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Autore: FreddyOllow    09/06/2019    0 recensioni
Il cielo casca sul mondo ignaro dell'imminente distruzione. La musica del silenzio prepara l'ascesa al caos. Case, strade, città, tutto viene distrutto, bruciato dalle fiamme, disintegrato dalle bombe. L'odio affligge i sopravvissuti e la speranza rincuora i forti. Il cielo dipinge colori tetri, anneriti dal dolore e dal canto di mille tuoni. La terra muore, lacerata dall'uomo avido, corrotto. Sorge una nuova Era, come un alba splendida tra le fessure del male...
Genere: Avventura, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nathan si avvicinò a Eva, guardando giù dallo strapiombo. Alla base della montagna, accalcati l'uno sopra l'altro, c'erano grosse cortecce di alberi morti. Nero come la pace, il terreno si estendeva a goccia d'olio in tutta la regione; l'unico colore distinguibile dal grigiore dei nuvoloni che incombevano sulle loro testa. 
Julien si diresse verso i gradini scolpiti nella roccia. "Scendiamo."
Eva e Nathan si voltarono e la seguirono. 
Discesero i ripidi scalini, facendo attenzione ad ogni minimo movimento. Tastavano ogni passo e poi procedevano. Di tanto in tanto qualche piccola pietra si staccava da sotto la scalinata, schiantandosi contro il suolo. Eva era tra Julien, che scendeva per prima, quasi incurante di chi aveva alle spalle, e Nathan, che procedeva per ultimo e si preoccupava più per loro che per sé stesso. Eva era con il busto attaccato alla parete rocciosa, i seni un tutt'uno con la roccia e le mani aggrappati con forza ad esse, temendo di cadere giù per via delle vertigini. Lenta nel proseguire, Nathan la incalzò a procedere più in fretta, ma lei gli lanciò un sguardo torvo, acido. Nel frattempo Julien arrivò su un piccolo spiazzo. La staccionata che fiancheggiava il percorso era distrutta e in alcuni punti non ce ne era più traccia. Sbuffò e aspettò che Eva e Nathan la raggiunsero.
"Mancano ancora un centinaio di metri" disse Julien ai due, anche se si riferiva a Eva "Dobbiamo affrettarci."
"Possiamo scendere con calma" Rispose Nathan.
"Vuoi forse morire?" Julien lo guardò negli occhi "Là dentro siamo quasi morti, e non sappiamo se ci sono altri infetti in arrivo. Se quelli ci trovano e noi siamo ancora qua sopra, cosa pensi che succederà?" aggrottò le sopracciglia.
"Non c'è nessuno dietro di noi" Disse Nathan con tono pacato. "Sei troppo tesa, Julien." Poi si voltò verso il luogo da cui erano usciti "Lo vedi?" indicò con il dito lo strapiombo distante qualche metro, un po' sopra al livello delle loro teste "Se gli infetti arrivano correndo dall'uscita della miniera, cadranno tutti di sotto."
Julien non rispose. 
"Nathan ha ragione" aggiunse Eva con la spalla attaccata al muro. La discesa gli aveva ridotto il cervello a un colabrodo per via delle vertigini, ma ogni tanto riusciva a pensare lucidamente.
"Andiamo" Julien la ignorò.

Passo dopo passo, si avvicinavano sempre più alla fine della scalinata. Le pareti rocciose diventavano via via più deforme e privi di presa, quasi a non voler dare una mano ai tre. Poi Julien si fermò di colpo. Dove un tempo c'erano cinque gradini, ora c'era il vuoto.
"Perché ti sei fermata?" Domandò Nathan, scrutando dietro le spalle esili di Eva, che per un instante aveva tolto le spalle dal muro. 
"In questo punto i gradini sono crollati" Rispose Julien, senza voltarsi "Dobbiamo saltare."
"Aspetta!" Disse Nathan "Non sappiamo se gli altri gradini resisteranno al nostro peso una volta atterrati dall'altra parte."
"No, no, non voglio saltare!" Esclamò Eva terrorizzata. Al solo pensiero, li venne un mancamento. Nathan fu rapido a prenderla e non farla cadere a terra, o di sotto.
"Fantastico!" Sbuffò Julien "Ci si mette pure lei."
"Ma vuoi calmarti, Julien?" Disse Nathan sostenendo Eva da sotto un braccio. "Non fai altro che lamentarti da quando siamo entrati là sotto."
Julien lo fulminò con gli occhi, che ardevano come fiamme negli inferi. Il suo volto mutò in una maschera piena di rabbia e risentimento, ma non disse una sola parola. Poi si voltò, guardò giù nel vuoto lasciato da una voragine e saltò dall'altra parte. Gli occhi di Nathan la seguirono. Atterrò con entrambi i piedi e perse l'equilibrio. Finì contro la parete rocciosa, razzolando quattro scalini. Nathan sentì un colpo invisibile allo stomaco. Nel cadere, Julien aveva proteso le mani in avanti e questo l'aveva salvato da un trauma cranico o da morte certa. 
"Se fossi caduta dall'altra parte..." Esclamò Nathan, alzando lievemente la voce per farsi udire.
"Non è successo." Lo interruppe Julien, alzandosi da terra e pulendosi gli abiti dalla polvere. "E' sicuro da questa parte" batté più volte la pianta del piede a terra.
Eva si strinse a Nathan. "Non voglio saltare." gli occhi gonfi e rossi dalle lacrime.
"Non possiamo rimanere qui. Devi farlo. E' l'unica soluzione."
"Non c'è la farò... Cadrò..."
"Tu non cadrai" s'impose Nathan "Devi saltare Eva. Non credo tu voglia rimanere qui per sempre".
Eva scosse la testa. Nel suo viso c'era più l'espressione di una bambina impaurita, che di una donna.
"Forza" Nathan le sorrise "Io sarò dietro di te." 

Eva si fece forza. Nathan la incoraggiava a saltare, cercava di farla sentire al sicuro. Poi senza accorgersene, Eva presa la rincorsa e saltò. Quel salto sembrò durare un eternità. I suoi occhi cercarono istintivamente il terreno sotto i suoi piedi, ma trovarono solo il vuoto. Sentì lo stomaco attorcigliarsi, il cuore che palpitava impazzito. Poi, così com'era saltata, si ritrovò addosso a Julien, che l'afferrò per un braccio prima che cadesse di sotto. Aveva saltato bene, ma aveva sbagliato leggermente la direzione dell'atterraggio. Nathan fece un sospiro di sollievo.
Julien guardò Eva, e annuì imbronciata. Poi si rivolse a Nathan "Forza. Muoviti!"
Nathan fece un volo perfetto, atterrando a pochi passi da loro.

Discesero la scalinata in totale silenzio, mentre Nathan non distolse lo sguardo da Eva. Dopo pochi minuti, toccarono terra. Davanti a loro si estendeva un irregolare terreno nero pece, puntellato in alcune punti da macchie grigiastre. Qua e là alberi scheletrici, carbonizzati i cui rami si contorcevano al cielo. Nuvoloni di un grigio scuro si ammassavano, s'ingrossavano, mentre fulmini violacei spaccavano il cielo, scomparendo dietro l'orizzonte. In lontananza, sopra a un piccola collina, s'intravedeva un mulino a vento. Due delle quattro pale non c'erano più, e le restanti eliche s'innalzavano al cielo come due piccole dita meccanizzate. La puzza di cenere impregnava l'aria, rendendola quasi irrespirabile, ma i tre non avevano problemi a respirarla. Era ormai da molto tempo che i polmoni si erano misteriosamente abituati a quell'odore.
"La fattoria dei Godman" disse Julien, indicando il mulino a vento che compariva appena sopra a una duna di cenere "Forse lì possiamo trovare riparo, prima che cada la pioggia acida."
"Allora speriamo che quel mulino non ci cada addosso durante il temporale" rispose Nathan con un lieve accenno di sarcasmo, ma nessuno rise.
"Ha resistito perfino alle bombe. Un temporale non è nulla."
"Sono le raffiche di vento a preoccuparmi. Quel mulino si trova in mezzo al nulla. Ha sopportato qualsiasi calamità. Resisterà ancora, mi chiedo?"
Julien non rispose.
"Che ne dite di andare?" disse Eva, guardandosi attorno come se da un momento all'altro spuntassero dal nulla un orda di infetti.

Proseguirono verso il fiume secco, poiché portava alla comunità di Patrick. Non parlarono di ricongiungersi con lui, ma era ovvio che i tre, non avendo più un posto dove andare, avevano deciso istintivamente di andare lì. Eva si teneva stretta a Nathan, mentre Julien si teneva a disparte ed era ancora scossa da ciò che aveva fatto in quella cantina. "Erano infetti. Andava fatto. Ho avuto pietà di loro. Non potevo fare diversamente" parole che martellavano i suoi pensieri, alla ricerca di una giustificazione. Ma il vero motivo, era troppo crudo e orrendo da poter guardarlo in faccia. Il caos, la gente infetta, gli stessi infetti, l'avevano incatenata nella paranoia assoluta, messa sul chi va là? E quella stessa catena che la teneva prigioniera nella sua gabbia mentale, aveva deciso per lei. Era successo così in fretta. Solo immagine vaghe, frammentate che si frapponevano l'un l'altra. Sangue ovunque. Le grida disperate di una moglie, di una madre, di un padre, di un figlio. Il suo coltello da caccia sgozzava, lacerava, infilzava e metteva fine a quella paranoia che si era impossessata di lei. Solo così trovò quella pace che dopo la morte di Scott era diventato un mero un miraggio. Un illusione che costringeva a rivedere quella speranza che la gente nutriva per una vita migliore, per un posto sicuro. Julien aveva messo fine a tutto. Non importava se fossero infetti o meno, non aveva scelta; doveva ucciderli. Quando però si ritrovò a percorrere una buia e strana galleria con una torcia in mano, non capì come ci fosse arrivata. Non ricordava niente, finché gli occhi non caddero sulla mano insanguinata. Allora come un lampo i ricordi presero ad affiorare e i pensieri a martellare. Tornò indietro e nel scivolare su un pozza di sangue, quei pensieri diventarono reali.

"Finalmente" disse Nathan, guardando giù nel nero fondale del fiume secco "Ci porterà dritti al mulino a vento e poi da Patrick."
Julien, nell'ascoltarlo, fu buttata fuori dai suoi ricordi, come se non la volessero tra i piedi. 
"Quanto tempo ci vorrà?" domandò Eva, che nel frattempo si era un po' ripresa dallo stato semi-confusionale in cui era.
"Per dove?" Nathan corrugò la fronte. 
"Per la comunità di Patrick."
"Un giorno, credo. Prima dobbiamo aspettare che piova, e dopo ci muoveremo."

Così costeggiarono il fiume secco. Nel procedere, molte rocce puntellavano la terra, gli alberi diventavano meno numerosi e così come il numero di tronchi ancora in piedi. Il terreno irregolare metteva a dura prova i loro nervi, ed era raro camminare per qualche metro senza dover scendere e salire continuamente. Poi piccole colline e dune di cenere, presero il sopravvento. In certi punti il terreno cedeva, e quando ci mettevano i piedi, razzolavano giù facilmente. Invece, il fondale del fiume si presentava uniforme e stranamente liscio. Non c'era neanche un sasso, un detrito o qualsiasi altra cosa a interrompere quell'uniformità. 
"Perché non scendiamo." Eva indicò il fondale con il dito "Cammineremo sicuri e senza inciampare di continuo."
"No!" rispose secco Nathan "E' meglio non disturbare la cosa che vive lì sotto."
"E chi ci vive? Io non vedo nulla."
"Vuoi proprio vedere?" Nathan prese un piccolo sasso nero e lo lanciò contro il fondale.
Si udì la pietra schiantarsi contro il terreno, ma niente di più. I tre rimasero in silenzio con le orecchie ben tese, ma non successe nulla. Lentamente però, un suono un suono giungeva alle loro orecchie, ma solo Nathan e Julien lo captarono.
"Allora?" disse Eva "Non vedo proprio niente."
Julien, espressione imbronciata, calciò un sasso che si andò a sfasciare contro il fondale. 
Sentirono qualcosa di impercettibile muoversi sotto il fiume secco. Eva si voltò preoccupata verso Nathan. Poi il rumore diventò più intenso, finché qualcosa di simile a un larva gialla, lunga sette metri e grossa otto, la cui enorme testa era di un nero quasi impenetrabile, sbucò fuori dal terreno come se volesse toccare il cielo. Ricadde un secondo dopo, con le fauci seghettate a inghiottire i due sassi, per poi tornare nelle viscere della terra. La parte posteriore e anteriore del corpo avevano delle specie di gambe a mo' di pala, che aveva usato per ricoprire il buco, anche se era tipo un tunnel, da cui era entrato e uscito, lasciando la terra perfettamente liscia, piatta come un foglio di carta.
Eva era rimasta scioccata da quanto aveva veduto, mentre Julien sbuffò.
"Ecco perché non dobbiamo scendere lì." disse Nathan. "Ora muoviamoci."

Passo dopo passo, si avvicinavano sempre più al mulino. I nuvoloni grigiastri, divenuti quasi neri, incombevano sempre più minacciosi sulle loro teste. I fulmini squarciavano il cielo, ma era così da molti anni. Per molte persone quelle folgori erano la normalità come il cielo azzurro lo era per gli abitanti di un tempo. Anzi, era preoccupante non vederli. Voleva dire che un disastro era imminente e che minacciava di spazzarli via una volta per tutte. Per questo Nathan si preoccupava troppo delle raffiche di vento. Nelle zone priva di edifici, vegetazione o qualsiasi altra cosa che si reggesse in piedi, una fortissima e violenta tempesta di venti si era abbattuta in un tempo non troppo lontano, lasciando distruzione e vuoto assoluto. Questa era una delle molte zone colpite, ma c'era quel mulino a vento che sembrava non cedere o forse, non era mai stato raggiunto da quei venti. La comunità di Julien era nata in un ottima posizione, protetta da una grossa montagna che la circondava quasi del tutto ed era raro che le tempeste facessero morti o grossi danni. Ma quel mulino giaceva solitario in mezzo al nulla, e la probabilità che reggesse una tempesta simile erano pari a zero. A meno che, quella struttura fosse ben altro di un semplice edificio adibito alla macinazione di cereali.

S'inerpicarono su di una piccola collina, ostruita da rocce di ogni forma e dimensione. C'era una quercia carbonizzata riversa sul fianco del colle, i cui rami si protendevano verso il cielo come dita scheletriche. Il paesaggio non cambiava mai. Era tutto uguale. Se non era per quel mulino a vento che si faceva sempre più vicino, avrebbero girato a zonzo, ma in quel caso, avrebbero avuto i grattacieli a Ovest come riferimento, e una nube verdastra che era impossibile da non vedere. Certamente, non potevano avvicinarsi o trovare un rifugio in luogo dove la morte regnava sovrana. Quei fantomatici edifici elevati, che un tempo erano stati i gioielli della Hurtman Corporations, erano divenuti sinonimo di morte dopo le bombe. La città da cui si ergevano fieri, Kurt City, era una grande metropoli controllata da varie corporazione che dissanguavano la contea partendo dalla fitta vegetazione di alberi, al lago artificiale, dalle miniere, ai laboratori segreti dove giorno e notte erano pieni di attivisti determinati a mettere fine agli esperimenti sugli animali e sui prigionieri col carcere a vita, e tanto altre micro esperimenti e sfruttamenti del territorio. "Prima o poi, Dio ci punirà per quello che succede in questa città." Il padre di Nathan glielo ripeteva spesso, mentre guardava il telegiornale. Ma di certo, non si aspettava una punizione dalle proporzione catastrofiche. Kurt City, non fu mai colpita dai missili, ma da qualcos'altro. La Hurtman Corporations aveva deciso di portare nella sua sede, da uno dei laboratori impiantati dentro una delle tanti montagne della regione, delle armi batteriologiche da far visionare ai membri di spicco dell'esercito, intenzionati a usarli sul campo di battaglia. Quel giorno, un missile colpì in pieno il bacino artificiale, forse per errore o forse no, inondando tutta la regione e travolgendo ogni cosa. Il furgone che trasportava le armi batteriologiche venne prese in pieno, disperdendo il liquido nell'acqua e nell'aria. In poco tempo la gente morì, altri s'infettarono, e gli animali cominciarono a mutare o a morire. A far più danni ci misero i missili nucleari che esplosero in tutta la regione. I laboratori vennero abbandonati, gli animali rilasciati o uccisi, e in alcuni casi gli stessi animali uccisero gli scienziati. Riguardo ai prigionieri con il carcere a vita, cercarono di eliminarli, ma qualcosa andò storto poiché fuggirono con le armi delle guardie che avevano l'ordine di ucciderli. Nathan sperava che quel mulino a vento non fosse in realtà una copertura o qualcosa di simile. Aveva già incontrato posti simili, e ogni volta andava a finire che fuggiva da qualcosa o qualcuno che lo voleva ammazzarlo.

Quando arrivarono abbastanza vicini non seppero cosa fare. Il mulino si presentava scalfito in più parti, le due pale mancanti giacevano qualche metro più in la. Le pareti nere alla base, e grigie nella parte superiore. La porta sbarrata dall'esterno da assi di legno, stranamente ancora fissate e per nulla marcite. Non poco lontano dalla struttura, c'era una piccola casa o quel che rimaneva di tre stanze rimaste ancora in piedi. Dall'esterno, si vedevano due scheletri che giacevano su un letto matrimoniale, conservatosi misteriosamente bene. Uno di loro imbracciava un fucile Enfield con la canna incastrata nei denti scheletrici, mentre l'altro non aveva più il viso. C'erano vaghe tracce di sangue sul muro dietro di loro. Montagne di detriti circondavano il perimetro e sbarravano l'accesso alla camera da letto. La seconda stanza invece, era un piccolo bagno. Solo il water era riconoscibile in mezzo alla distruzione. Dentro di esso, c'era una bambola di pezza con un sorriso inquietante, l'occhio destro fuori dall'orbita e una penna conficcata sopra la testa. Fu Eva poco dopo a trovare le ossa di un bambino o bambina sotto un elica, poco distante dal mulino. La parte inferiore dello scheletro non c'era più, assieme alle braccia. Solo testa e busto erano rimasti. Qualcuno o qualcosa aveva mangiato i suoi resti, poiché ritrovarono piccole ossa frantumate sotto la seconda elica.
"Era vivo quando..." disse Eva con le lacrime agli occhi.
"Non credo." rispose Nathan, abbassando lo sguardo.
"Era vivo!" esclamò Julien. "Guardate il teschio. Vedete la bocca?"
"Sei un mostro, Julien!" gridò Eva infuriata.
"C'era bisogno di dirgli la verità?" Nathan la guardò inasprito.
"Non fa che lamentarsi e piangere." A Julien le parole le uscirono da sole. Ormai era arrivata al limite. Non la sopportava più.
"Sei una stronza!" imprecò Eva, scappando al di là del mulino.
Nathan lanciò uno sguardo torvo verso Julien, che rimase indifferente, prima di correre dietro a Eva.

Il mulino era alto trenta metri, e largo venticinque. La pietra con cui era stato eretto, si manteneva bene. Non c'erano tracce di danni permanenti. Julien lo ispezionò girandoci attorno. Sembrava intatto, ma allora perché la casa era caduta in pezzi? Andò verso l'entrata, cercando di spiare all'interno attraverso le fessure delle assi di legno. Era tutto buio. Non si vedeva niente. Doveva abbatterle per poter entrare. In un primo momento si convinse di farlo, ma poi non lo fece. Rimase in silenzio, in ascolto. Poteva esserci di tutto in quel mulino, ma non udì nulla; solo un bisbigliare continuo tra Nathan e Eva, che gli puntava il dito contro più volte. Allora attese, forse qualche secondo o qualche minuto. Poi Eva e Nathan la raggiunsero.
"Non credo ci sia altro modo per entrare" disse Nathan "Tra poco pioverà."
"Allora sbrighiamoci!" Julien si avvicinò alle assi, per poi voltarsi verso Nathan "Hai tu l'accetta."
Nathan allentò la tensione muscolare di spalle e braccia, poi sferrò un violento colpo verticale. Non cedettero. Tentò di nuovo, ma niente. Il legno sembrava d'acciaio. Uno, due, tre colpi, al quarto la testa in ferro dell'accetta si spezzò e cadde a terra. Nathan rimase con il manico dell'ascia in mano, incredulo di quanto fosse accaduto. 
Julien sbuffò "Fantastico. Ora si che siamo messi bene."
"Perché non ci sbatti la tua testa contro!" esclamò Eva a Julien, gli occhi pieni di risentimento.
Poi cadde la pioggia. Pioggia acida. I tre corsero verso la casa distrutta, arrampicandosi carponi sopra le macerie. Si misero al sicuro sotto a quello che rimaneva del tetto della camera da letto. Poco dopo, venne giù un vero e proprio violento acquazzone. Esili fumi s'innalzavano dalla terra, impregnando l'aria di cenere e Petricore. Rigagnoli d'acqua cadevano giù come una piccola cascata dal tetto puntellato, costringendo Nathan a trovare riparo nel bagno. Nella mano destra aveva ancora il manico dell'accetta, come se lo potesse aiutare a sentirsi più al sicuro. Eva e Julien erano quasi l'una stretta all'altra. Gli sguardi fuggiaschi, altrove, ognuna con le sue motivazioni. Eva voleva che quel temporale finisse, mentre Julien era ingabbiata nei suoi ossessivi pensieri. Si era trasformata da leader ad assassina, da assassina a mostro. Avrebbe ucciso persino Eva e Nathan, ma qualcosa glielo impediva. L'istinto di conservazione, e il non voler rimanere sola in un vasto mondo che rifiutava la presenza umana. Un modo che l'avrebbe divorata con avidità e piacere, aspettando il prossimo sciocco che lo sfidasse. Questo non era più il mondo degli uomini. Non erano più i benvenuti. Tutto apparteneva ai mostri, alle figure che di umano avevano solo sguardi fugaci e illusori. La morte governava silente, donando vita e potere a chi un tempo, era primo a soccombere.

Sembrava esserci una tregua tra Eva e Julien, un cessate il fuoco che sarebbe finito non appena il piovasco sarebbe cessato. Nathan lo sapeva. Vedeva le due figure indistinte attraverso un grosso foro nel muro. Un estraneo avrebbe certamente pensato che si sarebbero protette a vicenda per quanto erano così vicine fisicamente, ma non Nathan. "In tempi oscuri, le persone o si ammazzano o si aiutano, o entrambe le cose" disse tempo fa un uomo sulla quarantina a Nathan, cui ricordava vagamente il volto. "Chissà che fine ha fatto quell'uomo?"  pensò Nathan. Poi sentì una flebile ventata accarezzargli la pelle, e trasalì. Ma prima che potesse dire una singola parola, una raffica di vento spazzò via la cucina e alcuni detriti. Ora la casa era ridotta a soggiorno, camera da letto e bagno. Tutt'attorno la casa i detriti volavano sulle loro teste, mentre il vento cambiava direzione come impazzito. Le due pale del mulino a vento, cominciarono a girare violentemente e in breve, una di esse si spezzò e volò via, conficcandosi nel terreno come una pugnalata. Eva e Julien, entrambi con le ginocchia a terra, si strinsero in un abbraccio. Nessuno dei due voleva morire, e la tregua aveva lasciato spazio ad una pace per la sopravvivenza. Nathan si accasciò affianco al gabinetto, il viso inquietante della bambola che sorrideva con la penna piantata sopra la testa. Le raffiche di vento si abbattevano senza pietà, spazzando via tutto ciò che incontravano. Ma per una strana causa, la camera da letto, il bagno e lo stesso mulino, fatta eccezione per le eliche, sembravano invulnerabili. Il vento infuriava violento, ma dalla casa, non era in grado di portarsi a presso niente, dal più piccolo oggetto al più pesante. Tutto rimaneva immobile, tranne loro tre. Il vento tentava di afferrarli, di prenderli, di portarli via, ma loro resistevano. Qualunque strano potere ci fosse in quel posto, loro non né erano soggetti. Anzi, gli aveva rifiutati quando Nathan aveva tentato di entrare nel mulino. Forse li voleva morti, o forse non gli importava niente.

Lentamente, i venti si fecero meno intensi, la pioggia cessò e tutto tornò alla normalità. Da quanto tempo erano rimasti lì? Nathan mise fuori la testa, guardando in su verso il tetto forato; cadevano ancora gocce d'acqua da lì. Il cielo si era schiarito, ma rimaneva sempre di quell'identico colore grigiastro. In lontananza, verso una piccola duna di cenere, si addensavano nuvoloni neri, carichi di chissà cosa. Poco dopo, entrò nella stanza accanto, mentre Eva e Julien si guardavano intorno. Nathan tastò il terreno con la punta della scarpa destra. Era duro. L'acqua non era filtrata nel terreno. 
"Pioggia acida e chissà cosa" disse Nathan, ma nessuno lo ascoltò, almeno in un primo momento.
"Qua fuori il terreno è pieno di pozzanghere." rispose Eva, indicandoli con il dito.
"Se fossi in voi, non metterei piede fuori" Julien guardò entrambi. 
Nathan si ricordò di avere il manico dell'accetta in mano. La fissò per un istante e poi la lanciò fuori. L'asta colpì in pieno una pozzanghera, che la disintegrò all'istante. Un esile fumo si levò in cielo.
"Beh, dobbiamo aspettare. Non abbiamo altra scelta." disse Nathan.

Passarono venti minuti. Il terreno fuori dalla casa aveva assorbito l'acqua. Mentre nella camera da letto, nel bagno e nella cucina, tutto rimase così com'era, almeno così sembrò loro. Uscirono fuori dall'edificio, scalando carponi un piccola collina di detriti; la stessa di prima. Mancò poco che Eva cadesse in una pozza d'acqua formatosi sulle mattonelle della camera da letto, ma Julien l'afferrò in tempo dall'avambraccio. I loro sguardi si incrociarono per un momento. Una volta che Eva ritornò in equilibrio, Julien lasciò la presa. Nathan fu il primo a toccare la fanghiglia che si era creata dopo che il terreno aveva assorbito l'acidità, e poi l'acqua, proceduta da Julien ed Eva. Il mulino se ne stava solitario più in alto. Nathan andò all'entrata e toccò le assi con le mani. "Più che legno, sembra acciaio" pensò. Cercò di smuoverle, ma senza successo. Allora con le punte delle dita toccò i chiodi arrugginiti, ma niente. Qualunque cosa ci fosse dentro il mulino, doveva rimanere lì per sempre. 
"Stai perdendo tempo." Disse Julien "Questo posto sembra stregato."
"Dentro potrebbero esserci delle provviste?" rispose Nathan.
"Provviste? Stai scherzando spero?" Julien scosse la testa.
"Non è mai entrato nessuno in questo posto. Può esserci di tutto." Nathan cercò con le mani un punto debole dove poter far pressione e staccare le assi. Le dita andarono giù e su, destra e sinistra. Era tutto inutile.
"Non puoi entrare." Disse Julien "Credo che siamo ospiti indesiderati. Faremo meglio a muoverci."
Nathan alzò lo sguardo verso l'unica pala del mulino. "Guardate là! C'è una crepa. La vedete?" Indicò una voragine con il dito, accanto all'unica ala rimasta. "Forse possiamo entrare da lì."
"E dopo come usciremo?" Domandò Julien "Sempre se c'è un modo per scendere."
"Ci inventeremo qualcosa." 
"Se non ci riusciamo?" 
"Allora lasceremo perdere."
"Tu non lasci mai perdere nulla." 

Nathan scrutò le mura del mulino cercando degli appoggi per la scalata. Mise le mani verso una pietra sporgente e cominciò a salire. Un mano dopo l'altra, un piede dopo l'altro. Eva e Julien lo guardarono dare la scalata alla parete. Più saliva, più i mattoni erano sporgenti. Un minuto dopo arrivò davanti alla crepa. Si voltò verso Eva e Julien per un istante. Poi mantenendosi con entrambe le mani sui lati del muro danneggiato, sporse la testa dentro il mulino. L'interno era buio, almeno in un primo momento. Ma poco dopo si accorse che le pareti erano colorate di nero, come se fosse scoppiato un incendio invisibile, e non scure per l'assenza di luce. Cercò un appiglio con il piede, ma non trovo nulla. Allora si guardò ai lati. Giù, a destra, vide una piccola scala circolare attaccato al muro che saliva verso di lui. Continuava qualche metro più in alto, ma la piattaforma d'appoggio era crollata chissà quando, così come gli altri gradini che conducevano in cima. Mantenendosi con entrambe le mani sul lato destro del muro, scese fino a toccare con il piede sinistro l'ultimo gradino dalla scalinata. Fece forza sul piede, tenendosi ben aggrappato al muro. Il gradino resse il suo pese. Appoggiò l'altro piede, e spalle al muro, scese lentamente. Fasci di luce penetravano dalle fessure delle assi che bloccavano l'entrata principale. C'erano qualche cassa e sacchi di cereali. Nel mezzo si trovava un grossa macina e il rotore. A sinistra le macerie della piattaforma e di alcune scale. Man mano che scendeva, l'aria diventava sempre più irrespirabile. L'odore nauseabondo gli era del tutto sconosciuto. Raggiunse il piano terra. Ebbe la sensazione di essere osservato. I suoi occhi ansiosi scrutarono ogni angolo del mulino, ma era solo là dentro. Andò all'entrata. Eva e Julien lo aspettavano fuori.
"Sono qui!" disse Nathan.
"Stai bene?" Rispose Eva.
"Certo che sta bene. Non lo vedi?" Aggiunse Julien.
Eva gli lanciò uno sguardo torvo.
"Cosa hai trovato?" disse Julien a Nathan.
"Sacchi di cereali e delle casse. Non so cosa ci sia lì dentro. Magari gli do..." Qualcosa si mosse alle spalle di Nathan, facendolo rabbrividire. Percepì il respiro di qualcuno proprio dietro l'orecchio. Poteva sentire l'aria sulla pelle, sulla nuca. Aria gelida, marcia.
"Ci sei ancora?" domandò Julien.
"Rispondi, Nathan" disse Eva preoccupata "Non fare i tuoi soliti scherzi. Non è il momento adatto."
Il respiro di quell'essere divenne pesante. Nathan era paralizzato dalla paura, gli occhi spalancati dal terrore. Deglutì lentamente la saliva cercando di non far rumore.
"Questo posto non t'appartiene" una voce rauca, profonda echeggiò tutt'attorno, rimbalzando sulle pareti.

 

   
 
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