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Autore: LaraBennet    06/06/2019    1 recensioni
“Mostruosa. Era così che era apparsa agli occhi di Atena, e così divenne. Ciò che vide in quello scudo aveva perso ogni traccia di dolcezza che prima le apparteneva.”
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Medusa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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     Il tempio era silenzioso, una leggera brezza serale soffiava tra le grandi colonne bianche d’argilla e d’improvviso l’aria si riempì di mare. Sì, era l’odore del mare quello che sentiva, così forte, salmastro, pungente; puro. Lo respirò a fondo e si diresse ai piedi della statua della dea Atena. La fanciulla si inginocchiò e sistemò i fiori, gli olii profumati e gli incensi che i visitatori avevano lasciato in suo onore. La Dea osservava tutto con il suo sguardo fatto di bronzo; sapeva con quanta devozione lei la servisse e la venerasse. Infatti, era stato con il suo favore che, una volta venuta al mondo, lei aveva ricevuto in dono il bacio del sole, splendidi capelli dorati che brillavano alla luce come fili d’oro purissimo. Era grande la fama dei suoi capelli, sebbene la fanciulla non ne avesse mai fatto un vanto; quella bellezza apparteneva a Pallade Atena e solo lei poteva trarne gratificazione e orgoglio, attraverso i sacrifici che lei meticolosamente celebrava in suo onore. Come i suoi capelli, anche il suo corpo apparteneva alla Dea. La meraviglia dei suoi capelli infatti costituiva un omaggio alla sua già eccezionale bellezza. Molti uomini la desideravano, poteva sentire addosso l’intensità dei loro sguardi avidi e possessivi; ma lei era votata alla casta dea della guerra, non avrebbe mai conosciuto un uomo. 
     «Oh Dea, divina Atena, figlia di Zeus; mia signora. Io ti prego, io ti imploro, concedimi la tua grazia. Solo per te vivrò, per te respirerò e immolerò sacrifici. Il culto tuo, oh Pallade, io custodirò. Ti offro la mia fede. In tuo onore celebrerò feste, intonerò canti e addurrò doni; in tuo onore dedicherò templi, statue e città. Mia divina signora, ascoltami, è Medusa che ti invoca!».
     Guardò gli occhi assenti della Dea, mentre le fiammelle tremanti delle fiaccole disposte intorno alla statua ne illuminavano il volto bronzeo. Dunque si inchinò ancora una volta in preghiera. Mentre continuava a ripetere la formula della sua supplica, il profumo marino nell'aria si fece più intenso, ancora più intenso, tanto da farla starnutire per il pizzicore provocatole al naso. Medusa appoggiò una mano sul pavimento e sentì il tocco bagnato dell’acqua, che fredda le invase le cosce. La circondava tutt’intorno, senza però inondare nient’altro che il suo corpo. Tentò di alzarsi per fuggire via terrorizzata, ma dall’acqua si materializzò una mano simile alla sua, fatta di carne e sangue. Dita forti artigliarono i suoi fianchi, unghie levigate come il corallo affondarono nella sua carne morbida e man mano che andava formandosi, un braccio duro e possente le circondò la vita impedendole così di fuggire. Era una presa possessiva, arrogante, invadente come un’onda impetuosa. Il tocco dell’acqua si mescolò a quello di mani sconosciute che esploravano insaziabili il suo corpo, la travolgevano prepotenti, si insinuavano maliziose. Quell’assalto improvviso la scosse e lei cercò disperatamente di divincolarsi dall’abbraccio tenace di quelle che adesso erano due braccia. Urlò, ma fu sbattuta a terra con violenza. Occhi blu, scuri e profondi come gli abissi dell’oceano la fissavano implacabili, vogliosi, mentre labbra scure e piene si dischiudevano in sospiri affannati. Gocce di gelida acqua salata cadevano dai capelli neri, arricciati alle estremità dalla salsedine, e le bagnavano il viso. Vigoroso, un corpo giovane e ambrato dal sole tiranneggiava sopra di lei, cosce atletiche e robuste si intrecciavano alle sue, soffici e tornite. Le braccia, le spire che prima l’avevano intrappolata, adesso la stringevano in una morsa che sembrò scioglierle le ossa. Medusa non ebbe scampo di fronte alla feroce passione con cui lui la fece sua. Fremente, l’attirò a sé ed entrò dentro di lei brusco e rude. Ma lei non provò dolore; quando lui la riempì, la fanciulla avvertì solo piacere. Sentirlo ovunque, su di lei, dentro di lei, attorno a lei, in ogni sua forma, le mozzò per un istante il respiro. Non lo voleva, disprezzava quella lussuria irrefrenabile, eppure inspiegabilmente desiderava lui con tutta se stessa. Soli, immersi nel buio delle tenebre, Medusa e Poseidone consumarono la loro colpa. La sua mente, il suo corpo, la sua anima furono violati dal Dio, e avvolta dalla spuma di mare la fanciulla annegò nell’estasi di quella profanazione. Infine, lui si dissolse evaporando nell’aria e Medusa si ritrovò di nuovo sola. Le fiammelle ardevano vive e lucenti nell’oscurità del tempio, inondavano di una strana luce la statua della dea della guerra. Sdraiata vicino ai piedi di Atena, Medusa lanciò uno sguardo intimidito alla sua divina signora e ciò che vide si sarebbe successivamente ripetuto, ogni qual volta qualcuno avrebbe incrociato il suo sguardo. Intravedendo il volto ferreo della statua infatti, la fanciulla si accorse dell’orrore che animava quegli occhi bronzei. Atena si mostrò a lei sotto quella forma e il braccio della statua si mosse, calando l’egida sul suo volto per non vedere oltre. La figlia di Zeus, infatti, inorridita da quell’atto ripugnante commesso nel suo tempio, posava un’ultima volta il suo sguardo su Medusa. La ragazza vide l’oro che copriva il capo della Dea muoversi, e al centro assumere la forma orribile di un mostro; era un viso di fanciulla, la quale chioma era costituita da spaventosi serpenti. Poi svanì. Medusa urlò e tentò di fuggire, ma qualcosa la trattenne per le vesti e lei inciampò sui suoi piedi, cascando per terra. Le sue mani poggiavano salde sul pavimento, gli splendidi capelli dorati le cadevano sul viso sfiorando con le punte il terreno, mentre lacrime limpide le rigavano il volto bellissimo. Vide sotto la superficie delle mani il serpeggiare lento di un liquido verde, saliva su per le braccia e per il petto; da lì raggiunse poi il cuore. I suoi capelli si mossero poiché qualcosa sembrò soffiare su di loro. Quando ricaddero davanti ai suoi occhi, un nido di serpi, viscide e sibilanti, si arrotolava e intrecciava tra di loro al posto delle ciocche lucenti color del grano. Qualcuna morse la pelle liscia e perfetta delle sue guance, lasciando per tutto il volto buchi profondi e scuri da cui fuoriusciva un liquido nero. Medusa gridava, piangeva, implorava, non comprendendo cosa le stesse accadendo. Si rivolse alla Pallade e dal suo scudo lucente vide il proprio riflesso. Mostruosa. Era così che era apparsa agli occhi di Atena, e così divenne. Ciò che vide in quello scudo aveva perso ogni traccia di dolcezza che prima le apparteneva. Il suo sangue era diventato scuro e puzzolente: veleno; la sua bellezza era diventata oscenità, l’incanto dei suoi occhi era diventato pietrificante morte. Per un'ultima volta Medusa guardò la Dea, supplicando il suo perdono, chiedendole misericordia. Come responso ottenne il silenzio e l’immobilità bronzea della statua. Tutto era compiuto. E fu così che la Gorgone prese vita.

   
 
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