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Autore: RedSonja    01/06/2019    1 recensioni
"È la guerra nel Continente Occidentale. La Guerra dei Cinque Re, la chiamano alcuni, anche se di Re, ormai, ne sono rimasti molti meno."
Ma questo non impedisce ad un bardo di cantare le proprie storie.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                                                          .                 Il Bardo

 

Il sole cala velocemente verso ovest, tingendo il cielo di un pallido colorito rosa, malaticcio come quelle poche piante che avevano resistito alla distruzione delle Terre Verdi.

Troppi eserciti avevano calpestato quel suolo, insozzandolo col sangue e con l'acciaio - acciaio che rifiutava di essere celato dalla natura circostante, riemergendo in alcuni punti sotto forma di lame spezzate e armature spaiate -; tutti segnali impossibili da ignorare.

È la guerra nel Continente Occidentale. La Guerra dei Cinque Re, la chiamano alcuni, anche se di Re, ormai, ne sono rimasti molti di meno.

E il Nemico avanza.

 

Con un sospiro pieno d'amarezza, sfiora con i talloni il fianco del cavallo, chiedendosi per quanto tempo ancora l'animale resisterà con lui in sella: poco più che un ronzino, lo aveva trovato mentre vagava sull'Altopiano, sfuggito a chissà quale campo di battaglia. Non è uno stallone da guerra, ma per quelle che sono le sue intenzioni, va più che bene. Sempre che riesca ad arrivare al prossimo villaggio.

Da giorni, ormai, non c'è anima viva lungo la Strada del Re - e a questo punto c'é poi da chiedersi: quale re? - se non gli sporadici gruppi di disertori e contadini che senza terra e senza una casa a cui tornare -si dedicano al brigantaggio con armi depredate a questo o a quel caduto. D'altronde, se c'è una cosa di cui Westeros non è mai a corto, sono proprio i cadaveri.

Anche lui ne ha incontrati decine lungo il suo cammino: alcuni morti di recente, non avevano ancora iniziato a gonfiarsi e, dove i corvi e i lupi non erano arrivati, si riuscivano a indovinare i lineamenti e le casate di appartenenza.

Molti di quegli stemmi non erano che miseri disegni su della stoffa grezza, ma c'erano. Buffo come sia facile credersi dei leoni, quando se ne ha uno disegnato sul petto e non importa che quel disegno, in realtà, sia solo il prestanome di un Lord che non vedrai mai nella vita: è più facile andare a morire credendosi parte di un qualcosa di più grande. Credendosi importanti per gli scopi di uomini potenti. Come miserabile vedere l'illusione svanire di fronte alla fredda solidità della punta di una picca.

La tetraggine di quei luoghi, una volta rigogliosi, gli è entrata dentro, fin nelle ossa, ma in qualche modo ne resta indifferente. Uno spettatore, nel mare degli eventi. Una volta, molto tempo prima, lui era stato proprio al centro di quella tempesta, ma adesso è la stessa cosa che leggere in un libro una storia di cui non si fa parte.

E mentre gli zoccoli del palafreno battono ritmici nella polvere e nel fango, intravede, finalmente, i primi tetti di paglia di un villaggio e sente che - forse- se quella sera andrà bene, potrà perfino permettersi di mangiare un po' di carne stufata e basta il pensiero perché i talloni affondino un po' di piú nel fianco della bestia.

 

Si è sbagliato: chiamare quelle quattro capanne in croce un villaggio è un'esagerazione, ma c'è comunque gente che esce dalle costruzioni in legno per scrutare il nuovo venuto, e lui sa esattamente cosa vedono di fronte a loro. Smonta con un'unica movenza fluida, retaggio di un'abitudine acquisita fin dall'infanzia e, aggiustandosi il cappuccio in modo che il volto sia celato, sfiora con delicatezza le corde della sua arpa. Gli occhi del vecchio capomastro sono ostili e lo scrutano con diffidenza, ma le fanciulle e i bambini si sono già radunati attorno a lui, soffermandosi con lo sguardo sul bardo appena arrivato e, prima ancora che l'uomo possa pronunciare la sua decisione, un'anziana matrona, dai tratti comuni ma piacevoli, si fa avanti, attorniata da un gruppo di marmocchi. - Abbiamo tutti bisogno di una serata di svago, restate con noi per questa sera e allietateci con la vostra musica, se vi compiace. Non abbiamo denaro per pagarvi, e il cibo scarseggia di questi tempi, ma se vi tratterrete presso di noi, avrete un letto per la notte e un tetto sulla testa, e spartirete con noi quel poco di cibo che ancora resta. -

Annuisce, con in cenno del capo, ed improvvisa un inchino che fa parlottare molte delle giovani della folla: è raro vedere un cavaliere errante inchinarsi, e non di meno un cantastorie che faccia lo stesso. Così, mentre un ragazzetto porta il cavallo in una misera costruzione che dovrebbe essere una stalla, si issa lo strumento in spalla e segue la donna che lo ha invitato a restare all'interno dell'edificio più grande, che si rivela essere la taverna del luogo.

Un posto squallido e consunto, ma dopo tutte quelle notti all'addiaccio il calore di un fuoco sembra quasi un miraggio. In fondo, gli è sempre piaciuto il calore. Specialmente ora che "L'Inverno sta arrivando" come direbbe una sua vecchia conoscenza.

Ma lui non è un Uomo del Nord, e non ama il freddo che comincia raggiungere anche il Sud dei Sette Regni; per quella sera, però, e al riparo, ed è un ottimo motivo per cantare.

Mentre stringe ognuna delle corde dell'arpa, pizzicandole appena per verificarne il tono, sente su di sè gli sguardi dei paesani che cominciano ad arrivare, e vede con la coda dell'occhio la vecchia matrona dirigere il gruppetto di bambini e bambine di prima, che sfrecciano da un lato all'altro della sala portando boccali e piatti a questo o a quell'avventore. Al suo fianco si ferma una bambina, non la vede, ma ne sente la presenza minuta. Posa un boccale di idromele sulla panca accanto a quella sulla quale è seduto e resta li, immobile.

-Cosa c'è?-

La piccola sobbalza, certa com'era di non essere stata notata e, per un attimo, gli viene il dubbio di essere stato troppo brusco. La bambina balbetta qualcosa che lui non capisce, il che lo spinge a alzare la testa di quel tanto che basta per guardarle il volto: ha le guance piene di lentiggini, i capelli corvini tagliati corti come un maschio e un'espressione colpevole negli occhi.

Espressione che cambia non appena incontra i suoi, di occhi.

 

Con deliberata lentezza, le sorride cordiale, cercando di mantenere un atteggiamento il più indifferente possibile. La ragazzina, dal canto suo, sembra aver preso un po' di coraggio, perché gli indica con una mano il boccale, mentre recita con una vocetta impertinente: -Puoi cantare la Ballata di Florian e Jonquil? È una delle mie preferite-.

Il bardo si limita ad annuire, tornando a concentrarsi sulle chiavi in legno e, quando il risultato è abbastanza soddisfacente, esegue un semplice accordo, in modo da ottenere il silenzio degli astanti. Inizia con la triste melodia che narra della tragica storia di quel folle, folle giullare che, per l'amore di una nobile dama, condusse se stesso ed ella alla morte. Le mani scivolano dolcemente sul budello teso dall'arco, carezzevole come il tocco di un amante sul corpo bramoso di una donna; la voce profonda e malinconica conquista ben presto il cuore delle fanciulle e non solo: perfino i rudi uomini di campagna si lasciano condurre all'interno della ballata, da quei suoni armoniosi, qualcuno celando appena il luccichio troppo liquido delle pupille.

Lui, d'altronde, sa di cosa sta cantando. Un tempo - pensa - un tempo anche io sono stato colpito da questa follia, ne conosco il dolce sapore e l'amaro retrogusto di veleno che l'accompagnano. Le dita pizzicano l'ultima nota, e poi cala il silenzio. Qualche mano applaude, e alcune voci lo esortano a continuare, ma è la bambina di prima a colpirlo: il suo sguardo evita deliberatamente i suoi occhi, mentre a lui ricorda quello di una giovane incontrata in un'epoca ormai lontana.

Forse è proprio quello che lo spinge a sfiorare di nuovo le corde, seguendo un motivo che nessuno dei presenti ha mai sentito, neppure lui stesso; eseguendo quella che era sempre e solo stata un'idea ma, prima di iniziare a cantare, le dita si fermano di nuovo. Con un sorriso, accenna alla bambina al suo fianco

-Di storie d'amore finite in tragedia, sono pieni i libri, che le giovani lady leggono a corte, e tutte le ballate che noi cantastorie siamo soliti narrare, ma ditemi, è mai esistita sorte più triste di quell'amore che si tramuta in guerra?- E questa volta, gli occhi metallici della ragazzina si fissano nei suoi, ascoltando le parole che lasciano le sue labbra, danzando in un bacio che sa di morte e sofferenza.

-Venne la Primavera, stagione d'amore, a fiorire tra le lance e gli stendardi./

Nacque tra il cremisi, colore del fuoco, e sciolse del ghiaccio il riflesso fioco/

mentre cavalieri valorosi per onore combattevano e tutti delle dame il favore ottenevano./

Un giovane principe, cieco all'orrore che le sue azioni avrebbero causato,/

quando con una ghirlanda di rose blu, una lupa del nord,/

Regina di Grazia e di Bellezza ebbe incoronato/

diede inizio all'eco frastornante di una guerra che tante speranze avrebbe infrante./

Venne la Primavera, stagione di follia, e sempre insieme i due fuggirono via/

Attraverso le verdi terre dove molti fiumi scorrono, e le roventi sabbie che Dorne adornano./

Venne la primavera, col suo prezzo di sangue, li dove la rabbia del promesso sposo langue./

E il lugubre canto della spada si leva dove il giovane drago diventa preda/

E mentre dell'amata risuona il pianto, un ultimo grido si leva intanto./

Venne una volta la primavera, venne una volta in una vita intera,/

e la sua venuta si mutò in tragedia. -

 

Riapre gli occhi, quando il polso compie l'ultimo movimento e si concede un istante per osservare le reazioni del pubblico: la maggior parte delle donne è impegnata nell'asciugarsi le lacrime con lembi delle vesti; perfino la matrona di prima nasconde rapida un quadrato di stoffa, non appena si accorge che ha finito di suonare. Di contro, però, nota quasi subito l'assenza della figura mingherlina che gli sedeva al fianco fino ad allora.

Non ha il tempo di curarsene: accetta di buon grado lo stufato offertogli e, per una volta, si trova a pensare che fin dall'inizio quella era la vita che gli Dèi avevano scritto per lui.

 

Ha finito in quel luogo.

Racimola ciò che possiede, insieme alle poche monete che la sua esibizione gli ha garantito, e scivola come un'ombra lungo le scale della taverna e giù, tra le panche della sala comune. I passi misurati e silenziosi, come quelli di un felino, intenzionato a lasciare quel posto prima del sorgere dell'alba. Ben lontano quando la locandiera si sarà svegliata. Ben lontano dalla bambina che l'ha riconosciuto.


È la prima volta che accade, forse perché mai si era scoperto tanto; e ora è costretto a dileguarsi prima che la piccola racconti del suo sospetto a qualcun altro.

Certo, è molto probabile che, qualora lo faccia, le sue parole siano liquidate come semplice suggestione, causata dalla ballata eseguita dal misterioso cantastorie, ma è comunque meglio non rischiare.

I Targaryen sono tutti morti, eccetto la Madre dei Draghi al di là del mare stretto, ed è meglio per tutti che sia così. Anche per lui.

Soprattutto per lui.

E allora perché ha fatto di tutto perché lei lo riconoscesse? Non lo sa, eppure si è detto deluso nel momento in cui non l'ha trovata seduta nella panca vicina alla sua, la sera precedente. Forse è semplicemente che la solitudine completa inizia a pesargli, più di quanto voglia ammettere a se stesso.

 

Senza che se ne renda neanche conto, i suoi piedi lo conducono alle stalle, dove il palafreno riposa pigramente, ed inizia ad armeggiare con i finimenti: nota con piacere che alla mangiatoia è stato aggiunto del grano fresco. Per quanto priva di una qualsiasi educazione, la gente comune è anche capace di quella generosità che raramente si trova nei Lord: se basta per uno, può essercene anche per due. Una filosofia che ha imparato a fare sua da quando è un bardo, da quando l'armatura nera non gli grava più sulle spalle e, sulla schiena, non è legata una picca ma un'arpa.

Sta per salire in sella, quando un paio di mani grandi neanche la metà delle sue, si serrano sul mantello logoro, trattenendolo a malapena, ma facendo scivolare il cappuccio dal volto.

 

I capelli argentei sono toccati dalla lieve luce del sole non ancora sorto per la prima volta da quando si è svegliato in quei boschi dilaniati dagli incendi. Ed è una sensazione strana, pensa. Strana e straniante come la sorpresa sul volto della bambina, che lo guarda indecisa se urlare o meno.

Le dita scattano con la velocità di chi è abituato alla frenesia del campo di battaglia, e in un attimo, una mano va a soffocare l'esclamazione della ragazzina, contemporaneamente, l'indice dell'altra, si poggia sulle proprie labbra.

 

Rhaegar si aspetta che provi a divincolarsi, a sfuggire alla sua stretta eppure, inspiegabilmente, quegli occhi grigi si limitano a studiarlo con curiosità. Lo squadrano con attenzione, sondano le iridi indaco e, piano piano, sente le spalle magre rilassarsi. È lui a rompere quella situazione di stasi, ritirando la mano, ma continuando a fissare quella sagoma che sembra ancora più minuta nell'aria umida della mattina.

-Te ne vai?-

È la stessa voce della sera precedente, solo che stavolta suona più triste. Un istinto atavico, che non riesce a frenare, lo porta a sorridere - di quel sorriso malinconico che un tempo l'aveva reso ambito da tutte le giovani lady del Regno - mentre le scompiglia distrattamente i capelli in un gesto che sa incredibilmente di abitudine.

Di familiarità.

-Si, devo-

La osserva annuire piano, le labbra che si aprono e chiudono un paio di volte, prima di formulare l'altra domanda

-Ma tu non dovresti essere morto? -

Poi, in un lampo, la vede arrossire, incespicare ancora nelle parole e aggiungere frettolosamente

-Voglio dire, le storie dicono così - fa una pausa per riprendere fiato - Milord-

 

Rhaegar ha voglia di concedersi una risata, di dimenticare quel peso che si è portato dentro per tutta una vita; quella profezia che è una maledizione e per la quale gli dei lo hanno richiamato dall'oblio, separandolo da Lei. Non sa cosa rispondere, esattamente, ma sa cosa cercare: la verità.

Ed è la verità che sussurra mentre sale in sella e fa voltare il muso della cavalcatura:

-Ho ancora molte colpe da espiare-

 

E la bambina può giurarci, per un momento, un momento soltanto, la sagoma del Principe perde di nitidezza, confondendosi con quella di un drago dello stesso colore delle foreste.

  
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