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Autore: Shade Owl    03/06/2019    2 recensioni
Orlaith Alexander ha scoperto di non essere solamente una violinista estremamente dotata, tanto da guadagnarsi un esclusivo contratto con la Lightning Tune Records, ma anche di avere dei poteri incredibili, legati alle sue emozioni e alla sua musica. Tutto ciò però ha attirato le mire di potenti stregoni che hanno tentato di usare il suo potere per scopi malvagi, cosa che l'ha obbligata a lottare per salvare se stessa e le persone a cui vuole bene.
Quasi un anno dopo questi avvenimenti, la vita scorre tranquilla per lei, ormai lontana dalle luci della ribalta e dalla magia, e il suo unico obbiettivo è laurearsi e diventare una persona come tutte le altre, dimenticando il proprio dono, troppo pericoloso per essere usato con leggerezza.
Tuttavia, Orlaith ignora gli eventi che, in un luogo lontano, sono già in moto e che presto la raggiungeranno, portandola a scoprire un mondo per lei tutto nuovo e pericoloso, ma anche le risposte che per molto tempo ha ignorato: da dove viene la sua magia? Cos'è lei, realmente? E perché non ha mai incontrato nessun altro con le sue capacità?
Ma soprattutto... saprà affrontare quello che le riserva il destino?
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Epic Violin'
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Orlaith sentì le mani perdere la presa. Archetto e violino scivolarono nella polvere. Le sue ginocchia tremarono.
Qualcosa le prese lo stomaco, di prepotenza. Un attimo dopo si ritrovò china su una scatola vuota abbandonata in un angolo, vomitando tutto quello che aveva mangiato quel giorno con gli interessi.

- Oddio...- gemette Annie, correndo da lei.
Fece per afferrarle le spalle, ma Orlaith, senza smettere di vomitare, allungò un braccio e la tenne a distanza, tossendo qualcosa di poco comprensibile.
David, ancora un po’ pallido, si rialzò in piedi, dimentico di essere coperto di polvere. Una volta tanto sembrava non importargli di essersi sporcato.
- Voi… cioè… fatemi capire.- disse lentamente, guardando Nightmare - Voi… ammazzate… quelli come lei?-
- Non è stata una scelta, signor Valdéz.- disse Nightmare - Anche voi, al nostro posto, avreste fatto qualcosa. Io non sono un uomo che si spaventa o che teme la morte. Non vengo sconvolto da decenni. La sola cosa che mi abbia smosso in tanti anni è stata quest’esperienza.-
- E lei… cioè… Orlaith…-
- Non ho la minima intenzione di torcerle un capello.- disse subito Nightmare - Ma dovrò riportare di averla incontrata. È il primo Trascendente che incontriamo dopo Zelith, e conosco qualcuno che vorrà saperlo.-
- E questo… qualcuno… cosa le farà?- chiese Annie.
- Non lo so.- rispose Nightmare - Onestamente, non lo so. Mi ha solo ordinato di riferirgli cose del genere, ma una situazione come questa è oltre il mio incarico.-
- Non è cattivo.- disse Rin, muovendo un paio di passi verso Orlaith, ancora a quattro zampe sopra la scatola - E non è un assassino. È solo molto preoccupato, e ha un po’ la… mania di sapere sempre tutti i problemi del mondo e di cercare di risolverli.-
- Quindi sono… un problema?- tossì Orlaith, strofinandosi la bocca col dorso della mano.
Rin sgranò gli occhi.
- No, io… non intendevo...-
- Siamo seri!- sbottò Orlaith, rialzandosi stentatamente, aggrappandosi alla parete - Mi hai appena detto che sono… un mostro! Sono un mostro, Nightmare!-
- Ho detto che lo era Zelith.- corresse lui.
- E tutti quelli venuti prima di lui!- gridò Orlaith, pestando un piede. Si sentiva improvvisamente una bambina capricciosa ma, onestamente, non le importava molto - Che cosa ti aspetti che faccia adesso? Vuoi il mio aiuto? Io non so nemmeno se posso stare con me stessa, adesso!-
Nightmare sospirò, scuotendo la testa.
- Non posso dirti cosa fare.- disse - Mi hai chiesto la verità, e te l’ho detta. Ciò che farai adesso dipende da te, e non parlo solo del Doplanker e di Allwood.-
Orlaith strinse le palpebre, inspirando molto a fondo. Sentiva ancora sulla lingua e in fondo alla gola il sapore acre della bile, mentre deglutiva più saliva del solito. Probabilmente stava per vomitare ancora.
- Io… devo uscire.- disse - Questo è… troppo per un solo giorno.-
- Orlaith...-
- No, Annie!- esclamò lei, indietreggiando di fronte al suo tentativo di avvicinarsi - No… stai lontana da me, per favore.-
Uscì senza una parola, mollando lì il violino e la borsa. David fece per andarle dietro, ma a un cenno di Nightmare si trovò la strada bloccata da Keith, che scosse la testa.
- Non è una buona idea, amico.- grugnì il Kolak.
- Lasciami passare, dentone!- sbottò il produttore, cercando (inutilmente) di scansarlo.
- David, lascia perdere.- disse Nightmare - Ha bisogno di stare sola.-
- Con quello psicopatico in giro?- esclamò lui, furioso, avvicinandosi a Nightmare con foga - Stai scherzando, bello? Lo sai di cosa è capace quello lì?-
- E sentiamo, tu come vorresti proteggerla?- chiese Keith, aggrottando la fronte - Urlandogli addosso?-
Lui aprì la bocca un paio di volte come un pesce fuori dall’acqua, senza sapere cosa rispondere. Annie scosse la testa a pugni stretti, gli occhi lucidi.
- Non possiamo lasciarla andare da sola…- mormorò.
- Non ho detto questo.- rispose Nightmare. Fece un cenno col capo, rivolgendosi a Nova - Non serve cercare il Doplanker, meglio se vai dietro a Orlaith. Non farti vedere.-
Lei annuì e uscì senza una parola, scivolando attraverso lo spiraglio della porta come se fosse uno spettro.
- Sicuro che non la noterà?- chiese David, accigliato.
- Sarebbe più facile notare una sanguisuga sulla schiena.- grugnì Keith.
- Oh, che bella immagine...- commentò Rin, sospirando.
- Va bene, ma ora che si fa?- chiese Annie - Restiamo qui ad aspettare che torni indietro?-
- Questo posto è compromesso.- rispose Nightmare, scuotendo la testa - Ci sposteremo altrove, Nova saprà ritrovarci. Ragazzo, prendi i bagagli. Rin, trova un’auto.-
- Io non so guidare.- osservò lei.
- Sì, per questo ti porti dietro lui.- disse Nightmare, indicando David - Signorina Carden, per favore, vieni con me. Abbiamo da fare anche noi.-

Orlaith camminò per ore lungo la strada illuminata solo dai lampioni, ignorando il freddo e il senso di inquietudine che normalmente le attanagliava lo stomaco quando attraversava certi quartieri Newyorkesi in piena notte. Perlomeno non era negli Heights…
La sensazione di stare di nuovo per vomitare si rivelò presto esatta, perché dopo appena tre isolati svuotò nuovamente il suo stomaco dietro un cassonetto. Mentre si puliva di nuovo con la manica decise di buttare quella maglia.
Quando fu sicura che i conati si fossero esauriti (o quantomeno che la pausa tra uno e l’altro fosse abbastanza lunga) si trascinò fino al parco. In realtà altro non era che una macchia di erba secca decorata da qualche scheletrico albero spoglio che faceva da fondale a un’altalena arrugginita e a un vecchio girello scolorito. Un gatto stava rovistando nel cestino poco lontano, e un paio di ragazzi facevano due tiri a canestro alla luce di un lampione nel campo di cemento in fondo alla strada. C’erano poche macchine a quell’ora, e rarissimi passanti, e nessuno di essi le era vicino.
Anche se qualcuno di loro avesse camminato lì accanto, o addirittura si fosse seduto con lei e le avesse parlato, non sarebbe cambiato molto: si sarebbe comunque sentita isolata.
Da quando aveva scoperto i suoi poteri si era sentita diversa da tutti, persino da Allwood che, malgrado i suoi difetti, era stato l’unica persona capace di capire la sua situazione. Tuttavia, lui stesso le aveva detto fin da subito che non esistevano altre persone con quel genere di capacità, che erano tutte sparite da molto tempo, ma non aveva saputo (o voluto) dirle di più. Beh, adesso sapeva perché.
Ora più che mai avrebbe voluto potersi confrontare con qualcuno, ma era proprio questo il problema: non c’era nessuno. Non poteva parlare con Annie e David, e non perché non avrebbero capito, ma perché ora più che mai aveva paura di se stessa e di quello che sapeva fare, e proprio per questo aveva voluto allontanarsi da loro. Inoltre erano troppo coinvolti in quella storia. E non poteva nemmeno parlarne con i quattro Xenonauti che erano piombati nella sua vita all’improvviso, visto che loro stessi avevano ucciso l’unico altro con le sue stesse capacità. Che, per inciso, era un mostro.
A sentir loro, tutti quanti erano dei mostri. Non avevano saputo rinunciare al potere, avevano preferito farsi massacrare e trucidare a loro volta chissà quante persone piuttosto che risolverla pacificamente, trovare un compromesso per evitare tutto quello spargimento di sangue.
Papà…
Le sovvenne solo in quel momento che esisteva ancora una persona in tutto il mondo a conoscere il suo segreto. Era forse l’unico che avrebbe potuto darle un parere sincero e disinteressato.
Per fortuna che teneva il telefono nella tasca dei jeans, o sarebbe rimasto con borsa e violino in quel rudere che Nightmare usava come nascondiglio. Connor rispose quasi subito, e a giudicare dalla voce un po’ ovattata stava mangiando.
- Pronto?- borbottò, la bocca mezza piena.
- Ehi, papà.- lo salutò Orlaith - Scusa, ti sto infastidendo?-
- Oh, tesoro! No, assolutamente… scusa un momento...- lo sentì bere qualcosa ed inspirare a fondo, doveva aver buttato giù un bel boccone - Scusa, troppa pasta. Dimmi tutto, piccolina… hai fatto fuori il mostro?-
Orlaith si lasciò scappare un mezzo sorriso: quando gli aveva detto che stava tornando a New York per uccidere una creatura non umana che faceva del male a persone innocenti non aveva detto granché, a parte di fare attenzione e di portargli un ricordino, ma aveva sentito comunque l’apprensione nella sua voce.
- No, io… la situazione si è complicata.-
- Non dirmi che ti sei fatta battere da un cosino come quello.- disse Connor - Tesoro, ho guardato quel video che ti ha mandato David… andiamo, è robetta, hai affrontato di peggio, no? E poi sei una Alexander! Noi siamo irlandesi! Non puoi farti mettere sotto da...-
- Papà… papà!- lo interruppe lei - Lui… non abbiamo ancora combattuto. È… è complicato, te l’ho detto.-
Connor sospirò, forse rassegnato.
- Va bene… allora spiegami cosa c’è che non va.- disse.
- Eh… cosa non va...- borbottò Orlaith - Allora… per prima cosa devi andare fuori città. Allwood… lui è ancora vivo.-
Lo sentì tossire, come se si stesse strozzando con la birra.
- Cosa?- esclamò - Ancora… è ancora vivo?-
- Sì… l’ho visto oggi, ma non abbiamo combattuto. E questa è la bella notizia.-
- Ti sembra una bella notizia? Tesoro, quello è un pazzo assassino!-
- Papà, credimi, Jayden è il minore dei problemi in questo momento.- sospirò - C’è… parecchio altro in ballo.-

Non seppe dire per quanto tempo rimase al telefono di preciso, ma i ragazzi che giocavano a basket finirono la partita e tornarono a casa prima ancora che lei avesse terminato. Come faceva spesso in quelle occasioni, Connor la lasciò parlare senza interromperla, aspettando di avere tutte le informazioni prima di fare domande.
- … e quindi adesso non so più cosa fare.- concluse Orlaith, scivolando un po’ sulla panchina - Insomma… sono a pezzi, capisci?-
Connor grugnì un assenso, pensieroso.
- Quindi queste… queste persone che hai incontrato… hanno paura di te?-
- Non lo so. Non m’importa.- rispose Orlaith - Papà… il problema è che io ho paura di me. Prima ero preoccupata che i miei poteri facessero del male a qualcuno, ma… insomma… adesso so che faranno del male a qualcuno… sono un mostro, papà!-
- Questo non devi dirlo mai.- rispose subito Connor - Mai. Chi se ne importa se… se ci sono stati migliaia di altri come te e se sono tutti stati dei… dei pazzi o chissà cos’altro. E chi se ne importa di cosa hanno subito delle persone che nemmeno conosci a causa di gente del genere. Tu sei tu, e non hai nulla a che fare con loro.-
- Ma io… non so cosa fare.-
- E vorresti che fossi io a dirtelo, vero?- chiese Connor - Beh, spiacente, tesoro. Sei una donna, e non ti dico più cosa fare da molto tempo, lo sai benissimo. E poi sei tu la supereroina, in famiglia… io sono solo un uomo normale con una figlia straordinaria. Il massimo che posso fare è appoggiarti, qualunque cosa tu decida, e ricordarti che sei speciale a prescindere dai tuoi poteri e dal tuo violino.-
Orlaith sorrise, appoggiandosi col braccio alle ginocchia.
- Grazie, papà.- disse - Ascolta… ora è meglio che vada. Sono in un parco di notte a Hell’s Kitchen, ho piantato in asso Annie e Dave e devo ancora sistemare questo casino… tu però vai via per qualche giorno, va bene? Almeno fino a quando non sarà sicuro. Jayden sa dove abiti .-
- Non preoccuparti per me, tesoro. Ci penso io a me stesso. Tu preoccupati per te.-
Si salutarono un’ultima volta, poi riattaccarono dopo un altro paio di reciproche raccomandazioni. Mentre rimetteva il telefono in tasca, Orlaith sentì un po’ della sua apprensione che scemava: non era ancora sicura di nulla, ma se non altro ora aveva un po’ meno paura. E poi, a voler proprio vedere un lato positivo in tutto questo, poteva dire di essere molto maturata, adesso: in passato sarebbe scoppiata a piangere per tutta la durata della conversazione. Ora si era solo lagnata un po’.
Un passo alla volta. Per ora torniamo indietro.
Non ne aveva davvero voglia, ma non aveva molta altra scelta. Che le piacesse o no, a prescindere da Nightmare, dal Doplanker e da quello che era successo in passato ai Trascendenti, Allwood era una sua responsabilità. Doveva occuparsi di lui, e poi… beh, poi avrebbe pensato a come sistemare le cose coi suoi poteri.
- Signorina Alexander?-
Sentendosi chiamare, Orlaith si voltò. Davanti a lei c’era un uomo con addosso un dozzinale completo marrone e una camicia sgualcita sotto un vecchio cappotto grigio. Dietro di lui c’era un’auto parcheggiata di traverso sul marciapiede con i fari ancora accesi e lo sportello aperto, come se fosse sceso di corsa.
- Detective Righetti, omicidi.- disse l’uomo, mostrandole un distintivo.
- Ah, sì… lei era...-
Si morse la lingua un secondo prima di dire “al parco”, dato che lei era arrivata quando Righetti era già svenuto. L’uomo comunque fece una smorfia, mettendo le mani sui fianchi.
- Lo può dire. Ero al parco, e anche lei.- disse - Ho controllato le telecamere del traffico, ho visto che andava via con quei quattro. So che eravate insieme.-
- Io… beh, non è illegale avere degli amici squinternati, no?- chiese.
- No, ma è illegale il favoreggiamento.- rispose lui - E so che avete tutti qualcosa a che fare con gli omicidi di Central Park.-
- Se con “qualcosa a che fare” vuole dire che le abbiamo salvato la vita sì, probabilmente ha ragione.- replicò Orlaith, piccata - Non siamo assassini.-
- Non serve. Lei è una testimone in un’indagine di polizia, e sta nascondendo delle informazioni.- disse Righetti, senza più sorridere - Le spiacerebbe seguirmi al distretto? Ho diverse domande per lei.-
- A dire il vero sì, mi dispiacerebbe.- rispose Orlaith, sempre più accigliata - Ho molto da fare, al momento.-
- Questo è ostacolare la giustizia.- disse l’uomo - E, adesso, posso obbligarla a venire con me. Che le piaccia o no.-
Ci fu un tintinnio metallico, e la violinista si accorse che nella sua mano erano comparse delle manette.

Una pessima giornata per Orlaith. E ancora non è finita. Ringrazio John Spangler, Easter_huit, Old Fashioned, Roiben e Arianna96r, che mi seguono. A presto!

   
 
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