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Autore: CHAOSevangeline    10/06/2019    2 recensioni
Vincitrice della seconda edizione del concorso indetto da fanheart3 in occasione della convention ficsIT
Un Oracolo è un'infallibile autorità fonte di profezie. E se Patroclo avesse previsto le rovinose sorti della guerra? E se avesse tentato di salvare Achille?
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Un’immagine bruciò contro le sue palpebre: un corpo freddo avvolto in un drappo di stoffa candida. Ciocche castane che spiccavano su campo bianco.
E sentì la furia come fosse un ricordo, quasi l’avesse già vissuta. Il cuore a pezzi. Ricordò le proprie grida e le morti, il sangue copioso per vendicare l’unica cosa che contasse davvero: la vita. Quella che non era riuscito a proteggere.
Quella della ragione per cui davvero viveva.
Patroclo.
«Basta…»
Achille si aggrappò agli avambracci di Patroclo in preda allo sconforto e quando le sue dita leggere come piume non gli pesarono più come moniti sulle palpebre, due lacrime caddero dagli occhi sconvolti di Achille.
«Che cosa ho fatto…?»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oraculum

 



Aprì gli occhi e tornò alla realtà come se anch’essa fosse sogno. Patroclo vide il soffitto di quarzo della caverna di Chirone e sentì un brivido, il vibrare estatico del suo cuore al pensiero di trovarsi in un luogo perfetto, sicuro.
Uscì alla luce del sole e vide il centauro in piedi di fronte all’ingresso della grotta.
Si scambiarono un cenno di saluto.
«Sembravi stanco, abbiamo pensato di lasciarti dormire.»
Non accadeva mai che lo lasciassero riposare, che Achille non si chinasse sul suo volto premendo la punta del naso contro la sua, solleticandogli la pelle con le lunghe ciocche di capelli dorati fino a svegliarlo. «A costo di caricarti in spalla», aveva detto una volta, Patroclo che faticava a destarsi, «verrai con me.»
«Dov’è Achille?»
L’urgenza di un sogno, quella che spinge ad agire senza un’apparente ragione mosse Patroclo a porre quella domanda senza domandarsi cosa stesse facendo Chirone nonostante qualsiasi oggetto si trovasse al di sotto del suo possente volto barbuto fosse sfocato ai suoi occhi, quasi fosse di poco conto e dovesse rimanere tale, invisibile: non era importante.
Chirone scrollò le spalle e Patroclo ebbe paura che non lo sapesse; ma doveva saperlo, perché lui aveva bisogno di vedere Achille.
Non era certo del perché, ma doveva. Imperativo.
«Al vostro solito posto. Mi ha detto di dirti questo quando ti saresti svegliato.»
Patroclo annuì e subito prese a camminare.
Il solito posto era uno spiazzo erboso sulla cima di una collina baciata dal sole. Si schiudeva subito dopo la cornice di una rigogliosa radura e donava il caloroso conforto della luce ma anche il sollievo dell’ombra frondosa degli alberi sulla pelle cocente. Digradava fino a una striscia di sottobosco. Poi c’era il fiume.
Lui e Achille l’avevano scoperta qualche mese prima e subito proclamata il loro luogo segreto. Protetto. Intoccabile. Sacro.
Patroclo doveva parlargli, questo l’unico pensiero a muovere i suoi piedi lungo il sentiero che lui e Achille avevano battuto per raggiungere quella radura più e più volte.
Il cuore gli palpitava nel petto passo dopo passo, metro dopo metro. Di lì a poco l’avrebbe incontrato ed era pronto.
Credeva di esserlo: quando lo vide, seduto sul confine dove l’altura digradava sempre di più, Patroclo si innamorò di nuovo; i capelli di Achille sembravano aver inghiottito il sole e la sua pelle dorata pareva aver sposato, per risolvere con armonia un contrasto, la tunica bianca.
Patroclo aveva spezzato un ramo con il piede mentre usciva dalla radura, ma incantato da tanta bellezza non se n’era nemmeno accorto. Aveva provocato un singolo fruscio e solo questo era stato necessario per far voltare Achille, gli occhi verdi pronti a trafiggerlo come una lancia se fosse stato un nemico. Ma sapeva che era lui.
«Riconosco il tuo respiro e i tuoi passi», gli aveva confessato giorni, settimane, forse mesi prima.
Parve sul punto di parlare, ma Patroclo non gliene diede il tempo.
Avevano a malapena sedici anni anche se si sentiva come se ne avesse molti di più.
Non doveva giustificare tutto.
Corse verso Achille, lo sguardo da cerbiatto del compagno in preda alla confusione. Piombò su di lui e ruzzolarono in un unico intrico di braccia e gambe sull’erba morbida del pendio, le mani di Patroclo sotto la testa di Achille per proteggerlo da qualsiasi pericolo inaspettato fra i fili d’erba.
A metà della caduta avevano cominciato a ridere senza motivo e senza bisogno che ce ne fosse uno.
Erano giovani e innocenti.
Quando si arrestarono, il fiato corto per le risate nel petto di entrambi e Patroclo sul corpo del compagno, si guardarono negli occhi.
«Patroclo?» azzardò sorpreso Achille.
Che ti è preso? Sembrava questa la sua domanda.
«Non lo so.» Gli sembrò naturale rispondere così. «Sono felice di vederti.»
E come era stata spontanea la sua prima risposta, fu spontaneo per gli occhi di Patroclo riempirsi di lacrime nel pronunciare quelle successive, dolci parole. Guardava Achille e lo vedeva di nuovo, quel giovane e spensierato ragazzo. Guardava il vero Achille, quello felice, quello puro.
Sentì i suoi polpastrelli morbidi sulle guance, sugli zigomi. Perché Achille non voleva chiamarlo ancora in preda allo stupore, ma non sapeva cos’altro fare per ottenere una spiegazione e donargli conforto.
«Cosa ti succede?» gli chiese infine, la voce che pareva striata di miele.
Patroclo si sollevò. Sentiva l’angoscia nella gola, un’incudine sul petto e lo stomaco annodato.
«Devi ascoltarmi», cominciò. «Devi farlo, Achille.»
Le loro gambe erano ancora intrecciate, il busto di Achille vicino al suo.
«Ti ascolto sempre.»
Bastò quell’invito a parlare, quella rivelazione ancora vera perché le parole sbocciassero dalla bocca di Patroclo. Ma erano così infette di amarezza, di terrore, da sembrare il più terribile degli arbusti rampicanti, un tossico parassita, e non un fiore.
«Domani un uomo verrà qui per riportarci a casa, da tuo padre.»
Parlava di cose che nemmeno credeva di sapere, Patroclo, le parole fluivano dalla sua gola come un fiume in piena.
Raccontava come se il suo fosse un ricordo, come se fosse stato ospite di un ingrato futuro da cui era fuggito per miracolo. Come se quel domani lui lo avesse già visto con gli stessi occhi con cui in quel momento guardava Achille.
«E mi chiederai di giurare, allora.»
Achille era confuso, ma pareva credergli e importava solo questo.
«Cosa dovresti giurarmi?»
«Che sarai il primo eroe ad essere felice. Perché sono io la ragione.»
Gli occhi di Achille si spalancarono per la sorpresa. Patroclo lo aveva confessato sapendo di fare breccia nell’ultimo briciolo di resistenza che Achille avrebbe potuto opporre.
«Come fai a…»
Sapere che te lo avrei chiesto, perché ci penso da giorni – questo avrebbe voluto chiedere Achille.
«Non lo so.»
Patroclo non lo interrompeva mai, ma sentiva d’improvviso di non avere tempo, come se l’arrivo dell’uomo che avrebbe dovuto strapparli al loro idillio di bagni nel fiume e notti trascorse abbracciati sul giaciglio della caverna di Chirone potesse verificarsi da un momento all’altro e non l’indomani, come lui stesso aveva predetto.
Fu lui a prendere il viso di Achille fra le mani, adesso. Gli occhi scuri disperati.
«Ho visto cosa sarà di noi, Achille», gli sussurrò. «Ho visto cosa diventeremo.»
Achille avrebbe potuto dirgli di riposare, che doveva trattarsi di un incubo, ma quello era il consiglio che avrebbe dato a un folle e non il rimedio per la sincerità di Patroclo. Perché sapeva che lo era: sincero. Non metteva in dubbio una sola delle sue parole e la paura di Patroclo divenne la sua mentre Achille lo guardava negli occhi; gli sembrava di assistere all’estasi di un oracolo, le cui orecchie udivano i gentili ma nefasti sussurri di una divinità pronta a rivelare il futuro.
«Ci riporteranno a casa, a Ftia, e tua madre ti nasconderà dalla guerra. Ma non importa, perché la guerra ti troverà. E ti costringeranno ad andare, Achille. Ti costringeranno promettendoti fama e orgoglio, ti convinceranno dicendo che verrai dimenticato, altrimenti.»
Il volto di Achille si fece torvo e Patroclo si sentì come se lo stesse perdendo. Di colpo vide un’immagine: Achille, di anni più maturo, torreggiante in mezzo al campo di battaglia. Vedeva la sua armatura sporca di sangue e gli occhi accesi dal furore della battaglia.
Lo vedeva macchiato dalla violenza della guerra.
Lo vedeva corrotto.
Lo vedeva lontano.
E lo vedeva stupendo, ma non come un tempo. Non come avrebbe meritato.
Perché l’Achille il cui volto stringeva fra le dita alle radici di quella collina di luce non era così.
«Sai che io desidero la fama che mi spetta, Patroclo. Sono nato per questo. Vivo per questo.»
«No!» Gridò Patroclo e neanche se ne rese conto. «Lascerai morire migliaia di uomini per un’offesa. E tu non sei questo, Achille. Tu sei molto di più.»
Lo vedeva vacillare, Patroclo, gli occhi verdi che cercavano un appiglio nei suoi e non lo trovavano, perché incontravano solo lacrime e disperazione. Achille incespicava e non sapeva cosa fare. Patroclo era la sua sicurezza e franava sotto di lui.
Allora Patroclo parlò.
«Chiudi gli occhi.»
Glielo intimò sottovoce.
E con fin troppa facilità Achille lo fece. Le ciglia bionde calarono sugli zigomi ammorbiditi dalla giovinezza. Patroclo posò piano due dita sulle sue palpebre.
E Achille la vide.
Vide la guerra. Vide il sangue.
Vide i villaggi razziati e si vide osannare da uomini che da lui non pretendevano altro che la morte.
Sentì la voce di sua madre che gli confessava che sarebbe morto su quel campo di battaglia e guardò mentre voltava le spalle alle lacrime di Patroclo per l’orgoglio, per l’odio nei confronti di un uomo, un re che gli aveva arrecato un’offesa.
E improvvisamente desiderò di tornare ad essere l’Achille che suonava la lira disteso sulla panca coperta di cuscini dove Patroclo gli aveva parlato per la prima volta. Desiderò di provare ancora la gioia delicata di scoprire il nome del compagno, e non quella di ottenere un glorioso bottino macchiato di sangue.
Tutto questo perché era un semidio, destinato a grandi imprese. Destinato ad essere ricordato, all’ardore marcio della fama.
Un’immagine bruciò contro le sue palpebre: un corpo freddo avvolto in un drappo di stoffa candida. Ciocche castane che spiccavano su campo bianco.
E sentì la furia come fosse un ricordo, quasi l’avesse già vissuta. Il cuore a pezzi. Ricordò le proprie grida e le morti, il sangue copioso per vendicare l’unica cosa che contasse davvero: la vita. Quella che non era riuscito a proteggere.
Quella della ragione per cui davvero viveva.
Patroclo.
«Basta…»
Achille si aggrappò agli avambracci di Patroclo in preda allo sconforto e quando le sue dita leggere come piume non gli pesarono più come moniti sulle palpebre, due lacrime caddero dagli occhi sconvolti di Achille.
«Che cosa ho fatto…?» domandò, un filo di voce.
Poi osò guardare Patroclo. Nelle iridi solo vergogna.
«Che cosa ti ho fatto?»
Patroclo scosse il capo.
«Ancora nulla», mormorò. «Non è colpa tua, Achille. Ti hanno costretto… ti hanno fatto credere che fosse un tuo volere perché in quanto semidio non puoi essere destinato a nient’altro. Ma puoi scegliere.»
Patroclo strinse il suo corpo afflosciato dal timore fra le braccia.
«Tu sei umano. Questo io lo so.» Un soffio di parole contro l’orecchio di Achille. «Ricordo il ragazzo che mi ha accettato nonostante i miei crimini e lo vedo ora di fronte a me, chiaro come il sole.»
Gli alzò il viso.
«Ignora la tua natura, Achille. Ignora tutto ciò che non sei tu a desiderare, te ne prego.»
Una disperata supplica.
«Non sei figlio di Teti, non sei figlio di Peleo. Sei Achille. Mio eterno amore. Solo questo e molto di più.»
E sei umano.
Ripeté quelle due parole fra i suoi capelli mentre Achille gli si nascondeva contro, rannicchiava, sopraffatto.
Sei umano, sei umano.
«Non c’è profezia che te lo possa togliere.»
Quell’appello disperato ottenne risposta. Fu Achille ad alzare il capo, fiero come un eroe. Perché lui lo era, un eroe. Lo sarebbe sempre stato e ancor di più senza quel sangue a macchiare le sue mani, incrostato sotto le unghie.
Patroclo lo vedeva brillare e pensava che fosse bellissimo.
«Cosa possiamo fare, Patroclo?»
L’innocente domanda di un bambino.
«Non possono vincere la guerra senza di te, lo sanno. Verranno a cercarti per questo», sussurrò.
Achille era solo uno strumento.
«Vorranno anche me, perché ho giurato di proteggere Elena con il sangue», confessò. «Ma ho anche giurato a te di renderti felice e questo è più importante.»
Achille schiuse le labbra.
Sapeva cosa gli stava suggerendo e Patroclo sentiva con la mente i suoi pensieri. Percepiva i suoi timori.
«Se fuggiamo saremo dei codardi. Verremo dimenticati.»
«Saremo codardi solo in un mondo dove la guerra e l’orgoglio contano più della pace. Meglio essere dimenticati, allora. E se non dimenticheranno, se ci ricorderanno per questo, allora ci ricorderanno per aver avuto il coraggio di dissentire», rispose. «Siamo codardi a voler essere felici, Achille?»
Un momento di silenzio.
«No.»
La fronte di Achille si poggiò contro quella di Patroclo, gli occhi socchiusi e ora più sereni.
Accadeva tutto in fretta, quasi una visione.
Le dita di Achille si intrecciarono con le ciocche scure di Patroclo e finalmente anche l’animo del giovane compagno di Achille si sentì in pace.
«Non andremo in guerra, Patroclo», sussurrò. «Resteremo uomini, fossimo anche gli ultimi in un mondo di bestie.»
Sollievo.
E il bacio che suggellò quel giuramento fu ciò che fece sentire Patroclo strappato dalle braccia di Achille.
 
Aprì gli occhi e tornò alla realtà, ma questa non era sogno.
Il respiro affannato e l’umido peso del sangue sul ventre. Vedeva il cielo terso e sentiva le grida della battaglia tutte intorno, avvolgenti come un drappo dal peso soffocante.
Achille lo aspettava all’accampamento, ma non lo avrebbe più rivisto. Non con la vita a illuminare il suo viso.
Il fulgido lampo di una lancia balenò di fronte ai suoi occhi socchiusi.
Avrebbe dovuto sapere, Patroclo, che questo sarebbe stato il prezzo da pagare per l’onore, per il ricordo, per la guerra.
Avrebbe dovuto sapere che giurare ad Achille di essere la ragione della sua felicità lo avrebbe dovuto spingere a impedirgli di prendere le armi. Proprio come aveva fatto su quella collina, in quel sogno fatto dei suoi ultimi respiri.
La codardia sarebbe stata un prezzo molto meno doloroso.
E mentre le palpebre calavano sugli occhi e il cielo scompariva, mentre vedeva solo Achille coperto dal sangue delle battaglie, Patroclo capì: non erano stati umani.
Udì ancora le parole di Achille risuonare nelle orecchie.
«Resteremo uomini, fossimo anche gli ultimi in un mondo di bestie.»
Perché, Achille, non è stato così?





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... Allora.
Sto pubblicando questa storia il giorno dopo la premiazione e sono ancora sconvolta dalla notizia.
Per chi non conoscesse il ficsIT è un evento sulle fanfiction organizzato dall'associazione culturale fanheart3, che si occupa di fan, fandom e fan culture in generale. Le organizzatrici hanno fatto uno splendido lavoro per organizzare l'evento e durante lo stesso, e penso spammerò quest'occasione di aggregazione per i fan fino allo sfinimento perché merita davvero tutte le attenzioni possibili per la cura con cui è stato organizzato.
Il tema del contest di quest'anno era #stayhuman e beh, avevo finito di leggere La canzone di Achille da qualcosa come... due settimane? Un mesetto? Non potevo assolutamente non partecipare con questo fandom: avevo tutto su un piatto d'argento.
E sì, la storia è pronta da gennaio. L'ho corretta e ricorretta mille volte, ma prima di pubblicarla ho scelto di non farlo perché vorrei che rimanesse così com'è.
Un ringraziamento doveroso va alle organizzatrici per questa traccia, perché altrimenti non avrei avuto quest'idea, e alla giuria che ha visto nel mio scritto del potenziale.
Voglio ringraziare chiunque mi abbia fatto supporto.
E beh, le dedico tipo tutto perché se lo merita, ma questo è un caso un po' particolare e dedico questa vittoria a Rika, che mi ha presa a sberle psicologicamente mentre dicevo "no io non partecipo, ma che voglio fare che non sono capace". E che forse quando ha saputo del risultato ha esultato più di me. Fai più di quanto credi e non hai idea della sprone che mi danno i tuoi incoraggiamenti. Davvero, grazie.

... E anche a mio Papà, che si è lamentato giusto prima perché non gliel'ho fatta leggere, ma è stato di estremo supporto.
Spero che la storia vi sia piaciuta e vogliate dirmi cosa ne pensate <3
   
 
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