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Autore: vale21    11/06/2019    0 recensioni
C'è uno strano vuoto in ognuno di noi. Come cercare di riempirlo, di sanare la vita non è perfetta, non è scritto in nessun catalogo.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chara, Frisk, Undyne
Note: Nonsense, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Formiche operaie – empire ants
La calura permeava la stanza. Chara leggeva una rivista di biciclette sotto una lampada rossa, davanti a un ventilatore. Frisk fissava il cielo alla ricerca di Andromeda…il cielo e il mare si assomigliavano molto al buio.
“Vuoi chiudere? Entrano zanzare.”
“Sì.”
Frisk chiuse la finestra. Chara voltò pagina frustando la carta.
***
La pulizia di Chara era maniacale. Frisk ci aveva fatto l’abitudine. Pulivano le tende e cambiavano le lenzuola ogni settimana. Chara si accucciava sotto i letti a raccattare la polvere. Le confezioni dei cibi precotti e dei dolciumi comprati ai kombini venivano gettate via dopo il consumo.
Ogni volta che qualcuno ci entrava, l’appartamento pareva pronto per la vendita.
Alla parete non c’era neppure un poster di ragazza, ma uno della città di Asterdam. Scelto da Chara. Il poster era freddo e ordinario.
“Non ho mai conosciuto un tipo più particolare di te!” gli diceva ridendo Frisk.
“Cosa credi, stupido?” rispondeva Chara. “Che ci appendo le tette di una sconosciuta, a quel muro?”
in verità Chara era conosciuto per essere un donnaiolo. All’università si vociferava si fosse portato a letto più di cento donne. Quando gliel’aveva chiesto, Chara disse che era arrivato a settanta, ma era evidente che era solo un numero per lui. Non gli importava nessuna di quelle ragazze.
“E’ un hobby come un altro.” Diceva freddo. “C’è chi costruisce piste per i trenini e chi gioca a poker.”
“Sì, ma tu stai parlando di persone.”
Frisk era sconcertato dalle abitudini del suo coinquilino, ma non lo giudicava. Era evidente che non gli diceva tutta la verità, ma a lui andava bene così. Era un ragazzo semplice, e non si faceva troppe domande.
***
Chara da bambino era cagionevole di salute. Era stato adottato da una buona famiglia, che lo viziava e coccolava sempre, concedendogli tutto ciò che voleva.
Crescendo Chara si era irrobustito, ma la sua indole era rovinata per sempre. Era freddo, cinico, arrogante e manipolatore. Aveva un carattere così ben definito che Frisk ne era rimasto colpito. Era come uno spigolo.
“Ma tu non mi parli mai della tua famiglia…” Chara era scocciato.
“Non ho niente da dire. Sono cresciuto in un paesino…”
“E i tuoi? Che dicono che sei a Tokyo?”
“I mie sono morti in un incidente aereo l’anno scorso.”
“Oh…”
Chara non aveva mostrato nessuna empatia, ma smise di fare domande. Comunque, era tutto vero: i genitori di Frisk erano morti a causa di un avaria dell’aereo mentre tornavano da un’isola della grecia. Quel tipo di incidenti era talmente raro da chiedersi se l’aereo non fosse scomparso nel nulla.
Da allora Frisk continuava a frequentare l’università con i soldi dell’assicurazione. Era stato un duro colpo, ma aveva convenuto che era meglio continuare a vivere a Tokyo che sprofondare nella depressione. Non aveva mai detto a nessuno della morte dei suoi. Né l’aveva mai fatto notare.
“Sei proprio un bel tipo, tu!”
Chara gli poggiò una mano sulla spalla. Era la prima volta che lo sentiva dire parole simili.
“Credevo che il bel tipo fossi tu.” Rise Frisk.
“Solo l’aspetto.” Rispose Chara, perché sapeva di essere bello. “Ma il cuore, quello farebbe svenire anche una capra.”
***
Frisk lavorava part-time a un negozio di torte. Al ritorno capitava che se ce n’erano di avanzate il proprietario del negozio gliele regalasse. Oppure si fermava in un kombini e prendeva un pacco di cioccolatini per Chara.
I due consumavano i dolci in silenzio ogni fine settimana, col televisore acceso al minimo. Era un’abitudine che piaceva a entrambi, anche se Chara diceva che era stufo di mangiare quella merda.
“Metti grasso sul culo.” Gli fece notare una volta.
Frisk era piuttosto asciutto, anche perché gli piaceva nuotare e lo faceva spesso. Non era un tipo loquace, perciò si era abituato a sfogarsi con l’esercizio fisico. Chara amava giocare a tennis, poi con le loro uscite serali i due non avevano possibilità di accumulare grasso, ma Chara l’aveva detto per infastidirlo. Invano.
“Li hai presi al kombini?”
Chara stava mangiando di gusto delle praline di cioccolato bianco. Frisk disse di sì, intento a guardare il meteo.
Quella sera erano andati al biliardo. Era una delle loro destinazioni preferite oltre alla sala giochi della Atari. Le sale erano fumose e le luci abbaglianti, ma si divertivano un mondo. A volte, Frisk accompagnava Chara per i  locali alla ricerca di ragazze, ma questo gli piaceva meno.
Una volta era stato al gioco e poi erano andati in un Love Hotel, ma quell’evento era stato così squallido che Frisk se l’era sentito addosso per settimane. Non sapeva come faceva Chara. Non ci voleva un granché a trovare ragazze di quel tipo, ma se non si combinava niente continuavano a girare finché Chara alzava il gomito.
Succedeva. Era per sopperire alla sua dipendenza. Ma Chara era del tipo che diventa attaccabrighe quando beveva, perciò era pericoloso anche per Frisk.
“Calmati!”
Cercava di trattenerlo ogni volta, provando a farlo smettere di cacciarsi nei guai. Ma alle volte, aveva dovuto lasciar perdere, e ritornare all’appartamento da solo. Aspettava Chara seduto davanti alla finestra, e puntualmente tornava.
Solo una sera era dovuto andare a cercarlo.
***
Chara amava la zona commerciale di Akibahara, perciò Frisk era andato a cercarlo lì. Aveva girato ore per tutti i locali, quando vide la sua sciarpa gettata vicino a un bidone.
“Chara, sei qui?” chiamò.
C’era uno di quei bidoni condominiali nel vicolo, e lì si mosse qualcosa. Frisk pensò si trattasse di un gatto, ma quando sentì mugugnare vide che si trattava di Chara.
“Chi ti ha buttato lì? Ci sei andato da solo?”
Alla fine Frisk riuscì a tirarlo giù, ma Chara non rispondeva. Era sveglio e stranamente sobrio, ma non pareva cosciente. Era come sotto shock, o molto ferito.
“Cosa è successo?”
Frisk cercò di aiutarlo. Qualcuno l’aveva gettato nel cassonetto, ma lui disse solo una cosa.
“Mi hanno rubato il portafogli.”
E andarono alla polizia.
***
A quell’ora di notte lo sportello era ancora aperto. Ci trovarono l’ufficiale del posto che beveva una tazza di caffè sfogliando plichi.
“Ci scusi, ma ci hanno rubato il portafogli.”
L’ufficiale si volse verso Frisk, che teneva Chara appoggiato a sé. Li guardò con una certa sufficienza, ma non disse nulla che lasciò trapelare un giudizio.
“C’è da compilare un modulo.”
Frisk aiutò Chara a sedersi su una delle sedie in sala d’attesa, e seguì la poliziotta.
Era una donna alta, dai capelli rossi legati in una coda. La divisa le stava bene sopra anni di allenamento. Aveva un’aria severa, ma si vedeva che non era malvagia. Era solo abituata a squadrare le persone come stava facendo con Frisk.
“Qui c’è la penna.”
“Grazie.”
Frisk si mise a compilare il modo, ma molte voci rimasero vuote perché alcune risposte poteva averle solo Chara. La poliziotta guardò il modulo perplessa.
“Tutto qui?”
“Mi dispiace.”
“Potevate tornare domani.”
“Il mio amico ha insistito molto.”
“Pare che il tuo amico volesse stare fuori casa un altro po’.”
Quel commento lo sorprese. Chara non voleva tornare a casa?
La luce al neon giocherellava in quell’ufficio bianco ottico. I capelli rossi della donna e il suo temperamento forte e amaro stonavano.
“Ha fatto una rissa?” domandò lei.
Frisk alzò le spalle. “Non vuole dirmelo. Ha insistito molto per venire.”
“Capisco.”
La donna guardò fuori dalla finestrella della porta abbassando con un dito le tapparelle. Chara dormiva con la testa ripiegata in avanti. Un velo di imbarazzo intercorse tra Frisk e la poliziotta dai capelli rossi.
“Mi chiamo Undyne, piacere.” Disse lei.
“Frisk. Piacere mio.”
Si strinsero la mano in modo più timido del previsto.
“caffè?”
“Sì, grazie.”
***
Chara non voleva stare solo con i suoi pensieri. Qualcosa aveva scosso la sua apparente mancanza di emozioni. Frisk era rimasto turbato.
“Va tutto bene?”
“Sì. La ringrazio molto.”
Erano le quattro di notte. La brocca del caffè era vuota. Undyne sbadigliò con il gomito appoggiato sul tavolo.
Nell’altra stanza, le luci si erano spente. Avevano alzato insieme Chara per metterlo su una brandina con una coperta. In quelle condizioni era impossibile per Frisk riportarlo a casa, perciò doveva attendere il giorno dopo.
“Non serve che mi ringrazi.” Disse Undyne. “Tanto devo stare qui comunque fino alle sei.”
Frisk sorrise anche se molto stanco. “Spero di trovare un modo di sdebitarmi.”
Lei scosse la testa. “Fa nulla, davvero.”
Gli sorrise. Quando sorrideva, era persino bella. Le luci di Akibahara fuori stavano cominciando a smorzarsi.
“Tu…non sei di qui, vero?” gli domandò.
“No, mi sono trasferito qui per l’università, ma prima vivevo in un altro posto.”
“Capisco. Anch’io sono cresciuta in campagna, perciò riconosco i miei simili.”
Entrambi si voltarono verso l’esterno.
“In questo posto la frutta costa tanto e il pesce è cattivo.” Disse Undyne.
Frisk ridacchiò. “Pesce? Però c’è un bell’acquario.”
Undyne lo guardò incuriosita. “Vuoi dire l’acquario di Edogawa? Non ci sono mai stata.”
“No? E’ molto bello!”
Frisk adorava guardare i pesci. Lo rilassavano più di ogni altra cosa. Quand’era piccolo aveva un laghetto di carpe koi, e ci andava ogni volta che si sentiva solo. Guardare i colori dei pesci ondeggiare nel liquido illuminato dal sole lo calmava più della voce di un essere umano.
Undyne annuì.
“allora penso che ci andrò. Uno di questi giorni…”

***
“Sei proprio un egoista, Frisk. Salvarmi in quel modo…”
Il giorno dopo Frisk e Chara erano tornati all’appartamento in treno. Frisk doveva andare a lezione ma Chara aveva la febbre ed era rimasto a letto.
Frisk aveva ripensato all’incontro della sera precedente, e pensò che non avrebbe più trovato il portafoglio. Chara avrebbe messo il broncio perciò pensò di comprargli il suo obento preferito una volta tornato a casa. Quello lo rincuorava sempre.
Al termine della lezione, rivide i pesciolini argentei della fontana e si ritrovò con la voglia di recarsi all’aquario. Dopo il lavoro alla pasticceria avrebbe potuto prendere il tram…
Quei pensieri, di giorno, apparivano soffocanti. Come una routine.
***
Quand’era tornato a casa erano le sei. Dopo aver messo Chara a dormire e avergli stretto le coperte il suo cuore batteva ancora forte. Perciò uscì.
Vide il cielo nero diventare blu scuro. Lavanda. Poi rosa…il cielo è sempre così pieno di vita. Colorandosi, rimaneva per metà in un grigio inchiostro. In lontananza c’erano i suoni delle auto. I marciapiedi vuoti. C’era talmente tanto silenzio che Frisk poteva udire ogni passo, ogni uccellino. Le finestre erano tutte scure. Ma il cielo si stava accendendo, mentre il mondo era immerso nel limbo tra la veglia e il sonno.
Undyne avrebbe dovuto tornare a casa a quell’ora.
Quando tornò dentro, Frisk si addormentò senza nemmeno mettersi le coperte.
 
Chara si stava lentamente intossicando con una sigaretta. Frisk aveva fogli ovunque. Stavano cercando di ripassare invano.
“Tu sei proprio un deficiente.”
Chara schiacciò la sigaretta sul portacenere. In quel momento, era l’unica cosa che lui e Frisk condividevano.
“Solo i deficienti studiano all’ultimo minuto…”
“Scusami Chara…”
Frisk era dispiaciuto, ma non preoccupato. Chara era in modalità bestia satanica. Se il governo avesse potuto imbottigliare quel tipo di umore e iniettarlo ai soldati vivi, ne avrebbe fatto un’arma di guerra.
“Quanto ci manca?”
Frisk sfogliò il libro con cura.
“All’incirca cento pagine.”
Chara lo guardò avvilito. Frisk gli sorrise debolmente.
“Scusa ancora se ti ho messo in mezzo.”
“Ma scherzi!” sbottò Chara arrabbiato. “Se non studi non passi l’esame! E questo è l’ultimo del semestre!”
In verità, Frisk aveva sempre studiato. I suoi voti erano mediocri ma non era mai stato brillante, almeno non come Chara che era considerato un genio. Era venerato dai professori ma faceva quello che gli pareva.
Frisk doveva attenersi alla strada classica per poter proseguire. Per questo Chara non poteva aiutarlo.
“Si può sapere che cos’hai fatto ieri?”
Frisk alzò lo sguardo. Capì che Chara non era arrabbiato perché doveva prepararsi all’ultimo, bensì per un’altra cosa.
“…ieri sera volevo uscire. Ero da solo, tu non eri ancora tornato…” Chara aveva la faccia accaldata. La sua pelle chiara si ustionava al sole come quella di un nordico. Questo perché era rosso di capelli. Frisk non aveva quel tipo di problemi, visto che la sua carangione era olivastra. Rimase intimidito dalla mancanza di protezione che la natura non aveva donato a Chara, bensì a lui.
“Sono stato all’acquario e non ho trovato la coincidenza per il treno.”
Chara sbuffò, tradito. Era buffo. Non aveva mai fatto tutte quelle scene nemmeno per una ragazza.
Frisk sbatté le palpebre, innervosendolo.
“Va bene. Me ne vado. Ho caldo.”
Se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle. Lasciò Frisk col silenzio e con la carta. Sudava dal caldo, ma era calmo. Si immaginò Chara di nuovo solo come una mina vagante per la città, e provò un lieve senso di colpa. Ma non se la sentì di chiedere scusa.
***
Era andato a comprare dei dolci al negozio dove lavorava. Glieli vendevano a metà prezzo. Il cagnolino abbaiava accanto a lui, senza guinzaglio.
Frisk ci teneva a portarlo a spasso durante il weekend. Era un volpino di pomerania bianco di nome Toby, appartenuto a una coppia anziana nel quartiere vicino. Una volta Frisk era stato morso per sbaglio e da allora aveva fatto amicizia con i due vecchietti, che gli chiesero se poteva portare fuori Toby qualche volta.
Il cagnolino aveva un carattere vispo e indipendente. Frisk badava a lui per modo di dire. Comunque, lo seguiva. Nelle zone più affollate gli legava il guinzaglio o lo prendeva in braccio, abbaiando a tutto spiano.
Quel giorno era anche abbastanza tranquillo. Quando entrò nel negozio, Frisk lo legò fuori, e lui se ne stette buono.
Dentro fu sorpreso di vedere la poliziotta dai capelli rossi. Stava ordinando una chiffon cake, ed era senza divisa. Indossava un completo dal taglio semplice, facendola sembrare una ragazza come tante. Quando si voltò, anche lei fu sorpresa di Frisk.
“Tu sei?! Guarda chi si rivede a quest’ora del giorno!”
Ovviamente alludeva al fatto di averlo incontrato mentre riportava a casa Chara alle tre di notte. Frisk sorrise imbarazzato al gestore di cui di solito era dipendente , pagò la chiffon cake per Undyne e i due uscirono. La fece ridere.
“Ma guarda, scusami! Non sapevo lavorassi qui…ti ho fatto fare una brutta figura.”
“No, no…sono rimasto sorpreso. Non sei in servizio?”
Undyne incrociò le braccia. “Ti pare? Anche noi abbiamo diritto a un po’ di riposo, non credi?”
Frisk sorrise e disse di sì. Gli ricordava un po’ Chara quando parlava così, e si mise a proprio agio perché sapeva già gestire quel tipo di carattere.
“E quel cane?” domandò lei.
Frisk si voltò verso Toby. Tirava innervosito il guinzaglio come se temesse si fossero dimenticati di lui.
“Oh, questo è Toby.” Disse Frisk sciogliendolo dal palo. “Lo porto fuori ogni tanto…è il cane dei miei vicini.”
“Credevo frequentassi l’università. Vivi ancora con i tuoi?”
“No, ma ho un appartamento lì vicino. Ci vivo con un mio amico, quello dell’altro giorno.”
Toby, finalmente libero, si mise ad abbaiare e scodinzolare felice. Undyne annuì alla menzione di Chara, ma non disse altro.
“Me lo ricordo.”
I due continuarono a camminare per un altro percorso. Undyne non aveva nulla da fare per il pomeriggio. Frisk le disse che avrebbe avuto un esame due giorni dopo, ma non aveva voglia di studiare. Lei annuì, come se capisse.
“Stare seduta dietro un banco non è mai stato per me.” Commentò.
Era leggermente più alta di Frisk, ma non lo faceva sentire a disagio. Tuttavia, con la calura e i numerosi silenzi tra una frase e l’altra misero Frisk in allarme. Era forse una differenza di posizione che non permetteva loro di essere sciolti? Eppure Undyne non aveva la divisa. E Frisk di solito aveva un bel carattere che andava d’accordo con tutti, molto accondiscendente. Tuttavia con Undyne era diverso. Pareva che non fosse possibile esserle simpatico, come se avesse messo un muro davanti a lui gridando ‘mi vuoi piacere? Allora devi fare un po’ di fatica!’
Alla fine Frisk si convinse che era troppo tempo che non usciva con una ragazza, e si mise il cuore in pace.
“Senti, ti va di andare da qualche parte?” le chiese dopo che ebbero portato Toby a casa.
Lei ci pensò un attimo.
“Uhm, va bene. A patto che mi porti in quell’aquario che avevi detto.”
E quell’acquario era dall’altra parte della città.
***
“Wow! Hai visto quello?”
All’acquario, Undyne divenne come una bambina. Voleva vedere ogni vasca e indicava ogni pesce strano, fissandolo in modo insistente. Non sembrava per niente un appuntamento romantico, Frisk non sapeva se era una cosa buona comunque.
Era strano perché di solito andava sempre all’acquario da solo. Faceva una passeggiata sotto le luci blu dell’acqua quando c’era poca gente durante la settimana. Dopo un po’ che camminava in quel luogo ovattato cominciava a sentirsi malinconico, e questo era lo stato d’animo a cui aspirava.
Comunque, era piacevole un cambiamento, ogni tanto. Undyne gli piaceva. Con Chara si sentiva quasi uno spettro, un’amalgama unita come con un cordone ombelicale al suo antipatico coinquilino. Ma con lei si sentiva molto più leggero e felice di sé stesso. Poteva esprimersi con più libertà.
A metà strada si fermarono al locale dell’acquario. Frisk ordinò del takoyaki, e Undyne rise di lui.
“Takoyaki! Ma è un piatto da bambini…”
“Ehm…” Frisk era un po’ imbarazzato. “Di solito lo prendo sempre quando vengo qui. Mi sento un po’ nostalgico per quando venivo qua con i miei.”
“Ah.”
Undyne non disse altro. Frisk sentì una crepa fra di loro alla citazione dei suoi genitori. Veramente si sentiva così con chiunque li citasse. Rimpianse ciò che aveva detto, anche se Undyne non parve farci molto caso.
“Vuoi qualcosa?” le domandò lui. “Offro io.”
“Non c’è n’è bisogno.”
Undyne prese il takoyaki prima di lui.
“Se non ti dispiace, ne prendo uno come il tuo…”
e si prese il suo. Frisk dovette comprarne un altro, ma la cassiera non lo fece pagare, stranamente. Undyne gli fece un cenno da un tavolo.
“A posto, a posto, vieni a sederti!”
Frisk la raggiunse, sedendosi di fronte a lei. Prese il suo takoyaki, e cominciò a fissarne la croccantezza bruciacchiata. Undyne pareva contenta.
“Allora, buon appetito!”
I due mangiarono in silenzio per un po’. Frisk si accorse di avere fame, ma lo stomaco fino ad allora gli era rimasto attorcigliato. Erano circondati da famiglie e coppie, c’era persino un gruppo di ragazzini in gita scolastica.
“Hanno un debito con me, qui.” Disse Undyne intenta sul suo takoyaki.
“Eh?”
Lei sollevò lo sguardo.
“E’ per qualcosa che è successo l’altro mese. Una rapina a mano armata.”
Undyne sollevò il braccio, scoprendosi la pelle. Frisk osservò un taglio netto vicino al gomito, fresco di sutura. Undyne lo ricoprì.
“Mi hanno fatto una decina di punti. Sai, quei tipi usano la punta di ferro sugli stivali per dartela in testa, ma per fortuna mi sono protetta all’ultimo minuto. Ero da sola.”
“Vuoi dire che hai fronteggiato una rapina da sola?” domandò Frisk incredulo.
Undyne alzò le spalle. Non pareva orgogliosa o spaventata. Ne parlava come dire che aveva mangiato pollo fritto.
“Non c’era nessuno in servizio. Era sera.”
“Ma avevi detto che non c’eri mai venuta qui!”
“Questo è successo dopo che me l’hai chiesto. Mi avevi incuriosito con quest’acquario e sono venuta a vederlo.”
Dalla sua espressione si capiva che Undyne voleva rimanere evasiva. Frisk era rimasto stupito che lei fosse venuta fin lì dopo il suo consiglio di vedere l’acquario di Edogawa city. E lì avesse trovato una rapina.
“Non eri in servizio?”
Undyne scosse la testa. Diede un ultimo morso al suo takoyaki e si leccò un dito.
“No. Non c’era quasi nessuno.”
Perché? Si domandò Frisk ma non osò dare voce al suo pensiero. Appoggiò lo stuzzicadenti accanto a quello di lei.
“Non pensare che volessi fare l’eroina o cose del genere.”
“No, figurati.”
“Dici sul serio? Dimmi quello che pensi.”
Undyne lo fissò negli occhi, come se lo stesse sfidando. Frisk non ne aveva l’intenzione, ma era come se lei volesse attaccare briga. Aveva un atteggiamento reattivo, a cui Frisk non era abituato. Le sue iridi erano particolarmente intense. Frisk non ebbe altra scelta che essere sincero.
“Penso che tu sia molto coraggiosa.”
L’espressione dura di Undyne si afflosciò. Frisk annuì.
“E che avrebbero potuto farti molto male. Ma sei ancora viva, ed è questo ciò che importa!”
“Non pensi che io me la sia cercata? Che ami fargli vedere quanto potere ho?”
Undyne gliel’aveva chiesto con un tono amaro. Probabilmente era questo che pensava di sé. Probabilmente cercava quel tipo di ebbrezza che il pericolo poteva darle. Aveva visto questa forma di evasione anche in Chara e gliel’aveva fatto notare.
Il tuo amico non vuole tornare  casa tanto presto.
“Non essere così dura con te stessa.” Disse Frisk. “In fondo hai aiutato delle persone. Dovresti esserne orgogliosa.”
“…ah ah.”
“Che?”
“Sto ridendo, sciocco.”
Undyne si asciugò una lacrima.
“Non avevo mai sentito parole del genere sul mio conto. Ah ah, dovrò farci l’abitudine.”
 ***
“Fare la poliziotta è un lavoro ignobile, comunque.” Disse lei. “Voglio dire, amo il mio lavoro, ma…”
“Non penso che fare l’università sia tanto meglio.” Rispose Frisk dando un calcio a un sasso.
“Non lo è?”
Frisk sospirò. “A questo punto, penso di farlo per Chara. Penso che crollerebbe.”
“Come sei arrogante…”
“Ah, vero?”
Rise. Fuori era ormai buio, ed entrambi non avevano sonno.
“Uff, è’ tardi. Sono troppo abituata al turno di notte.” Disse Undyne.
Frisk guardò nell’oscurità fra i lampioni. Nel buio, c’era l’oceano.
“Ti va di arrivare fino al molo?” propose.
“Certo.” Rispose lei senza ripensamenti.
Le stelle brillavano sull’acqua nera. Migliaia di intensi puntolini su una distesa liquida senza fine. La sabbia faceva rumore sotto le scarpe, le mani calde nelle tasche.
Frisk spostò la sabbia umida con la suola.
“Perché?”
“Come?”
“Perché hai scelto di fare la poliziotta se lo ritieni un lavoro ignobile.”
Per un istante, si illuminò una lucciola. Poi scomparve.
Undyne rimase a fissare il punto in cui era svanita. Si arrese.
“Sono cresciuta in una zona poco raccomandabile, per questo volevo lavorare in polizia.” Sospirò. “Ma alla fine sono solo diventata una poliziotta poco raccomandabile. Quell’antica ferita non è guarita mai.”
Rimasero in silenzio.
“Non ha fine.”
“uh?”
Frisk indicò in lontananza.
“L’oceano.”
In mezzo a tutto quel nero, c’erano dei pesci bellissimi. Gli stessi che avevano visto all’acquario in quella giornata. Anche negli abissi più profondi dove la luce non arrivava, la vita c’era. E la stesso nel cielo, dove imperversava solo una distesa buia, migliaia di stelle vibravano in solitudine. Così distanti le une dalle altre.
Undyne sorrise.
“Dovremo rifarlo. Mi mancava questo silenzio.”
Frisk annuì. Rientrarono. Frisk salutò Undyne alla stazione. Si accorse di come il vuoto nel treno fosse particolarmente denso, come se a nessuno fosse concesso riempirlo
   
 
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