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Autore: Nao Yoshikawa    28/05/2019    12 recensioni
Minilong - Starker - Titanic!AU
Dal capitolo uno:
Il mio desiderio è sempre stato quello di volare. Potrei farlo, adesso. Volare per poi cadere in mare. Respirare, anche se per un attimo, la libertà.
Aveva fatto di tutto per trovare una soluzione, com’era solito a fare. Era grazie alla sua capacità di vedere il lato positivo nelle cose che era andato avanti. Ma adesso, anche volendo, non avrebbe trovato niente di positivo.
Tremò profondamente e scavalcò il parapetto, reggendosi. Sotto di sé, il mare era scuro e profondo. Lo avrebbero inghiottito. Oppure sarebbe morto per il gelo. L’idea lo spaventata. Morire faceva paura, ma gli faceva ancora più paura l’idea di continuare ad esistere senza poter effettivamente vivere.

Dal capitolo due:
Tony lesse una grande malinconia nel suo tono. Visto dall’esterno, quel ragazzo possedeva tutto che si poteva desiderare. Ma bastava davvero poco per capire che soffrisse di tante mancanze, la libertà prima fra tutti. Lo aveva capito, Tony. Perché di fatto lui possedeva solo quella.
«Si usano ancora i matrimoni combinati? Che cosa medievale. Perché non provi a ribellarti?»
Peter sorrise tristemente.
«Perché non so come si fa.»

7/7
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Carol Danvers/Captain Marvel, Loki, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Steve Rogers aveva appreso troppo tardi che forse sarebbe stato meglio fermare il suo migliore amico Tony Stark, quando questi aveva scommesso tutti i loro risparmi in una partita a poker
Dubitava che sarebbero stati tanto fortunati da vincere i due biglietti di sola andata per New York che erano in palio. Di certo, la vita non era mai stata generosa con loro.
«Ti avverto Tony, se perdiamo tutto per colpa tua, giuro che me la paghi», sussurrò Steve.
L’amico, d’altro canto, sembrava tutto fuorché ansioso o agitato.
Aveva appena finito di fumare l’ennesima sigaretta e stava per accendersene un’altra, non prima però di rispondergli.
«Dovresti fidarti più di me. So sempre quello che faccio.»
«Ah. E scommettere tutto ciò che abbiamo in una partita a poker ti sembra saggio?»
«… Se vinciamo la nostra vita cambierà totalmente, quindi adesso taci», lo rimbeccò aspramente Tony. L’altra coppia con cui avevano indetto quella scommessa non parlava granché bene la loro lingua, forse erano tedeschi o svedesi, non avrebbe saputo dirlo. Sollevò lo sguardo, osservando l’orologio appeso al muro, lì nella squallida taverna in cui si trovavano. «D’accordo, ragazzi. Due minuti. Non abbiamo più molto tempo, per cui… scoprite le carte.»
Steve gli lanciò un’occhiataccia. Non era mai stato un bravo giocatore di poker, a dimostrarlo le carte che aveva tra le dita.
«Niente, eh?» domandò Tony, passandosi due dita sul mento e osservando poi gli avversari. «E niente. Capisco… diamine…»
«Diamine? Che cosa? Non mi dire che abbiamo perso? Tony, cazzo, tutti i nostri risparmi, sei un vero…»
«Sai, potresti anche farmi finire di parlare, Steve», gettò le carte sul tavolo. «Guarda qui, abbiamo vinto, stupido. I biglietti sono nostri, saliremo su quella nave!»
Steve sgranò gli occhi. In un primo momento pensò che Tony lo stesse prendendo in giro, ma poi si rese conto del contrario. Avevano avuto una vera e propria manna dal cielo.
«No, non è possibile! Abbiamo vinto. Lasceremo questa città! Tony, io…»
«Non c’è tempo per i sentimentalismi! Raccogli le tue cose e andiamocene!»
Uno dei sue avversari però si sollevò indicando Tony e parlando con forte accento nordico.
«Hai barato!»
«Oh! Miei cari signori, io sono tante cose, ma certamente non baro!»
«Tony! Vuoi sbrigarti sì o no?!» lo rimbeccò Steve, facendolo sbuffare.
«Quanta pazienza. Mi piacerebbe rimanere qui con voi a parlare, ma ehi, c’è una nave che mi aspetta. Quindi… addio!»
Steve lo afferrò e lo attirò a sé, salvandolo da una probabile rissa, come molto spesso si era ritrovato a fare. Appena fuori dalla taverna c’era il porto e un gran via vai di carrozze e gente di ogni classe sociale che si apprestava a salire sull’imponente nave chiamata “Titanic”.
«Quindi… cos’è che stavi per dirmi prima?» domandò Tony.
«Pensavo non ci fosse tempo per i sentimentalismi. Corriamo o rimarremo qui a Londra!»
All’ennesimo richiamo da parte di Steve, Tony decise di darsi una mossa. Presero a correre, non badando neanche a chi incontravano o urtavano sul loro cammino. E non si fermarono neanche quando urtarono un uomo che era appena uscito dalla propria carrozza.
«Ma che…? Come hanno osato quei due urtarmi e passarmi davanti senza neanche chiedere scusa? Poveracci, senza ombra di dubbio, dovrebbero chiudere i porti a gente del genere!»
Era un uomo elegante, dai capelli corvini e i penetranti occhi verdi.
«Chiedo perdono, signorino Parker. Potete uscire adesso.»
Peter Parker avrebbe preferito non muoversi di lì. Di partire non ne aveva affatto intenzione, ma sapeva che ribellarsi o dire la sua sarebbe stato inutile.
Cercò di sistemarsi il colletto inamidato della camicia, sentendolo troppo stretto.
Cosa ci faccio io qui?
«Signorino Parker?»
Lo guardò. Era ancora un bambino, per molti aspetti. Ma per tanti altri era anche dovuto crescere troppo in fretta.
«Scusate, Loki. Mi ero solo fermato a pensare che… non ho mai preso una nave», rispose stancamente.
Loki Laufesyon sorrise gentilmente, eppure il suo sguardo non smetteva mai di essere gelido, attento ad ogni minimo dettaglio.
«Ci sono tante cose che non avete mai fatto. E dopotutto è normale. Siete ancora giovane.»
A quanto pare non abbastanza per impedirmi di sposarmi.
Questo si premurò di non dirlo ad alta voce. In fondo sapeva che a poco sarebbe servito.
«Suvvia, Loki. Non siate troppo severo con il ragazzo.»
Peter sorrise in direzione di Thor Odinson.
«Non fa niente. Sto bene. Quindi è questa la nave che hanno chiamato “Titanic”, eh? Capisco il perché…»
«Già, affascinante, vero?» fece Loki sbrigativo. «Su, andiamo. Non c’è tempo da perdere.»
Peter abbassò lo sguardo, avvertendo nuovamente un certo malessere farsi spazio in lui. Aveva sempre saputo che un giorno si sarebbe sposato più per convenienza che per amore, ma adesso quel giorno era lì. E la persona, che non aveva mai visto ma con cui avrebbe suo malgrado passato il resto della vita, era lì, oltre l’Atlantico. Thor, di gran lunga più empatico di Loki, se ne accorse e tentò quindi di tranquillizzarlo.
«Non preoccupatevi. Vedrete che andrà tutto per il meglio.»
Peter sforzò un sorriso, tuttavia dubitava che ciò si sarebbe avverato. Ma non era un problema, era rassegnato ad una misera esistenza fatta di doveri. Era sempre stato così, era stato cresciuto solo per far sì che arrivasse a quel momento.
E adesso, ad ogni passo che compiva, gli sembrava di portarsi dietro un pesante macigno.
Non si può avere paura di morire se si è già morti, giusto?
 
Tony e Steve avevano appena imboccato un lungo e stretto corridoio alla ricerca della loro camera, se così poteva essere definita. Quando si viaggiava in terza classe non si poteva pretendere chissà che e in fondo nessuno dei due pretendeva molto.
Dopo aver camminato per qualche minuto per quell’angusto luogo, arrivarono alla camera loro assegnata.
«Non posso crederci, siamo dentro», disse Steve.
«Puoi ben dirlo. Allora, cosa aspetti? Su, apri la porta!» esclamò Tony spingendolo. Una volta entrati si ritrovarono in una cabina spartana, con tre letti di cui due a castello. Capirono immediatamente che non sarebbero stati i soli, lì. Gli occhi di Steve infatti si posarono su una figura seduta su uno dei materassi.
«Salve. Scusate, dovevo immaginare che sarebbe arrivato qualcun altro. Sono Bucky Barnes, piacere di conoscervi» si presentò subito lo sconosciuto.
«Ah, sì, piacere mio, amico. Tony Stark. Comunque il letto di sopra è mio», dichiarò Tony sbrigativo, al che Steve alzò gli occhi al cielo.
«Perdonalo, fa così con tutti. A quanto pare ci ritroveremo a dover condividere la cabina.»
«Non è un problema, la compagnia non mi dispiace. E tu ce l’hai un nome?» chiese Bucky interessato.
«Sì. Steve Rogers» rispose lui con un sorriso.
«Capisco. Sono molto felice di conoscerti, Steve.»
 
Dopo che Peter si era sistemato nella sua lussuosa cabina, più simile ad una suite, in realtà, aveva sperato di potersene rimanere un po’ per i fatti suoi, ma non doveva dimenticarsi che un nobile era sempre obbligato a partecipare a eventi mondani. E lui odiava, odiava terribilmente tutto ciò, esisteva un limite di sopportazione per qualsiasi persona e lui non era da meno. Anzi, era forse il più fragile, proprio come un cristallo. Nel pomeriggio aveva conosciuto, sebbene molto di sfuggita, il capitano del Titanic, ovvero Nick Fury. Poi c’era stata una sorta di riunione, in cui altri nobili che conosceva si erano incontrati per parlare.
Ogni qualvolta, seduto tra Thor e Loki,  Peter si perdeva ad esaminarli tutti, con fare annoiato: c’era Bruce Banner, colui che aveva progettato la nave. Natasha Romanoff, bellissima quanto silenziosa e misteriosa. Clint Barton, silenzioso quanto Natasha e di lei la sua ombra. E c’era anche Carol Denvers. A lei Peter piaceva molto, per via della sua tendenza a dire sempre ciò che pensava.
Era nervoso. Non riusciva mai a stare fermo ad eventi del genere, si agitava facendo cadere a terra i cucchiaini da tè e venendo puntualmente richiamato da Loki.
«Smettetela di agitarvi come un pesce nella rete.»
«Devo andare al bagno», mentì.
«Ci siete già andato poco fa.»
«Suvvia, Loki. Se ha un’urgenza, lasciate che vada.»
Carol rise, mentre finiva di sorseggiare il suo tè.
«Guardatevi, sembrate un’adorabile coppia sposata. Non vorrei essere nei panni di Peter ad avervi come suoi tutori.»
«Sì, grazie tante, lady Denvers», rispose aspramente Loki.
Bruce allora si intromise, cercando di cambiare discorso.
«Allora è così? Andate a New York per incontrare la vostra futura sposa?»
Il ragazzo fece per rispondere, ma prontamente Loki parlò al posto suo.
«Sì, oramai è ufficiale. Il signorino Parker sposerà una lady di una ricca famiglia. Possiedono una miniera d’oro, se non erro…»
«Oh, mi chiedo come farà il povero Peter senza voi a vegliare su di lui», lo provocò Carol.
«Amh… scusate, io di questo adesso preferirei non parlarne», confidò Peter.
«Ti terrorizza l’idea di sposarti?» domandò allora Natasha, parlando forse per la seconda volta da quando era lì. Peter ingoiò un sorso di tè tanto zuccherato. Sarebbe servito a qualcosa parlare? Aveva già una vita e un futuro prestabiliti, a cosa serviva lottare? Quando era bambino era sempre stato un ribelle, ma adesso che si affacciava alla vita adulta, sentiva di non essere più in grado di volare in alto. Il solo pensiero gli provocava panico.
E le voci iniziavano a rimbombargli per la testa.
«Con permesso… io vorrei prendere un po’ d’aria.»
 
Tony osservava ora il foglio di carta, ora la persona che aveva deciso di ritrarre. O per meglio dire, la persona che si era offerta di farsi ritrarre, visto che se fosse dipeso da lui, ne avrebbe fatto volentieri a meno. Ma quando Bucky aveva saputo del suo talento nel disegno, lo aveva pregato.
«Come sta venendo?» domandò.
«Se non ti agitassi, magari…» si lamentò Tony.
L’aria era fresca, affatto fastidiosa, si erano lasciati alle spalle uno stormo di gabbiani e oramai la nave andava incontro al mare aperto.
«Allora… quindi state andando a New York per…?» chiese Bucky rivolgendosi a Steve. Sembrava molto più interessato a parlare con lui che con Tony.
«Fortuna, spero. Magari un lavoro. Penso che lo avrai già capito, di fortuna non ne abbiamo mai avuta molta.»
«Ah, a me lo dici? Anche io ho lasciato tutto – o per meglio dire, quel poco che avevo – per avventurarmi oltreoceano. E pensandoci… forse non è stata una scelta malvagia.»
Sorrise e sorrise anche Steve, mentre Tony rinunciava a ritrarre Bucky. Quei due avevano anche la faccia tosta di corteggiarsi a vicenda davanti a lui.
«Il mio genio artistico non è compreso…», borbottò sottovoce. Fece per alzarsi e sistemare i suoi fogli volanti in una carpetta in cuoio, ma nel momento in cui si sollevò, qualcuno lo urtò, facendo cadere per terra tutti i suoi lavori.
«Ehi! Ragazzino, perché non guardi dove metti i piedi?»
Peter si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati e un’espressione stralunata.
«Io… m-mi dispiace. Sono davvero rammaricato, se vuole l’aiuto, io…»
«Non importa, ci penso da solo. Sparisci.»
Il ragazzo annuì, allontanandosi con lo sguardo basso, mentre Tony si chinava a raccogliere i fogli.
«Dico, sei impazzito?» gli chiese Bucky.
«Che ho fatto?»
«Quello lì è un nobile. Per come lo hai trattato, potrebbe tranquillamente farti arrestare.»
«Figurati. Non mi creerà problemi.»
«Tu credi? Mai avere a che fare con gente del genere. Non per quelli come noi, almeno.»
«Sta tranquillo, Bucky. Tony ha la propensione a cacciarsi nei guai. Piuttosto, perché non mi parli dei tuoi progetti per il futuro? Così vediamo se combaciano con i miei», domandò guardandolo dritto negli occhi.
E Tony sospirò.
Davvero senza alcun ritegno.
 
 
La fuga di Peter era durata poco, poiché subito dopo Loki lo aveva recuperato e riportato indietro. Ed era così ogni dannatissima volta. Lui scappava e qualcuno veniva a prenderlo.
Era sempre stato così. Probabilmente anche con i suoi genitori, almeno da quel poco che riusciva a ricordare di quando erano in vita. Era più corretto dire che Thor e Loki lo avessero cresciuto, in quanto fidati amici della sua famiglia e ora suoi tutori. Ogni nobile aveva una vita prestabilita, nascere, crescere, studiare e cercare un matrimonio conveniente. Ma non era quello che lui voleva. Per tutta la vita si era sentito soffocare, rinchiuso in una bellissima gabbia dorata, senza possibilità di scegliere neanche la persona da amare. E d’altronde, lui l’amore non lo aveva mai provato. E dubitava che mai sarebbe accaduto. Avrebbe vissuto una vita infelice, tra la ricchezza e i privilegi, ma col cuore arido. Quando da piccolo gli capitava di vedere gli altri bambini, quelli normali, giocare in strada, si chiedeva come dovesse essere avere quel tipo di vita. E adesso che di anni ne aveva quasi diciotto, quella sua curiosità non era cambiata. Aveva resistito. Ma ora che si trovava sulla strada diretta per la sua eterna infelicità, si sentiva più oppresso del solito. C’era un peso proprio lì, lì dove batteva il cuore. C’era la voglia di elevarsi e correre via, pur trovandosi in mezzo all’oceano.
Durante la cena, Peter non sentiva più il tintinnio dei bicchieri e delle posate, né il vociferare. C’era e non c’era. Era un fantoccio in mezzo a gente tutta uguale. Era un guscio vuoto. E ogni sogno e speranza era stato  spezzato via. Ci aveva pensato tante volte. Sì, chiudere gli occhi e sprofondare sarebbe stato facile e forse indolore. Si era sempre trattenuto dal formulare certi tipi di pensieri. Ma cosa c’era a trattenerlo, adesso?
Sebbene lo conoscesse da anni, ancora Peter molto spesso sfuggiva allo sguardo attento di Loki. Nel bel mezzo della cena di gala si era alzato, scomparendo in un suo momento di distrazione.
«Quel ragazzino mi farà impazzire…» sibilò sottovoce. Thor lo guardò di sottecchi. Anche se doveva ammettere che Loki fosse bravo nell’eseguire i suoi doveri, alle volte era troppo rigido ed esagerato.
«Lascialo andare… Anche io scapperei al posto suo.»
«Hai qualcosa da ridire sui miei metodi?»
Thor sorrise. Provocare la sua ira poteva essere divertente e pericoloso al contempo.
«Non mi permetterei mai.»
Ridevano e scherzavano, ignari dell’oblio in cui Peter avrebbe voluto gettarsi.
 
Fuori l’aria era gelida, tagliente, penetrava le ossa e faceva mancare l’aria. Questo non aveva però fermato Peter che, in uno stato di confusione totale, era uscito fuori, camminando veloce, quasi correndo, urtando ogni tanto qualcuno. Si allentò il colletto e tolse il papillon. E prima che ne accorgesse, arrivò al parapetto della poppa. Poggiò le mani sul ferro e respirò a fondo.
Il mio desiderio è sempre stato quello di volare. Potrei farlo, adesso. Volare per poi cadere in mare. Respirare, anche se per un attimo, la libertà.
Aveva fatto di tutto per trovare una soluzione, com’era solito fare. Era grazie alla sua capacità di vedere il lato positivo nelle cose che era andato avanti. Ma adesso, anche volendo, non avrebbe trovato niente di positivo.
Tremò profondamente e scavalcò il parapetto, reggendosi. Sotto di sé, il mare era scuro e profondo. Lo avrebbero inghiottito. Oppure sarebbe morto per il gelo. L’idea lo spaventava. Morire faceva paura, ma gli faceva ancora più paura l’idea di continuare ad esistere senza poter effettivamente vivere.
Ma il cielo, il cielo era bellissimo e stellato. Tony stava osservando quelle stesse  stelle, dal momento che Steve lo aveva scaricato per Bucky, era stato costretto a trovarsi un passatempo. Un passatempo tranquillo. O almeno lo era stato finché non aveva visto e sentito un  ragazzo appeso al parapetto. E nonostante il suo solito disinteresse, quella volta, qualcosa gli disse di agire.
«Ragazzino, ma che diamine stai facendo?»
Peter si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati e lucidi. Si studiarono qualche istante prima di capire che in verità si erano già incontrati, il giorno stesso.
«Io… io non sto facendo niente…» mormorò.
«Ma davvero? Allora perché sei appeso lì? Cosa c’è, volevi vedere il mare da vicino? Avanti, scendi», cautamente si avvicinò, con una mano tesa.
«Non intendo scendere. Vi prego, lasciatemi in pace», rispose stancamente.
«Lo farei, ma purtroppo oramai sono qui. Perciò… niente da fare. Senti ragazzino, qualsiasi sia il problema, non credo che il suicidio sia la scelta giusta. Come se non bastasse, non sono ancora abbastanza senza cuore da lasciar morire una persona. E se ti butti dovrò salvarti.»
Peter fece una smorfia, stranito. Quello era lo stesso uomo che gli si era rivolto sgarbatamente appena qualche ora prima?
«Ma io non ve l’ho chiesto…»
«E io non agisco su richiesta. Senti, una volta che sei morto non c’è più niente da fare. Non pensi sia un po’ da codardi fuggire così?»
Peter corrugò la fronte.
«Neanche mi conoscete.»
«No, ma so che ti pentiresti di averlo fatto nel momento in cui ti lasceresti cadere. Se vuoi spiccare il volo ci sono altri modi per farlo. Andiamo, afferra la mia mano e risparmiati questo dolore.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo. Non contava di incontrare qualcuno che gli tendesse una mano. E a farlo era stato niente meno che un uomo comune, una di quelle persone che aveva sempre invidiato. Che fosse un segno del destino?
Tremando per il freddo e lentamente, si aggrappò a lui. Tony lo attirò leggermente a sé, incrociando i suoi occhi impauriti.
«Ce l’hai un nome, ragazzino?»
«S-sì. Sono Peter Parker.»
«E io sono Tony Stark. Sei stato fortunato che ci fossi io.»
A Peter venne da sorridere. Gli era sempre stato detto e insegnato che l’altra gente, quella di un ceto sociale più basso, fosse pericolosa. Eppure gli occhi di quell’uomo, di Tony, sembravano buoni. Una bontà d’animo nascosta da una finta durezza.
Se è venuto a salvarmi qui, in quest’istante, è perché così doveva andare. È perché forse io merito una seconda possibilità.
Allora si aggrappò a lui saldamente, facendo per scavalcare il parapetto. Ma non prestò abbastanza attenzione a cadde. Per un attimo avvertì il vuoto sotto di lui, ma la mano di Tony non si era staccata dalla sua, neanche un attimo. Lo sorreggeva, anche adesso, con forza.
«No! Non voglio cadere! Signor Stark, non lasciatemi!»
Ironico come adesso stesse cercando di tenersi stretto a quella vita che fino ad un attimo prima aveva cercato di buttare via.
«Va tutto bene, ragazzo. Ti tengo. Non ti lascio. Ti tiro su, ma aiutami ad aiutarti, d’accordo? Non mollare la presa!»
Peter lottò per tornare su, per non cadere giù, nell’oblio gelido dell’oceano. La presa di Tony era salda, era sicura. Non lo conosceva, ma sapeva, era certo, che non lo avrebbe lasciato.
Dopo aver compiuto uno sforzo disumano, Peter si rese conto di trovarsi tra le sue braccia che lo stringevano. Tremava, per il freddo e la paura, pallido come un fantasma e con gli occhi sgranati dopo aver visto la morte in faccia.
«È tutto a posto. Tutto a posto. Ti ho preso», lo rassicurò.
Come un bambino, Peter affondò il viso sulla sua spalla e sentì le lacrime solcargli il viso. Tony lo poggiò a terra, afferrandogli il viso tra le mani.
«Respira. Respira, guardami, okay? È tutto a posto, sei salvo.»
Ma il ragazzo non parlava, a malapena respirava. Tony sollevò poi lo sguardo quando vide due sottufficiali avvicinarsi, probabilmente attirati dalle loro grida. E allora capì che i suoi guai sarebbero iniziati di lì a poco.
 
Non era un segreto che Loki Laufesyon ce l’avesse a morte con le gente diversa, con quella di basso ceto. C’era un motivo se i poveri erano tali, probabilmente lo erano per scelta. O perché comunque lo avevano meritato.
E quell’uomo, quel certo Tony Stark, non era di certo da meno.
«Come hai osato aggredire un ragazzino? Un nobile? Questo è a dir poco oltraggioso!» esclamò rivolgendosi a lui. Tony aveva rischiato tante volte, ma era la prima volta che si trovava effettivamente ammanettato.
«Oltraggioso? Cosa? Il fatto che gli abbia salvato la vita?»
Loki assottigliò lo sguardo.
«Rispondi anche? Dovresti solo tacere. La gente come te è sempre pericolosa.»
Thor lo osservò inveire contro Tony, senza dire una parola. Vide poco dopo Peter, adesso più rosso in viso e avvolto da una coperta, avvicinarsi.
«Aspettate! Non sta mentendo. Quest’uomo mi ha salvato. Ho rischiato di cadere giù e se non fosse stato per lui… probabilmente sarei morto!»
Thor parve stupirsi.
«Come avreste fatto a cadere giù?»
«Amh… volevo vedere il mare e mi sono sporto troppo…», rispose. Poi guardò Tony, invitandolo silenziosamente a reggergli il gioco.
«È andata così?» chiese Loki sospettoso.
«Già. Dovreste tenere il vostro ragazzo sott’occhio. Adesso potete liberarmi?»
«Sono davvero rammaricato, signor…?» chiese Thor.
«Stark.»
«Stark. Forse potremmo ricompensarvi in qualche modo. Tu che ne pensi, Loki?»
«D’accordo, venti dollari.»
Peter fece una smorfia.
«Ma… la mia vita vale così poco?»
«Siamo permalosi, eh?» sospirò. «D’accordo, allora venti dollari e una serata in prima classe. Vi va bene, signor Stark?»
«Mi va bene qualsiasi cosa, purché mi lasciate andare», proferì infine, stufo. Aveva compiuto una buona azione verso quel ragazzino, ma non voleva essere invischiato negli affari e nelle situazioni di quei nobili.
 
 
«Ditemi la verità. Le cose sono andate davvero così?»
Peter era stato ad un passo dall’andare a dormire, quando Thor si era presentato nella sua camera e gli aveva posto quella domanda. Non con severità o rabbia, più che altro con apprensione. Peter allora aveva abbassato lo sguardo. Non avrebbe potuto dirgli la verità. Ora come ora si pentiva di quel gesto inconsulto e mentalmente ringraziava la presenza del signor Stark al momento opportuno. Non lo aveva neanche ringraziato a dovere.
«Certo che è andata così… è stato uno sfortunato incidente che per fortuna ha avuto un lieto fine. Davvero.»
E sorrise. Eppure la tristezza nei suoi occhi era qualcosa di evidente. Da un po’ di tempo Thor aveva iniziato a preoccuparsi. Conosceva Peter da quando era piccolo e lo aveva visto mutare da bambino ribelle e allegro a giovane uomo accondiscendente e passivo all’esistenza stessa.
Era spento.
Ma tutto ciò, Loki sembrava ignorarlo. Era sempre stato più propenso a preoccuparsi degli interessi economici, piuttosto che dei sentimentalismi. Anche mentre i due parlavano, quella sera, si presentò in camera di Peter tenendo una scatoletta in velluto bordeaux in mano.
«Scusate se vi interrompo. Peter, so che siete ancora scosso, ma c’era una cosa che volevo mostrarvi. Questo è il regalo di fidanzamento che darete voi stesso a Lady Watson, una volta arrivati a New York.»
Sentì nuovamente lo stomaco chiudersi, mentre Loki rivelava il contenuto della scatoletta: una collana con un diamante blu, a forma di cuore.
«Non badiamo a spese, eh?» chiese Thor.
«Non in questa occasione. Si chiama “Il cuore dell’oceano”. Cinquantasei carati, indossato niente meno che da Luigi XVI. Dovete custodirlo con molta cura.»
«Sì… grazie. Sarà fatto», lo rassicurò Peter.
Esattamente come aveva immaginato, le cose non sarebbero cambiate. Il tempo avrebbe continuato inesorabilmente a scorrere e lui avrebbe continuato ad essere infelice.
 
Nota dell’autrice
Titanic ha colpito anche in questo fandom. Non ce l’ho fatta, Peter e Tony si prestavano troppo bene ad un’AU del genere. AU che per certi versi manterrà alcuni elementi del film, mentre in alcuni casi no, completamente.
Ci saranno, come si è già capito, accenni ad altre coppie che mi piacciono, in particolare Stucky, Clintasha e Thorki.
Lo so che così a primo impatto Loki sembra il villain spietato della situazione, ma per come l’ho pensato io, non è esattamente così. Tra l’altro adesso lui e Thor che gli fanno da tutori/genitori è diventato il mio nuovo headcanon.
Inoltre, per me Carol e Peter sono una BROTP incredibile, ma anche questo penso si capirà meglio andando avanti.
Spero di aver mantenuto i personaggi IC, è la mia prima AU sul fandom e la cosa mi diverte alquanto. Spero che come idea vi piaccia ;)
   
 
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