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Autore: LaraBennet    30/05/2019    1 recensioni
"Moriva così, nuda, impaurita, sola, sperduta in un luogo dimenticato dal mondo. Sì, perché il mondo gli aveva voltato le spalle e così gliele aveva voltate anche quel motel abbandonato."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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       Perché adesso. Perché proprio quando aveva deciso di fare la cosa giusta? Perché veniva punita nell’ora del suo pentimento? Viene insegnato che la misericordia di Dio accoglie tutti. Tutti eccetto lei. Moriva così, nuda, impaurita, sola, sperduta in un luogo dimenticato dal mondo. Sì, perché il mondo gli aveva voltato le spalle e così gliele aveva voltate anche quel motel abbandonato. E lei, lei che nella sua sciocca intemperanza aveva provato a fare la furba, proprio in quel posto impregnato di contorta irrazionalità aveva trovato il coraggio di ritornare al mondo. Ma una volta che affondi un piede nel fango putrido di una palude, non puoi più sottrarti. Nessuna redenzione, nessuna pietà. Segni, aveva ricevuto dei segni e lei li aveva ignorati tutti, spudoratamente. Pensava solo a lui, che le aveva promesso di sposarla, sì di sposarla, chissà quando. La ex moglie, i debiti, gli alimenti, il suo lavoro umile. Più volte si era detta che l’avrebbe fatta finita con lui, che la rispettabilità era più importante di quelle poche ore passate in una camera d’albergo, a raccogliere, centellinare i suoi baci, le sue carezze, il suo amore. Non erano mai troppi, mai abbastanza; come potevano esserlo. I primi tempi l’aveva trovato eccitante, nascondersi agli altri, fare di quel letto la loro unica realtà e assaporare la brevità del loro incontro, ogni volta diverso eppure sempre uguale. L’aveva fatto per lui, per loro. Quei soldi le erano stati buttati lì, davanti agli occhi. Bastava prenderli – perché non prenderli? – e li ha presi. Era la soluzione. Era la loro unica e ultima possibilità. O almeno così aveva creduto che lo fosse. Adesso, quel coltello che cadeva su di lei e squartava la sua carne, le stava strappando una ad una le speranze di una vita, le opportunità che, se solo avesse voluto, l’avrebbero potuta attendere in qualsiasi momento. L’acqua scorreva, scivolava via e portava con sé il sangue che copioso fuoriusciva dal suo corpo. Respirava, respirava sempre più piano, mentre la vista iniziava ad annebbiarsi. Le gambe le cedettero e si appese alla tendina della doccia, il suo sudario. Si sentì cadere in avanti e sbatté la faccia a terra. Le mattonelle erano fredde, tanto fredde; freddissime. Ancora un respiro, mentre cercava di capire il senso; il senso della sua morte, il senso di quella fuga, il senso di quella pazzia d’amore, il senso di quel singolare motel, lontano dalla statale principale, dove quell’uomo viveva isolato, confinato in quella gabbia che –sosteneva– ogni persona si costruisce, arredata di uccelli impagliati e malattia, quella di cui soffriva la madre. Malato, era tutto malato lì, ora lo capiva. E lei lì era la cura, la sua cura. Un’ultima scossa di vita le attraversò le braccia. – No, non adesso, non ancora –. E fu la fine. 

   
 
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