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Autore: Sanae77    13/06/2019    4 recensioni
Li abbiamo lasciati con un segreto da custorire e un patto da rispettare.
Saranno in grado di reggere tutto il castello di carte che hanno costruito?
Il tempo passa, i figli crescono e le voci di corridoio si fanno sempre più insistenti.
I ficcanaso sempre più agguerriti.
Tra divorzi, coming out e scoop vedremo come in questi otto anni la Golden Combi vivrà il loro amore nascosto.
Come potranno i nostri campioni arrivare ai mondiali del Quatar nel 2022 e nel Nord America del 2026 senza farsi scoprire?
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(questa storia non può essere letta se prima non è stata letta Russia 2018)
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Daichi Ozora, Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
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Febbraio 2026
 
 
Il suono della campanella fece sospirare di sollievo i ragazzi. Da pochi mesi era iniziata per loro una nuova avventura con le scuole superiori, mentre si erano intensificati gli impegni calcistici con le giovanili del Barcellona. I gemelli avevano le stesse doti innate del padre, per questo l’allenatore aveva concordato con la scuola il loro piano di studi. Aveva proposto loro anche di entrare nel college della squadra, ma i ragazzi non se l’erano sentita di lasciare sola la madre.
 
Vero che Juan oramai era presente nella loro vita, ma Sanae preferiva che il rapporto restasse comunque al di fuori delle mura domestiche. La brutta esperienza con il capitano aveva portato la donna a non compiere più scelte affrettate. La loro relazione stava proseguendo a gonfie vele e per ora essere fidanzati ‘fuori casa’ era la soluzione perfetta.
 
Hayate sgranchì le gambe allungandole sotto al tavolo, mentre Daibu aveva afferrato lo zaino e tirato fuori la colazione preparata dalla madre.
Poi aveva allungato il cibo anche al fratello dopo essersi seduto direttamente sul banco. Solitamente uscivano nel corridoio e poi in cortile, ma a causa di quella giornata ventosa e il cielo plumbeo, che minacciava di rovesciare giù il mondo da un momento all’altro, avevano deciso di restare al caldo all’interno dell’aula.
Tre compagni alle loro spalle, nella parte finale dell’aula, stavano sghignazzando da diversi minuti. In mano una rivista di gossip spagnolo, Hayate si voltò incuriosito dal rumoreggiare e, nel preciso istante in cui lo fece, i ragazzi ammutolirono.
Quindi il giovane tornò alla sua posizione originale fissando il fratello, che di rimando sollevò una spalla in segno di disinteresse.
Fu in quell’attimo che uno del terzetto li interpellò: “Ehi, ma siete voi i gemelli figli di Tsubasa Ozora?”
Hayate sollevò le orbite al cielo con fare scocciato; tanto essendo di spalle non lo avrebbero visto, mentre Daibu annuiva verso il ragazzo.
“Ecco, - disse mostrando la rivista dove l’immagine della nazionale giapponese ritraeva in primo piano Tsubasa e Taro mentre sollevavano la coppa del mondo vinta nel 2022 in Quatar, a seguire immagini della vita privata dei due campioni sempre insieme – ci domandavamo perché non siano circondati da donne, con tutti i soldi che hanno…” lo stuzzicò il giovane.
“Sono persone semplici, non hanno bisogno di personaggi di dubbio gusto.” Hayate era sempre stato quello più diplomatico e riflessivo e ogni risposta che aveva dato fino a quel momento era stata per lui la verità; mentre adesso, che davvero la verità la sapeva, gli veniva sempre più difficile confezionare una spiegazione soddisfacente.
“Girano strane voci sulla Golden Combi…” specificò il bulletto della classe, ripetente del primo anno per la seconda volta.

Daibu smise di masticare il panino e sollevò lo sguardo facendosi serissimo. Hayate lo intravide con la coda dell’occhio prima di voltarsi per rispondere all’interessato.
“Se ti riferisci alla loro partecipazione al mondiale di quest’anno te la confermo, hanno già ricevuto le convocazioni ufficiali, e vista l’età temo che sarà l’ultimo; ma poi ci andremo noi. Vero, Daibu?” lo spronò il fratello facendogli l’occhietto, sperava in tutti i modi di deviare il discorso. Aveva capito perfettamente dove volevano andare a parare.
“Certo, siamo già stati convocati nelle nazionali giovanili del Giappone, under 18.”
“Due piccoli prodigi quindi, ma avete le stesse ‘tendenze’ di vostro padre?” lo provocò l’altro calcando l’intonazione della voce proprio sulla parola tendenze.
Hayate continuò a far finta di nulla e a rispondere come se la domanda riguardasse altro e non ne avesse capito il vero fine. Daibu invece era sceso dal banco e, con il braccio libero lungo la gamba, aveva formato un pugno strettissimo con le dita. Era sempre stato incline a risolvere le questioni con la fisicità; come anni prima era successo quando aveva difeso sua madre dalle accuse dei giornali.
“Credo di sì, visto che siamo già nelle giovanili sia del Barcellona che del Giappone, dopotutto il sangue non è acqua.”
Il terzetto si fece più vicino e quello che finora era stato il più taciturno sputò a terra la cannuccia della bibita che teneva tra le labbra in un gesto di stizza.
“Quindi girando negli spogliatoi maschili potrai confermare che ci siano anche strane tendenze? Insomma, Ozora, non siamo stupidi è palese che tuo padre lo prenda nel culo da Misaki.”
E fu tutto inutile.
Hayate tentò con il corpo di mettersi sulla traiettoria di Daibu che da dietro spuntava come una furia, gli sfiorò leggermente la spalla nel tentativo di placcaggio, ma con lo sguardo già aveva visto il montante destro infrangersi nello zigomo dell’ultimo malcapitato.
Era stato velocissimo e con una ginocchiata era riuscito a colpire il ripetente all’inguine, prima che Hayate riuscisse a fermarlo e non farlo infierire contro il terzo.
Daibu non era bravo a far pugni. Ma era veloce e imprevedibile. Per questo riusciva sempre a spiazzare le sue vittime cogliendole di sorpresa. Il fratello lo afferrò per le braccia tirandolo indietro, mentre ringhiava parole indicibili verso il terzo ragazzo che era sfuggito alla sua furia solo grazie ad Hayate.
Tutto era stato così veloce, che il ricevente colpito dal pugno era indietreggiato, picchiando violentemente nell’armadietto di legno alle sue spalle; lo spigolo aveva aperto uno squarcio sul retro della nuca lasciando cadere delle gocce di sangue a terra.
Sangue che era andato crescendo velocemente in una piccola pozza, le ragazze presenti avevano iniziato a gridare; per quello erano passati pochi minuti da che l’infermiera aveva fatto il suo ingresso nella classe.
Aveva tamponato subito la ferita con delle garze e fatto sdraiare il ragazzo a terra. Dopo era stato un susseguirsi di eventi; gli insegnanti, seguiti dal dirigente, avevano fatto irruzione e mandato via i curiosi.
Una volta accertato che fosse solo un piccolo taglio, ed escluso l’intervento dell’ambulanza, avevano trascinato i gemelli e gli altri due responsabili nell’ufficio del dirigente per attuare le procedure del caso. La prima era quella di chiamare un genitore.
 
 
 
Sono quasi arrivato al campo quando sento il telefono squillare.
Hayate Cell.
"Hayate, tutto bene?"
Una voce decisamente diversa da quella mio figlio mi risponde.
"Sono la dirigente scolastica della scuola dei suoi figli" - pausa lunga quanto le mosse di Kung-fu Panda a rallentatore.
"Perché mi chiama, i gemelli stanno bene?"
"Sì, stanno bene, e sono qua di fronte a me. Diciamo che ci sono state giornate migliori, avrei bisogno di parlarle. Con una certa urgenza."
Preside. Urgenza. Si mette male, molto male. Quindi corro verso la meta.
 
Varco la soglia dell’ufficio e una signora mi fissa con capelli raccolti a crocchia, maglione grigio fumo su gonna nera, occhiali dalla montatura bianca e diamantata, rughe che uno Sharpei a confronto pare una camicetta stirata.
Hayate è seduto davanti alla scrivania, mentre Daibu è sprofondato nel divanetto appoggiato alla parete e guarda fuori dalla finestra, non si voltano verso di me ma non hanno lo sguardo basso. Tutto dei loro gesti mi fa capire che sono dalla parte della ragione.
Tutto questo dura pochi attimi, interrotti dal mio porgerle la mano sorridendo.
"Salve, sono il papà dei ragazzi, cosa è successo?"
"So perfettamente chi è lei, signor Ozora, per questo preferirei che fossero i ragazzi a raccontarle l’accaduto."
Li guardo e con un gesto li invito a parlare, ma come sempre è Hayate che lo fa…

Non vedeva l'ora.

"Dei nostri compagni in classe ci hanno detto che tu e Taro siete omosessuali usando toni spregevoli" - parte a razzo - "Daibu non c’ha visto e come suo solito è scattato senza riflettere, ha dato un pugno al primo, e al secondo una ginocchiata nelle palle, prima che colpisse il terzo, per fortuna, sono riuscito a fermarlo."
Mi volto stupefatto verso Daibu che continua a guardare fuori dalla finestra.
“Daibu, è vero?” quasi glielo urlo da quanto sono incredulo.
“Hanno detto che ti facevi inculare da Misaki.”
La preside si schiarisce la voce al massimo dell’imbarazzo, la osservo mentre lascia vagare lo sguardo per la stanza, paonazza in volto.
Non ho certo intenzione di nascondermi di fronte ai miei figli.
“Non credo che a qualcuno debba interessare chi mi porto nel letto. Giusto?”
Chiedo rivolto alla donna.
“Sì… cioè, certamente, capisco…” balbetta, tentenna, vacilla, quindi infierisco quel tanto che basta, dopotutto non è colpa sua se certi ragazzi mancano totalmente di educazione e rispetto.
Signora, mi meraviglio che questo rinomato istituto possa supportare ancora questi discorsi omofobi. Se non erro, nel programma della sua scuola erano indicate delle ore per la lotta contro il bullismo! Questo non toglie che Daibu debba avere la sua punizione, ma pretendo che venga rispettato il progetto e magari incrementato con ore integrative. Sono disposto ad accollarmi le spese se l’istituto non ha fondi sufficienti; nel 2026 sentir parlare ancora di questi problemi mi fa venire l’orticaria.”
Sono fiero di esser riuscito a mantenere la calma, di non aver mentito e di esser riuscito a spostare il tutto su un argomento molto delicato. Non avevo mai riflettuto su un’eventualità come questa ma devo ammettere che me la sono cavata alla grande, Hayate mi guarda orgoglioso.
“Cer-certo, signor Ozora, comprendo perfettamente il suo punto di vista e provvederò ad attivare corsi supplementari. Assolutamente non sono necessarie donazioni per questo progetto, e tutti i ragazzi coinvolti nell’accaduto saranno costretti a ore integrative di corso, pena l’esclusione dall’istituto.”
“Bene, la ringrazio, ovviamente spero che saranno coinvolti anche i miei figli.”
“Ma papà…” si lamenta Hayate agitandosi sulla sedia.
“So che non è colpa tua e che tuo fratello ha un carattere fumino, ma spero che questo corso possa farvi avvicinare a quei ragazzi che hanno offeso; e che con il tempo possiate appianare le vostre divergenze. Sarete un esempio per tutta la scuola: quindi, fate il primo passo. E non transigo!”
“Vedo che non è capace soltanto a dirigere una squadra di calcio…” ironizza la preside porgendomi la mano. L’incontro è finito, contraccambio la stretta dicendo: “Anni da capitano qualcosa insegnano e l’armonia nella squadra è tutto.”

Usciamo da quella stanza con un’incazzatura in più e un insegnamento ottenuto.
 
 
 
Il tragitto verso casa si svolse nel più totale silenzio. Solo quando dopo un incrocio noto si resero conto che la strada era quella che conduceva da Sanae, Daibu si agitò sul posto. Tsubasa gli lanciò un’occhiataccia dallo specchietto retrovisore.
“Daibu, non avrai creduto di tacere una notizia così a tua madre vero?”
Il ragazzo non rispose e distolse lo sguardo per osservare il paesaggio fuori dal finestrino. Paesaggio che non stava guardando, immerso com’era nei suoi pensieri. Hayate si voltò verso il fratello per incoraggiarlo a dire qualcosa, ma come da sedici anni a quella parte il mutismo fu solo quello che ottenne. Daibu parlava in rare occasioni e quando lo faceva erano in camera loro da soli, per quello Hayate alla fine si era sempre fatto portavoce per entrambi.
“Papà, non vorrai far preoccupare la mamma…” l’aveva buttata lì in un tentativo improbabile di sfuggire anche alla predica materna.
“Vi rendete conto che domani sarete su tutti i giornali? Vi rendete conto che se quel ragazzo vi denunciasse potrebbe costarci caro? Fortuna che vostra madre ha sempre insistito per stipulare un’assicurazione dopo una delle prime scazzottare di Daibu.”
“Quello è abituato ai pugni, non ci denuncerà, più facile che voglia una rivincita, ma troverà pane per i suoi denti.” Daibu dal sedile posteriore aveva detto quella breve frase con tono sprezzante e rabbia crescente.
“Forse dovevi fare boxe invece di calcio, almeno ti saresti sfogato… mi domando da chi tu abbia preso…”
 
 
Quando varcarono la porta di casa i sospetti da chi avesse preso quel carattere così battagliero si mostrarono in tutta la furia della madre.
Sanae aveva dato di matto sbraitando contro i gemelli. Che poi uno non c’entrasse praticamente nulla al momento le era indifferente. Era talmente delusa e incazzata per quanto accaduto che le si era annebbiata la vista e aveva perso le staffe.
“Ma io non posso credere che ancora una volta tu abbia fatto a pugni!” la donna, di fronte al figlio seduto sul divano, non aveva ancora accennato a diminuire il rimprovero. Rimprovero che si era concentrato totalmente sul colpevole permettendo a Hayate di affiancare il padre e tentare di calmare la madre.
“Sanae, sono giovani, sai che Daibu è molto irascibile.”
“Sarà irascibile, ma niente può giustificare il fatto di alzare le mani. E poi cosa potrà mai aver detto questo teppistello per ricevere un trattamento simile?”
“Cos’ha detto? Cos’ha detto? Te lo dico io cos’ha detto: Che papà si fa inculare da Misaki! Ecco cos’ha detto.” Rispose urlando.
“ALT! STOP! Queste parole non le voglio sentire in casa mia…!” la madre portò avanti i palmi in segno di chiusura.
“Figurati quanta voglia ho io di farmele dire di fronte a tutta la classe!” Daibu si era alzato di scatto e dopo aver risposto a Sanae era uscito di corsa dalla sala per filare in camera sua. Il colpo della porta aveva fatto tremare tutti i muri.
“DAIBU, NON RIVOL-” Tsubasa aveva iniziato a rimproverare il figlio quando la mano della sua ex moglie si era appoggiata sul suo braccio e aveva stretto forte.
“Non è colpa sua, Tsubasa, sapevamo di queste difficoltà, dopo vado da lui e ci parlo.”
“Mamma, ci penso io a Daibu, è solo arrabbiato, non ce l’ha con voi…”
“Lo sappiamo, Hayate…” rispose la donna sollevando la mano per accarezzare quella guancia con un primo accenno di morbida barba. I suoi bambini, oramai molto più alti di lei, stavano diventando dei bellissimi uomini.
Il figlio l’abbracciò stretta e corse dal gemello.
Il capitano afflosciò le spalle in segno di sconforto.
“Abbiamo fatto bene ad aspettare che crescessero, almeno sanno affrontare la questione.” Sanae aveva incrociato le braccia al petto e guardato Tsubasa in cerca di sostegno.
“Sono felice che tu riesca a vedere il lato positivo, io mi sento così in colpa per quello che vi ho fatto passare.”
La donna si avvicinò e, afferrandolo saldamente per le braccia, lo scosse delicatamente. “Non pensarci neppure, c’ho messo del tempo per digerire il tutto e tu lo sai benissimo; ma sono anche consapevole che non si può struggersi per amore. E ho visto come stavi durante quei mesi per colpa degli incubi. Non avresti più vissuto come prima, non avresti più giocato come prima, non saresti stato un buon padre come lo eri prima. Abbiamo distrutto il nostro matrimonio, ma abbiamo salvato tutto il resto. Pensiamo a questo!” Esclamò annuendo fiduciosa.
Ozora l’abbracciò stretta prima di darle un bacio sulla testa. “Sono stato un uomo fortunato ad averti incontrata.”
“Più che incontrata confesso la versione stalker del passato…” ironizzò Sanae, sorridendo dentro alle sue braccia. Era tantissimo tempo che non la stringeva così e si compiacque di non sentirne nessun effetto. Le farfalle nello stomaco erano volate via da un bel pezzo, per sua fortuna e sanità mentale. Juan le aveva sostituite con qualcosa di caldo e irrazionale; adorava il suo nuovo compagno agli antipodi di Ozora.
Tsubasa sorrise staccandosi da lei e si avviò alla porta.
“Se hai bisogno, chiamami, e non punirlo… non è colpa sua…”
“Sei sempre troppo buono, Ozora. Va’, ci penso io.”
L’ultima cosa che vide fu la mano che si muoveva in cenno di saluto prima che la porta ne celasse la vista.
Dopo aver rilasciato tutto il fiato, gettò uno sguardo al corridoio e poi alla porta della cameretta dei suoi figli. Porta verso la quale si diresse immediatamente. Voleva assolutamente parlare con loro e chiarire tutto quel pasticcio.
Mentre in auto Tsubasa aggiornava il compagno tramite WhatsApp


 


La madre era uscita da cinque minuti quando Hayate vide afferrare il cellulare al fratello per rispondere a una chiamata. Sanae c’era andata leggera, pur rimproverando il gemello, aveva spiegato che con la violenza si passava sempre dalla parte del torto. Che era solo grazie al cognome che portavano che la scuola non lo aveva sbattuto fuori. Insomma le solite cose che oramai sentiva ripetere da anni… solo che Daibu era davvero difficile da gestire.
Aggrottò le sopracciglia quando sentì il fratello salutare Desirée, poi la frase successiva come una richiesta di muto aiuto:
“Aspetta che ti metto in vivavoce così sente anche Hayate”
“Ciao, piccoletta. Che ci racconti?”
“Che mi raccontate voi, piuttosto… corrono voci di una rissa scatenata dai gemelli Ozora, è vero?”
“La gente non si fa mai i cazzi suoi, vedo!” replicò scocciato Daibu.
La ragazzina nascose una risata tra la mano e la cornetta del telefono.
“No, in realtà ho sentito papà sconvolto mentre parlava al telefono con mamma. Daibu, che combini?”
Il ragazzo si lasciò cadere sul letto sprofondando tra i cuscini.
“Niente, uno stronzo si era permesso una battuta di troppo sui nostri padri.”
“Devo sempre insegnarti tutto, Daibu, la vendetta va consumata fredda…” la frase in sospeso aveva incuriosito i gemelli.
“Che vuoi dire?” chiese Hayate avvicinandosi al letto del fratello per sentire meglio.
“Credete che le prese in giro non ci siano anche nella mia scuola?”
“Hai dei problemi? Dobbiamo venire lì da te?” Daibu, con il suo solito senso di protezione che aveva sempre nutrito per Desirée, si fece subito avanti.
“Grazie, Daibu, ma ci sono altri metodi oltre i pugni, sai? Metodi molto più trucidi, ma che non hanno ripercussioni su di te.”
Il ragazzo si fece ancora più attento… sapeva quanto tremenda potesse essere la viperetta, quindi era tutto orecchie.
“Illuminami…”
“Mai sentito parlare di Guttalax?”
“Aspetta – esordì Hayate – ma non è un potente lassativo?”
“Esatto, sapeste che epidemia c’è stata nella mia classe… poverini!” Il tono di finto rammarico fece seguire una risata liberatoria che esplose forte e allegra come non succedeva da tempo.
“Sei tremenda – constatò Daibu dopo essersi ripreso dalle risa – una cosa è certa: mai mettersi contro di te…”
“I tuoi genitori che hanno detto?” Chiese Hayate incuriosito.
“Credo che lo sospettino, ma non lo ammetterò mai. In realtà la preside ha chiamato per avvisare dell’epidemia; essendo l’unica che non l’aveva presa si era premurata di avvisare i miei genitori. Mi hanno guardata di traverso per interi giorni, ma non ho ceduto.”
“Sei la meglio!” esclamò Hayate tutto entusiasta.
“Hayate, dai dobbiamo andare…” lo esortò il fratello.
“Dove andate di bello?” li interrogò la ragazzina.
“Che domande: a fare scorta di Guttalax, no?”
“Adoro quando diventate trucidi tanto quanto me… e ricordate: voglio tutti i dettagli.
“Non mancheranno, non temere.” Rispose Hayate dopo aver afferrato il cellulare e seguito i passi del fratello.
La vendetta era pronta per essere servita fredda, freddissima, come la tazza del cesso dove tutti si sarebbero seduti molto presto.
 
 

Taro sedeva affaticato sulla panchina all’interno dello spogliatoio. Mentre cercava d’incamerare aria velocemente si stava slacciando gli scarpini. Napoléon per tutta la partita era stato distratto e Pierre lo aveva ripreso più volte. Tutti sapevano del pessimo carattere dell’attaccante; infatti aveva inveito più volte contro Misaki, accusandolo di passaggi sbagliati. Il numero undici non gli aveva dato peso cercando di non fomentare la sua indole iraconda, ma evidentemente non era bastato, visto che continuava a sbraitare cose assurde per tutta la stanza, girovagando come un’anima in pena e lanciando pezzi di divisa per tutto lo spogliatoio.
Taro sollevò gli occhi per guardarlo visto che si era posizionato di fronte a lui con le braccia incrociate.
Una volta incontrate le sue iridi, Misaki sollevò un sopracciglio verso l’alto senza proferire parola. Come a dire: che vuoi? Tanto non ho voglia di attaccar briga con te. Era tardi e doveva tornare a casa per chiamare Ozora, non voleva certo ritardare per colpa di un deficiente, quello che era accaduto ai gemelli lo voleva sentire con le sue orecchie.
“Stasera in campo hai fatto schifo, Misaki! Tutti i passaggi che mi hai fatto non erano buoni…”
Taro roteò le pupille in segno di noia alzandosi in piedi per fronteggiarlo.
“Se la sera fai tardi e poi il giorno dopo non corri a sufficienza per arrivare sulla palla, io non posso farci niente. Piantala di fare le serate brave, non hai più vent’anni, è già tanto che ti permettono ancora di giocare, Napoléon; avrai il fegato distrutto…”
Il compagno lo aveva spinto con malagrazia a una spalla facendolo retrocedere e di conseguenza sedere sulla panca alle sue spalle. Dopo lo aveva sovrastato con tutto il corpo, appoggiando entrambe i palmi alle mattonelle della parete. Taro si sentiva imprigionato, ma allo stesso tempo con zero voglia di litigare.
“Siamo sicuri che invece tu non te la spassi un po’ troppo tra le lenzuola con Ozora? Cosa credi, che siamo tutti scemi? Che non sappiamo della vostra relazione? Si vocifera che in Spagna abbiate anche un appartamento insieme: è vero?”
Misaki si alzò di scatto afferrando le braccia del compagno per spostarlo. Una volta al suo pari lasciò andare la presa e si avvicinò al volto con fare minaccioso. “Cos’è la tua, invidia? Perché io ho avuto una famiglia, una figlia e adesso un compagno? A te invece non ti considerano né le donne, né tantomeno gli uomini. Se hai una vita di merda non è colpa mia; e ora togliti.”
Con un gesto repentino del braccio gli afferrò un fianco e lo scansò dalla sua traiettoria. Aveva deciso di andare a fare la doccia non sprecando altre parole con quell’idiota.
 

Pierre aveva osservato tutta la scena ed era consapevole della verità, anche se Taro non gliela aveva mai confessata; ma la dimostrazione di come, anche quando pensi di essere bravissimo a nasconderti o a non far capire nulla dei tuoi sentimenti, e invece tu ti stia solo illudendo perché i gesti parlano per te. Ogni volta che aveva avuto l’occasione di vederli aveva constatato una tenerezza infinita nel cercare di non far notare che cosa ci fosse tra loro. Una mano che sfiorava l'altra per un attimo, il movimento della testa che avrebbe voluto poggiarsi sulla spalla, ma si fermava in tempo, la distanza tra due fianchi quasi inesistente, un abbraccio senza stringersi troppo.
Metà dei presenti avevano sempre sguardi d’invidia ricordando quella passione oramai sepolta e invece presente nella coppia.
Quando vide che Napoléon aveva esteso il braccio per afferrare il compagno, Pierre allungò il passo e agguantò quell’arto con forza; poi sibilò tra i denti: “Non provarci neppure o ti faccio sbattere fuori squadra, Napoléon, e sai che lo faccio!”
Lo sguardo di fuoco che il malcapitato incontrò fu sufficiente per desistere da qualsiasi cattiva intenzione, quindi voltandosi afferrò il borsone e lasciò lo spogliatoio coprendosi soltanto con il piumino, abbandonando mezza divisa sparpagliata in giro.
I compagni avevano assistito alla scena in completo silenzio, sapevano che il loro capitano non avrebbe mai permesso alcun tipo di screzio.
Una volta uscito, Pierre tirò un respiro di sollievo.
Regalò un occhiolino bonario al resto della combriccola e si affacciò nelle docce dove Taro si stava lavando. Questi aveva sentito il capitano difendere la sua posizione, ma aveva preferito non intromettersi nel suo discorso. Nello spogliatoio certe gerarchie erano rispettate anche se l’argomento non riguardava propriamente il calcio.
 
“Senti, Misaki…” ridacchiava, dopo tanti anni quella confidenza era dovuta e poteva anche permettersela.
“Dimmi…” rispose l’altro da sotto la doccia.
“Oramai che il coming out è stato fatto, te le posso fare una domanda?”
“Sei il capitano…”
“Ozora è un fuoriclasse anche tra le lenzuola?”
La spugna che ricevette nel muso schizzò acqua da ogni poro mentre un sorridente Misaki si affacciava dalla tenda della doccia sbraitando: “Smettila di fare il cretino!”
Pochi attimi dopo la tensione si sciolse e il resto dei giocatori esplose in una fragorosa risata liberatoria.
Taro lo sapeva, avrebbe potuto contare su Pierre, lui era un suo amico.


 









Mi sveglio presto...
Ho un profilo FB dove metto qualche anticipazione del testo...
Beh, meglio tardi che mai.
aahahahahah

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