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Autore: jakefan    28/05/2019    2 recensioni
Cos’hanno in comune Heath e Buck, il suo cane? Molte cose: entrambi sono giovani, pieni di energia e vivono sul confine tra due mondi. Buck è per metà lupo, Heath appartiene alla riserva Lakota e anche al mondo «di fuori», bianco e tecnologico. Ma c’è di più, anche se i due non lo sanno: un’eredità sconvolgente sepolta dentro a ricordi lontani.
Quando il richiamo della vita adulta diventa perentorio, per entrambi si prospettano scelte difficili, rivelazioni e incontri che cambieranno loro la vita.
E la scoperta di un terzo mondo nascosto, governato dalla magia che permea tutte le cose.
Ho ucciso sua madre. E' mio.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parco Nazionale della Contea di Northland, U.S.
Due anni dopo


Neena allungò il braccio nell’altra metà del letto, sotto al piumone, e trovò solo una tenue ombra di tepore. Suo marito, l’uomo degli imprevisti e dei turni impossibili, era già uscito. La donna si concesse qualche secondo di nostalgia, per il braccio forte che pesava sui suoi fianchi e per il respiro pacifico che l’aveva accarezzata durante la notte; poi si convinse ad alzarsi.
Spalancò la finestra e salutò la montagna; dal colore delle nubi, dal modo in cui la roccia rifletteva la prima luce, Neena avrebbe saputo dire se sarebbe stata una buona giornata.
Come ogni mattina e ogni sera, rivolse un saluto a Cervo-Che-Chiama. Nella cornice di legno dipinto, suo padre aveva capelli bianchissimi che contrastavano con il completo scuro; il nodo della cravatta color ferro era un po’ storto, ma era chiaro che la fotografia era stata scattata in un giorno di festa. Il vecchio l’osservava sereno, gli occhi stretti come fessure, come incisi nel legno di una maschera cerimoniale. In certi giorni dalle ombre mutevoli quegli occhi le sorridevano, e l’aria e l’eco dei sogni le portavano la carezza che tanto le mancava.
Sul comò, accanto alla cornice di legno, c’era anche quella in filigrana d’argento con la foto di Jenna. Il rettangolo di cristallo che immobilizzava il viso della ragazza sprigionava arcobaleni quando veniva colpito dalla luce.
Neena aveva voluto una cornice preziosa, per sua sorella, perché a lei sarebbe piaciuto così.
Erano così diverse; tanto lei era brusca nei modi, fino a rasentare la scortesia, così la piccola Jenna era delicata come i fiori selvatici gualciti dalla pioggia d’estate. Neena avrebbe dato un piede o una mano per avere solo la metà della pazienza della sorella, e qualcosa dei suoi modi gentili.
Nella foto Jenna aveva liquidi occhi di cervo, e Neena sapeva chi stava guardando in quel momento; ma aveva avuto occhi pieni di sogni ogni giorno della sua vita, come le bambine quando si travestono da principesse. Erano le due facce della luna, le ali della stessa rondine: guardare la foto della sorella era come guardare in uno specchio, solo che qualche magia pietosa la rendeva in qualche modo più bella.
Era mai stata gelosa di Jenna? Neena esaminò i battiti del suo cuore e vi trovò solo amore e rimpianto.
Anche se non era sempre stato così.
Raccolse i capelli per arrotolarli in una crocchia. I capelli bianchi erano aumentati? Forse doveva decidersi a smettere di tingerli, come minacciava da anni. Doveva solo trovare il coraggio. Isaias non l’approvava, le dava della visionaria, i capelli bianchi e certe rughe erano tutte nella sua testa, era bellissima, diceva. Ma quelli erano capelli bianchi. Capelli. Bianchi. E parlavano chiaro.
Jenna non sarebbe mai invecchiata. Lei, sì. Forse era già vecchia.
Si chinò per posare le labbra sul vetro; con la punta delle dita sfiorò le guance e gli zigomi alti e le mancò il fiato. Era come ricevere ad ogni risveglio – ancora e ancora – la notizia della morte di Jen. Si chiese quanti anni ci sarebbero voluti perché ci si abituasse. Probabilmente troppi; sarebbe morta di quello, forse, dell’ennesimo scatto del suo cuore agonizzante di nostalgia.
In quel momento vide la busta sul cuscino; doveva avergliela portata su Isaias.
– Che ne dici, Jen? Che deve aprirla Heath? Hai ragione, è giusto.
Il sole spuntò in quel momento e brillò sulla cornice d'argento; i raggi si rifransero sul sorriso e sui capelli lucidi della giovane donna bella per sempre. Il viso immobile ebbe un fremito, i capelli ondeggiarono in un sospiro di luce e d’ombra.
Certo che Jenna era d’accordo: la busta era per Heath, doveva aprirla lui stesso. Si doveva pazientare fino a quando si fosse svegliato. Neena indossò la vestaglia e si infilò la busta in tasca; l’avrebbe messe a fianco del piatto di suo figlio e lui l’avrebbe letta a colazione.


L’avevano fatto di nuovo.
Non era il caso che Neena si preoccupasse di non far cigolare il parquet mentre scendeva: dalla stanza di Heath proveniva un russare bitonale che copriva anche il suono della pendola della cucina. Quei due non se lo meritavano ma, visto che era una giornata importante, avrebbe comunque preparato qualcosa di speciale per colazione. E avrebbe concesso ai colpevoli ancora qualche minuto di pace.
Non si svegliò nessuno, nemmeno dopo che l’odore della torta aveva risalito le scale fino alla camera di Heath. Prima di spalancare la porta strillando, Neena si accertò di avere indovinato, anche se gli uggiolii che si erano aggiunti al russare non lasciavano spazio a dubbi; chissà quante volte era successo a sua insaputa, nonostante i divieti.
Spinse piano la porta e mise dentro la testa.E infatti nel letto diventato troppo corto suo figlio non era solo.
Una lunga forma ricoperta di pelliccia, grigio chiaro sul ventre, focata su collo e schiena, occupava metà del materasso, infossato sotto tutto quel peso. Buck da solo doveva pesare una sessantina di chili.
L’enorme lupo – che non le raccontassero quella scemenza del cane – giaceva tutto allungato contro l’altro animale selvatico di casa, suo figlio, che lo stringeva attorno al collo come fosse stato un peluche.
Il muso coperto da una zampa, Buck russava peggio di Isaias; forse sognava e, se era così, di sicuro nel sogno c’era anche Heath, e i due giocavano.
Bene, era ora di dare la sveglia.
– Fuori di qui! Ho detto fuori. Fu-o-ri!
– Ma’?
– Mi avete preso in giro ancora! Fuori di qui, subito! Quante volte lo devo dire che non lo voglio in casa?
L’ultima volta che Heath l'aveva convinta  a far entrare Buck – l’ultima che lei sapesse, almeno – il bestione aveva puntato direttamente alla cucina e poi, scodinzolando per la gioia, aveva spazzato dal tavolo due tazze di caffè e un vassoio di biscotti appena sfornati. Era riuscito a ingoiarne almeno un terzo prima che Neena, armata di scopa, lo buttasse fuori assieme al suo complice. Buck era fuggito con uno scarpone di Isaias tra i denti, e Heath l’aveva seguito con le guance coperte di lacrime. Per le troppe risate.
Il cane mugolò stizzito, l’umano passò da sdraiato a seduto in mezzo secondo. Si tolse i capelli dal viso e sbirciò la madre da sotto in su.
– Dai che gli vuoi bene anche tu, ma’. Qua, bello, vieni.
Il colpevole numero uno buttò le gambe giù dal letto, si trascinò alla finestra e la spalancò; il colpevole numero due sbadigliò a tutta mascella, scivolò giù dal materasso e, pancia a terra, si trascinò al davanzale della finestra. Poi con un balzo lo superò e si lanciò in corsa; l’aria fresca che dissipava l’odore del sonno vibrava di tracce odorose. Perfino Neena si sorprese a respirare gli odori dell’estate e invidiò per un attimo il giovane lupo. Tentò – con poco successo – di restare seria mentre Heath, strofinandosi gli occhi, le passava davanti a testa bassa.
– Me l’ha chiesto lui di entrare. Stanotte o uscivo io o entrava lui.
Neena allungò uno scappellotto a suo figlio ma ormai rideva. Avrebbe dovuto controllare le gambe del letto, forse era ora di comprarne uno più robusto? Poi ricordò che non era necessario, perché presto Heath se ne sarebbe andato. Come facevano tutti, o almeno tutti quelli che potevano.
– Sciacquati la faccia, ti voglio bello sveglio. È arrivata una busta da Pasadena.

– Non la apri?
– Afpetta ugnattimmo – bofonchiò Heath.
In jeans e maglietta, i lunghi capelli neri raccolti approssimativamente con un elastico — rubato a lei — si era infilato in bocca un pancake intero. Lo sciroppo d’acero gli sgocciolava dalle dita sul bordo del piatto e poi giù fin sui pantaloni. Il ragazzo si alzò per lavarsi le mani e afferrò uno strofinaccio per ripulirsi, poi si risedette con calma e riprese a mangiare.
Neena soffocò l’impulso di prenderlo a schiaffi e spinse la busta più vicino al piatto. Non doveva mostrarsi troppo impaziente, altrimenti lui avrebbe rallentato ancora, giusto per farle un dispetto.
E poi lo aveva già tormentato abbastanza perché inviasse tutti quei moduli d’iscrizione e le lettere di presentazione; gliele aveva revisionate una per una, scatenando più di una ribellione. I voti di Heath erano ottimi, soprattutto nelle materie scientifiche, e c’era più che una speranza che la busta contenesse una risposta positiva.
Una risposta che avrebbe cambiato la sua vita.
Che diamine, come faceva la testa di rapa a stare calmo? Pasadena. La busta veniva dall’Università della California. Pasadena. Un sogno.
Se fosse stato un sì Neena, come era vero il suo sangue Lakota, avrebbe venduto l’auto e la casa intera con tutti gli spiriti degli antenati per pagare la retta universitaria, fuori dalla loro portata. Perché suo figlio se lo meritava.
E se fosse stato un no?
Sarebbe stato solo normale. Era la cosa più probabile, cose come l’ammissione a Pasadena capitavano solo nei film e comunque non agli indiani delle riserve, nemmeno a quelli dello stato di Northland che facevano i guardaparco, vivevano sulle montagne e cavalcavano i mustang come nei documentari del Bureau.
Fosse bastata la forza del desiderio a mandare il figlio di Neena al college, ci si sarebbe trovato subito, trasportato da un tappeto magico. Se lei fosse riuscita a non strangolarlo prima.
– Perché non la apri? Dio, Heath, ma lo fai apposta?
– Merda, ho appuntamento con Rivkah! Merda merda merda, mi ucciderà, madre, questa è la volta che mi uccide davvero. Devo scappare. Devo…
Heath scattò in piedi, si pulì le mani su jeans e si fiondò verso la porta dopo essersi infilato in bocca un altro pancake. Quasi rovesciò una sedia, lasciò la porta aperta e, dalla soglia di casa, Neena lo vide infilarsi nella rimessa come una freccia, seguito dal lupo.
– Questa me la paghi, hai sentito? Ho detto che me la paghi!
– Aprila tu, ma’!
Un attimo dopo i due schizzarono fuori, Heath in sella all’Harley e Buck dietro di corsa che abbaiava tutto il suo disappunto.
Il ragazzo diede gas, la moto scattò in avanti e seminò il cane e allora rimasero lì entrambi, il cane e la donna, a brontolare.
Il vento della nuova stagione portò il suono del motore, che si affievoliva in lontananza.
   
 
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