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Autore: _Lakshmi_    12/06/2019    0 recensioni
Quando Eros scocca una freccia, la vittima del suo diletto s'innamora inevitabilmente della prima creatura scorta dai suoi occhi, trasformando l'interesse in un morboso, malsano sentimento. Se sia vero o no, ancora non l'ho ben compreso, visto che simili pulsioni sono lontane dalla mia natura.
Però, da questa storia, ho capito che l'amore può anche sgrezzare l'animo di un guerriero millenario, abituato al massacro e al piacere più volgare, innalzandolo oltre la pura carnalità.
E tutto grazie ad un uomo folle, che è riuscito a vedere il mondo con occhi diversi da quelli di un qualsiasi altro mortale o divino.

[AresxAlectryon]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Terzo Capitolo

Terzo Capitolo:

Pomeriggio


[“Lascia ragionare un folle e ti sorprenderà sempre”]


Io ero lì, Halaktrya,


    Su quella collina di Atene chiamata, a seguito di quell'evento straordinario, Areopago.
Tutti, Olimpi e dèi minori, erano lì presenti per assistere alla disfatta di Ares, sotto processo per aver massacrato Alirrhóthios, il figlio maschio di Poseidon, solo per vendicare lo stupro di una ragazzina in un mondo in cui simili atti erano all'ordine del giorno.
Non era importante se fosse o meno imparentata con mio fratello: la morte di un semidio era ben più grave.
Seduta al mio trono come gli altri Olimpi, ascoltai con attenzione le parole del Re dei Mari, ricche di dolore per la prematura ed ingiusta morte della sua adorata prole. Terminò additando Alcippe come vile seduttrice.
Nel silenzio che seguì, la fanciulla non sopportò oltre le crudeli accuse e si sciolse in un pianto sommesso per la misera sorte del padre, rimasto fermo, immobile, con quegli occhi cremisi tanto simili a braci ardenti.
A quel punto sembrava ovvia la sentenza. Hermes propose persino, in tono scherzoso, di votare subito, senza tener conto delle parole di un selvaggio tanto ottuso.

Eppure, proprio in quel momento, la tua voce riecheggiò in difesa del tuo Signore.

Alle mie orecchie non sembrò neppure un'arringa, quanto invece l'armonioso canto di un aedo. Camminavi con la stessa fierezza e lo stesso splendore di un leone, sfoggiando quell'impeccabile sorriso e quegli occhi d'un intenso smeraldo, profondi quanto abissi.
Le risate ben presto si sopirono sui volti degli dèi minori. Le tue parole non solo trapassarono le corazze di noi Olimpi, ma soggiogarono persino l'animo dell'intera platea, tanto che quando terminasti per te non ci fu solo silenzio, bensì un'ovazione, un grandioso scroscio di applausi degno del più magnifico e clemente tra gli eroi.
A quel punto ti voltasti e ti inchinasti anche al pubblico che tanto aveva apprezzato il tuo passionale discorso. Solo Ares ti riprese immediatamente afferrandoti per la nuca, riportandoti all'ordine con un severo, quanto compiaciuto: “smettila di fare l'idiota.
Da esibizionista quale eri amavi fomentare le reazioni della folla, ma quel momento di estasiata acclamazione fu in verità solo un assaggio tuo reale potere: la votazione, infatti, risultò una vittoria schiacciante con nove voti su undici totali a favore di Ares.
Ingiustizia, diranno in molti: mio fratello si meritava una condanna, aveva ucciso e squartato il figlio di Poseidon per vendetta personale; eppure, grazie al tuo discorso, o forse grazie alla tua voce, avevi fatto passare per innocente il tuo Signore e per colpevole l'ormai defunto Alirrhóthios.
E il mare, per mesi interi, fu sconvolto da tempeste
.


[Questo è quel che mi disse un giorno mio Padre,
per giustificare la clemenza nei tuoi confronti
]


Io ero lì, Titano,


    Quando il Chaos soggiogò l'Olimpo.
Le origini della guerra contro Oto e Efialte non erano chiare: alcuni affermavano che fossero stati gli esseri umani a tradire la fiducia di Ares, mossi da un comune risentimento per gli dèi tiranni; altri, più maliziosi, ipotizzavano invece che fosse stato Poseidon a incitare e a aiutare i figli a compiere la rivolta, ferito com'era nell'orgoglio dopo la gravosa sconfitta al processo di Alcippe.
L'unica certezza, in quel clima denso di tensione, era la comune diffidenza nei tuoi riguardi.


Come ha fatto ad avere il consenso degli Olimpi?


Come ha fatto a sedurre Ares?


Manipola le menti a suo piacimento?


Così, quando Pheme con la sua immancabile malizia diffuse e gonfiò innumerevoli dicerie, i sentimenti più spregevoli dell'animo divino prevalsero sulla ragione, animando quell'odio ormai radicato: con Ares imprigionato, diventò ben presto credenza comune che tu stessi radunando sotto al tuo stendardo i Makhai ed altre creature sanguinarie per marciare sull'Olimpo.
Ovunque camminassi, riuscivo solamente a scorgere soldati in armatura, divinità minori pronte allo scontro a detta loro imminente, servi terrorizzati che mi chiedevano disperatamente consiglio. Passai accanto ai carri da guerra guidati da turbolenti aurighi che incitavano i padroni a compiere la prima mossa.
Io, ovviamente, non potevo credere a quelle voci.
Avevi più di un valido motivo per non essere in buoni rapporti con gli dèi, però nella tua follia c'era un'unica certezza: non ambivi al potere; eri una creatura estremamente egoista, attento solo alla tua persona e ai tuoi pochi affetti, per cui non ti interessava guidare un popolo alla rovina o alla gloria.


Halaktrya ha aiutato gli umani ad imprigionare Ares!


È in combutta con Oto ed Efialte!
Vuole liberare i Titani dal Tartaros!


Traditore, Traditore!


Il gracchiante canto di Pheme, tuttavia, continuava a riecheggiare nell'aria, sovrastando ogni altro grido per fomentare quella follia generale.
Raggiunsi il tempio di Ares, sul quale troneggiava la mostruosa figura della dea piumata dalle mille bocche e mille occhi. La fissai e lei mi fissò, distendendo le labbra in sorrisi raccapriccianti.
Senza neppure dar credito alle sue parole, entrai e notai uno spettacolo raccapricciante: i soldati, spinti dal rancore e dalla follia dettata dal terrore, avevano rovesciato i sacri bracieri, non sapendo che il tuo fuoco era realtà inestinguibile. E le tue fiamme, come per punire quell'empio atto, non più limitate dal focolare avevano iniziato a divampare in un incendio indomabile, soffocando in una morsa rovente i corpi di quei figli illegittimi.
Mi sentivo impotente davanti a quell'incandescente, titanico demonio senza una sagoma definita, d'un candore tale da ferire persino la vista. Indietreggiai, imbracciando il mio sacro Oplon, ma quell'entità oltre il divino guadagnò terreno, marciando informe aggrappata alle colonne portanti.
Arretrai di un altro passo.
L'insuperabile muro di fuoco ormai era vicino, eppure non si mosse, anzi, rimase ad ardere in silenzio, come se mi stesse osservando.
Lo fissai a mia volta e, contemplando quell'assoluto biancore, i miei occhi ti videro lottare contro nemici mostruosi, ombre sfocate e terrificanti, nella mia mente riecheggiarono i tuoi pensieri tra lo sconforto e l'ira, sul mio viso iniziò a correre una lacrima.
La tua.
La lasciai cadere lungo la gota, ipnotizzata com'ero da quella danza continua, incessante, che seppe trascinarmi in un circolo di follia. Iniziai a scorgere delle sagome prima confuse, poi lentamente sempre più nitide: riconobbi i tratti di mio padre, la sua folta barba e il suo sguardo severo; distinsi il tuo corpo incatenato, cosparso di cicatrici, consumato dalla debolezza.
Assistetti al lento avanzare di Poseidon nella tua cella.
Nella mia mente iniziarono a riecheggiare con maggiore insistenza le voci della folla, le grida sature di odio, il boato incessante che ripeteva una e una sola parola.


Basileus.


Non sopportai oltre. Ero pronta a squarciare quelle visioni, ma una delicata mano mi si posò sul petto, trattenendomi.
Davanti a me notai la minuta, delicata figura di Eos, eterna fanciulla che sembrava essere addirittura l'incarnazione della purezza con quei suoi grandi, innocenti occhi azzurri. Dopo un sospiro di sollievo, chinò il biondo capo esternando quella genuina preoccupazione che sempre provava nei confronti del prossimo.
Rivolsi lo sguardo alle sue spalle, sui cadaveri bruciati, ma non con mia somma sorpresa notai che non c'era alcuna traccia di loro.
Era stato davvero tutto un sogno a occhi aperti? Un'allucinazione dettata dalla follia?
Indietreggiai incerta di un passo, cercando una qualsiasi prova di quel titanico incendio, ma nulla sembrava essere realmente accaduto.
Dopo un'ultima occhiata, mi voltai, marciando in silenzio verso il mio tempio.


[Ma al di là di tutte le pianificazioni,
la verità è che tu riuscivi a destare interesse e curiosità
]


Io ero lì, Strategòs,


    Sul campo di battaglia, alla tua prima, reale guerra.
Desideravo ardentemente partecipare alla guerra contro Oto e Efialte per comprendere tutto quel che era accaduto. Desideravo interrogarti, svelare quei misteri che aleggiavano attorno alla tua natura.
Ma mio Padre, in consiglio, diede il permesso solo a Artemis e a Hermes di intervenire, tra l'altro unicamente in vostro soccorso.


Così hanno parlato le Moire.


Disse in tono solenne.
E noi tutti sottostammo ai suoi ordini.
Eppure, una volta raggiunto il mio tempio e ponderato sul da farsi, decisi di mia iniziativa di recarmi ugualmente sul campo di battaglia, spinta dal morboso desiderio di rivederti.

Fu un atto di follia il mio, non posso negarlo.
Sotto le sembianze di una civetta, planai quindi su quella piana sconvolta dal conflitto, convinta di stare per ammirare un drappello di soldati allo sbando, senza un comandante capace di guidarli: recisa la testa principale, era infatti più che plausibile che potessero esserne sorte altre nove; i seguaci di Ares, dopotutto, avevano una personalità particolare, forte, capace di riconoscere una ed una sola autorità incarnata nella divinità bellica che servivano.
Sicuramente non avrebbero ascoltato i comandi di un ragazzino che aveva da poco compiuto vent'anni.
Si parlava di soldati del calibro di Pόlemos, gigante di tre metri, rinomato per il carattere estremamente irascibile in cui dominavano due poli opposti, la strage e la famiglia; il suo voto a questi irremovibili fondamenti si traduceva in un amore protettivo nei confronti della figlia e nel desiderio di annientare totalmente il nemico, arrivando addirittura ad usare potenti droghe in grado di inibire i sensi ed accrescere in modo spropositato la forza fisica.
Tuttavia, dovetti ricredermi.
Una volta raggiunto il cuore della battaglia, rimasi a contemplare l'incredibile lavoro di una mente più che raffinata: eri riuscito a dar ordine e disciplina ad una massa disomogenea di spiriti, tanto che ora era quasi tangibile la sinergia che rendeva i numeri una singola unità in grado di compiere manovre perfette.


Per Ares!


Alalà, Personificazione del Grido di Battaglia, sorvolò il campo in groppa al proprio nero pegaso, lenendo le ferite degli alleati grazie ad una bianca, benefica luce.
Migliaia di frecce furono incoccate per abbatterla, ma gli arcieri finirono sgozzati dalle loro stesse ombre, che presero successivamente la forma di mostruosi abomini oscuri. Deimos piombò solo in quel momento in mezzo alle proprie emanazioni, diffondendo il terrore tra i nemici.
Grazie a quella paralisi momentanea, Pόlemos si fece strada con le proprie affilate, gigantesche asce bipenni, sterminando ogni singolo uomo sul suo cammino, mentre i lupi di nero fumo creati dall'essenza stessa di Phobos dilaniavano i corpi dei fuggiaschi, completando lo sterminio.
Ma tu, in quel caos, dov'eri?
Planai, alla ricerca della tua minuta figura, appollaiandomi alla fine sulla spalla di un colosso di pietra nemico, evocato da abili, potenti incantatori.

« Vieni fuori, Mago

Ed infine eccoti lì, a piedi, con indosso un'armatura piuttosto familiare... troppo familiare: le vestigia di un dio non potevano essere indossate da nessun'altra creatura, pena il disfacimento delle carni e dello spirito; eppure tu sfoggiavi comunque la sacra armatura di Ares, che ti vestiva come una seconda pelle, e con questa scelta ti eri addossato sulle tue spalle sia l'insostenibile tormento degli spiriti iracondi, vendicativi che ti turbinavano attorno, sia l'odio, il dolore, la calamità della Guerra in grado di spingere gli uomini a compiere scelte folli.
Eri senza dubbio uno Stratega con del potenziale, ma quanto ancora saresti riuscito a sopportare prima di crollare definitivamente nel baratro della disperazione?
Più che determinata a non lasciarti andare, stavo per raggiungerti, ma all'ultimo fui travolta da una tremenda esplosione ad opera di Homados, la cui risata isterica riusciva a superare addirittura le grida di dolore dei nemici.
La sua voce s'insinuò nella mia mente in un rimbombo assordante, tanto che qualsiasi altro suono esterno mi sembrò ovattato.


Oh! Guarda, guarda! Guarda chi ho colpito.


Il suo occhio d'un azzurro totalmente squilibrato luccicava feroce, mentre mi afferrava per la lunga chioma castana.


Hai sentito l'esplosione? L'hai sentita? HAI SENTITO.


A mia volta, seppur ferita per quell'attacco a sorpresa, lo afferrai per la nuca, avvicinando il suo viso al mio per intimidirlo, anche se dal suo repentino cambio di espressioni facciali compresi che il mio gesto fu mal interpretato.
Maledetto omuncolo arrapato.

« Homados, lasciami immediatamente: è la dea Athena che te lo ordina.» soffiai astiosa, chiarendo subito il mio disgusto.

Lui non smise di sghignazzare.


Oh? Io non vedo nessuna dea qui.


Inspirò a fondo il mio odore, prima di allargare un sorriso totalmente dissennato, che preannunciava ben altre intenzioni.


Carne. Solo carne.


Prima che potesse avvicinarsi oltre, gli puntai alla gola il mio Xiphos. Mi alzai lentamente, tenendolo a distanza senza distogliere neppure per un istante lo sguardo dal suo viso sfregiato.
Perché? Perché tutto ad un tratto erano mutati in una simile minaccia?
I Makhai erano soldati valorosi e soprattutto leali, ma nulla più, non avevano un potere che potesse eguagliare quello di una divinità.
Eppure lui mi aveva ferita.
Solo a quel punto compresi la reale gravità della situazione.
Il tuo fuoco.
Il tuo potere e quello di Ares fluivano in egual misura nei corpi di quegli assassini.
Era assurdo solamente pensarlo, ma era come se tu e il dio della Strage foste diventati un'entità unica, diversa da uomini e dèi, e per questo gli spiriti bellici, che vivevano grazie al potere del loro Signore, ora traevano le forze anche da te.


Mhm... mi piacciono le donne coraggiose.


L'occhio folle del soldato fremette, un fastidio fisico che gli procurò una risata isterica, acuta e gracchiante che mi ferì i timpani.


Tu... TU diventerai la mia prigioniera, il mio bottino di guerra!
AHAHAHAHA!
UNA creatura incatenata... la mia SCHIAVA!


Dopo essersi asciugato la bava con un gesto sbrigativo, annuì compiaciuto più volte per quell'idea malsana, altamente improbabile.
Mai, piuttosto la morte.
Ma a rispondere al mio posto fu una freccia argentata che lacerò l'aria, impiantandosi al suolo in mezzo a noi. Scorsi il luccichio gelido delle ruote argentate del carro della Luna avvicinarsi sempre di più, fino ad apparire davanti a noi in tutta la sua opalescente bellezza.


Artemis.


Homados, non particolarmente sorpreso, raccolse il dardo e lo porse alla dea dalla ribelle chioma corvina.
Con mio estremo orrore, mi accorsi che la voce di mia sorella suonò
muta alle mie orecchie. Avvicinai tremante le mie mani ai lobi e mi lordai, con mio sommo orrore, del mio stesso Icore.


Ah, che rumore fastidioso.
Umana o divina, una testa esplode sempre allo stesso modo.
Io riconosco un solo dio! Voi altri siete solo carne da macello! Sì, sì!
Carne da macello... carne! Esplosione! SCOPPIO!


Barcollai priva di equilibrio.
Le immagini diventarono oscure, confuse. L'unico suono che potevo udire era il boato bestiale degli spiriti bellici, colmi di rancore, che, trovata una breccia nel mio animo, si riversarono all'interno come bestie affamate: Paura, Terrore, Astio, Odio iniziarono a lacerarmi la ragione; il mio cuore pompava il sangue fin nei timpani, annullando ogni altro pensiero al di fuori di quel rumore assordante.
Le mie mani, affette da un tremore incontrollato, lasciarono cadere la spada in un rimbombo cupo, solenne.


Voglio vedere sangue.
SANGUE.
HAI CAPITO? AHAHAHAHAHA!


La mia testa stava scoppiando, il doloroso pulsare mi stava rendendo folle.
Vacillai.
Provai sollievo solamente quando guardai le bianche fiamme del tuo fuoco che ardeva in silenzio consumando i cadaveri dei nemici.


Basileus!


Basileus!


Basileus!


Rividi la folla inneggiare la loro sovrana.
Poi, la totale oscurità.


[E il solo starti accanto,
generava un caotico agglomerato di emozioni
da tempo dimenticate da noi divini
]


Io ero lì, Alectryon;


    Alla fine della lunga guerra.
La ribellione di Oto ed Efialte aveva fomentato persino gli esseri umani, tanto che interi villaggi si erano mossi contro le divinità, rallentando notevolmente la spedizione. Si era diffuso un clima di speranza, di liberazione dal giogo di noi Olimpi, ma il tuo intervento -composto di sagge ed argute mosse e contromosse- era riuscito a riportare l'ordine e la pace, soffocando nel sangue la libertà.
Rafforzando la nostra tirannia.
In quella tua folle avventura, avevo provato un insolito orgoglio per i tuoi evidenti progressi: non eri più quel bambino abbandonato a se stesso, ora eri un uomo che combatteva al fianco dei suoi compagni per una causa comune.
La tua voce melodiosa era come un canto che animava i loro cuori, i nostri cuori. Ti avrebbero seguito fin nelle tenebre più fitte dell'Ade, se solo glielo avessi ordinato.

« Halaktrya.»

Curvo su te stesso in una solitaria preghiera nel tempio del tuo Signore, levasti il capo e lentamente ti voltasti, stanco.
I tuoi capelli, crespi, canuti, a quel lento movimento scivolarono sulla tua spalla, quasi a celare inutilmente quel tuo magro corpo, rivestito di una preziosa veste da cerimonia decisamente troppo ampia. Avvicinandomi di qualche passo, riuscii a scorgere anche quelle cicatrici, quelle occhiaie, quel viso emaciato, consumato... moribondo.
Già, eri un morto vivente, un cadavere ambulante che attendeva solo l'ultima sentenza.

« Halaktrya... tu... stai morendo.>>

Silenzio.
Il tuo animo provò ad esprimersi, riempiendo i polmoni di ossigeno, ma la tua estrema debolezza lo bloccò. Fermo, immobile nella tua posizione, non reagisti neppure quando avanzai, richiamando l'armatura completa: ti puntai al collo la mia lancia, lacerando il fragile tessuto, anche se contro ogni mia aspettativa la lama non si macchiò di Ambrosia.
Eri un corpo vuoto, prosciugato.

« Combatti! Combatti per gli dèi!» esclamai e nella mia voce infusi la stessa frenesia con cui animavo gli animi degli uomini « Non vorrai davvero spegnerti adesso, Figlio del Sole.»

Silenzio.
Avrei potuto trapassarti, sgozzarti come una bestia sacrificale, ma preferii abbassare l'arma e con essa anche il capo in segno di sconfitta.
Perché? Perché non ti eri opposto?
Avanzai di un passo incerto, ma ogni mio intento sfumò all'arrivo Phobos: i suoi occhi cremisi brillavano di puro risentimento da dietro l'elmo chiuso, che celava ogni sua apparenza femminea, mortificata anche dalle bende e dalla corazza in oricalco che le comprimevano il fisico. Ma questo odio non era vincolato al solo aspetto esteriore, bensì era una repulsione a livello psicologico, tanto che non sopportava neppure essere chiamato con alcun nome femminile.
Dietro di lui, avanzò un gigantesco, feroce lupo d'ombra con ancora indosso la corazza da combattimento.

Divina Athena, sono giunto per scortare Alectryon dal nostro Signore, Ares.


La sua voce rimbombò cupa e priva di sentimento per tutto il tempio.
Senza neppure attendere il mio consenso, ti sollevò malamente per sorreggerti tra le sue forti braccia. Mugugnasti qualcosa per il dolore, ma ti fu intimato di far silenzio e di risparmiare le energie.


Alalà riuscirà a guarirlo.
Oppure strapperò le ali a Thanatos.


Non mi sfuggì l'incrinatura della sua voce sull'ultima sillaba, come se fosse realmente giunto al limite.
Ares era ancora troppo debole, probabilmente non si era ancora ripreso dal coma in cui era caduto durante la lunga prigionia; e proprio in questa situazione, i suoi seguaci avevano visto in te un momentaneo capo, un valido condottiero.
Ma la tua luce stava lentamente scivolando nelle tenebre degli Inferi.
Quando vidi un'ultima volta i tuoi occhi vitrei, privi di qualsiasi calore, il mio animo -contro la mia volontà- sussultò.

« Portalo via.» mi voltai, prestando però attenzione ad ogni rumore di quel guerriero scelto.

Infine, il silenzio. Di nuovo.


[Un agglomerato di emozioni chiamato comunemente
Vita”]





Fine Terzo Capitolo!


Basileus: dalle fonti che ho trovato, può essere tradotto anche come “Re dei Re”. E niente, io, conoscendo la saga di Fate, mi sono immaginata un mega-crossover con Gilgamesh, Arturia e Alessandro Magno.



    Angolo dell'Autrice:


Ho compiuto gli anni. Mia madre ha compito gli anni. Mi si è infiammato un nervo. Ho avuto la febbre. Tutto questo nel giro di pochi giorni.
Ora mi sono ripresa, più o meno.
Tranne per il caldo.


Comunque, parlando invece della storia, beh... cosa dire?
Dopo anni a incentrare fanfiction su personaggi positivi, “buoni”, mi sto divertendo molto a scrivere le avventure di Alectryon, proprio perché non è né buono, né un villain, è semplicemente neutrale. E nella sua neutralità compie azioni crudeli, senza mai tendere al “malvagio”.
E... sì, è una soddisfazione personale.
Così come mi soddisfa la sua bellissima, purissima, altissima (?) famiglia allargata: insomma, più aggiungo dettagli ai soldati di Ares, più mi affeziono a loro. Molti sono ripresi da altre mie storie, però per questa fanfiction li ho resi ancora più “particolari”.
Ho calcato la mano, sì.
Ma... insomma, Zio Deimos tutta la vita.



Ok, per chiudere questo angolo demenziale, ringrazio tutti quelli che hanno recensito/letto/aggiunto questa storia alle preferite/seguite.


Un bacio da _Lakshmi_!


  
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