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Autore: Ghostclimber    13/06/2019    2 recensioni
Non so perché ho chiamato proprio Rukawa.
Proprio io, l'Anima Ardente, seduto a frignare in un parco giochi deserto, a un solo bicchiere dal coma etilico... di me non sono rimaste che ceneri.
Pairing: Rukawa x Mitsui
Per Ste_exLagu
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so perché ho chiamato proprio Rukawa.

Riflettendoci, in effetti era la scelta migliore: non avrei sopportato lo sguardo compassionevole di Kogure, la falsa allegria di Sakuragi e dei suoi o l'imbarazzo di Miyagi, ma sul momento non mi sono soffermato a pensarci.

Avrei chiamato Tetsuo, lui è sempre stato la scelta più ovvia nei momenti difficili, e in effetti l'ho quasi fatto: anzi, avevi già il dito pronto su quella stupida icona verde con disegnata una cornetta telefonica di altri tempi, quando mi sono ricordato e ho fatto scorrere la rubrica fino ad arrivare al nome di Rukawa, e ho premuto il tasto per chiamare lui.

Perché Tetsuo è il motivo per cui avevo e ho bisogno di avere qualcuno accanto, Tetsuo e quella sua maledetta mania di ficcare il naso nelle risse, anche quelle che non lo riguardano.

Involontariamente stringo la catena dell'altalena su cui mi sono lasciato cadere, la strizzo così tanto che sento la pelle della mano scricchiolare al contatto con il metallo ormai reso caldo ed umidiccio dalla mia presa ferrea.

È colpa mia se Tetsuo ha fatto quel che ha fatto, mia e di nessun altro: prima di assistere a quella patetica sceneggiata che ho fatto in terza liceo al club di basket, era felice solo di avere qualche occasione per menare le mani, e poi passava oltre senza porsi ulteriori questioni. Invece, quando i miei ex compari gli si sono rivoltati contro e poi sono passati a malmenare me, in Tetsuo si è risvegliato una specie di... spirito vichingo, non saprei come altro descriverlo. Uno spirito vichingo atto a difendere gli ultimi della nostra specie, i sopravvissuti, quelli che restano sempre esclusi. Ha combattuto per me allora, come ha combattuto per quella prostituta qualche giorno fa, per difendere con le unghie e con i denti l'ennesimo reietto che da solo non ce l'avrebbe fatta.

-Stupido vecchio stronzo dal cuore d'oro...- borbotto, e un soffio di vento freddo mi scompiglia i capelli corti e mi asciuga qualche lacrima dalle guance.

Proprio io, l'Anima Ardente, seduto a frignare in un parco giochi deserto, a un solo bicchiere dal coma etilico... di me non sono rimaste che ceneri.

 

Dicevo, non so perché ho chiamato proprio Rukawa.

Ma sono felice di vederlo arrivare in sella a quella sua stupida bicicletta rosa vecchia come il mondo e altrettanto coriacea, almeno a giudicare dal numero di incidenti in cui è stata coinvolta e ai quali è sopravvissuta assieme al suo assonnato conducente.

Frena con uno stridio, dovrà sostituire le pastiglie tra non molto: la bicicletta è avanzata di un altro metro abbondante prima di arrestarsi accanto ai pali dell'altalena. Rukawa la molla lì con poco garbo e mi guarda, ma il mio viso è eloquente: per oggi ho già parlato abbastanza.

Si siede sull'altalena di fianco alla mia, quella sbilenca; non gliel'ho lasciata per egoismo, non sarei mai stato in grado di fare un ragionamento del genere. Adesso che ho tirato su l'anima, subito dopo aver messo giù il telefono con lui, riesco a ricordarmi il mio nome e qualche altra cosa, ma di certo non avrei saputo scegliere un'altalena piuttosto che un altra in base al senso logico: ho lasciato cadere il culo sulla più vicina, e stop.

Non ho il coraggio di alzare gli occhi verso Rukawa, non mi va di sollevare la testa, ma guardando la sua ombra capisco abbastanza per rendermi conto che non sta fissando me, ma il terreno, o forse le nubi nere che stanno cominciando ad affollarsi lungo l'orizzonte, ma comunque non me.

Gliene sono grato.

Sono contento di essere qui con lui a far cigolare questa vecchia altalena decrepita. Il suo silenzio non mi pesa: non è un silenzio imbarazzato, o il silenzio di chi aspetta che tu sputi il rospo, è solo... solo silenzio.

Ciao, oscurità, mia vecchia amica.

È proprio quello che mi serve, silenzio e oscurità, nel freddo di un vento autunnale che sembra mordere, persino tra le nebbie calde della mia ebbrezza.

Ora che sono qui con Rukawa, ora che gli invitati a quella strana cerimonia mi hanno finalmente lasciato andare, anche se ho dovuto prima ubriacarmi così tanto da non riuscire a tenere in mano il bicchiere per l'ennesimo brindisi, ora che sono sbronzo marcio con in testa le melodie e le parole di troppe canzoni che non mi si addicono, ho finalmente il tempo di realizzare che era davvero lui, in quella bara enorme e ricoperta di bandiere e fiori.

Non era una statua di cera, non era un manichino truccato e imbellettato, era il mio amico, l'uomo che mi ha salvato il culo chissà quante volte, il mio amante occasionale.

Era Tetsuo.

 

“Fool, said I, you do not know, silence like a cancer grows...”

 

“Perhaps inside you, you were messed up like me, but to them you were whole and strong...”

 

“And all the money that e'er I had, I spent it in good company...”

 

“As the snowflakes cover my fallen brother, I will sing this last goodbye...”

 

“People find it very fashionable to burn like a flame, never get tamed, yeah, yeah...”

 

“This is the end, beautiful friend, this is the end, my only friend, the end...”

 

“And so we grace another table, raise our glasses one more time...”

 

-Com'è morto?- chiede infine Rukawa, interrompendo il succedersi ininterrotto di canzoni nella mia testa ancora annebbiata dai fiumi di alcol che ho ingurgitato al funerale del mio migliore amico.

-Coltellata.- biascico. Non mi va di aggiungere altro, ma dopo un po' mi rendo conto che sto ancora parlando: -Era per strada, ha visto due tizi che stavano aggredendo una puttana. Era in moto, ha fatto dietro front ed è intervenuto per difenderla. Uno dei due ha tirato fuori un coltello e gliel'ha piantato nel collo. La tizia era al funerale, ha detto che è incinta e che si sta disintossicando, e se riesce a portare a termine la gravidanza chiamerà il bambino come Tetsuo.- mi zittisco, ho parlato troppo. Rukawa non ha mai sopportato i discorsi più lunghi di dieci parole, soprattutto quelli durante i quali non può addormentarsi per nessun motivo.

Ma no, so anch'io che non è del tutto vero, e infatti quando finalmente alzo la testa e lo guardo lui è lì e ricambia il mio sguardo, come sempre serio e impassibile. Dimostra più dei suoi ventidue anni, nel suo rigore e nella sua fierezza, e al contempo sembra un bambino: c'è una scintilla, in fondo ai suoi occhi, lo stesso sentimento che in Sakuragi è fiamma che arde incontrollata.

Rukawa vorrebbe farmi stare meglio.

Di colpo ricordo un episodio accaduto durante gli ultimi mesi di scuola: Sakuragi aveva saltato qualche allenamento, e quando finalmente si era “degnato di onorarci di nuovo con la sua presenza”, per usare le indelicate parole di Miyagi, avevamo scoperto che la sua assenza era dovuta ad un brutto incidente capitato a sua madre. Per qualche giorno era rimasta sospesa tra la vita e la morte, e lui l'aveva assistita tutto da solo fin quando non era uscita dal coma.

Noi eravamo rimasti congelati, attoniti ed imbarazzati, mentre Rukawa aveva sorpreso tutti facendo un passo avanti. Aveva preso per un braccio un Sakuragi in lacrime, l'aveva fatto sedere a bordo campo, gli aveva messo in mano una bottiglietta d'acqua e l'aveva spinto a parlare fin quando finalmente un minuscolo sorriso non aveva fatto capolino sulle labbra del rosso.

Sembrava così diverso dal solito che non avevamo potuto evitare di chiederci, con la malignità tipica di noi maschi adolescenti e pure un po' buzzurri, se per caso Rukawa non avesse battuto la testa, ma già da allora erano emerse le prime scintille del suo vero carattere: timido, ambizioso, deluso dall'universo e dall'umanità intera, in cerca di un'identità che gli sfuggiva e incapace di tirarsi indietro di fronte ad una reale sofferenza.

Rammento di essermi fatto una marea di pippe mentali, all'epoca, e di aver coinvolto Miyagi e Ayako nei miei vaneggiamenti su un eventuale storia d'amore tra i due, visto che all'epoca nessuno a parte Sakuragi aveva mai tirato fuori Rukawa dal suo guscio, ma ho dovuto poi capitolare: l'imbarazzo del rosso per essersi mostrato vulnerabile di fronte al suo nemico/idolo era stato così forte che non si erano quasi più rivolti la parola fuori dal campo da basket.

Invece, io non mi vergogno.

Ne è passato di tempo da quando vivevo per mostrarmi duro e inflessibile, ho visto uomini più forti di me piangere come bambini e ho capito che non c'è disonore nel mostrare le proprie ferite.

Una goccia di pioggia cade proprio sulla punta del naso di Rukawa, che scatta all'indietro, preso alla sprovvista. È quasi buffo vedere questi sprazzi di spontaneità nel ragazzo che ha fatto dell'indifferenza la propria raison d'être. Scoppio a ridere, e subito smetto, un po' per timore di averlo offeso, ma soprattutto perché mi sembra indecente il suono delle mie stesse risate, quando meno di tre ore fa ho aiutato a calare nella terra la bara di Tetsuo.

-Va bene ridere.- sentenzia Rukawa, ancora seduto scomposto sull'altalena, -Va bene ridere e va bene piangere, va bene tutto. Non sei tu ad essere morto.- sorrido amaramente di fronte alla sua schiettezza. Qualcuno forse lo giudicherebbe insensibile, ma io mi abbevero a questo suo trattarmi come al solito: ne ho le palle piene di gente che mi tratta come se fossi un vaso di cristallo in bilico sul bordo di un tavolo e che abbassa la voce quando mi parla, neanche ci fosse il rischio che io mi spacchi in mille pezzi per le vibrazioni delle loro corde vocali piene di merda e di cliché.

-Non sono morto, ma è come se lo fossi. Qui.- mi batto un pugno sul petto.

-Lo so,- dice, scuotendo il capo, -E ti ci vorrà del tempo per capire che non è così. Ma resta il fatto che non sei morto. Respiri, il tuo cuore batte, cammini e tutto il resto.

-Già, suppongo che da morto la smetterei di dare aria alla bocca.

-Farebbe una gran scena al funerale.- lo fisso attonito. Rukawa ha appena fatto una battuta così intrisa di black humor che se non fossi ancora stordito dal tasso alcolico del mio sangue gli batterei una tale pacca sulle spalle che lo ribalterei.

 

Intanto, attorno a noi le gocce di pioggia cadono sempre più fitte; presto comincerà a piovere sul serio, ma sono restio a proporre di spostarci. Non voglio ritrovarmi in un bar pieno di gente che ride e scherza, e di andare a casa mia non se ne parla, perché i miei genitori sono una coppia di stronzi fatti e finiti che alla notizia della morte di Tetsuo hanno commentato qualcosa sulla lunga scia del “C'è un delinquente in meno al mondo”... ma d'altronde non possiamo neanche nasconderci nei tunnel giocattolo: siamo davvero troppo cresciuti, dovrebbero poi tirarci fuori col piede di porco. Apro la bocca per parlare, quando Rukawa mi anticipa: -Senti, non mi va di beccarmi la polmonite. Andiamo a casa mia.- senza aspettare una mia risposta, inforca la bici. Mi indica il portapacchi e dice: -Salta su, muoviti.- un po' impacciato dal completo più o meno elegante che indosso, mi siedo a cavalcioni dietro di lui. Mentre sfrecciamo per le vie zuppe della città, sotto al temporale che finalmente si è scatenato, terrorizzato dalle sue derapate spregiudicate, mi rendo conto che forse ha ragione, forse davvero non sono ancora morto: se fossi morto, e il ragionamento mi sembra estremamente lucido, non avrei così tanta paura di schiattare.

Arriviamo a casa sua bagnati fino alle ossa, lui che soffre tanto il freddo ha addirittura le labbra un po' bluastre, ed entriamo con un sospiro di sollievo.

-Al piano di sopra c'è un bagno,- mi dice, -Vai a farti una doccia, ti porto degli asciugamani e dei vestiti asciutti.

-Non vorrei disturbare...- dico incoerentemente. Insomma, sono in casa sua, zuppo come un randagio, ancora mezzo ubriaco, e fuori sta infuriando un tifone di primissima categoria: ormai disturbare ho disturbato, non potrebbe certo cacciarmi fuori di casa ora.

-Non essere coglione, vai.

-Forse è meglio se ti lavi prima tu.- insisto, e non so davvero da dove mi esce tutta questa premura. Forse ho paura di perdere un altro amico.

-Vai e non rompere, c'è un bagno anche di sotto, mi posso fare la doccia lì.- cerco altre obiezioni, ma non ne trovo. Mi spoglio rapidamente nell'ingresso per non inondargli la casa di acqua piovana, mentre mi chiedo perché mi sento così a disagio quando ci siamo fatti la doccia fianco a fianco per mesi allo Shohoku, altrimenti noto come “La Patria della Privacy”: ho visto più persone maneggiarsi il cazzo in quei pochi mesi che nel resto della mia vita, grazie all'assenza di pareti divisorie e all'obiettiva necessità di pulire con accuratezza certe parti del corpo che tendono a sudare e puzzare parecchio.

 

Quando esco dalla doccia mi sembra di stare un po' meglio, di essere un po' più padrone di me stesso. Indosso una maglietta e un paio di pantaloni che Rukawa ha lasciato appesi alla maniglia della porta e mi avvio titubante a cercare il padrone di casa.

Un odore non propriamente piacevole mi attira verso la cucina, e quando varco la soglia della stanza trovo Rukawa che spadella goffamente dei pancake. E qui, i casi sono due: o li ha fatti al cioccolato e ha sbagliato qualche ingrediente oppure li ha bruciacchiati.

Mi soffermo a guardare la linea della sua anca che scompare sotto l'elastico di un paio di pantaloni da ginnastica che gli vanno un po' larghi, e la sua schiena bianca quasi perfetta: devo essere ancora su di giri, perché il neo che gli orna la parte destra della schiena, poco sotto la scapola, mi sembra il fulcro dell'intero universo, e per un po' rimango incantato a guardarlo muoversi, come una boa in mezzo al mare, che segue i movimenti delle onde come il neo segue il placido spostarsi dei muscoli sotto alla pelle di Rukawa.

-Ah, sei lì.- dice, quando infine si accorge della mia presenza.

-Non volevo disturbarti, sembravi concentrato.

-Va' al diavolo.- sbuffa, togliendosi con un soffio una ciocca di capelli dalla fronte.

-I tuoi non ci sono?- indago, e per mio sommo stupore lo vedo arrossire un po'.

-No, mio padre è al lavoro. Tornerà verso le nove.- aggrotto la fronte, incuriosito da quell'ultima frase che sembra più di una puntualizzazione di ordine pratico, ma evidentemente Rukawa fraintende il motivo del mio dubbio. -Mia madre è morta. Anni fa.- aggiunge. Vorrei dirgli che non era a quello che stavo pensando, che non volevo farmi gli affari suoi, ma dalla bocca mi esce solo un imbarazzante: -Com'è successo?

-Cancro.

-Mi dispiace.- non è una frase fatta, la mia. E non mi dispiace solo per il suo lutto, ma anche per aver riportato a galla una brutta parte della sua vita. Lui fa spallucce, voltandosi, e finalmente riesce a spadellare un pancake dall'aspetto commestibile.

 

Sono ubriaco.

Non c'è altra spiegazione.

Altrimenti, non avrei avuto questa idiotissima reazione nel vedere il movimento del suo polso che si inclina con decisione per versare altro impasto nella padella.

Mi faccio avanti, lo abbraccio e comincio a depositargli dei piccoli baci sul collo, seguendo la linea dello sternocleidomastoideo su fino al lobo dell'orecchio e giù fino all'intersezione della clavicola.

Un improvviso clangore mi riscuote, mentre Rukawa fa cadere la spatola, si gira nella mia stretta e mi getta le braccia al collo.

Mi sorge spontaneo un dubbio.

Come ho già detto, non so perché ho chiamato Rukawa, ma ancor di più non so nemmeno perché lui sia corso da me senza chiedere nient'altro.

Va bene, sapeva già di Tetsuo e poteva immaginare quanto io ci stessi male, ma ben di rado ha alzato il suo sacro culo: persino dopo quell'episodio con Sakuragi, si è sempre limitato a consolare chi rientrasse nel suo raggio d'azione immediato, senza scomodarsi più del necessario.

-Rukawa, perché sei venuto da me?- chiedo a bruciapelo. Lui sgrana gli occhi, poi abbassa lo sguardo, ma non le braccia, che ancora non si decidono a spostarsi dalle mie spalle.

E, lo ammetto, ci stanno proprio comode.

Gli accarezzo piano la schiena, e una delle mie mani incontra il neo che avevo ammirato prima. Sembra quasi che io abbia premuto un interruttore, perché Rukawa risponde in un fil di voce: -Mitsui, per te farei qualunque cosa.- rimango attonito, in cerca di qualcosa da dire.

Siccome si tratta di me, me ne esco con la peggior stronzata di sempre: -Oh, cazzo, i pancakes!- Rukawa si gira, prende il manico della padella e con un gesto insospettabilmente abile gira la frittella. Mi fissa attonito, lui stesso stupito della propria capacità, poi preme le dita sul pancake, che sfrigola appena un po' più forte.

-Anche questo sembra commestibile, dai... possiamo salvarlo.- decreto, e lui concorda: -Coprirò il sapore con un po' di Nutella.

-La Nutella possiamo mangiarla anche senza pancakes.- lo correggo, poi gli intrappolo il mento con due dita e lo bacio.

Le sue labbra sanno di buono, di zucchero e mirtilli: deve aver assaggiato qualcosina mentre cercava di non bruciare i primi pancakes. E sono morbide, morbide e cedevoli e incredule, proprio come me, che qui e ora, con lui tra le braccia, mi rendo conto non solo di non essere morto, ma di aver vissuto a metà fino al momento in cui il suo corpo si è avvinghiato al mio.

Una gioia così profonda per aver finalmente trovato la metà a cui anelavo mi sommerge, con così tanta rapidità che non ho il tempo per vergognarmi di essere felice proprio nel giorno in cui ho detto addio a Tetsuo. Spengo il fornello in un ultimo sprazzo di lucidità, afferro il burro che stava sul piano della cucina, pronto all'uso, e lo porto con noi in camera da letto.

Non si sa mai.

 

Rukawa ansima come dopo una lunga corsa, nudo e svuotato tra le lenzuola azzurre, che vedo con la coda dell'occhio mentre mi accascio su di lui, egualmente stanco e sudato.

Penso a Tetsuo, che sembrava sempre sapere tutto prima di me, e me lo immagino a cavalcioni della sua inseparabile Harley Davidson, con la schiena reclinata all'indietro e quel suo sorriso malandrino sulle labbra: -Cazzo, era ora, coglione.- mi dice la sua vociona rude eppure affettuosa.

Bacio Rukawa sul collo, e con cautela esco dal suo corpo. Lui mi guarda, e capisco che sta cercando di mantenere intatta la sua maschera impassibile.

Sta succedendo tutto così in fretta, ma se la morte di Tetsuo mi ha insegnato qualcosa è che non sempre c'è tempo per aspettare, ragionare e dissezionare le faccende di tutti i giorni. Certe volte devi seguire l'istinto, e chi se ne frega se non è normale, consono o onorevole.

-Kaede...- dico, e lo vedo sussultare nel sentire il proprio nome pronunciato dalla mia bocca.

-Nh?

-Io non posso fare qualunque cosa per te.- confesso, e una parte di me gioisce nel vedere che sussulta di nuovo. Ho un'irrazionale voglia di giocare.

-Nh...- risponde in tono rassegnato, e so che se non parlo in fretta mi mollerà un cazzotto dei suoi e mi caccerà via: -Ci sono cose che proprio non posso fare. Ad esempio...

-Non m'importa se non vuoi stare sotto.- mi interrompe, e io ritorno sui miei passi. Volevo tenerlo un po' sulla corda, ma da questa sua frase capisco che è davvero disposto a tutto, e che i suoi sentimenti nei miei confronti sono reali e quasi disperati.

-Non è quello, è che certe cose non posso farle.- ripeto, poi aggiungo prima che mi interrompa: -Per esempio, prova a chiedermi il Nilo.

-Nh?

-Avanti, dai! Chiedimi il Nilo!- le labbra di Rukawa si incurvano appena, e poi si distendono in un sorrisino incredulo mentre mi dice: -Voglio il Nilo!

-Coool caaavolooo!- rispondo, e ridendo mi fiondo su di lui per ricominciare a baciarlo.

 

 

 

 

Ehilà!

Non vi aspettavate una RuMit da me, vero? (so che sarebbe una MitRu, ma questo shipname mi fa cagarissimo e quindi me ne fregherò dei ruoli, ecco)

Ebbene, mi è stata chiesta gentilmente da Ste_exLagu, e cosa ci posso fare, quando mi chiedono gentilmente le cose io non sono capace di dire di no (non approfittatene, per favore, questa volta mi è andata bene ma mi sono anche ritrovata a scrivere delle lemon con Akagi e ho ancora il trauma, Jonghyun88 può confermarvelo).

Inoltre, credo sia il minimo che io potessi fare per una persona che senza nemmeno saperlo mi ha sollevata da una crisi di identità che mi trascinavo da qualche annetto.

Sei unico e magnifico, darling, e chiunque dica il contrario sarà pestato a morte con un paio di decolleté col tacco a spillo o soffocato con una scarpetta da arrampicata (dipende da cosa mi ritrovo per le mani più in fretta).

 

Ciò non toglie che ho fatto una fatica dell'ostia a scrivere questa fic, e che per trovare ispirazione ho ascoltato una tonnellata di canzoni, senza tuttavia riuscire a scrivere qualcosa di decente a parte un paio di frasi, che sono rimaste qui, e a volte neanche quelle, ma le canzoni mi sembravano adeguate, quindi ho lasciato che si marinassero nel cervello di Mitsui.

 

Le citazioni arrivano, nell'ordine, da:

The Sound of Silence – Simon and Garfunkel

Just One Life – Brian May

The Parting Glass – Ed Sheeran

The Last Goodbye – Billy Boyd

One of Us is Gonna Die Young – The Ark

The End – The Doors

No-One But You (Only the Good Die Young) – Queen

 

Le tre frasi brutalmente scopiazzate da canzoni, invece, sono ispirate a:

The Sound of Silence (sì, ho una vaga ossessione)

Last of Our Kind – The Darkness

If Tomorrow Never Comes – Ronan Keating

 

 

Disclaimer: i personaggi appartengono al Sommo Maestro Inoue, le canzoni ai rispettivi autori, e io di solito ascolto roba più metallara (Mitsui dalla regia: “Ah sì? E questo allora?” -agita la cronologia internet da cui risulta un'enorme quantità di canzoni degli SHINee e di altri gruppi/cantanti decisamente soft.- AHEM.....).

 
   
 
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