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Autore: tixit    15/06/2019    8 recensioni
Breve storia triste con molte licenze cronologiche e un po' di vago soft porn.
Fersen è tornato, è ospite di Oscar ed ha portato con sé il caos.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

L'arte di ascoltare

Dopo una notte insonne di macerie e sudore, verso metà mattina li sentì litigare. 

Indugiò dietro la porta, la mano serrata sulla maniglia, combattuto tra la voglia di mettere pace in quella casa, a tutti i costi - l'aveva incontrata per le scale, di notte, stanca e spaventata - e quella che Fersen, semplicemente, se ne andasse. Era stanco.
Fersen, accidenti! Uno che teneva una lista.
Nemmeno avesse avuto così tante donne non potersi ricordare due dettagli messi in croce. Non era il caso che andasse a verificare? Ad aggiornarla? Magari a Madame de Tourvel si erano schiusi nuovi orizzonti.

Il problema vero non era Fersen, ma le intenzioni di Fersen, si disse, cercando di calmarsi. Se fossero state serie, Fersen sarebbe stato, per Oscar, l'unica possibilità di una vita normale. 
Per quei figli da crescere e riempirle la vita - se la immaginò nel bosco che coglieva lamponi con dei bambini biondi, allegra come quando era alta solo un soldo di cacio, pronta a rifare con loro tutte le cose che loro due avevano fatto assieme da piccoli e a farle meglio.
Fersen non era solo un uomo bello, biondo e con gli occhi chiari, era qualcuno che era stato educato come lei e che avrebbe potuto capire tutte le dinamiche dei Jarjayes, e decidere di non ripeterle. Uno avrebbe potuto tenerle la mano quando fosse arrivata la sera, tra tanti anni, dopo una vita piena di amore. Perché lui, il vecchio segugio da sempre accucciato ai suoi piedi non bastava - non poteva bastare, siamo seri, come avrebbe potuto?
Lo doveva rispettare per questo, glielo doveva a quel Lancillotto dei poveri: se lui poteva renderla felice bisognava dimenticare quella lista.

Ma quei due in questi giorni, intenzioni, ah ma quali intenzioni? Quei due fringuelli non sembravano interessati a discutere dei dettagli dei contratti matrimoniali. Avrebbero dovuto scegliere dove sarebbero vissuti, per esempio, cosa pensava di fare Fersen in Francia? Farsi mettere su un reggimento dalla Regina mentre sposava una sua protetta? Questo non poteva essere, sarebbe stato il colmo. 
Dovevano pensare al futuro, quei due, pianificare. E con una certa dose di realismo. Parlare con il Generale.
E invece... Lui sempre a sfiorarla e a guardarla, bollente come una stufa svedese. E lei... gli tornò in mente come l'aveva vista solo qualche sera prima, mentre si lavava, impudica, davvero poco innocente, con quei seni duri e beffardi come solo lei sapeva essere, eppure morbidi, di sicuro vellutati come le magnolie in primavera. Petali di rosa le sue punte rosate. Timidi, delicati petali, da adorare in silenzio, trattenendo il fiato. Vivi, curiosi, da sfiorare con reverenza con la punta delle dita sentendoli corrugare, grati che il piacere che sbocciava piano fosse reciproco. 

E Fersen, maledetto, aveva osato violarli, lì sulle scale, le zampe sotto la camicia bianca di lei, indecente come un cane in calore.

Se ne tornò a lunghe falcate in cucina e cominciò ad armeggiare con i tegami, sbatacchiandoli contro il ripiano di marmo. Era una fortuna che fossero nel casino di caccia dei Jarjayes perché a Palazzo il Generale tutto questo non lo avrebbe tollerato. Oscar era il figlio prediletto, la figlia più bella e più giovane, la continuità del nome del Casato, il soldato che lo riempiva d'orgoglio. Avrebbe spellato vivo Fersen il Succhiaseni con il suo frustino, lo avrebbe fatto inseguire dai cani da caccia. 
E sarebbe stato troppo poco.

Il rumore degli zoccoli che si affievoliva lungo il viale, poco più tardi, lo mise quasi di buon umore. E così Fersen era andato a farsi passare i nervi altrove. Era ora. Ad un certo punto la neve arriva e ad un certo punto la neve se ne va.
Tanti auguri a lui e a Madame de Tourvel.

Con perizia riscaldò della carne in un tegame ed aggiunse della panna alle cipolle stufate. Mangiava troppo poco Oscar, l'ombra azzurrina delle palpebre ne tradiva la  fragilità sotto tutta quella energia da mare in tempesta. Aveva capito che di notte non dormiva, l'aveva incrociata al buio, per le scale, sudata, gli occhi lucidi che lo evitavano, che scendeva in cucina a cercare Dio solo sapeva cosa.
Preparò il vassoio con cura, aggiungendo anche una fetta di torta di carote, noci e miele in un piattino dai bordi delicati.

Si rammaricò di non avere dei fiori sotto mano da mettere in un bicchiere, così uscì svelto nel cortile e recise dei rametti di pungitopo e di agrifoglio, poi si diresse verso il giardino per un paio di rami di rosa carichi di bacche rosso polveroso.

Quando depose il vassoio d'argento sul tavolo di legno scuro, trovò che era davvero bellissimo - l'argento un poco opaco delle posate a contrasto con il legno ben lucidato, il bianco severo del tovagliolo ben stirato, con quel suo leggero sentore di lavanda e il verde delle foglie nel bicchiere che sapevano di nebbia mattutina, la polverosità allegra delle bacche di rosa, la lucidità dell'agrifoglio, ed il rigore ordinato dei piatti ben disposti, l'odore della carne ripassata nel tegame - non troppo pesante, mangiava così poco Oscar, ultimamente, non bisognava sforzarla - e quello appetitoso della torta di cui era golosa.
Ordine e raffinatezza per una donna che era sempre stata un soldato rigoroso ed una artista, amante del bello.

Guardò di sottecchi lo schienale della poltrona, mentre sistemava con cura, poi, mormorò in tono di scusa "Se serve compagnia per il pranzo io sono disponibile."

Aiutami ad aiutarti, pensò, aiutami, Oscar, te ne prego. Voglio solo aiutarti ad essere felice. Pensò a quando erano stati così vicini solo la sera prima, al calore del suo respiro, al profumo della sua pelle e a come per un attimo, prima che il buonsenso prendesse il sopravvento, gli era sembrato che loro avrebbero forse potuto bastarsi. A come in fondo si erano sempre bastati in tutti quegli anni.


Fersen si schiarì la voce "Sei gentile André" rispose incerto, poi emerse dalla poltrona e lo guardò incuriosito.

André sentì una specie di dolore alla bocca dello stomaco. Come se gli avessero appena tirato un pugno.
 

Fersen gli aveva fatto cenno di sedersi, ma non aveva condiviso nessun piatto con lui - André registrò la cosa senza rabbia: le cose stavano così, c'era un muro tra loro e non era colpa di nessuno, era solo che i ricchi erano di un'altra razza. E i nobili pure. Ed era giusto che si sposassero tra di loro.

Lo Svedese giocherellò con le posate e poi, fissando un punto imprecisato della stanza, ringraziò l'uomo seduto a disagio dinanzi a lui in una sedia dallo schienale alto e rigido. 
Lo ringraziava per non averlo lasciato solo. Si capiva che rivolgergli la parola gli costava - era nobile, in fondo - ma André non se ne curò, pensando invece ad Oscar, a cavallo nella nebbia di novembre, sola e furibonda.
Fersen aveva sfiorato un poco nervoso il bicchiere con dentro i rametti di pungitopo e bacche di rose e poi con un sorriso un poco triste aveva aggiunto che la solitudine aveva cominciato a pesargli - in America aveva scelto la solitudine razionalmente, l'aveva bramata, per ricostruire la propria vita, ma ora gli sembrava di aver perso qualcosa, il suo essere uomo, uomo davvero, uomo tra gli uomini.

Restarono così in silenzio, uno che mangiava piano, assaporando ogni singolo boccone così amorevolmente cucinato, perso nel suo imbarazzo e in chissà che ricordi e l'altro sulle spine, la testa appresso ad una donna bionda ed inquieta. Se le fosse successo qualcosa, pensò André amareggiato, lui avrebbe sbudellato Fersen. Con il coltellino dal manico rosso con cui giocavano da piccoli.
Ma come gli era venuto in mente di lasciarla uscire da sola con quel tempo? Ma non vedeva quanto era pallida?

Fersen bofonchiò qualcosa a proposito di chi era. "Le persone... alcune persone... non so quanti, ma io, per lo meno io... come l'acqua... io sono mutato, se penso al ragazzino che venne a Parigi per la prima volta, ingenuo e pieno di sé, quello non sono io, e se penso all'uomo che se ne andò in America, non sono io, e quell'uomo non era quel ragazzino... Io da piccolo guardavo mio padre e lo immaginavo vecchio, sempre vecchio intendo, e non capivo che forse anche lui, come una pianta, un germoglio, un virgulto e poi un albero giovane... "

André si agitò ma rimase zitto e Fersen, dopo essersi versato da bere, riprese fissando incupito il vino "I cattolici sono fortunati, una confessione e si ripulisce tutto, si volta pagina e si ricomincia da capo. Ma per me non funziona così, tutto si ammassa e stratifica e diventa mia responsabilità anche se io non sono più quell'uomo e sono stanco di dovermi portare addosso il peso del suo amore e della sua passione. Perché quell'uomo è morto. Io non ho toccato più nessuna donna da quando sono partito per l'America. Ma tu André, come puoi capire?"
Sospirò, "Come può capire chiunque?"

Poi tacque mentre il camino crepitava. Solo il rumore del vino versato. Fino a quando, ad un certo punto, Fersen si mise a parlare della lista.

Non ne era orgoglioso, ma era stato ossessionato da Maria Antonietta, che non poteva avere, e allora aveva ripiegato i suoi desideri verso altre donne. Ma non aveva gustato nulla.
"Non era come prima, non so se mi capite, se mi potete capire... prima di conoscere lei io non ero un monaco, ma quello che succedeva, quando succedeva, succedeva con garbo, per l'interesse reciproco, o non succedeva e amen. Non c'era frenesia. Invece dopo, dopo averla vista, averla amata... dopo era come avere fame, una fame senza fine, ed esser costretti a mangiare segatura e cavoli che giusto daresti ai maiali. Senza saziarsi mai."

André sollevò un sopracciglio - non avrebbe mai osato paragonare Madame de Tourvel ad un cavolo marcio, nemmeno in uno dei giorni peggiori di Madame de Tourvel - ma tutto questo lo tenne per sé - i nobili non gli erano mai parsi inclini ad apprezzare la verità quando questa li riguardava. 
Aveva intuito delle ragioni di Fersen, ma continuava a pensare che si lamentasse un pochino troppo, alla fin fine era come un ragazzetto che si era mangiato troppa marmellata di nascosto e poi si lamentava per il mal di pancia.

"Non c'era gusto, solo un vuoto da riempire." Fersen si abbandonò contro lo schienale e si mise a fissare il soffitto. "A volte guardavo quelli che si rovinavano con il gioco d'azzardo e mi sembrava di capirli: non conta aver vinto una mano, due, cento, mille - la bramosia non se ne va perché la soddisfazione non c'è." Fersen sospirò. "Mi sentivo un predatore da cui nessuna donna poteva dirsi al sicuro, a parte si intende i limiti della decenza. Voglio dire," si agitò imbarazzato, senza mai incrociare lo sguardo di André "mai con le vergini, mai. E mai con chi avrebbe potuto essere mia madre, o, peggio mi sento, mia nonna. Mai con una donna fragile. Mai con una donna sola. E, onestamente, non erano brutte, col discorso da porcaio ho esagerato. Sono bello e lo so: potevo scegliere. Posso scegliere."

André sentì che la mano gli si stava stringendo in un pugno, ma restò impettito a fissare le posate d'argento.

"Ma ho sempre scelto donne come me, che non mi amavano. Che non si sarebbero mai attaccate a me. Questo lo posso giurare." Fersen si versò da bere, con mani tremanti, "Anche se per me, credimi, era come essere invitato ad una cena sontuosa e poi costretto a saziarmi da un truogolo. Io dovevo, dovevo scoparmele, per la mia salvezza mentale, per non correre da lei e baciarla, trascinarla dietro una tenda del Grand Salon e stringerla a me, bisbigliare i miei pareri sull'Opera a teatro con lei, in una intimità impossibile, o fare il bagno nudo assieme a lei dentro una fontana di Versailles, perché il desiderio è desiderio e non si interessa della decenza... la tenerezza e la passione, il cuore e i lombi... tu André sei fortunato, non sai cosa sia amare, desiderare, sognare e non poter avere per il bene di lei."

André annuì distrattamente pensando che forse, al posto del coltellino svizzero, avrebbe usato la vanga del giardiniere.

"E dopo, la solitudine, l'immensa solitudine. La bestia dentro di me si addormentava per un poco e restava l'uomo a vergognarsi. Solo come un cane. E poi vederla e sapere che forse lei avrebbe saputo, sentirmi addosso quell'odore di un'altra, il marchio della mia infedeltà e del mio essere meno che umano, una bestia in fregola continua pronto a sfogarsi in ogni angolo di Versailles... la vergogna, ah la vergogna... l'imperdonabile..."

"Ma perché fare una lista?" chiese timidamente André.

Fersen lo misurò con lo sguardo, stupito,"Come perché?"

André insistette "Perché?" e Fersen lo guardò rabbuiato, "Scusatemi vi prego se vi ho parlato di cose personali," disse in tono amaro, "mi ha commosso il bicchiere con le piante, vengono dal nord, come me, so che non siete raffinato ma vi riconosco una certa dose di sensibilità... ma non avrei dovuto... ho bevuto troppo."

Poi tornò a fissare il soffitto, chiuso in un silenzio ostinato carico di delusione.

André si alzò dal tavolo impacciato, sentendosi vagamente in colpa e anche vagamente arrabbiato - non aveva sollecitato lui quelle confidenze, non aveva messo l'agrifoglio in tavola per confortare Fersen e fargli sentire aria di casa. E Fersen era egocentrico come solo un nobile poteva essere se davvero credeva che lui... ma se gli fosse interessato così tanto farsi carico delle confidenze dell'umanità si sarebbe fatto prete, sbottò dentro di sé amareggiato. E poi che diavolo ne sapeva lui di liste? Per quanto lo riguardava solo un povero cretino avrebbe lasciato in giro una lista con certi dettagli e quello, lo Svedese, pretendeva pure di farlo sentire in colpa perché era così poco scemo da non arrivare a capire la stupidità di un altro?


A rompere il silenzio arrivò un messo con un biglietto - un tipo taciturno. Oscar, a quanto pareva, era alla Taverna delle Dodici Lune e Girodelle chiedeva cortesemente, a tutti e due, di venire a prenderla per scortarla a casa. In fretta.
   
 
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