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Autore: Ellie_x3    02/06/2019    7 recensioni
Aveva sperimentato un tipo ben diverso d'amore, lui, un sentimento crudele e meschino che non faceva altro che male.
Tagliava in profondità le membra di un uomo, recidendo i muscoli, non lasciando altro che languore, scavando nelle ossa fino a prosciugare qualsiasi ricordo dell'essere umano che era stato in passato. Il sentimento mostrato da Alain aveva in sé la dolce sfrontatezza dell'attrazione: inequivocabile, sì, ma di gran lunga meno disperato e violento di ciò che provava Rossignol.
Magari, si disse, non esistono tipo diversi d'amore, ma solo uomini che lo vivono diversamente.
Forse Rossignol stava mentendo e non era affatto amore quello che provava per Alain, ma una cosa era certa: Alain era innamorato di lui.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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V



Nonostante la maggior parte dei suoi amici e conoscenti avesse accettato a malincuore la scelta di Rossignol di ritirarsi in campagna, fingendo di credere ad una salute cagionevole mai manifestata prima d’allora, Madame Dorianne non si era dimostrata altrettanto generosa con il ragazzo e la sua rocambolesca sparizione: comprendendone il vero motivo, e certamente non credendo alla scusa, era stata meno incline a perdonarlo.
La corrispondenza della donna era sporadica e svogliata, tratti che Rossignol sapeva ormai tradurre in quel comportamento femminile quantomai irritante e tipico che si risolve immancabilmente nella sensazione, da parte dello sventrato destinatario delle missive, d'essere volutamente ignorati.
Il ragazzo comprendeva di aver offeso la vanità di Madame Dorianne esiliandosi temporaneamente dalla sua scuderia, ma non vi dava troppo peso. Inoltre, come se la freddezza dei toni non fosse sufficiente, le poche righe che la donna si degnava di scrivergli non erano portatrici di buone notizie.
Parlava del suo salotto, frequentato dal più disparato genere di nobildonne e nobiluomini, delle nuove candele e dell'inchiostro profumato ai fiori che stava andando a ruba, ma riportava anche l'eco delle voci che serpeggiavano nelle vie di Parigi e alle quali neanche il più stupido degli uomini poteva rimanere indifferente: la farina scarseggiava, le panetterie e i forni chiudevano l'uno dopo l'altro, le donne mercanteggiavano per della merce muffita. In una lettera particolarmente accorata, Madame Dorianne aveva riferito che la la domestica di un amico aveva portato a casa solo pochi pezzi di pane per un prezzo esorbitante, da quando l'impasto per le focaccine veniva allungato con della sabbia. Persino le botteghe che provvedevano alle spese più basilari iniziavano a rifiutare di far credito.
Rossignol le aveva risposto allegando del latte fresco e una gallina per le uova, troppo occupato per dare anche il minimo peso alla faccenda e privatamente compiaciuto con la propria bontà d’animo (e con la campagna, che rendeva la galanteria vergognosamente facile).

Il popolo ha sempre fame, che ci volete fare.” aveva risposto, tra una riga di pettegolezzi e l'altra. “Sono una razza vorace e bizzarra, lontana dalla civilizzazione del mondo, e la loro sfortuna li rende inclini all'esagerazione. Lanciategli del mangime dalle vostre finestre e si placheranno”.

Le settimane parvero dargli ragione, dal momento che le voci sulla mancanza di cibo e sulla riottosità del popolo rientrarono come una grande, violenta risacca. Rossignol fu talmente fiero di quella sua predizione che ne scrisse ai fratelli, i quali gli risposero con lunghi biglietti pregni di considerazioni politiche: tali esempi d'affetto fraterno, al quale non aveva mai aspirato, andarono ad ingrassare il fuoco nei caminetti della tenuta senza esser stati nemmeno letti.
Tutt'altro trattamento venne riservato alla risposta del Principe T., la quale arrivò in un giorno di pioggia; un pomeriggio umido e grigio, ma che segnò la fine della lunga attesa di Rossignol.

 

Amico mio,

Come vi trovate in campagna?
Mi sorprende sapere che il delizioso villaggio della Regina non sia un paesaggio abbastanza campestre per i vostri gusti, ma comprendo perché Sua Altezza, che entrambi consideriamo un buon amico e che ha a cuore la vostra tranquillità, vi abbia consigliato di passare del tempo da solo.
Io stesso ne sento il bisogno, di tanto in tanto. Mancate a tutti, qui. Versailles è il solito alveare senza riposo e, con il favore del bel tempo, è stata organizzata una battuta di caccia al fagiano in onore di un barone vecchio di mille anni tornato dalla Svizzera. Il conte Fersen spicca per bellezza in questi giorni, e fa sentire meno la vostra mancanza con le sue storie Americane: ancora una volta ci ha trascinati tutti a Yorktown con le sue parole, e mi meraviglio di come sia un racconto che non invecchia mai.
Per quel che riguarda me, accolgo la vostra richiesta con non poca curiosità.
Madame Dorianne è conosciuta per la raffinatezza: un gioiello raro che, temo, troverà rozza la compagnia della mia persona.
Tuttavia non posso negarvi di certo questo favore, al quale sarò ben felice di adempiere al più presto.
Sono cosciente che il risultato di questo incontro potrebbe causare imbarazzo al vostro ritorno, per un motivo o per l’altro, ma immagino saprete trarre motivo di divertimento dalla situazione.

T.
Principe di Waldeck-Pyrmont

 

Non fu necessario aspettare tanto di più per la risposta; a differenza del principe T., chiaramente oberato dagli obblighi dell'etichetta e dal peso di appartenere alla famiglia reale, Rossignol si era riscoperto ad oziare senza nulla di meglio da fare che occuparsi degli affari dei propri amici.
Era presente come non era mai stato prima, anche se lontano.

 

Amico mio,

Nessuna offesa. Al contrario, non posso fare a meno di apprezzare le parole che mi dedicate e convengo che, nel momento in cui tornerò a Versailles, potrebbe esservi un certo imbarazzo e la prospettiva mi spaventa grandemente.
Vi prego, non pensate che il mio ritiro abbia qualcosa a che fare con voi: è una necessità dettata dagli avvenimenti generali, ma in alcun modo sto cercando poco educatamente di evitarvi. Se potessimo essere buoni conoscenti, credetemi, vi inviterei qui a trascorrere dei giorni in cui vi mostrerei i dintorni e vi presenterei gli stalloni nelle scuderie di famiglia, i quali sono, in realtà, animali ancor più prodigiosi di quanto ricordassi; vi mostrerei i ritratti dei quali mia madre va tanto fiera.
Ma temo che tutto ciò non sia possibile.
Mi sono riscoperto un amante della musica, sapete: mi siedo al piano e compongo, compongo finché non mi dolgono le dita e la gola, da quando sorge il sole fin quando non cala oltre le montagne a ovest.
Quando tornerò, e succederà presto, dacché la campagna inizia a venirmi a noia, canterò per la Regina.
Sono certo che si divertirà nell'assistere ai bizzarri strimpellamenti di un povero ragazzo riscopertosi menestrello, e tutti sappiamo quando la nostra Regina ami una bella risata e un passatempo divertente.
Quanto a voi, amico mio, avete quindi seguito il mio indirizzamento? Vi prego, non tenetemene all'oscuro: dal momento che Madame è oltremodo offesa per la mia sparizione, capite bene che siete l'unico che può darmi notizie sul vostro eventuale incontro.
Eventualità che, come sapete, sostengo con tutto il cuore.

Rossignol

 

Con il tempo, Rossignol si accorse che la lontananza non era servita a schiarire la sua mente.
Al contrario, man mano che passavano i giorni l'immagine del principe T., del suo bel viso dai tratti affilati e del suo carattere irritante, si faceva più delineata tra i ricordi. La lontananza smussava gli angoli che il ragazzo era stato portato a giudicare severamente in un primo momento, rendeva più sopportabile e quasi piacevole il suo continuo predicare. Rossignol non l'avrebbe mai detto, ma attendeva con ansia le lettere da Versailles solo per poter vedere la calligrafia del principe.
Era talmente annoiato e provato dalla solitudine che quando sentì il rumore degli zoccoli in lontananza immaginò che fosse il principe — o magari D’Ovigny, stanco di aspettarlo come si aspettava un marito in guerra. Aveva preso l’abitudine di passeggiare senza guida né compagnia per sentieri un tempo battuti dai suoi fratelli, quando ancora Guy viveva in Francia e agli uomini della famiglia piaceva trascorrere I pomeriggi a caccia di anatre selvatiche. Parte di Rossignol si era convinta che, in cuor suo, sperasse di veder spuntare da dietro un tronco un passatempo, una fanciulla che aveva perso la strada (e possibilmente di buon carattere, o bella, perché ne aveva avuto a sufficienza delle vecchie lattaie curve e grasse che puzzavano di burro) o una bestia in grado di strapparlo finalmente alla sua misera esistenza fatta di dubbi, imbarazzo e gran mal di testa.
Dunque, quando apparve una figura vestita di velluto blu fra gli alberi, la mente di Rossignol pensò immediatamente che fosse giunto finalmente il momento di scontare le promesse amorose disattese di recente.
Doveva saperlo, però, che entrambi gli uomini lo rispettavano a sufficienza da accettare di attendere il suo ritorno senza forzarsi e che c’era solo una persona, in tutta Versailles, impaziente abbastanza da presentarsi alla sua porta senza invito.
Rossignol si fermò, prendendo un profondo respiro.
D’Artois indossava un cappello dalle piume vistose, morbide come nuvole, e la sua presa era salda sulle redini di un cavallo dall’occhio disinteressato, ambrato come quello del padrone e altrettanto luminoso. Quando il conte tirò le redini dolcemente, la criniera castana dell’animale si illuminò di riflessi dorati sotto la luce filtrata dagli alberi. Tuttavia, per quanto opulenta fosse la visione del Figlio di Francia in velluto blu e cappello di piume e sorriso amabile, Rossignol si imbronciò immediatamente.
“Come mi avete trovato?” sbottò, prima ancora che l'uomo potesse parlare.
D’Artois gli dedicò un sorriso smagliante, carico di soddisfazione. Tale gesto d'amicizia strideva sgradevolmente con le braccia incrociate e la ferma scontentezza del ragazzo, ma ciò sembrava solo divertirlo di più.
“Vi potrà stupire, ma la tenuta della vostra famiglia non è esattamente nascosta al mondo.”
“Intendo, qui.”
“Non eravate in casa; fortunatamente, Remis è un bravo ragazzo e vi ha a cuore, ed evidentemente conosce le vostre abitudini.”
“Ah,” mormorò.
Mentalmente, si appuntò di proibire a Remis di parlare a sproposito.
“Non siate troppo duro con il vostro piccolo paggio, vuole solo il vostro bene.”
“Certo, vendendo la mia posizione a…” lo soppesò con lo sguardo,  sollevando un sopracciglio per quanto fosse difficile dimostrare supponenza con un principe della casa reale, per lo più su un cavallo che al garrese doveva essere più alto di Rossignol di almeno mezza testa, “voi. Sono ancora arrabbiato con voi.”
“Ed io con voi, ora, amico mio. Non siete più un ragazzino, Rossignol; una fuga è interessante solo se dura qualche giorno.”
Con uno sbuffo, Rossignol si passó una mano fra i capelli biondi, liberi delle solite costrizioni.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per vivere sempre così, senza fiocchi e in maniche di camicia, perché tutto il resto lo stancava più di quanto riuscisse ad esprimere a parole.
“Manderò Remis ad avvisarvi quando sarò pronto, ma per ora è un giorno lontano.”
“Avete fatto intendere al Principe che fossi io la causa del vostro ritiro.”
“Vivace sostenitore,” parafrasó lui, aggrottando le sopracciglia. La ricordava a memoria, ormai, quella lettera. “Pensavo vi piacesse credervi marionettista, Altezza, e con una bambola così bella, poi.”
Il conte sospiró pesantemente e, come se il destriero fosse tanto frustrato quanto il nobile padrone, anche il cavallo sbuffó un nitrito.
“Rossignol—“
“E sia: ve lo concedo, avete ragione. É sufficiente a farvi andare via, ora, e lasciarmi in pace?"
D'Artois sogghignò.
"E io che pensavo di fermarmi qualche giorno."
"Non oserete. Comunque sia, sì, avete ragione e questa fuga non è divertente, ma non ho mai inteso che lo fosse. E dunque siamo pari, non è così?” Rossignol sorrise, un sorriso che non gli illuminava gli occhi, “io non sono un ragazzo, e voi non siete un gentiluomo, monsieur.”
D’Artois storse il naso, indeciso riguardo il cosa farsene di tale insinuazione. In un altro momento forse l’avrebbe dismessa come una giacca vecchia, ma il cupo languore della campagna rendeva Rossignol più sincero che mai.
“Mi ferite," dichiarò.
“Una vecchia matrona di bordello, ecco cosa siete.”
“Addirittura?” replicò d’Artois, con una risata.
“Siete fortunato che non vi dica di peggio. Vi definite mio amico, ma vi sfugge che non sono un intrattenimento che potete vendere a vostra cugina, o a D’Ovigny, o al miglior offerente,” aggrottò la fronte, incapace di fermarsi, “il mio tempo, il mio affetto, la mia compagnia non sono cose che potete manipolare. Se avete creduto il contrario, non siete meglio di un qualsiasi pappone imbellettato.”
Ah, dunque era quello che gli era pesato per tutto quel tempo, era uno dei tanti pensieri che l'avevano spinto a fuggire. Pronunciando le parole che aveva imaginato nella propria testa mille volte, Rossignol si sentì come se qualcuno avesse sollevato una pietra dal suo petto.
“Siete davvero ancora offeso con me?” Domandó d’Artois, con un sorriso che appariva più assorto di un momento prima, sebbene fosse ancora leggero, “E io che ero venuto anche ad accettarmi della vostra condizione.”
“La mia condizione è perfettamente confortevole, come potete vedere. È la faccia con cui mi ripresenterò ai vostri amici, cosí come a vostra cognata, che mi sfugge.”
“Avete pensato alla mia proposta per D’Ovigny, nel frattempo?”
“Altezza!”
Era incredibile. Aveva appena finito di indignarsi per l’essere paragonato ad una vecchia mezzana e già iniziava ad organizzare per lui qualche altra liason da consumarsi negli angoli, nei vicoli, nel crepuscolo delle feste terminate in bagordi. E per cosa? D’Ovigny era un duca di provincia mentre il principe era sangue reale, blu come la malinconia che animava i suoi occhi sempre troppo seri.
Indispettito, Rossignol strinse gli occhi.
“Dite, avete forse paura di uno scandalo?”
D’Artois alzò gli occhi al cielo.
“No, naturalmente,” ma esitó, prima di ammettere, “in parte. Il nostro principe tende ad essere precipitoso. È particolarmente sensibile, se volete. Non ha lo stomaco, nè la posizione, per stare ai vostri giochetti; D’Ovigny, al contrario...”
“Ma non sono in alcun modo innamorato di D’Ovigny.”
Se ne pentì immediatamente, vedendo gli occhi scuri di D’Artois sgranarsi come se avesse appena giurato fedeltà a Satana, in un misto di orrore, realizzazione e perplesso divertimento che rendeva quelle parole distorte, ne prendeva il buono e lo gettava via per trarne una confessione. Rossignol rabbrividì di fronte all’enormità dell’errore commesso.
“Oh?”
“Né di quell’altro vostro principe, ovviamente.”
La fretta con cui l’aveva aggiunto sembró solo rafforzare i sospetti di D’Artois. Che poi era assurdo, perché Rossignol non era sinceramente innamorato di alcuno — era ossessionato, e divertito, e a tratti terrorizzato, più spesso non riusciva a dormire in preda a pensieri bizzarri che gli suggerivano di testare le difese di T. fino alla fine, per capire, per sentire, per vedere cosa valesse quell’amore che professava.
Quell’amore che aveva un volto così buffo se indossato da un uomo compassato che lo offendeva con quelli che credeva essere compimenti.
Mentre ci pensava, il rumore di zoccoli sul selciato lo riscosse; D’Artois aveva fatto voltare il cavallo.
“Dove andate ora?” sbottó, aggrottando la fronte.
“A Versailles.”
“Non rimanete a cena, almeno, dopo tutta questa strada?”
“La vecchia matrona se ne va, Rossignol.” Esplodendo in una risata argentina, D'Artois scosse la testa. Non era nient’affatto offeso, ma Rossignol temeva che non avesse nemmeno compreso nulla della loro discussione — o peggio. “Ero solo venuto ad accertarmi che non foste troppo malinconico.”
“Dovreste davvero pensare di meno ai miei affari e preoccuparvi di più di vostra moglie, sapete?”
Già dandogli le spalle, il conte stava ancora ridacchiando.
Rossignol si chiese se fosse ubriaco, o disabituato all'aria della campagna; sì, doveva essere il vino.
“Quella puritana? Via, Rossignol. Statemi bene, e vedete di non tornare quando saremo tutti morti per la noia.”

 

#

 

Fu in una mattina di primavera inoltrata quando, rientrando dalla passeggiata mattutina, Rossignol si vide correre in contro la figura affannata di Remis, la coda ornata di pizzo della giacca blu che svolazzavano dietro di lui.
“Monsieur!” chiamò, con il respiro pesante e i capelli rossi così scompigliati che sembrava essersi appena alzato dal letto.
Rossignol sorrise tra sé, divertito da tutta quell'agitazione di prima mattina, e spostò tutto il peso sul bastone da passeggio in una posa rilassata.
“Buongiorno Remis.”
“Monsieur, vi ho cercato ovunque.”
“Mi sono alzato presto; sono arrivate delle lettere da Parigi?”
Remis annuì.
“Svariate, signore,” rispose, “Una di Sua Grazia il conte d'Artois, un gran numero di lettere di credito e una di Sua Altezza il Principe di Waldeck-Pyrmont.”
Rossignol, fingendosi stupito, inarcò un sopracciglio.
Scherzare era l'unico modo per placare il battito incontrollato del suo cuore ogni volta che riceveva una lettera dal Principe T., e l'unico modo per esorcizzare quella diabolica sensazione era prendersi gioco dei natali poco chiari del suo corrispondente.
“Giorgio II ha finalmente riconosciuto la perversione del suo seme e mi ringrazia per la mia pazienza, quindi!”
Remis, preso alla sprovvista, boccheggiò senza sapere bene cosa rispondere.
“Signore, io credo che vi siate sbagliato,” mormorò, con le guance imporporate, “si tratta del Principe T. di Waldeck-Pyrmont.”
Scoppiando in una risata, Rossignol batté una pacca sulla spalla di Remis. Era tutto ossa, ma non vacillò nonostante l’espressione di leggero panico che gli stringeva le labbra e rendeva i suoi occhi chiari ancor più tondi.
Per qualche motivo, che era stato definito in ugual modo riverenza e paura, Remis era teso quando si trattava delle relazioni di Rossigol, così come si rifiutava di confidarsi con il proprio padrone sull’argomento: pur essendo oltremodo curioso, Rossignol aveva abbastanza a cuore il ragazzo da non punzecchiarlo troppo, anche perchè suo padre non si sarebbe disturbato a procurargli un nuovo valletto.
“Molto bene. Altro?”
“No, nulla.”
“Madame Dorianne mi ignora ancora, dunque. Cosa fare con una donna così ostinata? Tu cosa faresti, Remis?” prima di che il ragazzo potesse rispondere con una serie di balbettii, vedendo che era già rosso sino alle orecchie, Rossignol ridacchiò, “non fa niente. Stavo scherzando.”
“Io— Io non—”
“Non devi rispondere, davvero: portami la lettera del principe nella stanza da disegno, le altre lasciale sullo scrittoio,” ordinò, “e dì in cucina di preparare la colazione. Leggerò mentre mangio.” 

Il principe T. di Waldeck-Pyrmont era senza alcun dubbio uno dei figli bastardi di Giorgio II, o forse addirittura di sua moglie Emma di Anhalt-Bernburg-Schaumburg-Hoym, eppure chiamava con una certa disinvoltura Marie Antoinette “cugina”.
Ciò rendeva piuttosto facile a chiunque della sua cerchia più ristretta farsi beffe di lui, seppur scherzosamente.
Tuttavia, dati i loro trascorsi, Rossignol era così impaziente che persino la voglia di scherzarci sopra, che pure come si è detto serviva a mascherare almeno un po' la sua agonia, non durava mai troppo.

 

Mio Caro amico,

Come da voi consigliato, mi sono recato a visitare Madame Dorianne.
Speravo che la vostra Madame, i cui prodigi e bellezza tanto mi sono stati decantati, potesse alleviare i miei dolori e donarmi qualche ora della stessa pace che, in lei, dite di trovare voi.
Non vi nasconderò, amico mio, che ne sono uscito molto deluso.
Non vi elencherò i pregi di quella donna affascinate, che certo sono molti e che ben conoscete anche senza che io sprechi righe a riguardo, tuttavia nulla di ciò che ha fatto mi ha potuto distrarre. Sconvolgente, davvero, e temo di essere io per primo stupito e preoccupato per ciò che è accaduto. Lei, impiegandosi con quelle che sono invero arti sublimi, non ha smosso in me quello che voi avreste potuto con il semplice utilizzo della voce.
Le sue arti, utilizzate in modo suppongo alquanto grazioso, non competono in alcun modo con la vostra sola presenza.
A lungo ho meditato su una soluzione.
Ebbene, ho
e avete avuto la riprova del mio cuore fedelissimo.
Quindi ora vi chiedo se, e quando, tornerete. Verrete, forse, ad accertarvi che non mento, e che la più decantata bellezza di Parigi non può che farmi sorridere di pietà?
Vi sfido, dunque, provatemi in errore.
Dite che sono il vostro confessore, ma per una volta siate voi il mio, o fate ciò che dovreste fare secondo il ruolo che vi siete attribuito e tentatemi, ma non credetemi mal disposto nei confronti della nostra, ora, comune amica: tornerò a visitarla, anche solo per riparare al danno che il mio inamovibile compare deve aver arrecato alla sua povera autostima. Aveva una certa luce dispiaciuta negli occhi che sembrava un angelo: ne sono stato commosso. Se non più spesso amante, spero di essere per lei un buon amico.

Anche se, ne sono ormai certo, poco potranno le sue abilità nei confronti di un corpo cocciuto che, fin'ora, altro non aveva conosciuto se non la fuggevole euforia dell'infatuazione. Attenderò quindi la vostra risposta in merito alla mia offerta. Sono certo che saprete leggere fra le righe. 

T.
Principe di Waldeck-Pyrmont

 

 

Rossignol, a quel punto, aveva le guance bollenti per l'imbarazzo e poteva dirsi ufficialmente fuori di senno e intenzionato a non rientrare mai più — o il più presto possibile, non ne era certo. Nemmeno lui sapeva con precisione definire quanti pensieri gli affollassero la mente, in quanto essi erano molteplici e della natura più disparata.
Certo, mai avrebbe immaginato un tale fallimento.
Dimentico di avere una gran fame, dispose immediatamente di far ripulire il tavolo: nonostante avesse davanti svariate portate ed il miglior Sangue di Giuda che si potesse reperire, la lettera del principe aveva avuto lo sbalorditivo effetto di fargli passare ogni appetito.
“Distribuite la selvaggina ai cani di mon frère,” commentò, con un distratto gesto della mano in direzione dei vassoi di carne ripiena, “il resto gettatelo, non mi interessa.”
Ignaro delle parole sussurrate dai domestici e della reverenza con cui riportavano il cibo da dove era venuto, Rossignol si mise immediatamente allo scrittoio.
La situazione era più grave di quel che sospettava, questo era evidente, ma come porvi dunque rimedio?
Aveva già presumibilmente offeso Madame Dorianne, e improvvisamente la sua mancanza di corrispondenza quella mattina aveva un nuovo significato, quindi il ragazzo si trovava a corto di idee.
Si morse il labbro, intingendo una delle piume nel calamaio di giada. Perchè, si chiedeva, in una situazione così terribile si sentiva quasi sollevato?
Conoscendo la risposta, ma risoluto ad ignorarla, Rossignol chinò la testa sulla lettera e scrisse fino a che non sentì dolere la mano.

 

Mio caro Principe, 

Non capisco come sia stato possibile.
Quando Remis mi ha consegnato il vostro messaggio ne sono rimasto molto stupito, ma forse lo debbo alla mia ingenua volontà di reindirizzare la nostra questione.
Tuttavia, dovevo aspettarmi che non avremmo fatto altro che ferire la povera Madame, poiché se si vuole Gezabele non si trova certo conforto nella purezza di Rachele. Mi vergogno di avervi mandato da lei, ora. Siete il primo uomo che sento felice di non esser stato soddisfatto da una donna: amico mio, lasciate che vi dica che non sapete cosa vi perdete.
Ma riguardo ciò che mi chiedete, se come ben sapete il diavolo è stato un tempo un angelo, questo è il momento ideale per redimermi e dirvi che no, non ho intenzione di tentarvi. Non lo farò e non ne ho il desiderio.
Quanto accaduto non cambia ciò che ho detto, che ho sostenuto, e che sostengo ancora: non provo nessuna pietà per questa vostra ossessione, nessuna speranza o flebile luce. Vi auguro di liberarvene al più presto.
In quanto alla mia, lo seppellisco qui, vedete, e qui rimarrà, insieme a qualsiasi desiderio io possa serbare nel volervi vedere.
Vi prego, se tornerete da lei, di portare i miei migliori saluti a Madame Dorianne.

Il vostro caro amico,
Rossignol

 

#

 

 

La cosa che più di tutte stupì Rossignol fu quella di non ricevere alcuna lettera da parte del principe T. nelle settimane seguenti.
Sulle prime sospettò di averlo scoraggiato, e l'idea ebbe sulle sue giornate un effetto rasserenante, ma dopo quasi un mese di silenzio l'idea di essere stato dimenticato lo tormentava. Se aveva alloggiato in campagna con l'idea di poter raffreddare l'interesse del principe, ora era terrorizzato dall'idea di essere riuscito nel proprio intento. Ben presto, le passeggiate e le composizioni non gli diedero più alcun sollievo. Nonostante si divertisse molto a prendersi cura dei cani di Guy e degli stalloni di famiglia, v'era sempre una parte della sua mente che piangeva la mancanza della corte.
Non mancavano mai le lettere da Parigi
— alcune persino da Madame Dorianne, che non si era poi tanto irritata per il pasticcio con il principe quanto che Rossignol non le avesse detto che l’uomo era sinceramente e seriamente innamorato di lui ma nessuna lo interessava. Una stringa di lettere nere su carta pesante, niente di più.
Ursule, alla quale aveva imputato di essere la causa di tutta quella situazione, gli aveva risposto con il più breve e offensivo fra i biglietti.

“Rossignol, via. Non vi facevo tanto ingenuo. Sappiamo tutti cosa sta accadendo fra voi e una persona di cui non farò il nome, e non posso credere che stiate davvero combattendo una battaglia tanto sciocca.
Smettetela di rendervi ridicolo e tornate.”

Rossignol non aveva risposto, stringendo il biglietto nel pugno tremante. Se solo Charlotte non fosse mai esistita, se solo non avesse mai avuto bisogno di quella vincita, se solo non fosse nato così privo di malizia. Se solo non fosse nato affatto. Se solo.
Alla fine, la soluzione si presentò alla porta del giovane sotto il caldo sole estivo di mezzogiorno.
Come ogni mattina, Rossignol aveva impiegato il tempo in una lunga passeggiata, alle quali oramai poteva raramente rinunciare. Quel giorno, però, invece di trovare il solito via vai di servitori e nobili vicini venuti in cerca di compagnia, il ragazzo si trovò davanti un paesaggio desolante.
Nessun uomo, ragazzo e cameriera si stava prendendo cura del giardino, nessuno portava cibo ai cani da caccia nel canile né si sentivano le esclamazioni dei visitatori giunti durante la sua assenza che erano, come d'uso, intrattenuti con una visita alle stalle e ai giardini all'Italiana. Rossignol, aggrottando la fronte e guadagnando a due a due i gradini che lo separavano dal portico esterno della villa, entrò in casa senza curarsi del bastone e dei tacchi che risuonavano nell'atrio di marmo ad ogni suo passo.
Ciò che vide, per un attimo, lo lasciò a bocca aperta.
Quella che fino a qualche ora prima era stata una casa di campagna finemente arredata sembrava un luogo infestato da spettri; gli specchi erano coperti da pesanti drappi bianchi, così come i massicci candelabri e gli scrittoi dell'ingresso. Coloro che solitamente erano fuori stavano ora trascinando grossi bauli lungo i corridoi e giù per le scale, causando un fracasso assordante di oggetti e stoviglie spostate.
“Monsieur!” si sentì chiamare.
Nonostante quella voce stridula non gli fosse familiare, Rossignol voltandosi riconobbe a stento un servitore nero vestito, allampanato, con una parrucca ingiallita ben calcata sulla fronte lucida. I suoi occhi piccoli e scuri sembravano guardare da due parti completamente opposte.
“Monsieur de Gramont,” il servitore si inchinò profondamente “Sono Du Lac, il segretario di vostro padre. Lieto di fare la vostra conoscenza, anche se mi duole che ciò avvenga in tali circostanze.”
Rossignol, nuovamente, aggrottò la fronte e strinse la presa sul bastone da passeggio. Non aveva alcun interesse nelle presentazioni, né nel nascondere il tono severo della propria voce.
“Che diavolo sta succedendo in casa mia, monsieur?”
L'uomo, sollevandosi, gli rivolse un sorriso imbarazzato.
“Eseguiamo gli ordini di monsegneur il duca de Gramont, monsieur, in gran fretta.”
A quelle parole Rossignol non potè nascondere una breve risata di sdegno, inquadrando l'intera stanza preparata per essere abbandonata nel giro di poche ore.
“Questo lo vedo,” replicò, “perchè Papa non ha scritto? Avrei provveduto io stesso senza costringervi ad un tale viaggio.”
“Non riteneva fosse necessario, monsieur. Richiede il vostro ritorno immediato a Parigi.”
Rossignol di malavoglia, annuì. Non aveva intenzione di prolungare la conoscenza di Du Lac, con la sua esse che assomigliava marcatamente alla lettera effe e gli occhi storti e maligni, e non v'era alcun modo di contravvenire agli ordini.
La casa era ancora sua e Rossignol, che era l'unico figlio a non essersi ancora affrancato dalla figura paterna, si sentì le guance bollenti per l'imbarazzo.
Com'era stato stupido a credersi libero.
“Papa sta forse male?”
“No, monsieur,” ancora con il sorriso dipinto sul viso unticcio, il segretario accennò alla stanza. “Desidera avervi a disposizione con l'avvicinarsi della data di vostra sorella Josephine.”

Ah, pensò il ragazzo, ora tutto ha un senso.

Suo padre difficilmente si sarebbe allontanato dai dolci piaceri dei bordelli parigini per andare a far visita ad una partoriente, ed entrambi sapevano che Madame de Gramont non si sarebbe mai messa in viaggio, così mandava il figlio minore a salvaguardare le apparenze. Tutto ciò era fastidioso, naturalmente, ma Rossignol non poteva che obbedire; dopotutto, accettava di buon grado una scusa per far visita alla sorella.
Du Lac si sfregò le mani, senza nascondere una certa fretta.
“Ho mandato a chiamare una fiacre per riportarvi a casa. Io supervisionerò, se lo permettete, la berlina che porterà a Versailles i vostri bauli.”
“Prima vorrei disporre alcune lettere per annunciare il mio ritorno, se non è un problema,” dichiarò Rossignol. Tanta arroganza, tanta fretta di chiederlo fuori da casa propria gli facevano ribollire il sangue. “Fate aspettare la carrozza.”
“Monsieur, vostro padre ha dato ordini precisi.”
“E sono anche coperto di fango, monsieur Du Lac. Non vorrete certo che mi mostri a corte senza essere presentabile, rovinerei la mia reputazione.”
Con un sorrisetto il ragazzo passò oltre il segretario, ben felice di distogliere lo sguardo da quell'essere sgradevole alla vista e all'udito. No: se doveva davvero andarsene, l'avrebbe fatto a tempo debito.
“Ma, monsieur—”
“Mettetevi comodo, non partiremo prima di questa sera.”
Se non altro, si disse nel salire le scale, presto avrebbe ottenuto una vera risposta alle lettere mancanti del principe T. e a quello che “tutti” sembravano già sapere. Prima, però, doveva sollecitarlo ancora una volta per iscritto, nella speranza di non lasciare nulla di intentato.
Magari, nel frattempo, avrebbe trovato una cameriera di bell'aspetto e buon carattere che fosse disposta ad abbandonare quella sciocca idea del trasloco per fargli compagnia nella vasca.

 

Mio caro amico,

Principe e mio confessore. Mi domando quale peccato abbia commesso per ottenere un sì severo silenzio.
Vi ho offeso in qualsiasi modo?
Confesso che inizio a preoccuparmi per il vostro benessere, in quanto prima di oggi le vostre missive sono state un puntuale sostegno in questo mio esilio che, per quanto ristoratore, si è rivelato più noioso del previsto. Per quel che mi riguarda, sto guardando ora ad una casa spettrale dove tutti i mobili sono coperti da bianche tovaglie di lino. I domestici stanno chiudendo cassetti e imposte in questo esatto momento.
Posso dire forse: sto tornando? Sì, e ne sono felice. É vero, inoltre, che sono impaziente di vedervi.
Vi prego di perdonare l'insistenza con cui ho sollecitato una vostra risposta ma, vedete, non sono avvezzo a dover pregare per poter godere della vostra compagnia. Vi riceverò con grande gioia appena sarò tornato a Versailles, domani: ho molte cose da raccontarvi di persona.

Rossignol.

 

Non si può dire che gli fosse risultato difficile scrivere quell'unica lettera, che Rossignol aveva avuto cura di spedire ben prima della partenza e di assicurarsi della sua corretta consegna, ma il ragazzo in verità non aveva alcun desiderio di affrontare altre questioni di simile natura una volta tornato a Versailles.
Queste, per esempio, coinvolgevano un altro spasimante che il ragazzo aveva poca, per non dire nessuna, voglia di fronteggiare vis-à-vis: i sentimenti di D'Ovigny, che tanto cortesemente erano stati espressi ma non coltivati da una corrispondenza frequente, tornavano a tormentare Rossignol prima di chiudere gli occhi. Non solo erano essi profondi e prodigiosi, ed erano stati in virtù di tale natura precedentemente ignorati, ma il giovane poteva comprenderli con una chiarezza che lo costringeva a diventare complice della sua sofferenza.
Tradire le aspettative di D'Ovigny era, per Rossignol, motivo di grande dispiacere. Come se non bastasse il coinvolgimento del conte d'Artois rendeva la questione ancora più delicata.
In realtà, è sbagliato dire che Rossignol provasse vera e propria pietà per Alain. Il ragazzo si chiedeva, piuttosto, come potesse mai questo gran molosso d'uomo, con le spalle larghe, il mento fiero, il portamento principesco, essere manovrato con siffatta bravura dall'esile fratello del re, che per infantilismo e gioie puerili era pari, se non peggio, alla spensierata Antoinette.
Dopo la sua breve visita, Rossignol era arrivato a credere che per d'Artois fosse uno spasso tormentarli tutti ma, d’altra parte, il giovane non aveva potuto far altro che rispettare le promesse strette prima di partire.
Non aveva forse dato parola di riprendere l'incontro mai avvenuto con il Duca di Ort-sur-mer, fra le altre cose? Ormai non aveva altra scelta che onorare tali accordi.




Note:

Hi guys ❤️
Niente, siamo oltre la metà di questa mini-long (i capitoli sono 9) e quindi volevo spargere un po' di kudos e amore e ringraziamenti. Questa stupida cosa, che ovviamente va imputata ad un viaggio a Parigi ma anche a quello a San Pietroburgo (inizialmente T. doveva essere russo 😭), sta ricevendo più amore di quanto mi sarei aspettata. Grazie, grazie e grazie <3 
E niente, Rossignol ha le idee chiare mi dicono. #JeSuisUnDisagio
Torno nel buio e niente, è un piacere essere arrivati al giro di boa con voi e spero non faccia troppo skiff! ❤️


 
   
 
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