Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
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Autore: BrizMariluna    08/06/2019    6 recensioni
La mia prima ff su City Hunter. Cioè, su Ryo e Kaori.
Perché io so scrivere solo storie romantiche, e non ho potuto fare a meno di trovare anch'io un pretesto per mettere insieme "davvero" questi due adorabili "baka".
Una notte di temporale, una valigia fra i piedi e... che altro?
Nulla di nuovo, forse. Ma spero vi piaccia lo stesso...
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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~ 3 ~
 
Quelle parole all’ improvviso...
(Cammina con me…)
 
 
 
(Kaori)
 
Ryo mi aveva rimessa con i piedi per terra solo dopo aver varcato la soglia della porta di casa, e averla richiusa con un calcio. Poi mi ci aveva appoggiata contro, e avevamo passato qualche meraviglioso minuto a baciarci un altro po’. Lo stesso era accaduto una volta raggiunta la porta del bagno, finché nemmeno i baci di Ryo erano più riusciti a fermare il tremito delle mie labbra: eravamo ancora bagnati fino al midollo e il freddo mi era quasi penetrato nelle ossa, anche se era piena estate.
Lui, invece, mi aveva dato l’impressione di essere fin troppo caldo!
Nonostante questo, però, mi aveva spinta dolcemente nel bagno con queste parole:
− Fatti una doccia calda, piccola. Ne hai bisogno, mi pare.
E mi aveva richiuso la porta alle spalle.
“Che strano” mi ero detta stupita, ma anche compiaciuta “Non ha nemmeno insistito per farla insieme a me, la doccia!”
Lo ammetto, ero già andata via di testa con il primo bacio − e non parliamo dei successivi − ma Ryo in versione gentiluomo mi aveva letteralmente tramortita.
Mentre l’acqua calda mi scrosciava sulla pelle arrossandola lievemente, e il calore tornava a scorrermi nelle vene, avevo pensato che se la doccia insieme sarebbe effettivamente stata un po’ troppo per cominciare, ero, d’altro canto, assolutamente sicura che quella notte non avrei dormito da sola. Gli eventi avevano preso una piega decisamente inaspettata; ero ancora frastornata, ma ciò che Ryo aveva fatto e detto (e anche non detto) non poteva essere frainteso. Non fra noi due, ecco.
Di un’altra cosa ero praticamente certa: che tirare fuori un ti amo − semplice, ma chiaro ed esplicito − dalle labbra di Ryo, sarebbe stata un’impresa titanica.
Ci avevo rinunciato fin da subito: sapevo che lui avrebbe trovato mille modi per dimostrarmelo, ma anche che ne avrebbe trovati altrettanti per aggirare abilmente quelle due parole.
E sapevo anche che a me sarebbe andata bene così.
Ryo aveva bussato alla porta del bagno ed io, ormai avvolta nell’accappatoio, gli avevo dato il permesso di entrare.
Lui aveva ancora i capelli umidi, ma aveva indossato una maglietta nera, e si era cambiato i boxer bagnati con un paio sui quali erano stampati piccoli corvetti neri dai voluminosi becchi gialli e gli occhi tondi.
Corvetti! Che idea! Chissà dove li aveva scovati!
− Carini, quei boxer – mi era scappato di bocca.
− Vero? Quasi quanto le tue mutandine con la libellula sulla chiappa – aveva risposto lui, malizioso.
Accidenti, tempesta o meno, era riuscito a guardarmi davvero bene, lassù in terrazza! Ero arrossita come una verginella, per poi ricordarmi, subito dopo, che… insomma, io ero, una verginella, porca paletta!
Ryo doveva aver capito il mio imbarazzo, poiché mi aveva presa tra le braccia e aveva cominciato a frizionarmi dolcemente la spugna del cappuccio sulla testa, asciugandomi sommariamente i capelli, finché le sue mani erano scese, e avevano preso ad accarezzarmi le spalle e la schiena.
Sarei rimasta lì per sempre, a crogiolarmi in quell’abbraccio forte, morbido e caldo.  Poi avevo allungato una mano su un asciugamano appeso lì accanto, e gli avevo ricambiato il favore, strofinandoglielo sui lucidi capelli neri.
Cinque secondi più tardi, ci stavamo di nuovo baciando.
Non riuscivamo più a smettere: era come se l’aria per respirare nascesse tra le nostre bocche, fuse una nell’altra.
Sì, beh, molto romantico, effettivamente; ma, a dirla tutta, ben poco realistico. Infatti, ad un certo punto, quando il bisogno di aria era diventato impellente, ci eravamo dovuti rassegnare, a malincuore, a staccarci.
Lo avevo guardato negli occhi, chiedendomi se stesse accadendo davvero. E mi ero sentita, per un attimo, la solita Kaori titubante e insicura.
− E… adesso…? – gli avevo chiesto.
Per tutta risposta, Ryo mi aveva presa di nuovo in braccio e mi aveva portata nella sua stanza, sul suo letto.
− Adesso… dipende da te. L’unica condizione che ho da dettare, è che tu passi la notte in questo letto, anche se vorrai solo dormire. E ci passerai anche la prossima, e tutte le successive. Non ho fretta, Sugar.
Non credevo che avrei potuto amare Ryo Saeba più di quanto avessi fatto fino a quel momento. Invece, mentre lui si stendeva al mio fianco, accontentandosi di passarmi una mano su una guancia e fra i capelli, mi ero resa conto che era possibile. Altroché, se lo era!
Tutto ad un tratto, non avevo più timore di nulla. Il mio sogno aveva la possibilità, improvvisamente, di avverarsi.
E io lo volevo, il mio sogno. Volevo Ryo. Volevo tutto!
− Il tuo fratellino mi sa che ce l’ha, la fretta. O per caso hai la Phyton nelle mutande?
Ancora non ho la più pallida idea di come mi fosse uscita una frase pepata come quella! Ma vivere per tutto quel tempo con lui − e con i suoi momenti mokkori − era stato come andare con il classico zoppo, e io avevo imparato più che bene, a zoppicare!
Ryo era scoppiato a ridere, mi aveva abbracciata e io avevo avuto la prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, che… insomma, ovviamente non era la Phyton, quella cosa dentro ai suoi boxer!
− Se non ti senti pronta, lo metto in castigo. Non so come, ma un modo lo troverò. Che so... magari la borsa del ghiaccio...
− Cosa stai dicendo!? Sono anni che ti aspetto! Se non fossi pronta, sarebbe un tantino tragico. Forse anche triste; almeno quanto una borsa del ghiaccio!
Le nostre risate erano esplose, felici e spensierate, fino a quando, fondendosi, si erano trasformate in altri baci.
E a un certo punto… quel “Ti amo, Sugar”, era arrivato così, all’improvviso, tra un bacio e l’altro, quando io non lo aspettavo nemmeno più.
Quelle due parole, insieme al mio nomignolo, erano spuntate con dolcezza tra le nostre labbra, e ancora erano state ripetute, sottovoce, a rotolare in piccoli brividi sul lobo del mio orecchio, sulla mia guancia, sul collo…
E ancora − mentre la spugna dell’accappatoio mi scorreva sulla pelle, scoprendola poco alla volta − altri mille “Ti amo” si erano susseguiti, a imprimersi sulla spalla, sul seno, sulla pancia… per poi risalire e ripercorrere lo stesso tragitto, tornando fino alla mia bocca.
Sembrava quasi che, ora che aveva scoperto quella piccola frase − e aveva appurato che pronunciarla non causava alcun cataclisma o disastro planetario − Ryo non riuscisse più a smettere di ripeterla, tra un bacio e l’altro.
Di ripeterla a me, questo era il bello della faccenda!
Ricambiarla, e sussurrargliela all’orecchio, era stato naturale come respirare. Forse perché, nella mia mente e nel mio cuore, gliel’avevo urlata ormai così tante volte da averne perso il conto.
Le sue mani erano calde, delicate ma sicure; la sua bocca bollente; i baci umidi e affamati. Al confronto, ciò che avevo provato in sogno non era stata che una pallida proiezione dei miei desideri.
Quando l’accappatoio era finito per terra, avevo provato il mio ultimo momento di imbarazzo, che Ryo si era affrettato a dissipare.
− Ti amo, Kaori... sei la cosa più bella che io abbia mai visto.
Quelle parole erano state un balsamo per il mio orgoglio di donna, quell’orgoglio che Ryo aveva maltrattato e calpestato per anni, ma che ora, invece, aveva fatto rinascere dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice.
Mai, nella mia vita, mi ero sentita tanto bella; tanto desiderata e amata; tanto femmina!
Né avrei mai pensato che un uomo come Ryo − che io avevo sempre immaginato, in momenti come quello, impetuoso e irruento – avrebbe scelto di prendersi tutto il tempo, e potesse essere tanto tenero, paziente, e... come dire... attento ai particolari.
La sua voce suadente, le carezze lievi ma brucianti, i baci insolenti eppure struggenti e morbidi... tutto aveva contribuito a portarmi ad un tale stato di puro desiderio carnale, che nemmeno nei sogni più impudichi avrei potuto immaginare.
Lo avevo liberato della maglietta quasi strappandogliela di dosso, impaziente di accarezzare e assaggiare la sua pelle, ora calda, asciutta e invitante.
Il pensiero che sarebbe stata la mia prima volta, e che mi avrebbe inevitabilmente fatto male, non mi aveva spaventato nemmeno lontanamente. E avevo ragione: la voglia, il bisogno, di possederlo e di essere posseduta da lui, erano stati talmente profondi e impellenti che, quando il momento era giunto, avevo dato il benvenuto, a quella fitta di dolore, salutandola con un piccolo grido, che però mi ero affrettata a trasformare in un sorriso, nato genuino e spontaneo, anche se un po' tremolante, sulle mie labbra, che il mio amato non aveva esitato a baciare.
Poi Ryo si era fermato, e mi aveva tenuta stretta − mentre io gli premevo la bocca sul collo, quasi mordendolo − aspettando che mi riprendessi e mi abituassi alla sua potente invasione.
L’odore fresco e muschiato della sua pelle, misto a quello del vento e della pioggia − e a quello più lieve e familiare, ma ormai indelebile, della polvere da sparo − aveva fatto il resto, inebriandomi completamente. Lo avevo avvinghiato con le braccia e con le gambe, e il dolore si era stemperato nello spazio di pochi sapienti, lenti movimenti, lasciando presto il posto a ben altre sensazioni.
Era tutto nuovo, per me, ma avevo avvertito, chiaro e netto come una luce nel buio, che lo stupore che aveva pervaso la mia mente e i miei sensi, era uguale a quello che aveva provato lui.
Avevo capito, senza ombra di dubbio, che quella notte anche Ryo stava facendo l’Amore per la prima volta; perché finalmente, lo stava facendo col cuore.
Se prima ero solo profondamente innamorata di Ryo Saeba… adesso ero definitivamente, totalmente, irrimediabilmente perduta.
Lui era mio. Lo era davvero.
Non era più un sogno.
 
§
 
(Ryo)
 
 
Non era più un sogno.
Kaori Makimura era mia.
Mia per sempre.
Una piccola parte della mia coscienza si ritrovò a chiedere perdono a Hideyuki: mi sembrava di star tradendo la mia promessa di proteggere Kaori, perché avevo sempre fermamente creduto che il pericolo più grave da cui l’avrei dovuta difendere, fossi proprio io.
Ma era stata questione di un attimo: quella voce che, da quando mi ero svegliato con il rumore del tuono, mi soffiava nelle orecchie, incitandomi a concludere qualcosa con la mia socia, aveva assunto, tutto ad un tratto, i toni e le sfumature di quella del mio migliore amico perduto. E un’assurda considerazione mi aveva attraversato il cervello, fin da quando avevo adagiato Kaori sul mio letto e le avevo detto che, da quella notte, quello sarebbe stato il suo posto.
Avevo follemente pensato che forse, Maki, avesse sperato proprio questo, affidandomi la sua amata sorellina.
Poi, che fosse vero o meno, la mia mente, la mia volontà e la mia coscienza erano stati ottenebrati dal profumo di Kaori, dolce e delicato, ma inebriante come nei miei sogni non era mai stato.
La mia ragazza era riuscita a farmi dimenticare qualunque cosa che non fosse lei; prima facendomi ridere come un bambino, con battute degne del mio lato stupido e dimostrandomi così, una volta di più, quanto ormai fossimo arrivati a somigliarci; e dopo… permettendomi di oltrepassare, con lei, quei limiti che nessuno aveva mai osato varcare.
Centimetri di pelle chiara, sconosciuta e inviolata, mi si erano concessi, e le mie carezze e i miei baci li avevano conquistati, uno alla volta, senza remore né imbarazzi.
E senza nemmeno rendermene conto… dalle mie labbra erano uscite quelle due parole che mai, mai in tutta la mia vita, avevo detto ad alcuna.
− Ti amo, Sugar.
Sì, perché solo lei, la mia piccola, bellissima Sugar Boy, poteva essere la prima donna a cui dirle. E anche l’ultima.
− Ti amo, Kaori.
Lo avevo ripetuto all’infinito, tra un bacio e un sorriso, uno sguardo adorante e una carezza di fuoco. E più glielo sussurravo, più mi veniva facile ripeterlo.
E quando era stata la sua voce, in un soffio bruciante che mi aveva sfiorato l’orecchio, a ricambiare quella frase, il mio cuore era impazzito: era imploso ed esploso, trasformando il mio sangue in lava incandescente, scatenandomi dentro una tempesta più devastante di quella che, in quella notte d’estate, stava imperversando su Tokyo.
− Ti amo, Ryo.
Era assurdo e spiazzante, quello che avevo provato: Kaori era diventata come l’aria per respirare, come l’acqua nel deserto, come la luce delle stelle in una notte buia... cose senza le quali, non si poteva vivere.
La spugna morbida dell’accappatoio era scivolata lungo le sue perfette forme perlacee, scoprendo le meraviglie che nascondeva.
La mia voce aveva quasi tremato, mentre le ripetevo per l’ennesima volta che l’amavo, e che lei era la cosa più bella che avessi mai visto in vita mia. E avevo percepito che ciò aveva fatto cedere le ultime barriere del suo imbarazzo.
Mi aveva liberato della maglietta in un attimo, proprio come era accaduto nel sogno, ma procurandomi una staffilata di felicità e desiderio dannatamente reale.
Il corpo nudo e meraviglioso di Kaori, aveva aderito al mio come se fosse stato creato apposta, e avevo realizzato che io e lei eravamo come le due tessere di un puzzle rimaste chiuse insieme per anni dentro la loro scatola, a girarsi attorno, a nascondersi tra le altre, prima di trovare, finalmente, il loro unico, possibile, posto nel mondo: una accanto all’altra, in un incastro insostituibile e perfetto. 
Perché, ormai da tempo, non eravamo più soltanto le due metà di City Hunter; Ryo Saeba e Kaori Makimura erano, e sarebbero sempre stati, uno la metà dell’altro.
La desideravo con tutto me stesso, ma una parte di me aveva paura. Non riuscivo a togliermi dalla mente che per Kaori sarebbe stata la prima volta, e, pur sapendo che non dipendeva dalla mia volontà, odiavo l’idea di causarle dolore fisico.
E poi, con mia sorpresa, era stata lei, con la sua dolcezza, la sua passione e il suo essere semplicemente sé stessa, a sciogliere quella tensione e a fugare ogni dubbio che mi aveva assalito.
Kaori mi aveva regalato uno sguardo limpido e brillante, nel quale splendeva una felicità che mi aveva abbagliato la coscienza.
L’avevo stretta a me, e lei mi si era offerta con quella impacciata e meravigliosa spontaneità che le apparteneva di natura, e che solo un sentimento sincero e profondo come il suo poteva essere in grado di dare.
E così, io, per la prima volta nella mia vita, avevo donato a una donna il vero me stesso, il mio corpo insieme al mio cuore e alla mia anima, prendendomi in cambio ciò che Kaori non aveva mai concesso a nessun altro.
Kaori mi aveva accolto in lei accettando quel dolore inevitabile, che io stesso le avevo provocato, come un dono prezioso, nascondendo il disagio, per non farmi sentire in colpa, dietro a un sorriso tremante che aveva attirato le mie labbra come una calamita.
Con un piccolo gemito, mi aveva avvolto le lunghe gambe attorno ai fianchi e mi aveva quasi morso, e io l’avevo tenuta fra le braccia, ferma, finché l’avevo sentita rilassarsi con un sospiro; i nostri corpi avevano trovato, poi, con calma e lentezza, il ritmo e l’armonia giusti, mentre il suo dolore si scioglieva dolcemente, in sensazioni dapprima morbide, per poi diventare sempre più intense.
Sensazioni che, con mia sorpresa, non erano nuove soltanto per lei.
Era stato come farlo per la prima volta: mi ero sentito, a tratti, impacciato come un ragazzino.
Alla fine era stata proprio Kaori, a dispetto della sua inesperienza pratica, ad insegnarmi a fare l’amore. A farlo con l’anima e con il cuore.
Quel cuore che credevo di non avere, e che lei mi aveva fatto scoprire.
Quel cuore che lei aveva sempre visto e sentito battere in me e che, lassù in terrazza, in mezzo a un temporale, mi aveva esortato ad ascoltare.
Quel cuore che, proprio per averle obbedito, aveva mandato al diavolo esperienza, orgoglio e ragione, urlandomi quel: “Provaci!” che aveva cambiato la mia esistenza. 
Io, che non avevo mai cercato l’amore, nella mia vita − e che, incurante di tutto, l’avevo passata saltando da una donna all’altra solo per sfogo e divertimento − avevo finito per trovarlo qui, a casa mia; era stato al mio fianco da sempre e non avevo voluto vederlo.
Al contrario di Kaori che, invece, aveva capito da subito che l’unico amore della sua vita, sarei stato io.
E, con una pazienza da santa, mi aveva aspettato.
Ancora una volta, la mia Sugar Boy aveva avuto ragione.
 
 
§
 
Per un attimo, mentre il sonno scivolava via, Kaori temette di essere ancora avviluppata nel lenzuolo posseduto, come lei e Ryo lo avevano ribattezzato, durante quella lunga notte fatta di chiacchiere, amore, risate, passione, coccole tenere, confessioni e ricordi.
Ma svegliandosi completamente, si rese conto che ciò che la imprigionava erano le braccia calde e forti del suo compagno, e le sue gambe intrecciate con le proprie.
Le tornò alla mente quella volta che, a causa di un aereo che aveva devastato il loro appartamento, lei e Ryo avevano passato la notte nella cantina, seduti sul pavimento; a un certo punto, lui aveva finito per addormentarsi, posandole il capo su una spalla. Kaori lo aveva dolcemente accompagnato ad appoggiarsi sulle sue gambe, perché potesse riposare più comodo, e aveva vegliato il suo sonno, accarezzandogli di tanto in tanto i capelli corvini.
Quel ricordo riusciva sempre a sconvolgerle il cuore e i sensi, e allo stesso tempo intenerirla: guardarlo dormire le era sempre piaciuto, poiché in quel dolce oblio, il giovane perdeva sia l’aria da stupido depravato di quando voleva rendersi detestabile, sia quella da duro e senza cuore che era costretto a indossare, quando si trovava a fronteggiare gli energumeni che il loro lavoro gli sottoponeva di volta in volta.
Quando dormiva sereno, come in quel momento, era solo un ragazzo come tanti altri. E si sentiva piuttosto fiera della consapevolezza di essere lei, a donargli quella serenità. Era sempre stato così; ora lo sapeva.
Cercò di liberarsi dall’abbraccio di Ryo nel modo più impercettibile possibile, poiché non voleva svegliarlo. Ma la voce assonnata di lui bloccò ogni suo movimento, mentre la stretta delle sue braccia si rafforzava.
− Dove credi di andare? Hai qualche impegno di cui io non sono a conoscenza?
− Niente di così misterioso – gli mugugnò Kaori contro il collo – devo solo andare in bagno.
− Come sei poco poetica e materiale, Sugar Boy.
− Sai, sono un essere umano. Non capita solo a te, di averne bisogno nei momenti più impensati e inopportuni!
− Sì, ma… questo non accadeva nei miei sogni.
− Quali sogni? – chiese Kaori, scivolandogli di tra le braccia e infilandosi la maglietta di Ryo, dopo averla raccolta dal pavimento.
− Se ti sbrighi, dopo te li racconto – rispose lui, malizioso, ridacchiando alla vista della ragazza che, nonostante tutto ciò che avevano fatto quella notte, si preoccupava di mettersi addosso qualcosa prima di alzarsi dal letto.
Kaori tornò dopo qualche minuto, col volto fresco, le guance rosee e i capelli appena umidi, gli occhi nocciola luminosi come stelle. Muovendosi a quattro zampe sul letto, lo raggiunse e gli stampò un bacio sulle labbra, accoccolandosi poi contro di lui, godendo di quanto quei gesti, che fino al giorno prima aveva ritenuto inconcepibili, venissero fuori, ora, in quel modo semplice e spontaneo.
L’ennesima prova di come loro due, in realtà, fossero una coppia ormai da molto tempo.
− Allora? Questi sogni? – gli chiese curiosa.
− Mi capita spesso di sognare noi due. E insieme facciamo cose… tipo quelle che abbiamo fatto davvero stanotte. Anche se finisco sempre per svegliarmi troppo presto, se capisci cosa intendo.
− Ryo Saeba, sei un vecchio porcello libidinoso! – rise Kaori.
− Non mi offendere! – protestò lui, con aria fintamente contrita.
− Non ti sto offendendo. Tu sei sempre stato, un porcello libidinoso!
− Sì, lo so! Ma non sono vecchio! Ho solo vent’anni!
− Seeeh! Per gamba!
− Cosa vorresti dire? Che ne ho sessanta?
− Devo averti proprio sconvolto, stanotte, Ryo! Non sai nemmeno più contare? Venti per due fa quaranta! − esclamò sollevandosi un po’ per guardarlo in faccia.
− E chi ha detto che devi moltiplicare per due? Stai parlando con lo Stallone di Shinjuku, piccola, non dimenticarlo!
Kaori tacque, avvampando come un cielo al tramonto, gli occhi ridotti a due puntini e un gocciolone sulla nuca, mentre una libellula gigante passava silenziosa dietro di lei.
Poi ridacchiò, arrendendosi. Ryo poteva cambiare, ma non troppo!
− Ribadisco, sei davvero uno zozzone pervertito!
− E comunque non ne ho nemmeno quaranta! Come ti permetti!? – esclamò Ryo, cambiando argomento e tirandole una cuscinata.
− Va bene, dai! Saranno un po’ meno di venti per gamba. Magari diciannove!
− Sedici, non uno di più!
− Uhmm... Come minimo diciotto!
Ryo fece la faccia piagnucolosa, sporgendo il labbro inferiore, e lei finse di commuoversi.
− Okay, bel bambino, sarò generosa: facciamo diciassette per gamba, ovviamente le due canoniche, e non se ne parli più! – concesse Kaori, passando all’attacco e saltandogli addosso col cuscino e tutto.
Dopo una breve, giocosa colluttazione, si ritrovò immobilizzata sotto di lui.
− Mai! Io ne ho venti, venti in tutto! E li avrò anche quando ne avrò ottanta!
− Ah, questo è proprio un bel discorso! Sensatissimo! − rise ancora lei.
A quel punto, Ryo tornò serio e riprese: − Comunque, tornando ai sogni… anche prima di raggiungerti sul terrazzo, ne stavo facendo uno. Mi ha svegliato un tuono. E, vista l’evoluzione delle cose, mi viene da dire che sia stato un bene!
Kaori lo fissò incredula, giocherellando con una delle sue ciocche corvine.
− Ti ha svegliato un tuono…? Poco prima che io corressi in terrazza?
− Beh… sì. Perché?
− Perché… anch’io stavo facendo un sogno di quel genere. E anche se nemmeno nel mio siamo arrivati fino in fondo, è stato piuttosto torrido, ecco – ammise arrossendo.
− Dimmi cosa facevamo… − la esortò, con lo sguardo lucido, appassionato e curioso, eppure serio, nel quale non c’era traccia del Ryo greve e maniaco.
− Ci baciavamo, ci accarezzavamo… io ti toglievo la maglietta e ti sbottonavo i jeans.
− E poi…?
− Tu facevi lo stesso con me. Anzi, praticamente mi strappavi i vestiti!
− E poi…?
− “E poi, e poi…!”  E poi… mi ha svegliato il tuono! – disse lei, divertita.
Ryo la fissò, perplesso e incredulo, poi le chiese di botto:
− Che maglietta indossavo nel tuo sogno?
− Quella rossa.
− Ma... anche nel mio! E... tu?
− Quella azzurra, con la margherita sul davanti.
− Era esattamente quella che anch’io sognavo di strapparti di dosso! E sotto avevi il reggiseno di pizzo rosa!
Kaori saltò a sedere, esterrefatta, subito imitata da lui.
− Ryo, ma ti rendi conto? Cosa vuol dire? Che facevamo lo stesso sogno? In contemporanea!? Com’è possibile ciò?
− Non ho idea. Secondo me è solo l’ennesima prova di quanto siamo… connessi. Ti ricordi? Una volta, una nostra cliente ha detto che io e te siamo due tipi ben ingranati.
− Sì, ricordo. E aveva ragione: lo siamo. In tutti i sensi, adesso posso dirlo! – ammiccò maliziosa, in ginocchio di fronte a lui, in mezzo al letto.
Ryo divenne nuovamente serio e le accarezzò il volto.
− Kaori...
− Sì…?
− Non è che Hideyuki verrà a tirarmi per i piedi alla notte, vero? Forse non era questo che voleva, quando ti ha affidata a me. Io dovevo proteggerti…
− E non l’hai sempre fatto? Sarei morta mille volte, senza di te, anche solo per il fatto di essere sua sorella. Per questo mi ha affidata a te! Maki sapeva che tu eri l’unico col quale sarei stata al sicuro. E se devo dirla tutta, forse sapeva anche che tu saresti stato la persona giusta, per farmi diventare la donna che sono ora! Esattamente come sapeva che io, sarei stata l’unica persona capace di far uscire allo scoperto quell’uomo fantastico che tenevi nascosto da qualche parte, dentro di te, mascherato da baka pervertito, o da spietato giustiziere.
− È tutta la notte che ci penso. E che ci spero. E che cerco di persuadermi che anche lui, dovunque sia ora, sia convinto che amarci non ci renderà più deboli, ma più forti.
− Puoi esserne certo, Ryo. È così!
− Io sono tremendo, Kaori, lo sai! Sono casinista, pigro… Non sono un romanticone, arrivo in ritardo, dimentico le date, gli anniversari…
Un martellino con la scritta 5 kg. comparve come per magia tra le mani di Kaori.
− Tranquillo, ci penserò io a ricordarteli! – fece la ragazza con un sorriso a metà tra l’angelico e l’assassino.
Ryo si grattò la nuca, e uno stormo di corvetti si schiantò al suolo dietro di lui, in un tripudio di svolazzanti piume nere.
− Imparerò le date… – concluse, mentre il martellino scompariva e Kaori lo abbracciava, gratificandolo di un altro bacio infuocato, mandandolo di nuovo disteso tra i cuscini e le lenzuola disfatte.
Passarono qualche minuto a coccolarsi, sbaciucchiandosi come due liceali, scambiandosi sorrisi e parole stupide; poi Kaori gli pose un altro quesito:
− Dimmi una cosa: perché uno come te, con i sensi più affinati che esistano, non è mai riuscito a schivare i miei martelloni?
− Non è che non ci riuscissi… non volevo. In fondo, me li meritavo, no? Io facevo il cretino, e tu mi fermavi. E io volevo essere fermato.1 Perché… consideravo il tuo martellone come il simbolo della tua gelosia; e se eri gelosa, voleva dire che mi amavi. Mi accontentavo di questo.
− I tuoi ragionamenti contorti mi lasciano senza parole.
− Non li userai più i martelli, vero? Quelli grossi, almeno…
− Uhmm… – Kaori sporse le labbra, fingendo di pensarci su, lo sguardo in alto e un dito sul mento − Magari no. Se farai il bravo…
− Sarò bravissimo, se saprò che non penserai più di lasciarmi.
− Ryo… io starò con te per sempre, ogni giorno della nostra vita. Qualunque cosa accada, ti seguirò. È una promessa.
Ryo la guardò, pensoso ed intenso, per alcuni istanti.
− No, non devi seguirmi: chissà dove finirei per condurti, con la testa che ho!
− Allora ti precederò. Così sarò io a guidare te… − scherzò Kaori.
Ma lui ribatté serissimo.
− No, nemmeno: potrei non essere capace di starti dietro.
Kaori lo fissò perplessa, chiedendosi cosa volesse dire Ryo con quello strano gioco verbale. Se c’era uno abilissimo a seguire chiunque, quello era lui.
Poi Ryo parlò di nuovo, sorprendendola per l’ennesima volta in quelle ultime ore. E ciò che disse, facendole scoprire un lato incredibilmente poetico e inaspettato di lui, le strappò un sorriso e un battito di cuore.
− Resta al mio fianco: solo così ci proteggeremo; saremo la nostra forza e il nostro coraggio. Cammina con me, Kaori Makimura. Addormentati insieme a me ogni notte, e svegliati accanto a me ogni mattina; prendimi per mano e, ogni sera, riconducimi nel luogo a cui appartengo: a casa con te.
Una lacrima si aggiunse al sorriso di Kaori.
Non male davvero, per uno che aveva appena dichiarato di non essere un romantico!

 
 
>Continua…
… con un breve epilogo.
 

 
 
1 Questa cosa che “Ryo vuole essere fermato”, lo ha detto il nostro caro Tsukasa in un’intervista:
https://www.google.com/amp/s/www.mondofox.it/amp/2019/02/06/city-hunter-perche-ryo-non-evita-martello-kaori-risponde-tsukasa-hojo

 

 
Angolo dell’autrice della scribarola sciroccata al cubo:
 
Salve, gente! 😊
Siete davvero stati così coraggiosi da arrivare fin qui? E siete sopravvissuti allo tsunami di glucosio con cui vi ho travolti?
Ma io vi adoro! 
♥♥♥
Volete un antidiabetico? Un gommone per navigare nell’oceano di melassa? Non fate complimenti, ho di tutto: anche salvagenti, remi e pagaie, nonché maschere e pinne!
Quindi niente scuse, e… seguitemi anche nell’epilogo!
Kisses!


P.S. Questo capitolo è dedicato a un'altra autrice. Lei SA! XD XD XD
Colgo l'occasione per ringraziare all'infinito chi mi ha recensito e chi volesse farlo in futuro.
E anche chi ha messo questa storiella strampalata tra seguite e preferite! THANKS!!! Davvero, di cuore!

 
E... per non smentirmi, un po' di glicemia anche nel disegno...


 
 
  
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