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Autore: little_psycho    02/06/2019    2 recensioni
Bellamy un tempo ci aveva creduto, che le scelte che si compiono per sopravvivere non definiscono chi sei realmente. L’aveva detto Clarke, e Clarke diceva sempre la verità.[…] Di nuovo, gli sguardi vacui gli ricordavano che le scelte che si compiono per sopravvivere rimangono attaccate come una seconda pelle, un morbo che mangia tutto il buono e lascia un estraneo sfigurato dai rimorsi. Sono l’unica cosa che ti rimane, in fondo.
spoiler!6s5e| Bellamy!Centric | hint!Bellarke | Bellamy & i suoi demoni, praticamente
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le scelte che compiamo


 
Bellamy un tempo ci aveva creduto, che le scelte che si compiono per sopravvivere non definiscono chi sei realmente. L’aveva detto Clarke, e Clarke diceva sempre la verità.
Adesso pensa al nulla che era diventata Octavia e al suo sguardo spezzato nella foresta, e capisce che le scelte che si compiono per sopravvivere sono le uniche che fanno uscire fuori il mostro che si ha dentro. Clarke era diventata un mostro dopo Murphy e prima di Octavia, ma non realmente. Aveva sacrificato la sua umanità per il Bene Superiore, e lui gliel’aveva lasciato fare. Si era fatto proteggere tutta una vita da donne più forti di lui – sua madre, Clarke, Octavia, Echo – pur di non dover affrontare il mostro che aveva dentro.


                                  
Sua sorella era diventata il demone da sconfiggere, la paura, ubriaca del sangue nemico e di follia. Rideva, spiritata come la morte o come gli occhi di Becca, mentre la fattoria di Monty bruciava e nel bunker le pire dei cadaveri si alzavano fino a toccare il soffitto. Come l’imperatore dei racconti di sua madre, Nerone, che suonava la lira durante il grande incendio di Roma, per accusare delle persone innocenti e condannarle al rogo. Forse anche Octavia avrebbe fatto la sua stessa fine, decapitandoli come una regina pazza. «Mia sorella è morta.» le aveva detto, per auto convincersi che non ci fosse più niente da salvare, per rassicurarsi che le sue scelte fossero giuste, che non ci fosse nessun mostro oltre Octavia. Chissà come faceva Clarke, a dormire sui nomi delle persone che aveva sacrificato; chissà com’era stato, vivere per sette anni in un mondo morto e con l’eco dei fantasmi a perseguitarla, sfogando la solitudine su una radio che non le avrebbe mai risposto. Bellamy l’aveva lasciata, conscio che sarebbe bruciata per le radiazioni, ma la sopravvivenza dei molti conta più del singolo. Se l’era ripetuto per sette anni, mettendo a tacere il mostro avido di sensi di colpa.


 
Pike era stata – l’ennesima – scelta fatta in onore della sopravvivenza. Lincoln era morto da eroe, stoico e con una pallottola nella testa, immolandosi per la salvezza degli altri. Bellamy aveva dato fiducia a un uomo che prometteva il mondo – Clarke lo aveva tradito, se n’era andata, chi altri avrebbe potuto seguire? –, solo per commettere un’altra carneficina.
Pensava di essersi macchiato l’anima per il Bene Superiore, ma si era sbagliato. Clarke inseguiva i giusti ideali, lui era solo una pallida imitazione.



Bellamy sa della carne umana nel bunker, sa che sua sorella non ha tutte le colpe – all’inizio si era ripetuto che era stata manipolata, ma non aveva lavato via i peccati –, sa che Abby prendeva delle pillole e che Kane aveva provato a ribellarsi troppo tardi.
Di nuovo, gli sguardi vacui gli ricordavano che le scelte che si compiono per sopravvivere rimangono attaccate come una seconda pelle, un morbo che mangia tutto il buono e lascia un estraneo sfigurato dai rimorsi. Sono l’unica cosa che ti rimane, in fondo.
Diyoza e Octavia l’avevano capito, avevano la schiena dritta e gli occhi un po’ meno morti, si facevano mangiare dal mostro e dalle scelte e dai nomi dei morti, ma non dal senso di colpa. Bellamy, invece, per ogni respiro che emette chiede scusa. Vive a discapito di altre persone, gli si inumidiscono gli occhi e vorrebbe rannicchiarsi fino a sparire. Eccola la differenza tra lui, Clarke, Octavia e Diyoza: lui non sa essere un mostro. Ma lo è lo stesso, e non c’è cosa peggiore.


 
Bellamy non ha ucciso Monty e Harper, no. Qualche volta sulla coscienza pesa la scelta di Jasper – che senso ha vivere, se non si fa altro che sopravvivere? Aveva ragione, come suo solito. Aveva visto la verità prima di tutti quanti, ma adesso c’erano troppe cose in ballo per una via di fuga bella e comoda come la morte.
Però vorrebbe proteggere Jordan, così giovane e innocente. «Abbiamo davvero guardato una persona morire?» aveva sussurrato davanti al microscopico pezzettino di orrore che portano le scelte che si compiono per la sopravvivenza. Jordan era solo un Monty con ancora il sorriso sul volto e gli occhi vivi, niente a che vedere con la distanza di Clarke e il ghigno stanco di Murphy. Monty aveva scartato storie insanguinate per altre più tranquille, serene ninna nanne per un bambino che non avrebbe dovuto conoscere la violenza. Anche lui si era sforzato allo stesso modo con Octavia, ma non era servito a niente. Quando la morte ti segue come un’ombra, non c’è vita che tenga.


 
Sanctum era stata la speranza uscita da un sogno, una favola colorata come il Sole Rosso e i vecchi vestiti di Octavia – quando Blodreina sarebbe potuta passare per uno scadente racconto e lei si nascondeva sotto al pavimento. Era svanita anche quella, e lui si era sentito un illuso per aver creduto in un lieto fine. Murphy era rimasto impassibile davanti a quella ragazza morta e Clarke aveva scrollato le spalle, forse con i tempi di Wanheda che le passavano davanti agli occhi, e aveva risposto che non era altro che sopravvivenza. “Quanti ne abbiamo uccisi noi, Bellamy? Non esistono cose come i buoni e i cattivi.” Lo sapeva, eppure era ancora legato alla flebile idea che potessero essere loro, i buoni. Ovviamente, come potevano salvare Sanctum, se riuscivano solo a distruggere?
Forse avrebbero raso quei bellissimi edifici barocchi al suolo e avrebbero bruciato quegli eleganti vestiti colorati – tutto per la loro sopravvivenza. Sarebbero scappati alla volta di un altro pianeta, oppure si sarebbero ibernati per altri cent’anni. Bellamy avrebbe voluto dormire fino alla morte, con quei sogni scuri senza immagini. Capita che si domandi perché stiano continuando a lottare per sopravvivere, quando tutto quello che resta sono dei fantasmi dilaniati dalla guerra.


 
«La felicità sta bene su di te, Clarke.» Almeno su quello non mentiva a se stesso.
Clarke aveva passato l’esistenza a sentirsi in colpa per qualcuno – suo padre, Walls, Finn, Lexa, volti senza nome –, non erano così diversi. Sente una punta di gelosia quando la vede ballare e sorridere. Non con lui, certamente, Bellamy portava distruzione, non Clarke, lei era solo sfortunatamente finita nella sua traiettoria. Aveva le mani lorde di sangue nascosto, perché era anche un codardo che scappava dalle scelte fatte.
Ma Bellamy pensa di poter aspirare alla misericordia, nonostante Clarke e John siano convinti di avere già un posto prenotato all’inferno. «C’è spazio per tutti e due, Murphy.» aveva detto monocorde la ragazza, mentre l’altro sollevava la bottiglia per festeggiare la loro dannazione. Forse sono masochisti, forse vogliono espiare i loro peccati, Bellamy fa finta di non capire, continua imperterrito a convincersi di avere ancora un’anima.


 
Esistono sicuramente anche delle scelte per far sopravvivere se stessi – quello che rimane, s’intende, le braci di un fuoco che era divampato troppi anni e morti prima – al peso dei propri sbagli. Devono esistere dei sistemi di difesa, degli allarmi che scattano per farti alzare le barricate e allontanare il dolore. Vorrebbe credere che Octavia abbia fatto la stessa cosa, ma non vuole pensare a lei. Non vuole mai pensare a lei, perché non sarebbero altro che continue pugnalate al petto, e vorrebbe davvero conservare quell’agglomerato di pentimento e stanchezza che è.
«Ti sei divertita con il dottore?» Non vuole essere cattivo, o malizioso, non vuole farla sentire in colpa per essere stata felice – ma forse dovrebbe, no?
Lo chiede da amico, da unica persona che in fondo capisce la portata delle azioni fatte per sopravvivere. Raven non se ne era addossata la responsabilità neanche una volta, però urlava contro Clarke, furiosa per non capire qualcosa più grande di lei.
«Quando sei tu al comando le persone muoiono.» Parole dette più di cento anni prima, tecnicamente, ma la brutalità è ancora lì, a portata di mano, perché è la verità. Una verità assoluta, tremenda, schifosamente reale. Perché sì, quando è Clarke a compiere le scelte per farli sopravvivere – più il tempo passa e più Bellamy capisce quanto Jasper avesse ragione, finiranno per auto distruggersi fino alle ceneri e con loro l’Universo, dannato vivere, chiudere gli occhi e morire sarebbe così facile – ci vanno sempre persone innocenti per mezzo. Eppure, eppure in qualche modo strano e al limite tra il miracolo e la condanna, loro la scampano.
Conosce le rughe di preoccupazione vicino agli angoli della bocca sottile di Clarke e ai suoi occhi chiari, la linea dura che si forma sulla fronte e il nervosismo che le attraversa la mano in un tic involontario quando è sotto pressione – sempre.
«Rilassati, andrà bene.» non è una frase minimamente contemplata nel suo vocabolario, soprattutto se si tratta della sua unica apparente ragione di vita, una ragazzina magra dagli occhi saggi che sanguina nero.
E nonostante sia la Wanheda, sia il mostro senza cuore descritto da Raven, sia il fiero leader dei racconti di Jordan, Bellamy ancora si arrovella sulla sua indifferenza, sul fatto che loro non siano d’accordo. Sono fatti della stessa sostanza, lo sa. Cosa siano esattamente no – distruzione? Però potrebbe essersi sbagliato fino a quel momento: dopo essere sopravvissuti a tutto dovrebbero essere l’apoteosi stessa della vita –, ma sono complementari, un po’ come i consoli dell’antica Roma. Il potere diviso per due, in modo che non ci fosse una sola persona troppo forte – sorride pensando all’inizio, quando «facciamo il diavolo che ci pare.» era ancora un’ipotesi contemplabile e lei già vedeva con quello sguardo da veggente la desolazione che sarebbe arrivata presto.  
Sono diventata la Morte.» era stato il responso oracolare. E Bellamy con lei, fino alla fine del loro mondo e di tutti quelli a seguire.)
 Perciò lui sa, in quel modo totalizzante in cui si odia o si ama, che lei non è Clarke. Non lo è, e l’idea che lei abbia sofferto quanto quella povera ragazza nel video che Jordan aveva trovato lo blocca, gli fa provare la paura che si ha davanti all’abisso.
La prende in disparte e non ci sono le rughe di preoccupazione di chi è invecchiato sotto il peso delle scelte, non c’è il tremolio della mano e se le chiedesse di Madi probabilmente alzerebbe un sopracciglio e scrollerebbe le spalle. Dovrebbe avere un piano, un mezzo di difesa, avrebbe dovuto almeno parlare a qualcuno dei propri dubbi, si sente vagamente un coglione per aver bollato le preoccupazioni di Jordan come paranoie di una prima cotta. 
Alla fine la affronta di petto, senza piani B o C, lasciando stare i giochetti mentali che sono tutta farina del sacco di Clarke – se non fosse così preoccupato per lei glieli rinfaccerebbe solo per far sentire tutti e due un altro po’ più vermi.
«Lei è morta.»
Non c’è pietà, falso rammarico, solo un sorrisetto crudele.
Sente la puntura di una siringa e il corpo che si paralizza, le mani fredde e sudate e un senso di abbandono totalizzante, come se gli avessero staccato una gamba.
 




 
 
Notes
Premettendo che seguo troppe serie TV ma raramente bazzico tra  le fic su di loro, non ho proprio idea di che aria tiri da queste parti!
Ho considerato tutta la storia come un riassunto molto approssimato e introspettivo di come Bellamy si sia sentito attraverso le stagioni. Di come sia cambiato psicologicamente da sembrare irriconoscibile rispetto all’inizio. Ammetto che la piega che sta prendendo nella sesta stagione non mi sta facendo impazzire, ma credo che potrà migliorare nel corso dei prossimi episodi – lo spero.
Inizialmente doveva essere più che altro un hint!Bellarke, ma verso la fine hanno letteralmente preso il controllo, quindi li ho lasciati fare. Anche perché Bellamy e Clarke sono i due più affini, almeno da come è messa la situazione in questo momento. Ma che dico, da sempre.
Riguardo alla caratterizzazione sono moderatamente sicura di non aver combinato un completo disastro – miracolo! –, ma non so, ho come l’impressione di essere state troppo ripetitiva, perché volevo ricalcare a fondo il concetto  principale, come Bellamy fosse sceso a patti con le sue scelte. Male.
Spero che vi sia piaciuto questo piccolo esperimento! Un’opinione in merito è sempre ben accetta!
little_psycho
   
 
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