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Autore: ToscaSam    28/05/2019    1 recensioni
La solita storia di una ragazza che si iscrive all'università e incontra dei ragazzi.
Più o meno.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XII
 
La gioia devota con cui i suoi genitori la ricevettero per i giorni festivi fu fonte di tormento per Tullia, che aveva il terrore di quello che stava accadendo nella propria pancia. Come avrebbero reagito i suoi genitori a una notizia così insensata?
Tullia giustificò le sue lunghe ore di meditazione chiusa in camera con lo studio di Cartografia, il cui esame era imminente.
Le mestruazioni non si fecero vedere prima di Natale e arrivò così il fatidico ventiquattro dicembre. Aveva comprato un vestito nuovo insieme a sua mamma. Era stato un momento quasi profetico: mentre guardavano i modelli disponibili nell'unico negozio del paese, Tullia non aveva potuto fare a meno di pensare “questa è l'ultima volta che io e mamma siamo felici insieme”, “capiterà mai più un pomeriggio felice fra noi due?” “se dovessi essere incinta, quando lo scoprirà, mi vorrà più bene come me ne vuole adesso?”.
Il vestito nuovo era verde bottiglia, sopra il ginocchio, molto elegante. Tullia si vide particolarmente bene, con quello addosso. Se non fosse stato per la faccia pallida e spaurita, da bambina, il suo fisico avrebbe potuto sembrare quello di una donna.
Sperò che almeno Paolo l'apprezzasse per il buon gusto nel vestire.
I suoi genitori l'accompagnarono a casa di Paolo e le chiesero se avesse bisogno che la venissero a riprendere. Lei disse di no, che l'avrebbe fatto Paolo.
Quando li salutò, vide Paolo che sbucava sulla soglia e, con disappunto, la rimbeccò:
« Perché non me li hai fatti conoscere?»
« Lo sai, non voglio. Non ancora»
« Non ti capisco per niente»
« Buon Natale, eh» gli abbaiò lei.
« Non è ancora Natale. Come torni a casa?»
« Mi riaccompagni?»
« Non è che posso sempre fare avanti e indietro. Non puoi dire ai tuoi genitori che ti rivengano a prendere?».
Tullia sospirò e poi annuì. Avrebbe scritto un messaggio ai suoi.
Paolo la guidò dentro casa e poi le lanciò un'occhiata di sbieco:
« Dove hai i regali?»
« Che regali?»
« Non hai fatto qualche regalo alla mia famiglia?»
« Beh … ne ho uno per te, in borsa»
« Ah ok»
Arrivarono in salotto e, sotto l'imponente albero ricoperto di neve finta, pieno di palline di vetro e lucine bianche, stava un'esagerata pila di pacchetti.
Tullia si tolse il cappotto e si mostrò con l'abito verde.
Paolo la guardò, ma non vide niente che valesse la pena di commentare.
« Mettilo lì» disse Paolo: « quelli per me sono da questa parte».
Indicò un mucchietto.
Tullia cavò malvolentieri il pacchetto dalla borsa e lo posò insieme agli altri.
Pian piano arrivarono tutti i familiari di Paolo: i nonni, gli zii, i fratelli e i nipoti. La madre fu come sempre un'ospite organizzata e di una bontà glaciale. Non si rivolse molto a Tullia e lei si domandò se per caso c'entrasse sempre la storia della sua battuta sull'eucarestia.
Il tavolo era stato apparecchiato per coppie e i segnaposto erano tovaglioli a forma di cuore. Sul centrotavola c'era ricamata una natività. Sopra la testa del piccolo Gesù era stata sistemata una candela dorata accesa.
Le portate furono abbondanti e le chiacchiere infinite. Tullia aveva già il mal di stomaco dopo i primi antipasti. Fece l'errore di chiedere a Paolo sottovoce se qualcuno fosse diventato vegetariano, visto che non si vedeva carne nei piatti. Lui le soffiò addosso un « è la vigilia!».
A un certo punto della serata, i contorni del tavolo, gli ospiti e persino Paolo diventarono fumosi. Tullia si sentì galleggiare nel suo mondo e svanì pian piano dalla realtà: c'era un mare lattiginoso che la trasportava, lei si trovava dentro una bolla che emanava lo stesso odore nauseabondo di latte. A un certo punto, la bolla si fermò davanti a un altare pieno di candele. C'era Gesù bambino, con la testa luminosa, incandescente, che le diceva:
« Ricordati il giuramento che mi hai fatto. Tu amerai Paolo per tutta la vita».
Poi Gesù era grande, con la barba e il volto ancora più incandescente e le toccava la pancia con due mani: Tullia si accorgeva di non avere una vera e propria pancia, ma una specie di barattolo di vetro, dove un essere rosso e sanguinolento entrava a forza, bucando il tappo e poi rimaneva dentro. Prese a deformarsi, sempre di più, finché non divenne un feto tutto rosso e molliccio, che premeva contro le pareti del barattolo.
Tullia si riprese dalla visione, sudando freddo e sentendo il sangue nelle tempie che pulsava forte.
Nessuno si era accorto di niente. Da quel momento decise che non avrebbe più toccato cibo; sentiva di poter vomitare a breve.
Quando finirono di cenare erano le undici e un quarto. Era l'ora di aprire i regali.
Tullia si sedette sul divano, accanto a Paolo che le mise una mano sopra il ginocchio. A Tullia sembrò un gesto molto coniugale, una cosa che poteva fare un marito alla moglie. Rabbrividì e gli afferrò il braccio in una posa più da ragazzi.
Il numero dei parenti infiniti che dava e riceveva i regali era infinito, così sia Tullia che Paolo si stavano cominciando ad annoiare. Lui prese a spippolare col telefono, lei a fissare il vuoto.
In quel momento, la sua coda dell'occhio catturò una sagoma rosso fuoco che proveniva dallo schermo del cellulare di Paolo. Si voltò di scatto e vide che Giulia, la famosa Giulia, gli aveva mandato un cuore gigantesco.
Presa da un impeto d'ira cocente, Tullia gli dette uno scrollone.
« Cos'è quello?»
« Cosa?» fece Paolo per nulla turbato. Quella sua assenza di reazioni la mandava in bestia.
« Come cosa? Giulia ti ha mandato un cuore»
« Ah, ma lo fa sempre» rise lui, con un sospiro di sollievo, come se questo chiudesse la questione. Per quanto riguardava Tullia, l'aveva appena aperta.
« Ma perché te li manda?»
« Non so, perché è così, credo»
« Te lo dico io. Lei ti vuole, è innamorata di te! E te le dai corda!»
Paolo rise, mostrando la bianca schiera di denti. Per la prima volta, anche il suo sorriso risultò sgradevole a Tullia.
Era infuriata e lui rideva, frivolo.
« Ma che dici? Lo sa che siamo fidanzati»
« E cosa vuoi che gliene importi? Lei ti vuole! Perché ti manderebbe i cuori?»
« Come sei bellina quando ti arrabbi!»
Tullia avrebbe voluto alzarsi e dargli un calcio in faccia, premerlo contro il sofà finché la stoffa non l'avesse inglobato e lasciarlo lì per sempre.
« Non puoi dirle di smettere di mandarti tutti questi cuori, se la cosa ti infastidisce?»
« Ma a me non infastidisce» concluse lui con un'alzata di spalle e gli occhi sporgenti.
« Beh, a me si. Possibile che al mio ragazzo vengano mandati cuori e baci da una ragazza che ne è palesemente innamorata?»
Paolo continuò a ridere e le scompigliò una ciocca di capelli.
Tullia adesso sentiva di nuovo le lacrime affiorare, lacrime di rabbia intensa e repressa. Era nervosa, le mestruazioni non le venivano, forse era incinta, aveva nausea continua, aveva promesso a un dio che sarebbe stata in eterno con un individuo che non l'ascoltava, non la capiva e non gli importava minimamente di lei.
« I regali per i piccini, ora»
Tullia si accorse con orrore che con “piccini” la mamma di Paolo intendeva proprio lei e Paolo.
A Paolo i suoi genitori avevano regalato un assegno da mille euro. Tullia rimase sbigottita. Lui rispose con calma che ci avrebbe comprato un telefono nuovo, che con gli sconti di natale costava ottocento euro. Un telefono. Ottocento euro. Tullia non riusciva a mettere insieme i puzzle che componevano il suo cervello. Un telefono, pensò per l'ultima volta, prima che i genitori del suo ragazzo si rivolgessero a lei con un sorriso smagliante da pubblicità.
Era una cornice con dentro una foto di lei e Paolo ingrandita e stampata in colori seppia.
« Grazie mille» disse in tono neutro, sforzandosi di pensare che la cornice era un regalo prezioso.
« Su e ora vediamo cosa ha regalato la nostra piccioncina al suo piccioncino»
Paolo prese il pacchettino che prima Tullia aveva poggiato sulla pila dei regali a lui destinati e lo scartò fremente.
Tullia si accorse che qualcosa non andava, perché Paolo cercò di nasconderlo dentro la carta, ma sua madre gli gridò:
« Cos'è, tesoro?»
Paolo lanciò a Tullia un'occhiata indecifrabile, poi mostrò il cofanetto regalo che lei aveva acquistato in un'agenzia di viaggi a Pisa. Era uno dei meno costosi, non poteva permettersi una grande spesa. Cinquanta euro per un soggiorno più prima colazione in uno degli hotel a disposizione; c'erano destinazioni in tutta Italia.
Le era sembrato un pensiero carino.
Il sorriso si gelò sulle labbra dei genitori di Paolo, quando esaminarono il cofanetto.
« Ah, ti hanno dato quello sbagliato, credo, cara» disse la mamma.
« Perché quello sbagliato?»
« Beh, da questo sembra che voi due dovreste dormire insieme. Non avevi visto?»
Tullia ricevette un fulmine dentro il cervello.
« Potete sempre cambiarlo, no?» insistette.
Il fiume di lacrime che prima aveva ricacciato, spuntò sugli occhi e glieli arrossò. La gola divenne arida e il naso si inumidì.
Finse un colpo di tosse per giustificare l'arrossamento improvviso del viso, tossì più volte, sentendo le lacrime che le gocciolavano sulle guance.
« Santo cielo! Acqua! Portatele l'acqua!»
Lei fece un cenno con la mano, intendendo che andava tutto bene. Si alzò e si diresse verso il bagno. Si chiuse dentro a chiave e si gettò a terra.
Il tappeto morbido accolse il suo pianto silenzioso e disperato. Stette lì distesa forse per un ora, forse per cinque minuti.
Non aveva più le forze, non riusciva ad alzarsi. Voleva scomparire, venire assorbita dal pavimento, essere risucchiata dall'aria.
Non poteva. Non poteva più. Odiava quella famiglia e odiava Paolo. Non lo poteva soffrire. A lui non le interessava, perché mai l'aveva voluta come fidanzata? Perché si sforzava tanto di recitare la parte del maritino? La promessa che aveva fatto a dio era inutile: lei non era credente. Non era cattolica e non lo sarebbe mai stata, né tanto meno avrebbe mai più fatto finta. Non sarebbe mai più entrata in una chiesa per partecipare alla messa. Non avrebbe mai più fatto la comunione.
Se un qualunque altro dio aveva registrato la promessa, pazienza, ci avrebbe fatto i conti una volta morta. Aveva vent'anni, non poteva morire dentro già a quell'età.
Era stata stupida e infantile. Aveva voluto gareggiare contro Giulia e aveva vinto, fine. Che importanza aveva adesso? Non avrebbe mai più dovuto vedere Giulia. Avrebbe spiegato a Clarissa la situazione e le avrebbe chiesto di non invitarla mai più quando anche lei fosse stata a casa. Sapeva che Clarissa l'avrebbe fatto.
Dal prossimo semestre sarebbe tornata a mensa con i suoi amici. Avrebbe preso con loro il caffè al Bar Macchi. Avrebbero parlato di Dante, del Conte Ugolino, e anche di Dungeons and Dragons, se ci tenevano. Si sarebbe fatta spiegare le regole e avrebbe giocato con loro. Avrebbe riso, si sarebbe sentita di nuovo libera e in gamba. Avrebbe studiato insieme a loro, li avrebbe abbracciati e stretti a sé, dopo ogni fallimento e ogni successo accademico.
Trovò la forza nella braccia e nelle gambe: si alzò. Un improvviso dolore lancinante all'addome la costrinse a portarsi sulla tavoletta del water. Fece la pipì, poi si asciugò. Le mestruazioni erano arrivate.
Era libera. Era viva.
Si sentì un fiore, una roccia, un temporale. Era un tronco secolare che decideva di staccarsi di dosso una stupida appendice di edera.
Tirò l'acqua, si sciacquò il viso e uscì dal bagno.
Paolo non si era mosso dal divano e continuava a guardare il cellulare.
« Paolo» gli disse.
Lui alzò lo sguardo malvolentieri.
« Vieni qui».
Si alzò. Gli altri stavano continuando a scambiarsi i regali.
« Ho bisogno che tu mi riporti a casa»
« Perché? Fra poco c'è la messa!»
« Non sono stata tanto bene e non mi sento in forma. Devo andare a casa»
« Non puoi dire ai tuoi genitori di venire?» aveva un tono scocciato e gli angoli della bocca gli si erano curvati con amarezza.
« No. Voglio che mi porti tu. Devo parlarti».
Paolo registrò quest'informazione con terrore. Spalancò i grandi occhi lustri e gli tremarono le labbra:
« Hai fatto … voglio dire … un test?»
« Parliamo in macchina»
« Ma … mi fai perdere la messa»
« Pazienza. Gesù nascerà senza che tu lo veda, per quest'anno»
Paolo la guardò inebetito, poi prese il giacchetto.
La mamma di Paolo notò i movimenti del figlio e posò lo sguardo incredulo su Tullia:
« Che succede?»
« Non mi sento bene. Mi faccio accompagnare a casa».
Il tumulto di “poverina” e “che peccato” le scivolò addosso come acqua. Ormai lei era più forte. Addio casa di Paolo, disse fra sé e sé. Addio signora suocera, addio signor suocero, addio a tutti voi parenti. A mai più rivederci.
Paolo tornò con il giubbotto indosso e le chiavi della macchina in mano.
Mentre si avviavano insieme fuori dalla porta, la mamma di Paolo arrivò balzellando e offrì a Tullia il cofanetto regalo che poco prima Paolo aveva scartato.
« Tieni, se ci riesci puoi farlo cambiare? Torna al negozio e chiedi se ti fanno questo piacere …»
« Va bene» disse Tullia cortese. Riprese il cofanetto e lo mise in borsa.
Salirono sull'auto e si misero subito in viaggio.
Paolo esitò:
« Allora?»
« Allora?» rispose Tullia.
« Beh, hai fatto un test di gravidanza?»
« No. Mi sono arrivate le mestruazioni».
Paolo sembrò rinascere. La sua posa da rigida divenne rilassatissima, il volto si distese in un largo sorriso e gli occhi brillarono di gioia.
« Ah! Menomale! Avevo anche detto un rosario per te, ieri sera. Ho pregato perché tu non fossi incinta!»
« Paolo voglio parlare con te»
« Di cosa?»
« Dei sentimenti».
Lui aggrottò la fronte.
« In che senso?»
« Nel senso che voglio sapere cosa provi per me».
Di nuovo, lui si rilassò. Domanda facile.
« Ti amo» rispose con il sorriso sulle labbra.
Tullia gli chiese di accostare.
Lui obbedì, confuso.
Erano su una strada provinciale, illuminata quel tanto che bastava perché le loro facce fossero visibili l'un l'altra.
« Paolo, io non sono sicura»
« Di cosa? Che ti amo? È per via dei cuori di Giulia, vero? Come sei esagerata» rise.
« No, Paolo. Non sono sicura di amarti io».
Silenzio.
« Cosa?»
« Esatto».
Il petto di Paolo cominciò ad alzarsi ed abbassarsi velocemente. Si sganciò la cintura di sicurezza e guardò Tullia in volto. Era senza parole, totalmente nel pallone. Quella frase era stata per lui un fulmine a ciel sereno.
« Non ti sei mai accorto che qualcosa non andava?» gli chiese lei.
« Cosa c'era che non andava?»
« Tutto»
« Come tutto? Con me sei stata bene!»
« No, Paolo. Se non ti sei accorto che non stavo bene è un po' la conferma che non ci capiamo, in fondo. Non possiamo amarci, non siamo compatibili»
« Ma quando è cominciato? Voglio dire … tu non mi hai mai detto … di non stare bene con me»
« Credevo si dovesse capire»
« Beh no, me lo dovevi dire»
« Forse hai ragione. O forse no. In ogni caso, Paolo, mi dispiace ma non è il caso di continuare. Ci dobbiamo lasciare».
Paolo era fuori di sé dalla sorpresa. Per lui quella era l'ultima cosa che sarebbe potuta accadere la notte di Natale.
« Ma io voglio stare con te per sempre. Io ti amo»
« No, Paolo, non mi ami. Non ci capiamo, io non capisco te e tu non capisci me»
« Si che ti capisco»
Non capiva nemmeno il significato di quell'accusa.
Tullia sospirò. Provò ad addolcire la pillola:
« Senti, nulla ci vieta di ritrovarci e innamorarci di nuovo, un giorno. Cioè, fra cinque anni, fra venti anni. Chissà, non si può mai sapere, no?»
« E non fra cinque giorni?»
« No, Paolo, mi dispiace».
Ci mancherebbe altro ritornare insieme a lui, pensò Tullia. Lui era sempre così sconvolto che lei si convinse ad aggiungere un altro po' di zucchero, per vedere se la pillola andava giù.
« Io ti voglio bene, sappilo. È che non ti amo»
dentro di sé pensò invece quanto l'avesse detestato in tutti quei mesi, di quanto avesse sofferto e di quanto lui non si fosse mai accorto di niente.
« Lo so che mi vuoi bene, ci mancherebbe altro» concluse lui, soddisfatto.
Tullia si sforzò di non essere crudele.
« Ti prego, mi puoi riaccompagnare a casa?»
« È perché mamma non vuole che dormiamo insieme? È per il regalo?»
« No, Paolo. È perché non ti amo. Il regalo tienitelo. L'avevo preso per te è giusto che tu lo tenga»
« L'avevi preso per noi»
« Dai, Paolo, basta. Per favore. Ti ho detto che dobbiamo finirla qui»
« Io non sapevo cosa farti … ti avevo comprato un mazzo di fiori. È rimasto a casa mia»
« Tieniti pure quelli, grazie, insieme alla gigantografia che mi ha fatto tua mamma»
« Non c'è speranza di tornare insieme domani?»
« No, Paolo, mi dispiace».
Era libera.
Uscire da quell'auto, dopo un viaggio di circa due ore, fu una delle più grandi liberazioni della sua vita fino ad allora. Non si prese il disturbo di sentirsi in imbarazzo. Sentiva l'alone di ansia e grigiore di Paolo, ma questo non la tangeva. Chiuse lo sportello con fatalità e donò all'auto che si allontanava uno sguardo d'addio. Quello era un addio e ciò che l'aspettava dall'altra parte le pareva bellissimo.
Tranquillità, libertà, amicizia, serenità.
Si concesse di non pensare mai a Paolo, da solo nell'auto e poi di ritorno a casa a dover spiegare l'accaduto. Ora toccava un po' a lui, soffrire. Per conto suo, si promise di non farsi mai più così male. Era stata una stupida totale e doveva utilizzare quest'esperienza per crescere.
Non aveva mai avuto i fidanzati dell'adolescenza e si era un po' comportata come una ragazzina. Paolo era stato un fidanzato della prima età adulta, che si era portato via molte cose importanti di lei, ma che le aveva dato la chiave d'accesso al mondo dei grandi, della serietà.
Non avrebbe mai più fatto la bambina e gareggiato con un'altra per le attenzioni di un ragazzo. Che cosa stupida. Si era presa una soddisfazione da liceale. Ora era il momento di diventare la studentessa universitaria che aveva deciso di essere.
Rincasò, sorridendo come non faceva da secoli.
 
  
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