
solamente a gustarsi la cena e la quiete della sua casa, il rumore familiare
delle cameriere che sistemavano le ultime cose della giornata prima di
concedersi anche loro un meritato pasto.
« Lo desidera un dolce, mademoiselle? »
Minto scosse la testa e si alzò, accennando
a un inchino: « No, ma la ringrazio, chef. Ottimo come sempre. »
« Le auguro una buona notte, signorina
Minto. »
Si incamminò a passi pesanti verso la sua
stanza, meditando se intraprendere davvero qualche tecnica di relax, quando il
cellulare prese a vibrare insistentemente come solo una telefonata di Ichigo
poteva fare.
« Abbiamo
trovato una casaaaaaaaa! »
La voce della rossa le traforò il timpano
non appena accettò la chiamata, e dovette allontanare il telefono dall’orecchio
mentre alzava gli occhi al cielo e sorrideva: « Sì, Ichigo, pronto? »
L’amica si lanciò in uno dei suoi racconti
pieni di eccitazione e felicità, e Minto si limitò ad assentire ed ascoltare
mentre si preparava un bagno pieno di schiuma, contenta per l’amica ma
decisamente troppo stanca per poterla fermare o porle domande troppo
complicate. A volte, dopotutto, a Ichigo bastava fare dei monologhi.
« Quindi quando potrete entrarci? »
« Poco
dopo il mio compleanno, è tra pochissimo, Ryo ha organizzato tutto, non so come
abbia fatto. »
« Ovviamente, » Minto rise e testò la
temperatura dell’acqua, avvolta nel più comodo dei suoi accappatoi « Sono felice
per voi, Ichigo-chan. Ora perdonami, ma voglio farmi
un bagno e andare a dormire, sono stata in teatro tutto il giorno. »
« D’accordo! Passa
per il Caffè domani, voglio farti vedere le foto! »
« Certo, buonanotte. »
Sospirò estasiata non appena scivolò dentro
la vasca e il calore dell’acqua le avvolse le membra stanche. Si strofinò il
collo, cercando di alleviare la tensione, e si dovette concentrare per non
addormentarsi lì, seduta stante. Si crogiolò per un paio di minuti, gli occhi
chiusi mentre canticchiava sottovoce, finché non sentì di nuovo il cellulare
vibrare.
Che fai ora?
Minto attese qualche istante, poi appoggiò
entrambi i piedi al bordo della vasca, incrociandogli alle caviglie, e li
inquadrò per rispondere a Kisshu solamente con quella foto. La sua risposta la
fece ridere quasi ad alta voce, rischiando che il telefono le scivolasse
nell’acqua.
Accidenti, come facevi a sapere che uno dei miei
fetish sono i piedi callosi da ballerina?
Io non ho i piedi callosi!
Mh, dovrei vederli da vicino per accertarmene.
Suona decisamente inquietante.
In ogni caso, i miei piedi sono
il simbolo di sforzo e dedizione.
Tu invece ti dedichi soltanto a
sforzare lo stomaco J
Ti sembra uno stomaco sforzato questo?
Lei si affossò un po’ di più nella vasca
fino a sfiorare l’acqua con il naso mentre la foto di Kisshu le riempiva lo
schermo. Era steso su quello che lei interpretò come il suo letto, le gambe
nella stessa posizione della foto di lei e la pancia scoperta, decisamente in una
posa che giocava a suo favore. Fissò lo schermo per un po’, prima che le
scappasse uno sbuffo divertito.
Sono bravi tutti a tirare in
dentro la pancia da stesi.
Guarda che ci metto mezzo secondo a provartelo dal
vivo.
Minto giocherellò con un po’ della schiuma
rimasta, godendosi il silenzio del bagno finché non avvertì la temperatura
dell’acqua farsi troppo tiepida per i suoi gusti. Si alzò con uno sbuffo e si
avvolse di nuovo nell’accappatoio tatticamente posizionato vicino al
riscaldamento, prendendosi il suo tempo per terminare la sua routine serale.
Riprese il cellulare in mano solo quando si
buttò tra le lenzuola pulite, avvolgendosi nel piumone e rilassandosi
finalmente per la prima volta nella giornata. Tirandosi la coperta fino sotto
al mento, scattò un’ultima foto del suo letto.
Pardon, ho finito la mia
giornata. Ho bisogno di dieci ore di sonno.
Ti lascio al tuo nido allora, passerotto.
Sappi che mi devi comunque della compagnia.
Notte J
Tolse le notifiche dal cellulare e lo ripose
sul comodino prima di spegnere la luce, accoccolandosi per bene tra le
lenzuola, un abbozzo di sorriso in volto.
***
Ebbene sì, sono ancora quiii :3 Buon salve
carissimi tutti, in questo lunedì tenebroso, senza più Game of Thrones e – lasciatemelo dire
anche se non si dovrebbe mischiare lavoro e piacere – qualche news politica non proprio ridente, sono
riuscita nella titanica impresa di terminare questo parto di FF e ho deciso di
pubblicarne la prima parte, per la vostra (spero!) giuioa
:3
Lo so che è lunga, lo so, perdonatemi <3 Anche la nee-sama Ria ha ceduto e h detto che sarebbe stato meglio
dividerla, ma non si può fermare la Musa, giusto?
Il titolo e la frase in incipit sono dell’omonima canzone di Bruce
Springsteen, in caso aveste voglia di buona musica anni ’80 e di qualche
giustificazione.
Vi racconterò della sua genesi nel secondo capitolo, perché altrimenti
sarebbe un mezzo spoiler ;)
Buon inizio settimana a tutti, come sempre qualsiasi commento, anche
delle uova tirate addosso, sono sempre ben recepiti!
A presto,
Hypnotic Poison