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Autore: AdhoMu    03/06/2019    6 recensioni
Stessi occhi, stesso cognome.
Due cugini e nulla in comune.
Eppure...
Eppure, forse, qualcosa è rimasto.
*
Alhena e Bastian Macnair e la loro personalissima versione di "bene superiore".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Black Swan.
 
- Toh. Ma guarda un po’chi si vede.
Gli occhi della giovane donna si stringono leggermente mentre le sue iridi pallide – dolorosamente identificatrici di un patronimico che, quanto ad assonanze e trascorsi, di limpido non ha un bel nulla – mettono a fuoco la figura nerovestita, dritta come un fuso sulla soglia della sua residenza dublinese.
Non si chiede come abbia fatto a trovarla perché già da troppo tempo, con tutte le sorprese che la vita le ha riservato, raramente qualcosa riesce a stupirla davvero; si limita ad osservarlo, sicura del fatto che una spiegazione per questa visita assai poco probabile salterà fuori in men che non si dica.
Lui le restituisce lo sguardo e, vagamente divertito, piega impercettibilmente all’insù l’angolo sinistro della bocca. È costretto ad ammetterlo, una volta di più: ha sempre ammirato la sua sottile ironia e la sua prontezza di spirito e, anche se la soddisfazione non gliel’ha mai voluta dare e, quindi, non gliel’ha mai detto, la riconosce maestra indiscussa della nobile arte della strafottenza. Un’abilità che lui ha poi sviluppato e affinato con estrema diligenza, senza però dimenticare mai i primi rudimenti appresi in tenera età da quella creatura impossibile che, per uno di quei motivi inspiegabili di cui la vita è infarcita, porta il suo stesso cognome.
 
Si guardano per un attimo, lingue e corde vocali pronte a scattare, a punzecchiare.
Come due bambini.
Perché in fondo è a questo che si riassume il loro legame interrotto troppo presto, cristallizzato nel limbo dell’infanzia e mai più recuperato, con la dovuta profondità, una volta cresciuti. Non hanno altro cui aggrapparsi, non hanno basi comuni sulle quali riprendere il filo dei loro discorsi lasciati in sospeso. E così si arrangiano con quel poco che ancora costituisce uno dei loro rari e traballanti punti di contatto.
- Il Gran Ballo del re si tiene a Corte, Alexander – lo provoca bonariamente lei, piegando il capo in un mezzo inchino. – Temo tu abbia sbagliato indirizzo.
- Mi accontento dell’atelier di balletto bulgaro – replica lui, fissandola con alterigia.
- Ungherese.
- E sia. E prima che tu vada avanti – l’ammonisce in fretta, alzando una mano in una muta richiesta di tregua – sappi che non sono solo.
- Oh.
Lei si sporge in avanti, tende il collo sottile per sbirciare oltre la spalla rigida che le occlude la vista; e finalmente la vede, piccola ed esile, seduta sul muretto di mattoni con l’eleganza di una principessa.
- È tua...?
- La seconda. Si chiama Maya.
- Venite dentro, su.
 
Troppo segreti, troppa oscurità per una famiglia sola.
Era quasi inevitabile (ma senz’altro eccezionale, visti i natali) che ciascuno dei due avesse, ad un certo punto, cercato la luce. Quella di un astro splendente – ma pur sempre soggetto alle ombre scure dei nuvoloni notturni – lei; quella del caldo sole dei Tropici lui.
Eppure – e anche questa cosa, probabilmente, lei non l’ha mai sospettata – per un breve periodo la sua speranza di luce era stata lei. Un esiguo chiarore, insicuro e baluginante come quello di una stella nelle notti ventose, ma comunque capace di fendere con il suo brillìo l’oscurità densa della cupa magione dei Macnair, tetra ed opprimente come una prigione.
Cos’è quel muso lungo?
Il Signor Zio mi ha detto di fare il bravo.
La tua Signorina Cugina, invece, ti ordina di venire a giocare.
Una speranza troppo presto infranta dal passaggio rapido di due fanali sgangherati che se l’erano portata via senza possibilità di ritorno.
Una speranza che, però, ha lasciato una traccia in fondo al suo cuore; un’inconscia consapevolezza che in fondo, al di là di tutto, non l’ha mai abbandonato e che forse gli ha dato la forza, al momento giusto, di fuggire dal buio. Un ricordo mai del tutto sopito che l’ha spinto a cercarla, ora, dopo tanti anni; dopo non essersi incontrati che di sfuggita e aver scambiato non più di un cenno di saluto, un sorriso impercettibile, un’occhiata di rapida intesa.
Si accomoda quindi sulla poltroncina che lei gli ha indicato, facendo attenzione a non sgualcire la piega perfetta dei pantaloni.
- Leonard è una piccola palla di fuoco – esordisce.
Ha deciso di andare dritto al punto senza spendersi in inutili giri di parole. A che servirebbe? Restano troppe cose da dire e da risolvere, troppi bauli da scoperchiare; non si arriverebbe a nulla, non in questo momento.
- È tale e quale sua madre: esuberante, solare, caotico. Non mi ha mai impensierito.
- Non ti somiglia.
- No. E già lo so: è un Grifondoro fino al midollo, lo si vede lontano un miglio. Ama le scope e va matto per le bestie.
Lei annuisce; intanto, con la coda dell’occhio, osserva la bambina che siede quieta sulla punta del divano posizionato nella saletta attigua. È intenta a studiare una fotografia incorniciata, posata sul tavolinetto: le iridi verdi accarezzano le pieghe di tulle dei tutù, seguendo attentamente le linee sinuose dei corpi delle giovani ballerine ritratte. La vede muovere appena il piedino, al ritmo di un minuetto gioioso che lei ha messo su sul grammofono per ovattare la loro conversazione.
- Non ha i nostri occhi – commenta, un po’assorta.
- No. Ma è uguale a me.
La voce di lui è un sussurro basso, appena percettibile.
Lei si volta nuovamente a guardarlo, il viso dall’incarnato delicato accigliato in un’espressione subitamente grave.
- È silenziosa e guardinga – continua lui – osservatrice. Accorta. Non ama la compagnia; è riservata e circospetta. È puntigliosa e cauta. E non ride. Non si comporta come le altre bambine della sua età.
- Quanti anni ha?
- Cinque.
- La stessa età che avevi tu quando...
- Senti – la interrompe lui, facendo attenzione a mantenere basso il tono della voce. – Voglio solo essere sicuro che...
Lei si stringe nelle spalle e gli rivolge un’occhiata di sfida.
- La vedi un po’troppo Serpeverde? È questo che ti cruccia?
- Io sono stato l’ultimo di noi ad esserlo – mormora lui, reclinando appena il capo. – Tu, invece, sei stata la prima di noi a non esserlo.
“Spiegami come hai fatto” sembra chiederle implicitamente.
- Ma a quanto dici, Leonard non lo sarà – osserva lei.
- Maya è una Macnair fatta e finita, Alhena.
- Oh, poveri noi.

Si alza di scatto dalla poltrona, si rassetta la gonna e porta la mano al cuore con un gesto teatrale.
- Eternamente condannati a provare al mondo di essere delle brave persone.
Lui la fissa esitante, nel vano sforzo di mantenersi impassibile (ma non gli è mai riuscito, con lei; gliel’ha sempre abbattuto a colpi d’irriverenza, il suo fragile muro di ghiaccio). L’avambraccio gli prude, ma lui lo ignora, impegnato com’è a seguirla con lo sguardo mentre lei, a passettini brevi, esce dal salotto e si avvicina alla piccola figura rannicchiata sul divano.
- Ciao, Maya.
La sua voce gli giunge altalenante, sopraffatta dalle note del minuetto. Vede che la bambina la sta guardando, ma non riesce a capire se le ha risposto o se ancora non l’ha fatto.
Alhena non si lascia intimidire.
- Senti un po’: ti piacerebbe vedere un tutù vero?
E da un momento all’altro stupefatto, grato, lui si ritrova ad assistere al piccolo miracolo.
Perché non c’è ombra di dubbio.
È un riverbero di sorriso quello che le illumina il piccolo viso e le fa brillare gli occhi. Che (e a lui sembra di rendersene conto per la prima volta) sono verdi e caldi come il placido mare dei Tropici; nulla di più diverso dalla nouance glaciale del gelido Nord.

Alcune precisazioni.
Questa breve storia riguarda due personaggi che nella saga non esistono, creati da me (Bastian Macnair) e dall'autrice blackjessamine (Alhena Macnair).
Quando li abbiamo creati ancora non ci conoscevamo e così purtroppo, a causa di questo gap temporale, i due potenziali cugini (rispettivamente nipote e figlia di Walden Macnair, il famigerato boia di Fierobecco) non si sono mai incontrati nei nostri scritti. Tuttavia, una volta venute a conoscenza dei rispettivi Macnair, a me e Jess è rimasta in qualche modo la pulce nell'orecchio. E così ho ceduto alla tentazione di fare uno strappo alla regola e di riunire i nostri due HC in questa sorta di limbo estemporaneo.
Questo breve scritto, probabilmente incomprensibile a chi non conosce già i nostri eroi e le loro avventure, è un omaggio alla splendida Alhena, che ho avuto modo di conoscere nelle storie Adagio e Piccoli problemi di cuore, oltre ad essere la protagonista femminile de La danza delle spade.
Ringrazio moltissimo Jess per avermi autorizzata a rendere pubblico questo piccolo spaccato di un legame ancora da recuperare.

 
   
 
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