Terzo Capitolo:
Pomeriggio
[“Lascia ragionare un folle e ti sorprenderà sempre”]
Io ero lì, Halaktrya,
Su
quella collina di Atene chiamata, a seguito di quell'evento
straordinario, Areopago.
Tutti,
Olimpi e dèi minori, erano lì presenti per
assistere alla disfatta
di Ares, sotto processo per aver massacrato Alirrhóthios,
il
figlio maschio di Poseidon, solo per vendicare lo stupro di una
ragazzina in un mondo in cui simili atti erano all'ordine del giorno.
Non
era importante se fosse o meno imparentata con mio fratello: la morte
di un semidio era ben più grave.
Seduta
al mio trono come gli altri Olimpi, ascoltai con attenzione le parole
del Re dei Mari, ricche di dolore per la prematura ed ingiusta morte
della sua adorata prole. Terminò additando Alcippe come vile
seduttrice.
Nel
silenzio che seguì, la fanciulla non sopportò
oltre le crudeli
accuse e si sciolse in un pianto sommesso per la misera sorte del
padre,
rimasto fermo, immobile, con quegli occhi cremisi tanto simili a
braci ardenti.
A
quel punto sembrava ovvia la sentenza. Hermes propose
persino, in tono
scherzoso, di votare subito, senza tener conto delle
parole di un selvaggio tanto ottuso.
Eppure, proprio in quel momento, la tua voce riecheggiò in difesa del tuo Signore.
Alle
mie orecchie non sembrò neppure un'arringa, quanto invece
l'armonioso canto di un aedo. Camminavi con la stessa fierezza e lo
stesso splendore di un leone, sfoggiando quell'impeccabile sorriso e
quegli occhi d'un intenso smeraldo, profondi quanto abissi.
Le
risate ben presto si sopirono sui volti degli dèi minori. Le
tue
parole non solo trapassarono le corazze di noi Olimpi, ma
soggiogarono persino l'animo dell'intera platea, tanto che quando
terminasti per te non ci fu solo silenzio, bensì
un'ovazione, un
grandioso scroscio di applausi degno del più magnifico e
clemente
tra gli eroi.
A
quel punto ti voltasti e ti inchinasti anche al pubblico che tanto
aveva apprezzato il tuo passionale discorso. Solo
Ares ti riprese immediatamente afferrandoti per la nuca, riportandoti
all'ordine con un severo, quanto compiaciuto: “smettila
di fare l'idiota”.
Da
esibizionista quale eri amavi fomentare le reazioni della folla, ma
quel momento di estasiata acclamazione fu in verità solo un
assaggio
tuo reale potere: la votazione, infatti,
risultò una vittoria
schiacciante con nove voti su undici totali a favore di Ares.
Ingiustizia,
diranno in molti:
mio fratello
si meritava una condanna, aveva ucciso e squartato il figlio di
Poseidon per vendetta personale; eppure, grazie al tuo discorso, o
forse grazie alla tua voce,
avevi fatto
passare per innocente il tuo Signore e per colpevole l'ormai defunto
Alirrhóthios.
E
il mare, per mesi interi, fu sconvolto da tempeste.
[Questo
è quel che mi disse un giorno mio Padre,
per
giustificare la clemenza nei tuoi confronti]
Io ero lì, Titano,
Quando
il Chaos soggiogò l'Olimpo.
Le
origini della guerra contro Oto e Efialte non erano chiare: alcuni
affermavano che fossero stati gli esseri umani a tradire la fiducia
di Ares, mossi da un comune risentimento per gli dèi
tiranni; altri,
più maliziosi, ipotizzavano invece che fosse stato Poseidon
a
incitare e a aiutare i figli a compiere la rivolta, ferito com'era
nell'orgoglio dopo la gravosa sconfitta al processo di Alcippe.
L'unica
certezza, in quel clima denso di tensione, era la comune diffidenza nei
tuoi riguardi.
Come
ha fatto ad avere il consenso degli Olimpi?
Come
ha fatto a sedurre Ares?
Manipola
le menti a suo piacimento?
Così,
quando Pheme con la sua immancabile malizia diffuse e gonfiò
innumerevoli dicerie, i sentimenti più spregevoli dell'animo
divino
prevalsero sulla ragione, animando quell'odio ormai radicato: con
Ares imprigionato, diventò ben presto credenza comune che tu
stessi
radunando sotto al tuo stendardo i Makhai ed altre creature
sanguinarie per marciare sull'Olimpo.
Ovunque
camminassi, riuscivo solamente a scorgere soldati in armatura,
divinità minori pronte allo scontro a detta loro imminente,
servi
terrorizzati che mi chiedevano disperatamente consiglio. Passai
accanto ai carri da guerra guidati da turbolenti aurighi che
incitavano i padroni a compiere la prima mossa.
Io,
ovviamente, non potevo credere a quelle voci.
Avevi
più di un valido motivo per non essere in buoni rapporti con
gli
dèi, però nella tua follia c'era un'unica
certezza: non ambivi
al potere; eri una creatura estremamente egoista, attento
solo
alla tua persona e ai tuoi pochi affetti, per cui non ti interessava
guidare un popolo alla rovina o alla gloria.
Halaktrya
ha aiutato gli umani ad imprigionare Ares!
È
in combutta con Oto ed Efialte!
Vuole
liberare i Titani dal Tartaros!
Traditore,
Traditore!
Il
gracchiante canto di Pheme, tuttavia, continuava a riecheggiare
nell'aria, sovrastando ogni altro grido per fomentare quella follia
generale.
Raggiunsi
il tempio di Ares, sul quale troneggiava la mostruosa figura della
dea piumata dalle mille bocche e mille occhi. La fissai e lei mi
fissò, distendendo le labbra in sorrisi raccapriccianti.
Senza
neppure dar credito alle sue parole, entrai e notai uno spettacolo
raccapricciante: i soldati, spinti dal rancore e dalla follia dettata
dal terrore, avevano rovesciato i sacri bracieri, non sapendo che il
tuo fuoco era realtà inestinguibile. E le tue fiamme, come
per
punire quell'empio atto, non più limitate dal focolare
avevano
iniziato a divampare in un incendio indomabile, soffocando in una
morsa rovente i corpi di quei figli illegittimi.
Mi
sentivo impotente davanti a quell'incandescente, titanico demonio
senza una sagoma definita, d'un candore tale da ferire persino la
vista. Indietreggiai, imbracciando il mio sacro Oplon,
ma
quell'entità oltre il divino guadagnò terreno,
marciando informe
aggrappata alle colonne portanti.
Arretrai
di un altro passo.
L'insuperabile
muro di fuoco ormai era vicino, eppure non si mosse, anzi, rimase ad
ardere in silenzio, come se mi stesse osservando.
Lo
fissai a mia volta e, contemplando quell'assoluto biancore, i miei
occhi ti videro lottare contro nemici mostruosi, ombre sfocate e
terrificanti, nella mia mente riecheggiarono i tuoi pensieri tra lo
sconforto e l'ira, sul mio viso iniziò a correre una lacrima.
La
tua.
La
lasciai cadere lungo la gota, ipnotizzata com'ero da quella danza
continua, incessante, che seppe trascinarmi in un circolo di follia.
Iniziai a scorgere delle sagome prima confuse, poi lentamente sempre
più nitide: riconobbi i tratti di mio padre, la sua folta
barba e il
suo sguardo severo; distinsi il tuo corpo incatenato, cosparso di
cicatrici, consumato dalla debolezza.
Assistetti
al lento avanzare di Poseidon nella tua cella.
Nella
mia mente iniziarono a riecheggiare con maggiore insistenza le voci
della folla, le grida sature di odio, il boato incessante che
ripeteva una e una sola parola.
Basileus.
Non
sopportai oltre. Ero pronta a squarciare quelle visioni, ma una
delicata mano mi si posò sul petto, trattenendomi.
Davanti a me notai la
minuta, delicata figura di Eos, eterna
fanciulla che sembrava essere addirittura l'incarnazione della
purezza con quei suoi grandi, innocenti occhi azzurri. Dopo un
sospiro di sollievo, chinò il biondo capo esternando quella
genuina
preoccupazione che sempre provava nei confronti del prossimo.
Rivolsi
lo sguardo alle sue spalle, sui cadaveri bruciati, ma non con mia
somma sorpresa notai che non c'era alcuna traccia di loro.
Era
stato davvero tutto un sogno a occhi aperti? Un'allucinazione dettata
dalla follia?
Indietreggiai
incerta di un passo, cercando una qualsiasi prova di quel titanico
incendio, ma nulla sembrava essere realmente accaduto.
Dopo
un'ultima occhiata, mi voltai, marciando in silenzio verso il mio tempio.
[Ma
al di là di tutte le pianificazioni,
la
verità è che tu riuscivi a destare interesse e
curiosità]
Io
ero lì, Strategòs,
Sul
campo di battaglia, alla tua prima, reale guerra.
Desideravo
ardentemente partecipare alla guerra contro Oto e Efialte per
comprendere tutto quel che era accaduto. Desideravo interrogarti,
svelare quei misteri che aleggiavano attorno alla tua natura.
Ma
mio Padre, in consiglio, diede il permesso solo a Artemis e a Hermes
di intervenire, tra l'altro unicamente in vostro soccorso.
Così
hanno parlato le Moire.
Disse
in tono solenne.
E
noi tutti sottostammo ai suoi ordini.
Eppure,
una volta raggiunto il mio tempio e ponderato sul da farsi, decisi di
mia iniziativa di recarmi ugualmente sul campo di battaglia, spinta
dal morboso desiderio di rivederti.
Fu
un atto di follia il mio, non posso negarlo.
Sotto
le sembianze di una civetta, planai quindi su quella piana sconvolta
dal conflitto, convinta di stare per ammirare un drappello di
soldati allo sbando, senza un comandante capace di guidarli: recisa
la testa principale, era infatti più che plausibile che
potessero
esserne sorte altre nove; i seguaci di Ares, dopotutto, avevano una
personalità particolare, forte, capace di riconoscere una ed
una
sola autorità incarnata nella divinità bellica
che servivano.
Sicuramente
non avrebbero ascoltato i comandi di un ragazzino che aveva da poco
compiuto vent'anni.
Si
parlava di soldati del calibro di Pόlemos,
gigante di tre metri, rinomato per il carattere estremamente
irascibile in cui dominavano due poli opposti, la
strage e la famiglia;
il suo voto a questi irremovibili fondamenti si traduceva in un amore
protettivo nei confronti della figlia e nel desiderio di annientare
totalmente il nemico, arrivando addirittura ad usare potenti droghe
in grado di inibire i sensi ed accrescere in modo spropositato la
forza fisica.
Tuttavia,
dovetti ricredermi.
Una
volta raggiunto il cuore della battaglia, rimasi a contemplare
l'incredibile lavoro di una mente più che raffinata: eri
riuscito a
dar ordine e disciplina ad una massa disomogenea di spiriti, tanto
che ora era quasi tangibile la sinergia che rendeva i numeri una
singola unità in grado di compiere manovre perfette.
Per
Ares!
Alalà,
Personificazione del Grido di Battaglia, sorvolò il campo in
groppa
al proprio nero pegaso, lenendo le ferite degli alleati grazie ad una
bianca, benefica luce.
Migliaia
di frecce furono incoccate per abbatterla, ma gli
arcieri finirono sgozzati dalle loro stesse ombre, che presero
successivamente la forma di mostruosi abomini oscuri. Deimos
piombò
solo in quel momento in mezzo alle proprie emanazioni, diffondendo il
terrore tra i nemici.
Grazie
a quella paralisi momentanea, Pόlemos si fece strada con le proprie
affilate, gigantesche asce bipenni, sterminando ogni singolo uomo sul
suo cammino, mentre i lupi di nero fumo creati dall'essenza stessa di
Phobos dilaniavano i corpi dei fuggiaschi, completando lo sterminio.
Ma
tu, in quel caos, dov'eri?
Planai,
alla ricerca della tua minuta figura, appollaiandomi alla fine sulla
spalla di un colosso di pietra nemico, evocato da abili, potenti
incantatori.
« Vieni fuori, Mago.»
Ed
infine eccoti lì, a piedi, con indosso un'armatura piuttosto
familiare... troppo familiare: le vestigia di un
dio non
potevano essere indossate da nessun'altra creatura, pena il
disfacimento delle carni e dello spirito; eppure tu sfoggiavi
comunque la sacra armatura di Ares, che ti vestiva come una seconda
pelle, e con questa scelta ti eri addossato sulle tue spalle sia
l'insostenibile tormento degli spiriti iracondi, vendicativi che ti
turbinavano attorno, sia l'odio, il dolore, la calamità
della Guerra
in grado di spingere gli uomini a compiere scelte folli.
Eri
senza dubbio uno Stratega con del potenziale, ma quanto ancora
saresti riuscito a sopportare prima di crollare definitivamente nel
baratro della disperazione?
Più
che determinata a non lasciarti andare, stavo per raggiungerti, ma
all'ultimo fui travolta da una tremenda esplosione ad opera di
Homados, la cui risata isterica riusciva a superare addirittura le
grida di dolore dei nemici.
La
sua voce s'insinuò nella mia mente in un rimbombo
assordante, tanto
che qualsiasi altro suono esterno mi sembrò ovattato.
Oh!
Guarda, guarda! Guarda chi ho colpito.
Il
suo occhio d'un azzurro totalmente squilibrato luccicava feroce,
mentre mi afferrava per la lunga chioma castana.
Hai
sentito l'esplosione? L'hai sentita? HAI SENTITO.
A
mia volta, seppur ferita per quell'attacco a sorpresa, lo afferrai
per la nuca, avvicinando il suo viso al mio per intimidirlo, anche se
dal suo repentino cambio di espressioni facciali compresi che il mio
gesto fu mal interpretato.
Maledetto
omuncolo arrapato.
« Homados, lasciami immediatamente: è la dea Athena che te lo ordina.» soffiai astiosa, chiarendo subito il mio disgusto.
Lui non smise di sghignazzare.
Oh?
Io non vedo nessuna dea qui.
Inspirò
a fondo il mio odore, prima di allargare un sorriso totalmente
dissennato, che preannunciava ben altre intenzioni.
Carne.
Solo carne.
Prima
che potesse avvicinarsi oltre, gli puntai alla gola il mio Xiphos. Mi
alzai lentamente, tenendolo a distanza senza distogliere neppure per
un istante lo sguardo dal suo viso sfregiato.
Perché?
Perché tutto ad un tratto erano mutati in una simile
minaccia?
I
Makhai erano soldati valorosi e soprattutto leali, ma nulla
più, non
avevano un potere che potesse eguagliare quello di una
divinità.
Eppure
lui mi aveva ferita.
Solo a quel punto compresi la reale gravità della
situazione.
Il
tuo fuoco.
Il
tuo potere e quello di Ares fluivano in egual misura nei corpi di
quegli assassini.
Era
assurdo solamente pensarlo, ma era come se tu e il dio della Strage
foste diventati un'entità unica, diversa da uomini e
dèi, e per
questo gli spiriti bellici, che vivevano grazie al potere
del loro Signore, ora traevano le forze anche da te.
Mhm...
mi piacciono le donne coraggiose.
L'occhio
folle del soldato fremette, un fastidio fisico che gli
procurò una
risata isterica, acuta e gracchiante che mi ferì i timpani.
Tu...
TU diventerai la mia prigioniera, il mio bottino di guerra!
AHAHAHAHA!
UNA
creatura incatenata... la mia SCHIAVA!
Dopo
essersi asciugato la bava con un gesto sbrigativo, annuì
compiaciuto
più volte per quell'idea malsana, altamente improbabile.
Mai,
piuttosto la morte.
Ma
a rispondere al mio posto fu una freccia argentata che
lacerò
l'aria, impiantandosi al suolo in mezzo a noi. Scorsi il luccichio
gelido delle ruote argentate del carro della Luna avvicinarsi sempre
di più, fino ad apparire davanti a noi in tutta la sua
opalescente
bellezza.
Artemis.
Homados,
non particolarmente sorpreso, raccolse il dardo e lo porse alla dea
dalla ribelle chioma corvina.
Con
mio estremo orrore, mi accorsi che la voce di mia sorella
suonò muta alle
mie orecchie. Avvicinai tremante le mie mani ai lobi e mi
lordai, con mio sommo orrore, del mio stesso Icore.
Ah,
che rumore fastidioso.
Umana
o divina, una testa esplode sempre allo stesso modo.
Io
riconosco un solo dio! Voi altri siete solo carne da macello!
Sì,
sì!
Carne
da macello... carne! Esplosione! SCOPPIO!
Barcollai
priva di equilibrio.
Le
immagini diventarono oscure, confuse. L'unico suono che potevo udire
era il boato bestiale degli spiriti bellici, colmi di rancore, che,
trovata una breccia nel mio animo, si riversarono all'interno come
bestie affamate: Paura, Terrore, Astio, Odio iniziarono a lacerarmi
la ragione; il mio cuore pompava il sangue fin nei timpani,
annullando ogni altro pensiero al di fuori di quel rumore assordante.
Le
mie mani, affette da un tremore incontrollato, lasciarono cadere la
spada in un rimbombo cupo, solenne.
Voglio
vedere sangue.
SANGUE.
HAI
CAPITO? AHAHAHAHAHA!
La
mia testa stava scoppiando, il doloroso pulsare mi stava rendendo
folle.
Vacillai.
Provai
sollievo solamente quando guardai le bianche fiamme del tuo fuoco che
ardeva in silenzio consumando i cadaveri dei nemici.
Basileus!
Basileus!
Basileus!
Rividi
la folla inneggiare la loro sovrana.
Poi,
la totale oscurità.
[E
il solo starti accanto,
generava
un caotico agglomerato di emozioni
da
tempo dimenticate da noi divini]
Io ero lì, Alectryon;
Alla
fine della lunga guerra.
La
ribellione di Oto ed Efialte aveva fomentato persino gli esseri
umani, tanto che interi villaggi si erano mossi contro le
divinità,
rallentando notevolmente la spedizione. Si era diffuso un clima di
speranza, di liberazione dal giogo di noi Olimpi, ma il tuo
intervento -composto di sagge ed argute mosse e contromosse-
era riuscito a riportare l'ordine e la pace, soffocando nel sangue la
libertà.
Rafforzando
la nostra tirannia.
In
quella tua folle avventura, avevo provato un insolito orgoglio per i
tuoi evidenti progressi: non eri più quel bambino
abbandonato a se
stesso, ora eri un uomo che combatteva al fianco dei suoi compagni
per una causa comune.
La
tua voce melodiosa era come un canto che animava i loro cuori, i
nostri cuori. Ti avrebbero seguito fin nelle tenebre più
fitte
dell'Ade, se solo glielo avessi ordinato.
« Halaktrya.»
Curvo
su te stesso in una solitaria preghiera nel tempio del tuo Signore,
levasti il capo e lentamente ti voltasti, stanco.
I
tuoi capelli, crespi, canuti, a quel lento movimento scivolarono
sulla tua spalla, quasi a celare inutilmente quel tuo magro corpo,
rivestito di una preziosa veste da cerimonia decisamente troppo
ampia. Avvicinandomi di qualche passo, riuscii a scorgere anche
quelle cicatrici, quelle occhiaie, quel viso emaciato, consumato...
moribondo.
Già,
eri un morto vivente, un cadavere ambulante che attendeva solo
l'ultima sentenza.
« Halaktrya... tu... stai morendo.>>
Silenzio.
Il
tuo animo provò ad esprimersi, riempiendo i polmoni di
ossigeno, ma
la tua estrema debolezza lo bloccò. Fermo, immobile nella
tua
posizione, non reagisti neppure quando avanzai, richiamando
l'armatura completa: ti puntai al collo la mia lancia, lacerando il
fragile tessuto, anche se contro ogni mia aspettativa la lama non si
macchiò di Ambrosia.
Eri
un corpo vuoto, prosciugato.
« Combatti! Combatti per gli dèi!» esclamai e nella mia voce infusi la stessa frenesia con cui animavo gli animi degli uomini « Non vorrai davvero spegnerti adesso, Figlio del Sole.»
Silenzio.
Avrei
potuto trapassarti, sgozzarti come una bestia sacrificale, ma
preferii abbassare l'arma e con essa anche il capo in segno di
sconfitta.
Perché?
Perché non ti eri opposto?
Avanzai
di un passo incerto, ma ogni mio intento sfumò all'arrivo
Phobos: i
suoi occhi cremisi brillavano di puro risentimento da dietro l'elmo
chiuso, che celava ogni sua apparenza femminea, mortificata anche
dalle bende e dalla corazza in oricalco che le comprimevano il
fisico. Ma questo odio non era vincolato al solo aspetto esteriore,
bensì era una repulsione a livello psicologico, tanto che
non
sopportava neppure essere chiamato con alcun nome femminile.
Dietro
di lui, avanzò un gigantesco, feroce lupo d'ombra con ancora
indosso
la corazza da combattimento.
Divina Athena, sono giunto per scortare Alectryon dal nostro Signore, Ares.
La
sua voce rimbombò cupa e priva di sentimento per tutto il
tempio.
Senza
neppure attendere il mio consenso, ti sollevò malamente per
sorreggerti tra le sue forti braccia. Mugugnasti qualcosa per il
dolore, ma ti fu intimato di far silenzio e di risparmiare le
energie.
Alalà
riuscirà a guarirlo.
Oppure strapperò le ali a Thanatos.
Non
mi sfuggì l'incrinatura della sua voce sull'ultima sillaba,
come se
fosse realmente giunto al limite.
Ares
era ancora troppo debole, probabilmente non si era ancora ripreso dal
coma in cui era caduto durante la lunga prigionia; e proprio in
questa situazione, i suoi seguaci avevano visto in te un momentaneo
capo, un valido condottiero.
Ma
la tua luce stava lentamente scivolando nelle tenebre degli Inferi.
Quando
vidi un'ultima volta i tuoi occhi vitrei, privi di qualsiasi calore,
il mio animo -contro la mia volontà-
sussultò.
« Portalo via.» mi voltai, prestando però attenzione ad ogni rumore di quel guerriero scelto.
Infine, il silenzio. Di nuovo.
[Un
agglomerato di emozioni chiamato comunemente
“Vita”]
Fine
Terzo Capitolo!
Basileus:
dalle fonti che ho trovato, può essere tradotto anche come
“Re
dei Re”. E niente, io, conoscendo la saga di Fate,
mi sono
immaginata un mega-crossover con Gilgamesh, Arturia e Alessandro
Magno.
Angolo
dell'Autrice:
Ho
compiuto gli anni. Mia madre ha compito gli anni. Mi si è
infiammato
un nervo. Ho avuto la febbre. Tutto questo nel giro di pochi giorni.
Ora
mi sono ripresa, più o meno.
Tranne
per il caldo.
Comunque,
parlando invece della storia, beh... cosa dire?
Dopo
anni a incentrare fanfiction su personaggi positivi, “buoni”,
mi sto divertendo molto a scrivere le avventure di Alectryon, proprio
perché non è né buono, né
un villain, è semplicemente neutrale.
E nella sua neutralità compie azioni crudeli, senza mai
tendere al
“malvagio”.
E...
sì, è una soddisfazione personale.
Così
come mi soddisfa la sua bellissima, purissima, altissima (?)
famiglia allargata: insomma, più aggiungo dettagli ai
soldati di
Ares, più mi affeziono a loro. Molti sono ripresi da altre
mie
storie, però per questa fanfiction li ho resi ancora
più
“particolari”.
Ho
calcato la mano, sì.
Ma...
insomma, Zio Deimos tutta la vita.
…
…
…
Ok, per chiudere questo angolo demenziale, ringrazio tutti quelli che hanno recensito/letto/aggiunto questa storia alle preferite/seguite.
Un
bacio da _Lakshmi_!