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Autore: lightvmischief    13/06/2019    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 17


KAYLA

Sono passate un po' di settimane da quando ho ritrovato mia sorella, sono passate così velocemente. Mi sembra di averla trovata appena ieri e, allo stesso tempo, di averla avuta con me per un'infinità di tempo.

Quando l'ho rivista per la prima volta, non ci credevo, non potevo farlo: era successo tutto così velocemente e casualmente, ero ancora scossa dagli avvenimenti di pochi attimi prima, quando improvvisamente mi si presenta davanti ai miei occhi lei, quasi come un'allucinazione, che ho temuto di aver avuto fino a quando non l'ho ristretta tra le mie braccia.

È stato come ricevere una botta di vita improvvisa, inaspettata. Per quei piccoli istanti mi sono sentita a casa di nuovo. È stato come se l'avessi vista nascere per una seconda volta.

 

«Kayla.» Mi sento scuotere una spalla un paio di volte.

«Kayla.» Ora la voce prende forma nelle mie orecchie e sbatto le palpebre, cercando di far sparire completamente il sonno dai miei occhi.

«Zia? Cosa c'è?» chiedo alla donna che mi ha svegliato. Mi sistemo meglio sulla sedia verde e scomoda su cui mi sono addormentata.

«Non vuoi venire a vedere tua sorella?» Una scossa di adrenalina mi attraversa il corpo non appena sento la parola "sorella".

Salto in piedi velocemente e comincio a porre subito mille domande a mia zia.

«È già nata? Perchè nessuno mi ha svegliata prima?!» mi lamento, saltellando da un piede all'altro mentre la donna mi fa strada tra i corridoi dell'ospedale.

Quando mamma e papà mi hanno detto che avrei finalmente avuto una sorellina, avevo fatto i salti di gioia: era da quando avevo cominciato a parlare che chiedevo di avere una sorella o un fratello, lo avevo scritto in tutte le letterine a Babbo Natale, ma le mie richieste non erano mai state esaudite, fino a nove mesi fa. Avevo da poco compiuto gli undici anni e ormai non ci pensavo più di tanto, i miei desideri stavano pian piano cambiando.

Qualche settimana dopo, andammo tutti insieme a mangiare fuori e io mi chiedevo qual era l'occasione: ce n'era sempre una. Una volta finito il dolce, mia mamma mi prende le mano e la appoggia sulla sua pancia mentre mi dice le fatidiche parole: "Kayla, sei pronta per avere una sorellina?"

È scontato dire quanto quella notizia mi migliorò l'intera settimana. Finalmente avrei avuto anche io qualcuno con cui giocare, al di fuori dei miei amici di scuola, avrei avuto anche io qualcuno con cui passare le mie giornate e con cui condividere le mille avventure in cui mi cacciavo durante le vacanza al mare o in montagna.

«Ohi, nipotina numero uno!» mi saluta mio zio non appena ci vede arrivare, scompigliandomi i capelli.

«Zio! Ci ho messo un quarto d'ora per metterli in ordine!» lo sgrido, dandogli uno schiaffetto sulla mano, fingendomi offesa.

Lui fa una smorfia di dolore, portandosi la mano al petto.

«Spero tua sorella sia meno violenta di te!» Al nominare di mia sorella, una scia di gioia mi percorre di nuovo tutto il corpo e ricomincio a saltare sul posto.

«Dov'è?!» chiedo impaziente, non vedo l'ora di vedere chi sarà la mia compagna di vita. Mi affaccio al grande vetro a cui arrivo a malapena con la punta del naso, appoggiandoci le mani per tirarmi su e poter vedere dentro.

Allora mia zia indica una culla di plastica trasparente con appeso un biglietto con il nome Ebony scritto in stampatello. La neonata all'interno stava pacificamente dormendo, probabilmente anche sognando, dato che muoveva le piccole manine strette a pugno sopra la sua testa.

«Come facciamo a essere sicuri che sia proprio lei? Sono tutti uguali!» Mia zia e mio zio scoppiano in una risata e la prima mi accarezza la schiena. Li guardo curiosa prima di lasciar cadere la questione e ritornare ad ammirare quella piccola cosina che era mia sorella.

 

Sapere e vedere con i miei occhi che era ancora viva, che ce l'aveva fatta a sopravvivere in quel mondo di mostri, era una consapevolezza che mi aveva riempito il cuore.

Non sono più da sola ora che Ebony è con me. Non mi sento più come se dovessi costantemente portarmi dietro un fardello sulle spalle.

Certo, scoprire e vedere con i miei occhi i miei genitori... Quello è stato un colpo dritto dritto allo stomaco. Sapere che erano vivi fino a una settimana prima dell'arrivo mio e di Calum, sapere che pochi mesi fa io ero esattamente a pochi chilometri, forse persino metri, dalla mia famiglia ancora viva e al completo mi ha distrutta. Se solo avessi cercato meglio, se avessi setacciato ogni singola casa, forse sarei riuscita a dirgli addio per un'ultima volta. Forse sarei riuscita a stringerli in un abbraccio per un'ultima volta.

 

«Grazie, adesso potete andare!» dico, scendendo dalla macchina e chiudendo la portiera.

Mi volto verso la grande casa davanti a me e saluto Joe e Kaycee con la mano con un sorrisone a decorarmi le labbra: era finalmente arrivato il primo sabato del mese e avrei passato con i miei due migliori amici la giornata e poi avremmo dormito tutti e tre a casa di Joe. Era ormai una tradizione che andava avanti da quando ci eravamo conosciuti due anni fa, in prima elementare.

Aspettavamo quel sabato con ansia da una settimana: avevamo tantissime cose da raccontarci e tantissimi nuovi giochi da tavolo da provare. Poi, poco prima di dormire, avremmo giocato a nascondino per tutta la casa enorme di Joe, che offriva veramente tanti spazi in cui nascondersi con successo.

L'ultima volta era toccato a me cercare i due, mentre questa volta sarei andata a nascondermi insieme a Kaycee. Avevamo deciso di collaborare per far sì che Joe non ci trovasse subito, dato che aveva il vantaggio di conoscere tutta la casa.

«Ce lo dai un abbraccio?» mi chiede mia mamma alla mie spalle.

«Veloci che devo andare a giocare!» rispondo di fretta, aprendo le braccia per velocizzare l'intero processo.

«Veniamo a prenderti domani mattina alle 11. Mi raccomando fai la brava» mi raccomanda papà, tenendomi stretta a sè più del dovuto.

«Lo so, papà! Sono grande adesso!» dico, ricordandogli che avevo già ben otto anni e che sapevo cosa dovevo fare.

Finalmente mi lascia andare, così corro felice verso la cancellata che mi divide dai miei migliori amici, emozionata e intrepida di passare del tempo con loro.

 

Ma non c'era niente che potessi fare ormai. Loro erano lì, trasformati, proprio davanti a me. Il loro sguardo, una volta acceso di energia, di amore, di vita, era ora vitreo, freddo, impassibile.

È stata una botta allo stomaco.

Dopo che ci eravamo separati, quasi quattro anni fa, ero terrorizzata: ero da sola e avevo la costante angoscia che non ci saremmo mai più ritrovati. E infatti fu così. Mi ero abituata, per quanto fosse possibile, all'idea che non li avrei mai più rivisti vivi. È stato un processo lungo e doloroso: ogni notte mi ritrovavo da sola a piangere con questi pensieri nella testa, a volte volevo solo che si fosse spenta per un po', che mi avesse lasciato in pace e che mi avesse lasciato riposare.

Quando tutte quelle consapevolezze avevano ormai preso il loro posto fisso dentro di me, avevo in qualche modo imparato ad accettarle e a conviverci. Ero riuscita a non pensarci più di tanto, ero riuscita con veramente molta forza di volontà - forse l'unica cosa che mi era rimasta - a sovrastare quei pensieri orribili con un po' di speranza.

Vederli poi con i miei occhi in quello stato, mi ha causato una reazione simile alla prima volta. Era vero. Era reale. Non c'era più niente che avessi potuto fare. Mi ci è voluta qualche ora per realizzarlo.

All'inizio, non volevo tornare con Ebony al campo di Travis. Non volevo aggravare la loro situazione con una persona in più da sfamare, soprattutto una bambina. Ma dopo, riflettendoci, ho dovuto cedere alla proposta di Calum: magari sarei riuscita a badare a lei per qualche settimana, ma non mi perdonerei mai se la causa della sua morte potessi essere io.

Quindi, siamo saliti in macchina, i miei pensieri che continuavano a fare a botte tra di loro: molta gente del gruppo non era d'accordo con la scelta di Travis di tenermi con loro e lo dimostravano spesso. Io potevo sopportarlo, ma se avessero avuto lo stesso comportamento con Ebony... Non credo che ce la farebbe. Non perchè non è forte, dannazione, lo è più di me, ma perchè non se lo merita. Non ha fatto niente di male a nessuno lì, al contrario mio.

Per le prime settimane è stata dura: Ebony girovagava per l'intera palestra - mai che riuscisse a stare ferma per più di qualche ora - e se non la trovavo andavo in panico. Avevo paura che le succedesse qualcosa di brutto.

Lei è una mia responsabilità, ma prima di tutto, è l'unica famiglia che mi è rimasta.

Dopo qualche giorno in cui mi ha tenuto il muso perchè l'avevo ripresa troppe volte e dopo molte chiacchierate terapeutiche con Mali, Olivia e Wayne, sono arrivata alla conclusione che non l'avrei potuta tenere sotto controllo sempre e che se era all'interno della struttura sarebbe stata al sicuro.

Aveva fatto amicizia più velocemente di quanto avessi fatto io, soprattutto con Margaret e gli altri bimbi che facevano parte del gruppo, ma anche con Wayne, Lynton, Mali e, sorprendentemente, Calum.

Devo dire che, forse trascinata dalla sua scia di socialità e buon umore, mi ero lasciata andare anche io ed ero riuscita ad avere una convivenza pacifica con maggior parte del gruppo e potevo andar fiera delle poche ma estremamente importanti amicizie che si erano create.

Stavo finalmente imparando a tornare a vivere, o comunque a sentirmi viva, più di quanto non lo fossi mai stata da quando tutto era cominciato. Era una bella sensazione. Finalmente, sentivo qualcos'altro oltre al terrore. Finalmente.

Calum.

Erano successe un sacco di cose anche con lui, a partire dal cambiamento del nostro rapporto. Prima di tutto, dovevo ringraziarlo per ciò che aveva fatto per me ed Ebony.

 

«Hai bisogno di qualcosa?»

Mi chiudo la porta alle spalle e resto per qualche secondo intenta a guardare Calum riordinare le armi davanti a lui, dividendo quelle cariche da quelle scariche.

«Cosa? No, no. Volevo... volevo solo ringraziarti, sai, per averci aiutato.» Sfrego le mani sui pantaloni, ansiosa, cercando di mettere nell'ordine giusto tutte le parole.

Eravamo arrivati da qualche ora al campo e non avevo ancora avuto occasione di ringraziarlo per ciò che aveva fatto.

«Oh, figurati» risponde, senza neanche alzare lo sguardo dalle sue mani.

Lo osservo per qualche secondo e noto, di nuovo, a malincuore la benda che gli fascia il braccio sinistro. Sapevo di non avergli inflitto una ferita grave, ma mi sentivo comunque in colpa.

«Grazie anche per... avermi salvato ieri sera.»

«Siamo pari adesso.» Lancia un'occhiata veloce verso di me, stringe la mascella e poi ritorna al suo lavoro.

Annuisco, lasciando cadere il mio sguardo sulle mie mani che giocano frettolose tra di loro. Deglutisco un paio di volte, bagnandomi la gola secca.

«Dovresti cambiarti la maglietta.»

Istintivamente mi guardo come se non sapessi cosa stessi indossando e porto le braccia davanti alla parte di ventre scoperta.

«Uh, sì. Hai ragione.»

«Va tutto bene?» mi chiede stranito dal mio comportamento, lasciando cadere la pistola che stava maneggiando sul tavolo da lavoro e facendo qualche passo cauto verso di me.

«Sì... sì. Dovrei- devo andare ora» lo liquido incerta, sorprendendomi. La mia agitazione era dovuta a tutti gli avvenimenti delle ore precedenti, sicuramente.

«Già.» Calum fa spallucce e mi fissa per qualche secondo, quando decido di lasciar perdere e uscire dalla stanza, prendendo un respiro profondo non appena sono fuori.

 

Non era cambiato tutto così velocemente e di certo non erano mancati i nostri soliti e inutili battibecchi. Siamo entrambi troppo testardi e orgogliosi anche solo semplicemente per ammettere che uno dei due ha ragione.

Ce la stavo mettendo tutta per andare d'accordo anche con lui, in qualche modo. Dovevamo solo incontrarci a metà e già solo questo era un'impresa.

 

«Kayla, mi serve una mano.» Mali mi passa di fianco e mi dà uno schiaffetto sulla spalla, richiamandomi.

«Sì, scusami.» Prendo il cacciavite che mi passa e una vite arrugginita da terra, cominciando ad avvitare un pezzo di legno nell'altro. «Esattamente cosa dovrebbe essere questa... cosa?»

Ero piuttosto aggiornata su ciò che succedeva nel gruppo oramai: ero a conoscenza di gran parte delle decisioni, conoscevo i programmi delle uscite e sapevo cosa scarseggiava. Ero ufficialmente entrata a far parte del "gruppo spedizioni" e ciò significava che ero ormai veramente parte di quel gruppo, che ora avrei potuto chiamare mio.

Ma di questa cosa informe che avevo sotto gli occhi non sapevo nulla. Non sapevo se era un'idea di Mali o di Travis, dato che avevo visto solo la prima lavorarci. La vedevo spesso indaffarata - quando non era il suo turno di uscire - e la cosa mi aveva incuriosita, perciò ora le stavo dando una mano. O comunque stavo cercando di farlo.

«Okay, manderò a puttane l'intera sorpresa, ma sappi che è stata una scelta tua» mi minaccia con il cacciavite e a stento mando indietro una risata. «Sto cercando di costruire una specie di albero di Natale, ormai mancano poche settimane e non ne abbiamo mai avuto uno prima...»

Il mio sguardo si addolcisce alle sue parole e questa volta le sorrido sinceramente, ora più motivata ad aiutarla nel suo lavoro.

«Ho cercato di rubare di nascosto dei pezzi di legno qui in giro che sapevo che nessuno avrebbe usato oltre a, beh, bruciarli, ma questo è più importante! Cioè non lo è, però un po' di spirito natalizio non fa male a nessuno, vero, Kayla?» Questa volta le scoppio a ridere in faccia, coprendo la bocca con le mani. Quando è nervosa comincia a straparlare, è una delle piccole cose che ho imparato di lei.

Per tutta risposta, alza gli occhi al cielo e mi lancia una vite addosso, ridendo non appena faccio una faccia scioccata.

«Mi avresti potuto uccidere con quella!»

«Pfft, esagerata!»

«Che diavolo state combinando voi due?» Veniamo interrotte da Calum, che dev'essere entrato di soppiatto quando non stavamo lavorando.

«È una sorpresa. Che vuoi?» chiede Mali, posizionandosi davanti alla sua "opera d'arte" in corso con le braccia aperte, così che il fratello non possa vederla.

Mi passo una mano sulla fronte, scuotendo la testa. È pazza.

«Volevo sapere se ti andava di uscire domani assieme a Lynton ed Elyse.» Mali fa una smorfia triste. È veramente fissata a completare il suo lavoro.

«Posso uscire io» mi intrometto, alzandomi prontamente in piedi, già pronta per andare a ricevere istruzioni.

«No, tu no.» Mi blocco sui miei passi.

«Perchè?»

«Perchè no. Vado a chiedere a Wayne.» Detto questo, non mi lascia neanche il tempo di ribattere che esce dalla stanza e si chiude la porta alle spalle.

Pensa per caso che io sia una bimba? Perchè io di certo non mi accontentavo di un banale "perchè no".

Lancio un'occhiata di scuse a Mali e lo seguo infuriata oltre la porta.

«È da tre settimane che non esco e non pensare che non abbia notato tutti i programmi che hai fatto per tagliarmi completamente fuori» lo inseguo mentre cerco di mantenere a bada il mio tono di voce e la mia frustrazione. «Vuoi darmi una cazzo di spiegazione?»

Calum si volta, decisamente seccato dalla mia reazione, stringe la mascella e chiude per qualche secondo gli occhi, passandosi una mano sulla guancia.

«Te l'ho già detto.»

«"Perchè no?" È questa la tua spiegazione?»

Il ragazzo mi prende la mano irritato e mi trascina dentro a una stanza al riparo da orecchie indesiderate. Mi strattono dalla sua presa, incrociando le braccia al petto.

«Non potresti accontentarti e basta per una dannata volta?»

«Accontentarmi?» ripeto incredula. Alcune volte mi lasciava veramente basita il ragazzo. Quasi sempre a dire la verità.

«Sì, è così difficile per te?» mi sfida, avvicinandosi al mio viso con un sorrisetto strafottente sul viso. Mantengo il suo sguardo infuriata.

«Io non ci posso credere, davvero» ribatto, emettendo una risata sarcastica.

«Hai finito le parole?» Ora il suo viso è ha pochi centimetri dal mio, sento il suo respiro sulle mie labbra, sono costretta ad alzare il mento per poterlo vedere in faccia. La determinazione non abbandona per un solo secondo il mio sguardo e la stessa cosa accade nel suo. C'è solo un attimo di esitazione da parte sua, quando vedo i suoi occhi cadere sulle mie labbra per poi tornare velocemente ai miei occhi.

Decido di allontanarmi di qualche centimetro, abbassando lo sguardo incredula, mentre lui si passa due dita sul labbro inferiore.

«Domani esco, che tu lo voglia o meno. Non sei tu a decidere della mia vita.»

In mezzo alla sua fronte si forma un cipiglio marcato, si prende il labbro tra le dita e lo tira in avanti, come se stesse pesando le parole con cui rispondermi.

«Lo sono da quando tu decidi di essere irresponsabile.»

«Scusa?» Non credo di poter raggiungere un più alto livello di incredulità in questo momento. Era serio?

«Sto cercando di farti passare il tuo tempo con Ebony, ma se tu decidi di andare fuori, l'unica cosa che avrà sarà una sorella morta.»

Le sue parole vengono assimilate velocemente, come un colpo dritto dritto allo stomaco. Non so se essere offesa per la sua mancata fiducia nelle mie abilità o apprezzare il fatto che ci tenga che io passi del tempo con Ebony, ora che l'ho ritrovata.

«Quindi dovrei far rischiare la vita ad altri solo per un mio desiderio? È un po' egoista, non trovi?» gli chiedo retoricamente. Non era giusto.

Il ragazzo davanti a me si ammutolisce e vedo di nuovo apparire il muscolo della sua mascella.

«È diverso.»

Faccio schioccare la lingua e alzo un sopracciglio. Era diverso. Sì, certo.

«Fammi un fischio quando ti deciderai a darmi delle spiegazioni sensate.» Lo sorpasso dandogli una spallata apposta, non riuscendo a trattenermi, e uscendo dalla porta, sbattendola dietro di me.


Dopo quell'episodio, non era cambiato molto: Calum aveva continuato a escludermi dalle uscite per altre due settimane ed era riuscito a portarsi dalla sua parte anche Wayne e soprattutto, Travis, secondo i quali era meglio che stessi per un po' con Ebony prima di tornare ad uscire.

Lo trovavo stupido, perchè mai io avevo il privilegio di non uscire mentre tutti gli altri erano costretti a dover farlo? Non era giusto.

Infatti, dopo quelle due settimane ero riuscita a convincere proprio Travis a lasciarmi uscire, non perchè fossi masochista, anzi, ogni volta che uscivo sapevo benissimo che sarebbe potuta essere l'ultima volta. Ma avere qualcuno che mi aspetta qui al campo è una motivazione in più per dare il meglio di me stessa e sopravvivere fuori.

Calum ovviamente non era d'accordo, ma a me non interessava. Era la mia vita, non la sua, non capivo come mai gli importasse così tanto.


Mi bagno la faccia con un po' di acqua fredda per far sparire un po' di stanchezza dal mio viso. Ebony e Margaret mi avevano praticamente costretto a giocare con loro a nascondino per tutto il pomeriggio e ora si erano appena addormentate e io avevo bisogno di un po' di tempo per riprendermi. Erano solo le dieci di sera, ma loro erano crollate quasi subito dopo cena.

Entra una donna che mi pare si chiami Joanne e allora decido di uscire dal bagno per lasciarle un po' di privacy. Anche lei aveva il viso stanco.

«Mi dici che succede tra te e Kayla?» Mentre passo nel corridoio che porta fino alle scalinate della palestra sento il mio nome, allora decido di fermarmi davanti alla porta chiusa.

Lo so che non dovrei origliare e non lo farei se non avessi sentito il mio nome. Voglio sapere di che si tratta.

«Perchè?» la voce è maschile e la riconosco come quella di Calum. Ora mi resta capire solo con chi sta parlando.

«Non lo so, sembri così interessato alla povera creatura.» Questa è Elyse, la riconosco dal tono e dal nomignolo che usa spesso quando è costretta a parlarmi. «Ammettilo che stai solo cercando di entrare nei suoi pantaloni.»

«Non posso dire di non averci pensato.»

«Oh, avanti! Io me la faccio con Blaine, non ti giudico! E per quanto non la sopporti, non posso dire che sia una brutta ragazza, perciò non ti biasimo.»

Sto veramente cercando di fare appello a tutta la mia forza di volontà per non irrompere nella stanza e iniziare a prendere a insulti entrambi.

«Avrei proprio bisogno di una scopata, in effetti...» Non credendo a ciò che sto sentendo, decido di andarmene prima che uno dei due esca dalla stanza e mi colga di sorpresa.

Ho capito perchè gli importava così tanto di me. Stava solo cercando di portarmi a letto. Peccato per lui che questa sua tattica non avrebbe funzionato con me.


L'intera settimana successiva, ho fatto il possibile per evitare le due persone incriminate: sapevo che sarei scoppiata se solo avessi dovuto stare nelle loro vicinanze per più di cinque minuti. Dovevo dire che ero riuscita piuttosto con successo nella mia impresa.

«Kayla, puoi venire un secondo?» Parli del diavolo...

Mi alzo da terra, dove stavo controllando di aver tutto il necessario nel mio zaino, dato che tra poco sarei dovuta uscire in spedizione, mi passo le mani sui pantaloni e alzo lo sguardo scettica, con entrambe le sopracciglia alzate. Gli faccio un cenno con la testa per farlo continuare a parlare.

«In privato.» Alzo gli occhi al cielo e mi costringo a seguirlo, visto che non si è preoccupato di ricevere una mia risposta prima di voltarsi e cominciare a camminare verso uno dei corridoi.

Apre la porta di una stanza e mi fa entrare dentro, mi segue e poi se la chiude alle spalle. Incrocio le braccia al petto e prendo le dovute distanze dal suo corpo. Mi sembra di avere un dejavù.

«Che c'è?» gli chiedo scocciata, stanca della troppa attesa. In realtà erano passati forse tre minuti, ma non volevo stare con lui nella stessa stanza per più di cinque.

«Sei di fretta?» mi chiede ridacchiando, ricevendo una nuova alzata di occhi da parte mia.

«Ho altri posti in cui dovrei essere adesso» rispondo acida. Quella conversazione continua a ripetersi nella mia mente ora che ce l'ho davanti ai miei occhi. Non so per quanto riuscirò a trattenermi.

«La scorta dell'acquedotto finirà quasi sicuramente settimana prossima, anche con il razionamento questo è il massimo che siamo riusciti a fare. Dovremo quindi lasciare presto questa palestra.» Annuisco, passandomi una mano sul collo distrattamente.

Dopo che eravamo tornati con Ebony e con le bottiglie d'acqua, Tracey ci aveva avvisato del fatto che ci fosse una scorta d'acqua che erano riuscite a sbloccare, solo che sarebbe durata al massimo qualche giorno se non avessero avvisato l'intero gruppo. La sera seguente, infatti, Travis aveva riunito tutti ed aveva esposto la problematica e siamo arrivati alla conclusione che sarebbe stato necessario applicare un razionamento all'utilizzo dell'acqua. Ed ha funzionato per qualche settimana.

«So che oggi devi uscire e volevo chiederti se potessi dare un'occhiata in giro a qualche edificio.»

«Sì, posso farlo» rispondo, alzando le spalle, già pronta a chiudere qui la conversazione ed uscire dalla stanza.

«Non devi entrare, ti chiedo solo di individuare quelli che ti sembrano adatti, poi io e te potremmo fare un sopralluogo interno-»

«Coerente» mi lascio sfuggire prima di potermi rendere conto di ciò.

«Oh, mio Dio.» Esasperato, Calum lascia cadere le braccia e si volta verso il muro per serrare gli occhi. «Qual è il tuo problema adesso?»

«Oh, non lo so, magari che un giorno mi dici che non vuoi che io esca e il giorno dopo mi chiedi di farlo.»

«E dov'è il problema in questo? Se non mi sbaglio, mi hai detto che della mia opinione non te ne frega niente.»

«Senti, non ho tempo per questo» cerco di tagliare corto la discussione, sarebbe inutile in ogni caso. Ognuno di noi due cercherebbe solo di fare saltare i nervi all'altro e devo cercare di andare in spedizione tranquilla o, conoscendomi, ne uscirebbe soltanto un casino.

«Certo, continua a scappare da queste situazioni! Sai, per una volta, dimmi le cose in faccia se hai davvero le palle di farlo.» Mi punta un dito contro, avvicinandosi di qualche passo a me, vedo la sua frustrazione nei suoi occhi e nei suoi movimenti.

«Sai una cosa? Mi fai ridere» mi lascio scappare una risata incredula, aprendo la bocca e lasciando cadere le braccia ai fianchi del mio corpo. «Io dovrei dirti le cose in faccia, divertente.»

Per qualche istante il suo sguardo diventa confuso, ma subito dopo riprende un'espressione marmorea, chiudendo la mascella con forza.

Con un flusso improvviso di rabbia che mi percorre le vene, mi avvicino al suo viso con gli occhi come due fessure, le spalle dritte, il petto in fuori.

«Hai bisogno di altro? Non so, accendini, sigarette, preservativi, così puoi entrare nei pantaloni, giusto?» Calum aggrotta le sopracciglia confuso per qualche istante, subito dopo il suo sguardo si blocca compiaciuto sul mio, con un sorrisetto sulle sue labbra.

«Origliare le conversazioni altrui è proprio uno dei tuoi vizi, eh?» China la testa di lato e siamo così vicini l'uno all'altro che riesco a sentire il suo respiro mentre parla.

«Solo quando sento dire il mio nome. Poi però sono io quella che non ha le palle di dire le cose in faccia, non è così?»

Non faccio in tempo a spostarmi che le mani di Calum mi prendono il viso e le sue labbra vengono premute con forza sulle mie. Non ho nemmeno il tempo di formulare dei pensieri sensati che mi ritrovo a ricambiare quel gesto, con mia grande sorpresa.

Una sua mano finisce frenetica sul mio fianco destro, mentre ci sposta indietro, mettendo una sua gamba tra le mie e facendo pressione sul fianco per farmi muovere. Sento poi di colpo il muro contro la mia schiena, i nostri corpi che premono uno contro all'altro, come se potessimo avvicinarci ancora di più, il suo bacino che preme contro il mio ventre.

La sua lingua spavalda cerca la mia e gli lascio completo accesso, mentre sento entrambe le sue mani andare sulle mie cosce e lui si abbassa quel che basta per alzarmi da terra. Racchiudo le mie gambe attorno al suo bacino, sentendolo sempre più vicino e più frettoloso. Le mie mani passano dalle sue braccia muscolose, al suo viso e dietro al suo collo, andando a giocare con l'attaccatura dei suoi ricci castani, ricevendo un gemito gutturale da parte sua.

Decide poi di spostarci lontano dal muro e dopo qualche istante vengo appoggiata sul tavolo di ferro presente al centro della stanza. Il contatto con il metallo freddo fa nascere dei brividi sulla mia pelle e sento Calum sorridere nel bacio.

Mentre le mie dita si intrecciano con i suoi capelli, lui decide di spostare le sua labbra affamate sulla mia mascella, lasciando una scia di baci avidi, per poi passare al mio collo e alle mie clavicole, soffermandosi qualche istante, preoccupandosi di lasciare segni che di lì a poco sarebbero apparsi sulla mia pelle. Inclino la testa all'indietro, buttando al vento tutta la prudenza e controllo che avevo, lasciandogli più spazio su cui lavorare e lasciandomi andare completamente al suo tocco avido ed avvolgente.

«Posso?» mi chiede sottovoce all'orecchio, assicurandosi di ricevere il mio consenso prima di continuare.

«Avresti già ricevuto un pugno in faccia, altrimenti.» Per tutta risposta ridacchia e poco dopo le sue labbra ritornano sulle mie, calde e umide.

«Chi l'avrebbe mai detto che saresti stata tu quella con cui avrei usato i famosi preservativi, eh?» bisbiglia soddisfatto a pochi millimetri dalle mie labbra con ancora gli occhi chiusi, mentre le sue mani vagano fameliche per il mio corpo, arrivando alla base della mia maglietta, infilandole sotto tutto d'un tratto, facendomi sussultare a causa del contatto freddo e provocando altri brividi per tutto il corpo.

«Taci, prima che cambi idea» rispondo, aiutandolo a togliermi la maglietta di dosso e facendola finire da qualche parte per terra nella stanza, seguita poco dopo anche dalla sua. Noto velocemente alcune cicatrici sul suo torace assieme ad alcuni tatuaggi.

«Non vorrei mai, tesoro» Mi fa un occhiolino e si allontana quanto basta dal mio corpo per prendere il preservativo dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni, lanciandolo in aria per poi riprenderlo in mano espertamente.

Alzo gli occhi involontariamente a questa sua mossa e al fatto che si porti sempre dietro i preservativi. «Spero almeno che tu abbia controllato che non siano scaduti.»

«Perchè, non vorresti anche tu avere un figlio in queste condizioni?» mi chiede ironico, mentre io comincio a maneggiare con la chiusura dei suoi pantaloni, riuscendo finalmente ad aprirli e a tirarli giù.

«Dovresti veramente imparare a capire quando aprire quella bocca.» Mi prende le gambe e mi fa scivolare sul tavolo fino a farmi arrivare al bordo, imitando le mie stesse azioni di poco fa, facendo scendere anche le mutande.

«Fidati so bene come usarla» dice velocemente, prima di aprire le mie gambe con un gesto veloce delle sue mani e chinandosi sul mio ventre, lasciando dei baci umidi sulle ossa del mio bacino prima di fiondarsi a capofitto in mezzo alle mie gambe.

E in effetti sa proprio come usarla bene, quella dannata bocca.

   
 
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