Avrebbe
voluto cavalcare senza sosta, tutta la notte e tutto il giorno, per
arrivare ad
Approdo del Re il prima possibile. Per lasciarsi il freddo
alle spalle il prima possibile, dannazione se faceva freddo
in questo maledetto Nord! E forse, ma non si concesse di indugiare su
questo
pensiero fugace, per scacciare dalla mente le ultime parole di Brienne.
Le sue
invece riecheggiavano di continuo assieme al nome di Cersei:
«Lei è odiosa e lo
sono anche io». Era vero.
All’inizio
aveva galoppato più veloce che poteva, spronando il cavallo
e sé stesso al
limite delle forze, e si era anche scaldato. Ma non era più
il cavaliere di un
tempo, i suoi giorni da Leone dorato erano veramente finiti. La grande
battaglia lo aveva indebolito: il suo corpo era stanco e provato dal
gelo della
notte. Sembrava passata una vita da quando aveva cavalcato per
raggiungere il
Nord e, in un certo senso, era passata per davvero. Adesso si dirigeva
nella
direzione opposta, in attesa di rivedere i paesaggi per lui familiari e
meno
insidiosi di quelle terre severe e sconosciute. Non sapeva quanto tempo
fosse
trascorso, ma era ormai notte inoltrata e non sarebbe stato saggio
fermarsi
durante il giorno: era necessario approfittare di ogni attimo di luce e
poi un
uomo solo senza una mano era una preda fin troppo facile, questo lo
sapeva.
Bisognava tenere gli occhi aperti. Anche la notte nascondeva insidie,
ma niente
poteva essere peggio di ciò che aveva appena combattuto.
Aveva visto la Morte
in faccia e ne portava ancora il peso nel corpo e nella mente, si disse
per
rispondere ad un “rammollito, è così
che si è ridotta la casa Lannister?”
sussurratogli da una voce che aveva il timbro di suo padre.
Rallentò
l’andatura e il suo respiro che emanava vapore; si
guardò intorno finché non
vide un posto abbastanza appartato del bosco. Legò
l’animale e si sedette con
la schiena appoggiata ad un albero, stringendosi le braccia sul petto.
Solo per
un attimo, si disse, solo per riposare le membra intorpidite in vista
del lungo
viaggio. «Solo per un attimo» mormorò,
prima che il sonno lo afferrasse tra i
suoi artigli rapaci.
Il
sole splendeva. L’inverno era finito da tempo, eppure un sole
così alto nel
cielo, luminoso e caldo non cessava mai di stupirlo. Era sempre stato
così? Gli
sembrava in qualche modo diverso, più limpido del sole che
aveva conosciuto prima.
C’era stato un prima e un dopo:
la Morte li scindeva. Ma adesso i non-morti erano un pensiero lontano,
un
giorno il loro ricordo sarebbe rimasto nelle cronache e nei racconti
delle
vecchie balie. E in quelli di chi li aveva visti (ed era sopravvissuto
per
raccontarlo), come lui. Chiuse gli occhi per un istante, ma scosse
svelto il
capo per scacciare quell’immagine e tornare a relegarla in un
angolo remoto
della sua mente. Non abbastanza lontano, pensò. Non sarebbe
mai stato
abbastanza lontano. Una scheggia del freddo inverno sarebbe sempre
rimasta
dentro di lui, che lo volesse o no.
Non
appena riaprì gli occhi, dei capelli dorati catturarono il
suo sguardo. Erano chiari
come il sole. L’azzurro del cielo e il blu del mare mettevano
ancora più in
risalto la loro chiarezza. Il vento, lo stesso che gli accarezzava il
viso, li
muoveva leggermente. Assomigliavano a quelli di sua madre,
considerò mentre
attraversava il ponte e si avvicinava alla testa cui appartenevano. Le
si
inginocchiò accanto e non si trattenne dal passarvi sopra la
mano, quella in
carne ed ossa ovviamente: erano morbidi proprio come i capelli di sua
madre,
sì. Il volto di Myrcella comparve a tradimento nella sua
mente: era stato un
altro viaggio attraverso il Mare Stretto, quello. Sentì lo
stomaco contrarsi in
una morsa di improvvisa paura, ma la testa bionda si girò e
fu un viso di
bambina che apparve. «Padre!»
Quell’appellativo
suonava estraneo alle sue orecchie, come se non gli appartasse. Gli
toglieva il
fiato e al contempo lo riempiva di un misto tra orgoglio e insicurezza.
In quel
momento la bambina aggrottò le sopracciglia con aria
turbata. «Manca ancora
molto? Io non vedo niente» sospirò.
«Sono stanca di aspettare.»
Jaime
non poté non pensare che l’impazienza e
l’ostinazione del suo tono facevano di
lei una vera Lannister. Le aveva detto di tenere gli occhi puntati
sull’orizzonte e lei lo aveva preso alla lettera: non si era
staccata dal ponte
nemmeno un attimo quel giorno. Le sorrise. «Ancora un
po’ di pazienza, solo un
poco. Ci siamo quasi.»
«Dici
davvero, padre?» La piccola lo guardò con occhi
grandi e fiduciosi, ma senza
togliere le mani dalla balaustra a cui era aggrappata in punta di piedi
per
riuscire a vedere qualcosa.
«Certo,
tesoro. Siediti qui con me, ti avvertirò quando
sarà il momento. Promesso.»
La
bambina obbedì, seppur un poco titubante. «Mi
canti una canzone?»
Cersei
lo chiedeva sempre alla loro madre quando erano bambini, prima di
mettersi a
letto. Jaime allora restava in silenzio e ascoltava la voce melodiosa
di lady
Joanna. «Io… non sono bravo a cantare»
rispose d’istinto, ma non c’era nulla
che potesse negare al volto implorante di sua figlia. Era grato che non
avesse
conosciuto l’inverno, almeno lei non l’avrebbe mai
visto. Le diede un’altra
lieve carezza e iniziò ad intonare, quasi in un sussurro,
parole che evocavano
un tempo lontano:
High in the halls of
the kings who are gone
Jenny would dance with
her ghosts
The ones she had lost
and the ones she had found
And the ones who had
loved her the most.
The ones who'd been
gone for so very long
She couldn't remember
their names…
«Noi
sì» intervenne una voce alle loro spalle. Brienne,
bella, più bella che mai, si stagliava contro il sole.
«Noi ce li ricordiamo i
loro nomi, vero Catelyn?» disse con un sorriso.
Catelyn.
I suoi, di fantasmi, quel giorno parevano decisi a
danzare tutti insieme. Non era figlia di Cersei. I suoi
capelli… Era a Brienne
che assomigliavano, come i suoi occhi del colore degli zaffiri. Lo
costringeva
a ricordare ed espiare il passato ogni volta che pronunciava il suo
nome.
Riusciva sempre, come sua madre, a spingerlo ad essere un uomo
migliore, che
fosse degno di lei. Di loro.
Gli
salirono le lacrime agli occhi. Nello sguardo penetrante
della figlia gli parve perfino di scorgere una somiglianza con quello
della
defunta signora Stark. D’un tratto sentì anche le
parole venate di disprezzo
che gli aveva rivolto un tempo, ma stavolta provenivano dalla bocca
della sua
bambina: «Non sei un cavaliere. Hai tradito ogni voto tu
abbia preso.
Lei
è un cavaliere più vero di quanto tu possa mai
essere,
Sterminatore di re.
Sei
un uomo senza onore.»
In
quel momento il sole si offuscò, la nave prese a dondolare
più bruscamente e il volto di Brienne si contrasse in uno
spasimo. A Catelyn
tremarono le labbra e si mise a piangere. «Avevi promesso,
padre!»
Jaime
non capiva. Il cielo si era fatto scuro e il mare
agitato, in balia della tempesta. «Cosa sta
succedendo?» gridò.
«Avevi
detto che mi avresti avvertito!» ruggì la piccola
leonessa.
Fu
allora che la vide in lontananza… Tarth, l’isola
degli
zaffiri. Ma non si stava avvicinando: all’improvviso
realizzò che le onde
avevano fatto cambiare rotta alla nave. Stavano tornando indietro. Le
figure di
Brienne e Catelyn iniziarono a svanire.
«Aspettate,
restate!» urlò in preda al panico. Presto tutto
perse forma e venne inghiottito dall’oscurità, lui
compreso. Rimase solo una
voce di donna, la voce di sua madre:
And
she never wanted to leave, never wanted to leave
Never
wanted to leave, never wanted to leave.
Era
solo un codardo. Aveva ceduto alla paura ed era scappato. Nel guardarla
dormire… La sua purezza lo aveva atterrito. Lo aveva colto
la sensazione di contaminarla, lui che era impuro e sporco; aveva
pensato che allontanandosi le avrebbe fatto un favore. Del resto, era
più facile calarsi nel ruolo che gli cucivano addosso da una
vita piuttosto che riconoscersi disarmato. Brienne lo disarmava
continuamente, e non solo in combattimento. Ma era solo un codardo,
questa era la nuda verità. Provò un improvviso
disgusto verso sé stesso. Si odiava per ciò che
aveva fatto alla donna che amava. Era odioso, sì, ed era
degno di Cersei perché lei lo aveva avvelenato, da tutta la
vita lo avvelenava, quel veleno gli era entrato nel sangue ormai,
penetrando nelle fibre del suo essere.
Al
diavolo Cersei, al diavolo i Lannister.
Che
muoia senza di me, pensò. Lui l’avrebbe uccisa
quella notte stessa, avrebbe strangolato quel fantasma crudele che gli
sussurrava menzogne con parole suadenti. Era tempo di spezzare quel
legame, ora o mai più. Pregò che gli
dèi, a cui pure non credeva, gli fossero misericordiosi.
“Strappatemi dal cuore questo male che mi conduce a
rovina” supplicò, lui che non era abituato a
supplicare nessuno.
Poi
sciolse il cavallo, vi salì e riprese il galoppo, ma dalla
parte opposta. «Perdonami, Brienne.»
Si
era dimostrato un uomo senza onore, ma avrebbe fatto di tutto per
riconquistarlo. Non sapeva come. Ma laddove le parole non potevano
arrivare le avrebbe detto, lo sapeva: «Ti ho vista in
sogno.»
N.d.A
Le
immagini di questa one-shot mi occupano la testa da due giorni,
impedendomi di studiare come si deve. Così oggi
l’ho scritta di getto, ho battuto proprio poco fa le ultime
frasi. Spero che adesso mi lascino studiare, quei due. Un grazie di
cuore a chiunque sia arrivato fino alla fine.
La
supplica agli dèi proviene dal carme 76 di Catullo, in cui
spera di liberarsi dall’amore per Lesbia che lo avvince come
una malattia.
Se
vorrete lasciarmi una vostra opinione o commento, a me farebbe molto
piacere!