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Autore: Wastingthedawn    15/06/2019    1 recensioni
Un gruppo di turisti viene attratto da un inserto comparso sulla guida alla città di New York:
"Il Dottor Emeritus vi invita nella sua peculiare galleria d'arte occulta: venite a visitare il Museo delle Anime Vive e lasciate che le storie impresse nelle tele dai nostri Artisti senza Nome vi… catturino"
Ignari del pericolo, decidono di prenotare una visita guidata
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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“ La mamma non mi ha mai perdonato per quello che è successo. Lei non lo ha mai ammesso ma io so che ha sempre preferito Thomas a me. Era più piccolo, più indifeso…le ricordava tanto il papà”.
La bambina fissa un punto indistinto di fronte a sé, parlando con tono catatonico, come se non si stesse rivolgendo a Judith, che l’ascolta col cuore in gola.
“ Mi piaceva rubare un po’ di alcol etilico e dar fuoco alle formiche, lo trovavo divertente. Ora il fuoco mi fa paura. Quel giorno, mamma stava lavorando, e io e Thomas ci eravamo messi sugli scalini e io avevo dato fuoco ad alcune formiche per farlo ridere..credo avesse quasi quattro anni, ormai il tempo qui non passa.
La manica di Thomas ha preso fuoco subito, e io piangevo. Non sapevo cosa fare, piangevo, e poi tutti sono usciti dall’hotel e sono venuti a vedere cosa succedeva.
Thomas è stato in vita due giorni.
Mamma non mi parlava, non mi rivolgeva la parola.
Un giorno, ho visto che parlava con la donna dai capelli Rossi, lei è la proprietaria”.
La donna dai capelli rossi, pensa tra sé Judith, sconvolta.
“Lei si occupa degli scambi. Deve essere una strega, per forza. Fa strani riti, dice che lei aiuta le persone.
Dice che l’Hotel è una creatura viva e per continuare a vivere deve mantenere invariato il numero di ospiti.
Non mi ricordo quanti siamo qui..”
Judith estrae il taccuino e vi scrive velocemente: “ Parlami degli scambi”.
A fatica, la bambina dal volto ustionato decifra le parole, per poi riprendere il suo discorso: “ dopo che Thomas è morto, la signora è venuta da mia mamma, e le ha parlato….hanno portato, di nascosto, il corpo del mio fratellino qui, nella stanza della strega.
Non so cosa si siano dette, non so che cosa faccia la strega. So solo che, poche ore dopo, la faccia mi faceva male. Mi grattavo, sentivo tanto caldo sulle guance. Mi sono sciacquata, ma più mi bagnavo e più bruciava, bruciava tanto.
Adesso non brucia più, per fortuna.
Ho visto mia mamma e il mio fratellino, sano e privo di piaghe, prendere un taxi e andare via.
Non ho saputo più nulla di loro.
La vecchia strega dice di aiutare le persone, dice che lei riequilibra le cose, mette a posto le ingiustizie.
Per la vita di Thomas, si sono presi la mia”.
Judith si alza di scatto e tira un pugno al muro.
Basta, ne ha davvero avuto abbastanza di quelle storie di fantasia e di quegli strambi ospiti che, a quanto pare, sembra vogliano solo spaventarla per farla tornare nella sua comunità.
Benissimo, se ne andrà subito.
 A costo di starsene seduta su un marciapiede lercio per alcune ore; l’importante è andarsene di lì.
La giovane rientra nella sua stanza, sistema in velocità le poche cose che si è portata appresso e…
Una lettera.
Un’altra lettera sul comodino.
Non le importa.
Prende il pezzo di carta, lo strappa e lo lancia fuori dalla finestra.
Avevano ragione, avevano tutti ragione, non avrebbe mai dovuto venire lì.
In tutta fretta, sistema le sue cose e spalanca la porta, pronta a correre giù per le scale fino ad imboccare l’uscita; nell’esatto momento in cui mette il piede fuori dalla stanza, avverte subito uno strano odore.
Pungente, dolciastro, un odore così intenso che la costringe a tapparsi il naso con la manica.
Il lungo corridoio dell’Hotel Grassi non c’è più; al suo posto, vi è un vicolo cieco, buio e nauseabondo, in cui escrementi umani e rifiuti sono ammassati agli angoli di un edificio fatiscente.
Appiccicato al muro di mattoni, un biglietto.
Lo stesso biglietto che poco prima Judith aveva strappato?
Impossibile, qualcosa di strano sta accadendo.
Glielo avevano detto, le avevano detto che talvolta i malviventi usano polveri e sostanze che possono alterare la percezione, così da approfittarsi delle ragazze innocenti.
Sta sicuramente avendo un’allucinazione.
Con mano tremante, stacca il biglietto dal muro e, stavolta, decide di leggerlo: “ Voglio farti vedere quello che mi è successo, quello che ho vissuto per causa tua. Guardati le spalle”.
Cosa intende dir..?
Il colpo alla nuca arriva improvviso.
Judith cade a faccia a terra, sentendo delle mani forzute che la afferrano per i capelli, facendole uscire le lacrime.
Un uomo tozzo e all’alito mefitico, inizia a palpeggiarla dappertutto; Judith è paralizzata, non riesce a muoversi.
“Parla cara, una sola parola, e l’uomo scomparirà”.
La donna dai capelli rossi è in piedi accanto a lei, e la osserva con un sorriso compiaciuto dipinto sulle labbra secche.
Judith non riesce a respirare, sente quelle dita ruvide su tutto il corpo, non riesce a respirare e il suo corpo è pietrificato; la paralisi, quella dannata paralisi che le impedisce di muoversi, di ribellarsi, di proferire anche solo una parola o di urlare con tutto il fiato che possiede.
La donna la osserva, la osserva sinceramente compiaciuta, come se la visione della giovane che viene malmenata le desse piacere.
Continua a ripeterle di parlare, di dire anche solo basta, e l’uomo scomparirà.
Judith, invece, continua a essere pietrificata, anche quando l’estraneo le preme le mani sulla gola, facendole avvertire un sapore ferroso in bocca.
Nel momento stesso in cui la giovane realizza che sta per essere uccisa, improvvisamente avverte una sensazione di libertà.
L’uomo è scomparso, così come la donna dai capelli rossi.
Attorno a sé, riconosce i muri incrostati dell’Hotel Grassi; tutto è silenzioso.
Mentre tenta di rialzarsi a fatica, Judith si porta una mano al collo: le fa malissimo, non riesce nemmeno a deglutire e la gola brucia terribilmente.
Di fronte a sé, la bambina dal volto ustionato: “ Fa così, la padrona del Grassi. Pareggia i conti dice. Lei stessa è intrappolata qui, almeno credo. Si spiegherebbe il volto rugoso sul corpo giovane”.
Judith si asciuga le lacrime, è in preda a un vero attacco di panico: non riesce a respirare, le gambe le tremano e la testa le gira; è un incubo, deve assolutamente svegliarsi.
Prima di svanire nel nulla, la bambina le indica un biglietto, affisso a uno specchio.
La giovane si avventa sul foglietto, vuole leggerne il contenuto e capire a che gioco stanno giocando: “ La comunità aveva ragione, il mondo fuori è terribile. Ho voluto darti un assaggio di quello che ho passato io, anche se la padrona è clemente e non ha fatto concludere l’uomo. Pagherei per ogni piaga che questo mondo mi ha inferto”.
La crudeltà di quel messaggio è sconvolgente; Judith vorrebbe inginocchiarsi, supplicare di essere lasciata, ma sa che l’unica forza può essere solo in Dio.
Con calma, mentalmente, cerca di ripetere più preghiere possibili, mentre percorre le scale che la porteranno (almeno spera) alla hall dell’Hotel Grassi.
Improvvisamente, avverte un crampo al basso ventre; non ci fa caso, sarà sicuramente l’agitazione, unita alla corsa frenetica.
Poi però, il dolore si fa più intenso.
Judith porta la mano al ventre e avverte uno strano gonfiore: la pancia sta iniziando a dolerle terribilmente, e toccandola appare sempre più gonfia e dura, finchè l’ultima fitta non la mette in ginocchio.
Poco prima di cadere a terra, si sente sollevata da due braccia: una signora sulla sessantina, vestita con un camice sporco di sangue raffermo, la sta conducendo verso un improvvisato ambulatorio medico.
Vi macchia di sangue sul pavimento, apparecchi ostetrici sparsi su un tavolo di alluminio ammaccato, e una lampadina che oscilla dal soffitto illumina malamente quell’angusto garage impolverato.
“Dove mi trovo? Che cosa succede ora?”, pensa tra sé Judith, allarmata.
“Tranquilla, adesso facciamo tutto va bene? Respira, Mary, tra poco sarà tutto finito”.
Mary? No, no lei è Judith, che razza di scherzo è mai questo? Dove si trova, che accade al suo corpo? Perché è gonfia e perde acqua e sangue dalle sue…zone impure?
La donna fa stendere Judith sul tavolo, e la incita a spingere.
Spingere cosa?
Oh Dio, è il dolore peggiore che abbia mai provato in tutta la sua vita, come se le viscere le venissero strappate a forza, e pian piano realizza cosa le stanno facendo.
Più spinge, più sente che le sue interiora vengono brutalmente tirate, e spera solo che Dio sia così Clemente da portarla con sé.
Quando finalmente il dolore cessa, guarda davanti a sé, scoprendo un grumo di sangue tra le sue cosce.
“Mi dispiace così tanto, Mary”, le dice la donna, con le lacrime agli occhi.
Di colpo, Judith si ritrova nella Hall dell’Hotel Grassi.
La sala è gremita di persone, tutte che la osservano con sguardo duro.
Sul tavolino di vetro, accanto a delle carte da gioco, l’ennesimo biglietto: “E’ stata tutta colpa tua”.
No, non è vero, non è stata colpa sua.
Era solo una bambina, non poteva sapere.
Non è stata lei a farla cacciare, ma la sua condotta immorale; non è stata lei a farla violentare, non è colpa sua se il suo bambino è nato morto.
Cercando di non far caso agli sguardi colmi di rimprovero, Judith cerca di imboccare la porta, ma scopre che questa è bloccata.
“E’ colpa tua” le urla il portinaio.
“E’ colpa tua”, le ripete una donna seduta al tavolo accanto.
Basta, basta! Pensa tra sé Judith, esausta e dolorante.
Prova più volte a scuotere la porta, ma senza successo.
Si volta, notando che il numero di ospiti, o qualsiasi altra entità siano, è aumentato.
Corre verso una finestra, ma presenta delle pesanti sbarre d’acciaio.
“E’ colpa tua” le ripete asetticamente un giovane al quale sono stati asportati i bulbi oculari.
Judith lo scansa con grinta, correndo di nuovo su per le scale: proverà a calarsi da una finestra.
“E’ colpa tua”, le sussurra una donna sulla quarantina, talmente magra da non riuscire nemmeno a reggersi sulle proprie gambe.
Judith la spinge via, continuando a correre a perdifiato.
Quando arriva al terzo piano, l’unico senza barre alle finestre, inciampa sul tappeto e sbatte addosso alla porta di una stanza, spalancandola.
Dentro, sdraiata sul letto, c’è sua zia Mary.
Il volto è chiazzato da macchie bluastre, il corpo è ridotto a pelle ed ossa; quella che un tempo era stata una giovane dai lineamenti delicati e gradevoli, ora sembra una creatura risalita dal ventre degli inferi.
Deve essere morta da qualche giorno, l’odore nella stanza è irrespirabile.
Judith si lascia cadere a terra, singhiozzando silenziosamente.
Che facciano quello che vogliono di lei, non ce la fa più; prega solo che tutto finisca, che Dio la prenda con sé.
“Dio, mia piccola? Il tuo Dio non esiste”, la voce che le sussurra alle spalle le è ormai inconfondibile.
La donna dai capelli rossi si avvicina a Judith e le afferra il volto tra le mani: “Dimmi, se Dio esistesse, permetterebbe simili scempi?”, la donna indica il corpo tumefatto della zia Mary, scuotendo la testa lentamente.
“ Chi viene accolto nell’Hotel Grassi, sa che potrà contare sulla mia protezione, sulla mia giustizia. Per questo luogo, un’anima vale l’altra. Perché mai risparmiare te e lasciare la povera Mary in quello stato?”.
Judith afferra la donna per i polsi stringendoli con forza e piangendo con disperazione.
“Oh tesoro, non devi preoccuparti. Io sono Clemente, lo scambio è equo. Do una seconda possibilità a chi, per colpa degli incidenti altrui, ha visto la propria vita infrangersi come le onde del mare su uno scoglio frastagliato; e dono ai “penitenti” la possibilità di dimorare qui, in pace, per sempre.
Judith si mette le mani tra i capelli, strappandosi alcune ciocche, ingoiando le sue stesse lacrime.
“Se tu avessi conosciuto la morte, sapresti che lo scambio è più che equo. Vuoi sapere com’è, dopo che sei morto?”, le domanda con dolcezza la donna dai capelli rossi.
“ E’ freddo. Un freddo innaturale”, risponde una seconda voce.
La zia Mary è in piedi di fronte a Judith, la pelle levigata e bianca come il latte, i lunghi capelli corvini raccolti in una crocchia e il volto rotondo e pieno, come se nulla fosse accaduto: “ Ti penetra nelle ossa e non ti lascia più. Ti pare di essere umido, bagnato. Non c’è luce, solo buio e silenzio. Un silenzio che ti rimbomba nella testa, come se il vuoto attorno a te fosse anche dentro di te. Non capisci, non pensi, vivi sospeso. Non esiste Dio, non esiste al di là. Non c’è nulla. E il nulla, è spaventoso.”
Judith scuote la testa, ma ormai non ce la fa più.
La zia Mary si accovaccia davanti a lei e, con un sorriso sornione esclama: “Ora ti ho perdonato”.
 
“Judith”.
La voce della bambina la coglie alle spalle.
Judith osserva, dalla finestra dell’Hotel Grassi, la zia mentre si allontana lungo il marciapiede, fino a mescolarsi con la calca del mattino.
“Sì, piccolina”, le chiede, sforzandosi di sorridere.
“Vieni, giochiamo a nascondino. Io mi nascondo”.
“Va bene”, risponde mestamente.
“La tua voce è strana”, le fa la bambina.
“Non l’ho usata per tanto, tanto tempo”, risponde Judith, tentando di schiarirla con dei leggeri colpi di tosse.
“Beh, adesso puoi parlare. Non sei più colpevole”.
Judith annuisce, facendosi sfuggire una lacrima.
Quando osserva il suo riflesso allo specchio, ha un sussulto: la pelle giallognola e raggrinzita, i capelli radi, il corpo magro al limite dell’anoressia. Quindi è così che è morta la zia, deve essere stato terribile.
“Non osservarti allo specchio, vedrai che te ne dimenticherai”, la rassicura la bambina, per poi correre via.
Judith si trascina lungo il corridoio, ripetendo a fior di labbra: “Non è stata colpa mia”.
 
   
 
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